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sabato 29 dicembre 2007

Due cose

La prima è un appello di Articolo 21 http://www.articolo21.info/ ai sindaci di tutti i comuni d’Italia affinché la notte del 31, per un minuto, venga spenta l’illuminazione pubblica: sessanta secondi di buio per ricordare le stragi quotidiane sul lavoro. Nel 2007 hanno perso la vita nelle fabbriche e nei cantieri edili della penisola 1038 operai; un milione e 38 mila si sono infortunati e 25 mila sono rimasti invalidi.

La seconda è un monito, alla luce del sempre più precario quadro internazionale e dei venti di guerra. Lo ‘rubo’ al grande scrittore uruguaiano Edoardo Galeano.
“Le guerre si vendono, così come si vendono le automobili. Nel 1964 gli Stati Uniti invasero il Vietnam, perché il Vietnam aveva attaccato due navi degli Stati Uniti nel golfo del Tonchino. Quando la guerra aveva già fatto fuori un sacco di vietnamiti, il ministro della difesa, Robert McNamara, ammise che l’attacco al Tonchino non c’era mai stato. Quarant’anni dopo la storia si è ripetuta in Iraq”.

mercoledì 19 dicembre 2007

Una moratoria per i senza tetto

Dire quanti sono è quasi impossibile, forse per questo li chiamano invisibili. L’ultima stima, fatta dal mensile di strada Scarp de’ Tenis, risale al 2005 e calcola tra 65 e 110 mila il numero delle persone senza tetto. Un dato di gran lunga inferiore rispetto ad un’indagine, più o meno dello stesso periodo, condotta dalla Federazione Europea delle Associazioni Nazionali che lavora con i senza fissa dimora: la Federazione ritiene che siano dai 150 ai 200 mila quelli che non avrebbero il conforto di una casa propria. Di questi, 60-90 mila sarebbero privi di qualsiasi sistemazione. Nel corso degli anni è anche cambiato l’identikit degli homeless. Pensare soltanto ad uomini adulti con problemi di alcol è riduttivo. L’immigrazione e le difficoltà economiche hanno allargato le categorie: per strada oggi si trovano molte, moltissime donne e molti working poors, ovvero gente che lavora regolarmente ma che non guadagna a sufficienza per pagarsi un affitto. Per chi vive sotto la soglia della povertà, con 7-800 euro al mese, basta poco - una separazione, un lutto, che priva di una pur altrettanto misera entrata - per non essere più in grado di sostenere la spesa di una casa. Fortunatamente questo paese gode ancora di una rete di protezione privata fatta di associazioni di volontariato, laiche e cattoliche, di preti illuminati, che distribuiscono pasti caldi, coperte, vestiti, che riadattano locali per le emergenze e che non chiedono nulla, nemmeno i documenti, perché a differenza dei ricchi, i poveri sono davvero tutti uguali. Certo questo lavoro meritorio e impagabile non è sufficiente per far fronte a numeri enormi: 200 mila persone sono una città italiana di medie dimensioni, come Brescia o Verona. Varrebbe la pena che qualcuno ci pensasse. Magari anche chi nel Pd si occupa con un accanimento quasi morboso di quello che accade nel letto degli italiani, dettando regole, modi, tempi e spinte pelviche. Demagogia? Provate a dormire su una panchina a -5 e poi ne riparliamo.

martedì 18 dicembre 2007

Giovanardi Carlo (3)

Gliele ha cantate, eccome che gliele ha cantate. Prima di tutto al presidente Casini. “Tutti sanno che nel '94 eri capolista di Forza Italia. Nel '98, quando rimanemmo in 8 parlamentari, fu Forza Italia a portarci alcuni deputati per fare il gruppo. Infine, nel 2001, avevamo zero seggi, avendo raccolto il 3,2 per cento e tu sei diventato Presidente della Camera e io ministro”. Poi l’affondo. Sabato il Pierferdi lo aveva accusato di tenere il sedere nell'Udc e il cuore con Berlusconi: “E' molto peggio – ha replicato Giovanardi Carlo - stare col cuore lontano da Berlusconi e col sedere sulle sue poltrone”. Toma castagna. Quindi l’accorato appello a favore del Pdl e, finalmente, anche un moto d’orgoglio. “Oggi c'é la possibilità che nasca una grande costola italiana del Ppe. A me - aggiunge Giovanardi, provato dallo sforzo di esprimere un pensiero non teleguidato (ogni riferimento a persone o cose è casuale) - non interessa né Berlusconi né Casini (l’ha detto! Ha nominato il nome di dio invano e senza genuflettersi!). Mi interessa se riusciamo a fare tutti insieme un partito come quello di Aznar, della Merkel, del 30 per cento”.
Il Giova è scatenato e ne ha anche per gli altri dissidenti, Tabacci e Baccini, che mirano a creare la 'Cosa Bianca'. “La vedo simile al partito di La Malfa – dice sprezzante - quel Pri che era votato da Agnelli, da Ronchey, da alcuni maitres a pensair, che però non andava oltre il 5-6 per cento. Entrare in un partito che vuole scegliere le alleanze dopo le elezioni non é nel mio orizzonte politico”. E la chiusa è proprio una dedica al suo orizzonte politico, perché al Giovanardi, abituato ad essere maggioranza relativa, già fare la minoranza lo indispone, fare la minoranza che conta un cazzo lo deprime oltremisura. “Tutti parlano di andare oltre l'Udc verso il Ppe. Io penso che quella forza politica potrà essere quella annunciata da Berlusconi, quando nascerà, se ci sarà il concorso di tutti noi”. Per il momento, comunque, il Giova non lascia il partito: sia mai che il predellino non sia abbastanza resistente. Alla fine, alla conta, con lui stanno una quarantina di dirigenti, poco più dell’11%. Casini non infierisce più di tanto. Cesa, da segretario, è più esplicito: “Non consentirò mai doppie tessere e doppie appartenenze. Chi se ne vuole andare, può farlo, ci dispiacerà molto ma è libero di aderire a nuovi progetti. Certamente - ironizza - non vedo nessuna fila davanti all'ufficio tesseramento del partito di Berlusconi. Sia chiaro - prosegue - che noi in quella casa non ci andremo mai, perché non è la nostra. E' un partito demagogico e privo di regole, la cui unica certezza è la leadership di Berlusconi e la capitolazione degli alleati”. Ronconi, vicepresidente dei deputati centristi, usa il bastone e la carota. “A Giovanardi, sconfitto, va l'onore delle armi perché è uscito allo scoperto, ha manifestato le sue idee, non condivisibili ma legittime. Ora deve dare seguito alla sua linearità di impegno: rappresentare la minoranza nel partito, seguendo le indicazioni della maggioranza e lavorando per far guadagnare consensi alle sue. Non sarebbe accettabile invece il ruolo di 'agente all'Avana’ che semmai sarebbe meglio impersonato da chi dissente ma non appare”.

lunedì 17 dicembre 2007

Giovanardi Carlo (2)

Così il buon Giovanardi rimane fuori dalla porta per almeno due ore. Ogni tanto guarda alle finestre e a un certo punto,dietro le tende, gli pare di vedere Bondi e Cicchitto ridere. Devo trovare al più presto un altro modo per farmi notare, rimugina tra sè. Ma sì, perché non ci ho pensato prima: non è stato Berlusconi a fare campagna acquisti per far cadere il governo, è questo governo che sta in piedi grazie al voto di un eletto nelle file del centrodestra, Herry Potter Follini, quel maledetto. Pronto Ansa? Sì, chi è? Sono Giovanardi Carlo volevo… Clic. Pronto sono ancora Giovanardi Carlo, dev’essere caduta la linea. Strano, succede ogni volta che chiamo…. Comunque, vorrei dettare questo…Clic. Sempre Giovanardi Carlo, mi passi un collega del politico.
“Il gigantesco polverone innescato dal solito circuito mediatico giudiziario sul tentativo di Berlusconi di convincere senatori del centrosinistra a togliere la fiducia al governo Prodi, copre l'elemento essenziale della situazione politica italiana. Numeri alla mano, infatti, il governo esiste ancora perché il 6 dicembre, il senatore Marco Follini, eletto con i voti del centrodestra e poi passato al centrosinistra, ha dato il suo voto determinante di fiducia per salvare Prodi (158 si contro 156 no). C'é davvero da chiedersi se i sepolcri imbiancati che ieri si sono stracciati le vesti non sentano un minimo di vergogna nel difendere una realtà del Senato che già in partenza aveva visto il centrodestra prevalere nelle urne con il 50,2% dei voti popolari contro il 48,9% del centrosinistra e che oggi si regge soltanto sul voto di un transfuga”. Questa volta non mi possono lasciare fuori. Drinnn. Sono Giovanardi, pres….Clic. Dalla finestra qualcuno lancia un aeroplanino. E’ un’Ansa.
2007-12-13 15:14 BERLUSCONI INDAGATO:RONCONI,GIOVANARDI DIMENTICA DE GREGORIO ROMA (ANSA) - ROMA, 13 DIC – “L'onorevole Giovanardi, nella sua giusta difesa d'ufficio di Berlusconi, dimentica che il primo tempo della 'campagna acquisti' tra centrodestra e centrosinistra si è chiuso sull'1-1. Per un Follini che è andato a sinistra c'é stato un De Gregorio che ha negato la fiducia a Prodi". Lo afferma il vicepresidente dei deputati dell'Udc, Maurizio Ronconi.(ANSA).

Laicità

(….) La laicità senza aggettivi riposa esclusivamente sul principio di non imporre ai cittadini altro vincolo all’infuori di quello che vieta a ciascuno di limitare la libertà altrui e di violare il principio di eguaglianza di tutti di fronte alla legge (….). Ogni opinione può essere manifestata liberamente e in contrasto con altre opinioni. Ma se l’opinione di alcuni – fosse pure l’opinione maggioritaria – si trasformasse in norma discriminante, allora l’eguaglianza sarebbe violata e con essa la democrazia. L’esempio più chiaro è quello della legge sul divorzio. Si tratta in quel caso di una norma facoltativa: consente a chi vuole utilizzarla di valersi di una procedura a tutela di un diritto, che non impone alcun dovere a chi non voglia valersene. Viceversa impedire il divorzio ad una coppia che voglia recidere il contratto matrimoniale impone un limite ad un diritto l’esercizio del quale non lede alcun altro cittadino. Fondandosi sul principio di eguaglianza di fronte alla legge le Costituzioni democratiche vietano ogni discriminazione basata su etnia, religione, sesso. La legge è uguale per tutti. Tutti i diritti che non ledono diritti altrui meritano rispetto e cittadinanza (….). Le coppie di fatto siano etero siano omosessuali, hanno diritto di esistere poiché non ledono alcun altro diritto. Le leggi che le tutelano sono, come il divorzio, facoltative. Impedirne l’esistenza costituisce una discriminazione e viola in tal modo un precetto costituzionale. Si può invocare l’obiezione di coscienza contro un principio costituzionale? Rivendicando contemporaneamente la propria appartenenza ad un partito democratico? Direi proprio di no. L’obiezione di coscienza avrebbe in tal caso un’impronta tipicamente clericale, incompatibile con i principi della democrazia.

Eugenio Scalfari – Repubblica di domenica 15 dicembre

domenica 16 dicembre 2007

Giovanardi Carlo

Giovanardi Carlo, ma avrebbe voluto tanto chiamarsi Silvio, Piersilvio, o al limite anche Marina, a volte è commuovente. La sua fedeltà al padrone, non richiesta peraltro, fa tenerezza. Il dramma di quest’uomo è che malgrado tutta l’abnegazione che ci mette non riesce a far breccia nel cuore del re. Anzi, Berlusconi non lo degna mai di una citazione e Bondi, Cicchitto, Fede, Vito, persino Vito, non perdono occasione per prenderlo per il culo. Quando si presenta in udienza, anche se nessuno ricorda di averlo chiamato – ah c’è Giovanardi: è già andato in lavanderia a ritirare le camicie? - il portiere di Palazzo Grazioli e il cuoco Michele si toccano le pudende. Da dentro le tasche, ma se le toccano. Lui però non demorde. Qualche settimana fa ha anche cercato di fare lo spiritoso imitando la gag del capo. Ha detto ai giornali di aver preso cappello e di essersene andato dal suo vecchio partito perché quegli ingrati non avevano accolto con cori di giubilo l’annuncio del predellino e non erano corsi a ringraziare il messia di Arcore per la nuova opportunità politica. Ha aspettato di vedere la notizia, un riquadro nelle pagine interne, e l’ha subito smentita. L’hanno preso per il culo tutti, come un Giovanardi qualsiasi. Vi ricordate Grisù, il draghetto che non si rassegnava alla sua draghitudine e voleva diventare pompiere? Giovanardi Carlo (Silvio, Piesilvio, ma al limite anche Marina) è un po’ così. Qualche giorno fa, quando appena alzato ha letto su Repubblica che il re era di nuovo nei guai con la Magistratura non gli è quindi sembrato vero di indossare il caschetto e andare a spegnere il fuoco dei nemici rossi. Ancora in pigiama ha preso carta e penna deciso a scrivere al Presidente della Camera. “Egregio Presidente (presidente con la P maiuscola in segno di rispetto, sia mai che qualcuno insinui che lui non riconosce la terza carica dello Stato perché è un comunista) leggo questa mattina sul quotidiano 'la Repubblica' un suggestivo articolo (di cui Le allego copia) tutto centrato su ricostruzioni, tanto maliziose quanto improbabili, dell'attività politica del deputato Silvio Berlusconi, che in altri tempi sarebbero sicuramente state attribuite a veline di qualche 'servizio deviato'. Nell'articolo, si riferiscono i contenuti di asserite conversazioni fra membri del Parlamento (il medesimo Silvio Berlusconi e il senatore eletto nella Circoscrizione estero Nino Randazzo) ma non risulta chiaro se il redattore ne abbia contezza (ma come parla?) perché le medesime conversazioni siano state intercettate o perché, semplicemente, quei contenuti sono frutto del racconto, successivo e interessato dello stesso Randazzo”. "Se fosse vera la prima ipotesi è chiaro che la procura di Napoli avrebbe apertamente infranto le disposizioni costituzionali poste a tutela delle prerogative del Parlamento, con evidente violazione della normativa ordinaria vigente; nel secondo caso saremmo di fronte viceversa all'ennesimo episodio del circo mediatico-giudiziario messo in moto dalla denuncia unilaterale di un parlamentare della sinistra. Le chiedo pertanto, signor Presidente, di volersi cortesemente attivare presso la procura di Napoli, per assumerne - nel quadro della leale collaborazione fra le istituzioni - le informazioni volte a chiarire quale delle due ipotesi corrisponda alla realtà”. Firmato Giovanardi Carlo. Fax a Montecitorio e uno alle agenzie. Poi di corsa a Palazzo Grazioli. Non gli hanno aperto.

(continua)

venerdì 14 dicembre 2007

giovedì 13 dicembre 2007

Odifreddi for president

In una mail inviata agli altri membri della Commissione del Pd incaricata di scrivere il Manifesto dei Valori, lo scienziato Piergiorgio Odifreddi scrive: “Vorrei spendere una parola a favore del tema della laicità. Io non credo di avere 'pregiudizi' nei confronti dei cattolici, così come non credo di averne nei confronti degli astrologi o degli spiritisti: mi limito a constatare che hanno visioni del mondo che sono antitetiche con la visione scientifica, e più in generale con la razionalità, e ne deduco che sarebbe bene che esse rimanessero confinate nel campo individuale. Non propongo certo la proibizione delle sedute spiritiche, degli oroscopi o delle messe. Mi sembra sensato, però, pretendere che non sia sulla base di queste cose che vengano prese le decisioni politiche dei nostri governanti e del nostro nascente partito. E trovo altrettanto scandaloso che qualcuno (Prodi) dica che ha ricevuto notizie significative sul sequestro Moro durante una seduta spiritica, che qualcun altro (Reagan) si sia fatto consigliare da una maga, e che molti altri seguano i dettami della Chiesa per legiferare. Laicità significa separare nettamente queste credenze individuali dall'azione sociale e politica dello Stato e dei partiti”. Odifreddi giudica “assolutamente insoddisfacente, oltre che contraddittorio”, l'articolo a questo proposito della bozza del Manifesto. “E' ridicolo iniziare dicendo che 'la laicita' è un valore essenziale del Pd', e continuare riconoscendo 'la rilevanza nella sfera pubblica delle religioni e delle varie forme di spiritualità. Il nuovo partito – conclude Odifreddi - deve scegliere se essere laico o no; nel primo caso bisogna abolire la seconda parte dell'articolo, e nel secondo caso la prima: sono entrambe soluzioni possibili, ma per favore evitiamo di essere il partito del 'ma anche', come va dicendo da settimane Crozza nelle sue imitazioni di Veltroni”.

Sotto tir(o)

Il blocco degli autotrasportatori imporrebbe una riflessione più approfondita. Le lunghe code davanti ai distributori di benzina, gli scaffali dei supermercati vuoti, le tonnellate di derrate alimentari mandate al macero, la moria di animali per mancanza di mangime sono solo la conseguenza dello stop, non il problema. Pesante e insopportabile quanto si vuole, ma solamente la conseguenza. Il primo dato che emerge, lo sappiamo già, è la supremazia assoluta nel nostro Paese del trasporto su gomma rispetto a tutte le possibili alternative, comprese quelle marittime e fluviali, vista la geografia dell’Italia. Il secondo viene da sé: una corporazione con un potere così ampio, quasi assoluto, non solo è in grado: si sente in diritto di tenere in ostaggio una nazione. Come dice il prof. Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma, oggi l’album delle rivendicazioni corporative indica il rischio dell’individualismo e la deriva dello spirito di coesione. La protesta degli autotrasportatori è inquietante perché non c’è una riflessione adeguata sulle forme di lotta contro l’interesse pubblico, così come una percezione chiara del danno all’idea di società, evidente nelle performance comunicative del corporativismo. Se le singole categorie difendono esclusivamente il proprio ‘particulare’ – dice Morcellini - già questo è un documento interessante dei cambiamenti sociali. Ma è soprattutto un segno eloquente dei nostri tempi: estremismo nei confronti della mediazione politica; liquidazione di qualunque analogia con le tradizioni di lotta del mondo sindacale e del suo sforzo per coniugare rivendicazione e compatibilità, determinando la sensazione di una totale indifferenza per l’immagine sedimentata dai media e dal sentimento comune. E quando le categorie si comportano come individui – conclude Morcellini - il codice etico di soggetti collettivi rischia di sfumare nel codice penale.

mercoledì 12 dicembre 2007

Cosa Rossa


Il mondo abbandonato
di Gabriele Polo


(…) Chissà se ne hanno coscienza i dirigenti che sabato e domenica hanno dato vita a un embrione di unità politica segnato da troppi retropensieri e troppe timidezze. Quell'atto doveroso e richiesto a gran voce da ciò che resta del tessuto militante della sinistra non sconta solo le difficoltà che vengono dallo stare in un governo che di sinistra ha poco o nulla, né solo il travaglio di identità diverse da mettere in comunicazione tra loro per un'azione comune. A pesare c'è soprattutto la mancanza di una lettura della società, una concezione della rappresentanza sempre più indistinta e perciò in crisi, la mancanza di efficacia prodotta dalla crescente distanza tra ciò che si enuncia e ciò che si fa (o ci si riduce a fare). O, per essere quasi banali, sapere a chi vuoi dare voce e contro chi. E da lì trarre delle conseguenze. Perché, ad esempio, se si subisce in nome di «superiori interessi politici» la diminuzione del costo degli straordinari per le imprese, non ci si può poi stupire di fronte a turni di lavoro che arrivano a dodici ore consecutive. Come è successo in quell'acciaieria di Torino. In questi giorni sono state spese molte parole e molti minuti di silenzio per le vittime della ThyssenKrupp. Sono stati promessi controlli più accurati e norme più severe. Va tutto bene. Ma non sarà un consiglio dei ministri straordinario a rimettere al centro dell'agenda politica la crucialità del lavoro e della sua condizione. Non basterà un cartello elettorale di sinistra a ridare automaticamente voce e speranza a chi lavora. Serve una rivoluzione culturale che sposti il baricentro dell'azione politica dai palazzi alla società e che consideri il lavoro e i suoi conflitti una risorsa, non un problema o un costo. La «Cosa» (rossa o arcobaleno) parte da lì. O non parte proprio.

lunedì 10 dicembre 2007

Solo operai

Ogni giorno muoiono in media sul lavoro 4 persone. Un tributo insopportabile di vite umane destinato a crescere proporzionalmente all’allargamento della forbice tra il dibattito politico e la realtà quotidiana degli operai nelle fabbriche. Lo snodo è tutto qui. I cambiamenti economici, il ridimensionamento o lo smantellamento della grandi fabbriche, il trasferimento della produzione in mercati dove la manodopera costa meno, la riconversione produttiva, hanno reso invisibili 7 milioni di uomini e donne, 2 milioni e mezzo nel solo settore metalmeccanico, che per 250 e passa giorni all’anno varcano i cancelli e timbrano il cartellino di una qualsiasi industria della nostra penisola. La scomparsa dall’agenda politica, straordinariamente attenta e in fibrillazione per ragioni di fede ma poco partecipe quando c’è in gioco l’etica, la dignità e il diritto dei cittadini, ha decretato l’isolamento dei lavoratori manuali. L’operaio non esiste più. Missing. Scomparso. Cancellato anche dalla televisione, l’unico mezzo che certifica l’esistenza o meno di una categoria. E se neanche Bonolis, per dire, ti riconosce e ti manda in onda come puoi pretendere che ci sia qualcuno a difenderti? O anche solo qualcuno delegato a far rispettare le norme che regolamentano la sicurezza sui posti di lavoro? Norme di fatto solo sulla carta visto che mancano ancora i decreti attuativi. Forse verranno approvati in settimana in tutta urgenza. Il ricatto della produttività, l’esigenza di far fronte alle commesse in tempi sempre più stretti e con personale ridotto all’osso, in gran parte interinale, gli appalti assegnati al minimo ribasso, alzano la posta, tolgono la rete di protezione nei reparti a più alto rischio o nei cantieri edili, dove le maestranze spesso non esistono nemmeno sul libro paga: doppiamente invisibili, salvo riacquistare il proprio corpo quando, purtroppo, cadono da un’impalcatura. Ecco dunque l’attacco all’articolo 18, fortunatamente respinto, ecco l’approvazione della legge 66 che cancella il tetto massimo delle ore lavorative settimanali. Del resto, come si fa a campare, a mantenere una famiglia con 1.100 euro al mese? Per forza si devono accettare gli straordinari, i turni doppi, fino allo sfinimento, quando la minima disattenzione può costare la vita. L’Italia ha i più bassi salari di tutta Europa. L’ha detto il prof. Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia. Più del 40% delle famiglie vive con un reddito inferiore ai 1.300 euro al mese. Un terzo dei lavoratori ha cambiato già due impieghi da quando è sul mercato. Un tempo quando un giovane trovava il posto fisso, pensava a sposarsi e a cercare casa vicino alla fabbrica o all’ufficio, perché era molto alta la possibilità che la sua vita si sarebbe svolta tutta in quel contesto. Con orgoglio, salendo fin dove possibile la scala gerarchica e finalmente, dopo 35 anni, andare in pensione. Oggi il sistema è cambiato e sarebbe utopistico ragionare con quei parametri. Non è ammissibile però che flessibilità sia sinonimo di precarietà, che finisce per svilire non solo le professionalità ma soprattutto le persone, vuoti a perdere di un’economia bastarda. Quel che fa male, oltre al dolore dell’ultima tragedia, è – come ha detto Pietro Ingrao – che non c'è stato uno scatto nel paese, nelle istituzioni, un allarme per questi eventi che si ripetono. “Ma cosa deve ancora succedere – si è chiesto l’ex presidente della Camera - perché su questo tema antico del rapporto uomo-fatica, un potere costituito si turbi, si preoccupi, si domandi "che dobbiamo fare"? Ingrao si sarebbe aspettato che di fronte all’orrore delle morti bianche “le due assemblee politiche, Camera e Senato, avessero troncato il loro lavoro per aprire il dibattito sull'evento torinese, non foss'altro per parlare da lontano a coloro che stavano morendo o rischiavano ancora la morte”. Non è stato così. Anzi, tra pochi giorni, “l'evento cupo di Torino si dissolverà, impallidirà, senza diventare un fatto emblematico e rivelatore”. Anche perché non ci saranno tifosi a ricordare con i loro cori i caduti della Thyssenkrupp. Solo operai.

mercoledì 5 dicembre 2007

Anghingò

Sempre a proposito di terzo tempo, lo scrittore satirico Chicco Gallus lancia una proposta interessante. In sintesi, Gallus invita il mondo del pallone a pescare le sane abitudini di fair play nel proprio passato invece di mutuarle da altri sport, nella fattispecie il rugby. Per esempio: la domenica, una domenica, i capitani delle due squadre potrebbero trovarsi al centro del campo per fare la conta: anghingò o bimbimbam, secondo i gusti. Poi a turno scegliere un giocatore alla volta da mettere in squadra. In questo modo, esperienza bambinica, verrebbero squadre equilibrate e sorprendenti. Quindi, calcio d’inizio con giocatori mischiati, non vale il fuorigioco, si parte alle dieci e si finisce quando è pronto in tavola. Questo sì - sostiene Gallus - sarebbe un vero miracolo. Ma del resto chi ha detto che nel calcio ci devono essere solo le parabole?
Perché sono solo i comici (vedi Crozza, Benigni, la Littizzetto) o gli scrittori satirici a dire le cose più intelligenti su politica, letteratura e sport? Non oso immaginare a quali vette può essere arrivato lunedì il maestro Biscardi sul terzo tempo…

martedì 4 dicembre 2007

Ilaria e Miran

“Da un'analisi complessiva degli elementi indiziari fino ad oggi raccolti dagli inquirenti, la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dell'omicidio su commissione, attuato per impedire che le notizie raccolte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, in ordine ai traffici di armi e rifiuti tossici avvenuti tra l'Italia e la Somalia venissero portati a conoscenza dell'opinione pubblica italiana”. Con questa motivazione il giudice per le indagini preliminari, Emanuele Cersosimo, ha respinto la richiesta di archiviazione dell’indagine-bis sul duplice omicidio avanzata dalla procura di Roma, accogliendo così la richiesta dell'avvocato Domenico D'Amati, che assiste la famiglia Alpi. E’ forse la prima volta che un magistrato mette nero su bianco che la mattanza di Mogadiscio del 20 marzo del 1994 non è stata un incidente, come si era cercato di accreditare sin dalle prime ore del tragico fatto di sangue con manovre e depistaggi vergognosi, e che dietro all’unico miliziano somalo, Omar Hashi Hassan, rinchiuso in un carcere del nord d'Italia con una condanna a 26 anni di reclusione, c’è qualcosa di più grande e di sporco. Per esempio strane navi regalate dalla Cooperazione italiana alla Somalia, un traffico internazionale di armi, in uno scenario in cui si muovevano indisturbati strani personaggi legati al sottobosco politico-affaristico italo-somalo e settori del servizio segreto italiano. Ora il procuratore aggiunto Franco Ionta avrà sei mesi di tempo per svolgere ulteriori accertamenti sui mandanti dei due delitti, alla luce anche degli elementi che secondo Giorgio e Luciana Alpi sono emersi dalla commissione parlamentare guidata da Carlo Taormina. Nella speranza che si arrivi ad una verità finalmente non addomesticata, vale la pena leggere due bei libri inchiesta che documentano cosa stavano scoperchiando Ilaria e Miran tanto da dover essere fermati. La nausea che si prova alla fine della lettura non è dovuta ad una sindrome influenzale o all’effetto ritardato della visione di una puntata di Porta a Porta.

L’esecuzione - Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer, Maurizio Torrealta, Kaos edizioni

Ilaria Alpi: un omicidio al crocevia dei traffici – Barbara Carazzolo. Alberto Chiara, Luciano Scalettari, Baldini e Castaldi editore

Terzo tempo

Si chiamerà terzo tempo, sarà sancito con una norma federale e dovrà essere rispettato su tutti i campi di calcio a partire da gennaio. A fine gara, davanti al tunnel degli spogliatoi, giocatori, allenatori, arbitro e assistenti si saluteranno pubblicamente con una stretta di mano. A prescindere da quello che è successo durante i 90 minuti di gioco: insulti, bestemmie, onestà e virtù delle mamme messe in dubbio, falli, simulazioni e quant’altro. L’importante è che alla fine si faccia simbolicamente la pace. Grazie signore grazie, grazie signore grazie, grazie. Del resto non accade già nel rugby o nella pallavolo? Vero. Peccato però che in entrambi i casi i gesti degli atleti sono spontanei e nessuno ha mai pensato di metterci sopra una bolla papale. Quello che si è visto domenica allo stadio di Firenze è stato un bell’esempio di civiltà in una giornata però del tutto particolare, dove anche il minuto di silenzio per la prematura scomparsa della moglie dell’allenatore viola è stato rispettato da tutto il Comunale. Non succedeva da anni, perché il tifo più becero si è impadronito anche di questo tributo laico ad una persona che non c’è più con applausi fuori luogo, cori o, peggio ancora, fischi. Peraltro non dimentichiamo che in un primo momento la Lega aveva vietato il consenso al terzo tempo richiesto dalla Fiorentina, salvo poi ricredersi quando le immagini di una giornata normale di calcio sono state salutate dai media come l’apparizione della Madonna. A quel punto i geni che gestiscono il mondo del pallone hanno pensato bene di costruirci intorno il santino: non si esce dall’arena se non si bacia la reliquia. L’importante è dare l’impressione di essere tutti amici. E i mali del calcio, di tutto il circo barnum della pedata? Non solo gli ultrà, ma anche i conti in rosso delle società, le evasioni fiscali, i risarcimenti spalmati per secoli, i contratti imbarazzanti, giù giù fino a tutti i biscardi della terra? Per quelli c’è tempo. Per ora salviamo l’immagine, confezionandola in un bel pacchetto regalo. Un po’ come raddrizzare un quadro in una casa sventrata dal terremoto. O curare la calvizie ad una persona che ha il cancro.

lunedì 3 dicembre 2007

Fascisti

Pier Paolo Pasolini è stato uno dei più grandi poeti, scrittori e narratori del ventesimo secolo, un intellettuale di altissimo spessore, un regista che ha regalato alla storia del cinema italiano capolavori come Accattone, Medea, Uccellaci Uccellini, Il Vangelo secondo Matteo. Una biografia da premio Nobel, insufficiente però, secondo un consigliere comunale di Alleanza Nazionale, per dedicargli un parco pubblico a Chia, minuscola frazione di Soriano nel Cimino, nel viterbese. “Era un ricchione”, la sentenza senza appello dettata a verbale nella seduta del 19 novembre scorso da tale Luciano Perugini. Per fortuna l’opposizione dell’aennino non è stata determinante e la proposta del consigliere Terzo Camilli dell’Udeur ha avuto il conforto della maggioranza degli amministratori. Camilli aveva motivato la proposta con il fatto che il poeta aveva scelto Chia per girare Il Vangelo secondo Matteo. E che in quell'occasione si era innamorato del territorio, tanto che aveva deciso di acquistare e restaurare la Torre medievale del borgo e di passarvi gli ultimi anni di vita. Pasolini era atteso a Chia proprio il mattino successivo al suo omicidio.

domenica 2 dicembre 2007

Ricerca, ancora ultimi nell'Ocse

Ricevo da Carlo, che ringrazio, e pubblico volentieri


Ancora ultimi, come accade da anni. Il sistema di ricerca scientifica italiano continua a fare acqua da tutte le parti e a soffrire per un insufficiente livello di stanziamenti: solo l’1,1 % (rapporto tra R&S e Prodotto interno lordo) del 2004 è una cifra che colloca l’Italia all’ultimo posto nei Paesi Ocse, a pari merito con la Spagna. Nella graduatoria, Israele è al primo posto con il 4,4%, la Svezia investe il 4,0%, la Finlandia il 3,5%, il Giappone 3,2%, la Svizzera e la Corea il 2,9%. Gli altri paesi oscillano tra il 2,7% degli Stati Uniti e l’1,2% dell’Irlanda. In valore assoluto i 15.252 milioni di euro complessivi di stanziamenti tra comparto pubblico e imprese collocano l’Italia al nono posto: al primo posto compaiono gli Stati Uniti con 312,5 miliardi di dollari Usa (a parità di potere di acquisto), seguono con 118 il Giappone e la Cina con 94, Germania (59,2) Francia (38,9) e Regno Unito (32,2), Corea (28,3), Canada (20,8).
Questi dati – elaborati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche in occasione della presentazione di un data book dal titolo ‘Scienza e tecnologia in cifre. Statistiche sulla ricerca e sull'innovazione’ – segnano comunque un aumento rispetto al 2003 dell’1,2 per cento, dopo una generale diminuzione negli anni Novanta.
“I mali della ricerca sono molto più vecchi – spiega il prof. Franco Berrino, responsabile del dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto Tumori di Milano – ma possiamo farli partire proprio dagli anni Novanta, almeno per quanto riguarda la ricerca in ambito medico. Da allora i finanziamenti pubblici sono andati progressivamente scomparendo. Non credo sia solo una scelta politica, ma una conseguenza di una crisi finanziaria generale del Paese sulla quale non voglio entrare. Però a volte è più facile tagliare in questo che in altri settori. Tanto che ormai l’80% dei fondi per la ricerca proviene da fonti “extra” nazionali, dagli Stati Uniti, dalla Comunità Europea, attraverso ‘charity’ internazionali o da finanziamenti privati”.
E non è solo una questione di quantità di finanziamenti. Al centro dell’attenzione ci sono anche i metodi con cui questi fondi vengono resi disponibili. “I fondi nazionali – continua Berrino – sono molto modesti anche perché vengono suddivisi troppo spesso tra molti richiedenti, non tutti qualificati per riceverli. È questo il vero vizio italiano: cercare di accontentare un po’ tutti, anche chi non se lo merita. Il mio sogno sarebbe un Paese con regole certe, che mette in competizione i progetti con criteri di valutazione ineccepibili. E chi vince, vince una somma che consente di lavorare, come avviene in quasi tutto il resto del mondo”.
Il criterio del merito raramente viene applicato anche nella scelta del personale universitario. “L’università italiana – racconta il prof. Berrino – è un miscuglio di centri di eccellenza e di centri poverissimi. Eppure si continua a vedere il drammatico fenomeno di selezione del personale sulla base di criteri che non sono quelli del merito. Viviamo con tassi enormi di nepotismo. Anche questo è molto strano. Pur avendo un sacco di vincoli, all’Italia manca la capacità di collocare in una posizione importante una persona di grande prestigio e competenza. In questo settore gli Stati Uniti sono serissimi: i migliori – conosciuti o no – sono contesi dalle università, dalle aziende e dalle Istituzioni”.
A questo discorso si lega il dato sull’occupazione nel settore, sempre fornito dal CNR: nel 2004 il personale italiano impegnato in attività di ricerca era di 164.000 unità a tempo pieno, di cui 72.000 ricercatori. Un confronto imbarazzante con altri paesi europei: la Germania segna 270.700 ricercatori, quattro volte l’Italia. Paesi di dimensioni molto più ridotte, in termini di popolazione, rispetto all’Italia, come Svezia, Finlandia e Paesi Bassi, hanno circa la metà dei nostri ricercatori.
Alla quantità l’Italia supplisce con la qualità, e i dati delle pubblicazioni su riviste scientifiche ottenute da ricercatori italiani testimoniano una produttività della ricerca pubblica a livelli confortanti e in crescita nel tempo. La percentuale di citazioni di articoli scientifici di ricercatori italiani nelle pubblicazioni scientifiche è notevolmente aumentata fra il 1992 e il 2003: si è passati da 2,04% al 3,01% sul totale mondiale delle citazioni. Meglio di Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Canada, Cina e Svizzera.
“Non è un caso che l’Italia esporti molti dei suoi cervelli – continua il prof. Berrino –. All’estero sono bravi e ambiti. E vengono pagati molto bene, contrariamente a ciò che accade qui da noi. Ma una soluzione a tutto questo ‘torpore’ che pervade il nostro Paese ci sarebbe: trasferire tutto ciò che riguarda la ricerca scientifica, quindi leggi e regolamenti, a livello europeo. Una legislazione europea sulla ricerca scientifica che costringa l’Italia al rispetto di certe regole, ci potrebbe infatti togliere da questo gap terribile che abbiamo nei confronti di altri Paesi vicini. Inoltre, questo potrebbe rendere l’Europa stessa più efficiente e favorire una maggiore trasparenza anche nell'attribuzione dei finanziamenti europei. Con questo passo in più, alcuni problemi potrebbero essere risolti”.

venerdì 23 novembre 2007

La mossa del Cavaliere

Continuo a pensare che l’annuncio della rottamazione di Forza Italia - hic et nunc, dal predellino dell’auto – e della contemporanea nascita di un nuovo partito – del popolo delle libertà o delle libertà del popolo, poco importa - sia frutto del talento comico di Berlusconi e del suo lato ducesco da padroncino brianzolo, candidato in pectore al Soglio di Pietro (se non papa, almeno camerlengo). L’uomo però è tutt’altro che stupido e conoscendo i suoi limiti – o per amore della ‘roba’ – si è sempre circondato di persone di grandi capacità e intelligenza, in grado di mettere le pezze ad ogni uscita ‘bizzarra’ del capo, dandogli un contenuto e uno spessore politico. Oltre, naturalmente, a tutelarne gli interessi, che è il motivo principale di tutto questo circo di cui siamo spettatori dalla famosa e famigerata discesa in campo. La task force anti cazzata ha subito messo a punto una strategia davvero niente male. Quella di domenica non è stata la mossa di un leader alla canna del gas, sconfitto (almeno provvisoriamente) dal nemico comunista, e contestato al suo interno da politici di lungo corso, più abituati di lui ai rituali del palazzo e disposti a seguirlo, pur con tutti i mal di pancia possibili, solo a fronte della condivisione del potere. Dell’uomo incazzato per l’affronto di chi – recuperato dalle fogne o dalle macerie della prima repubblica – avrebbe dovuto onorarlo e rispettarlo per tutti i giorni della sua vita e invece si è messo a dargli lezione, come ad un Giovanardi qualsiasi. Dell’animale ferito che reagisce d’istinto per difendere sé stesso e la propria tana. Niente di tutto ciò. Domenica si è assistito al meditato colpo di genio di un fine stratega, che ha capito prima degli altri parrucconi il fallimento del maggioritario e della necessità di aprire una nuova fase, anche a costo di buttare all’aria l’alleanza che fino a 48 ore prima i sondaggi davano vincente con percentuali bulgare.
La nascita del Pd e le dichiarazioni di Veltroni in merito alla possibilità di una corsa in solitaria alle elezioni, senza dunque sottostare ai ricatti delle estreme, ha suggerito al Cavaliere di fare altrettanto, di ripensare al proporzionale e ad un nuovo bipartitismo: due grandi partiti accreditati di un 25-30 per cento dei consensi che si giocano il governo del Paese dettando la linea. Chi si vuole accodare lo fa, sapendo però che, nel caso, i due potrebbero anche mettersi d’accordo tra loro. E non è vero che lui, il Cavaliere, non ne aveva mai parlato con gli altri inquilini della ormai ex Casa delle Libertà, anzi erano stati proprio loro a incitarlo al cambiamento. Certo si può discutere sul modo, ma il popolo aveva bisogno di un’iniezione di fiducia e di tornare a sognare. A questo punto si tratta di dare contenuto al nascituro, alla cui culla sono invitati tutti i moderati, Fini e Casini compresi. Di più, entrambi possono mirare alla leadership partecipando a democratiche primarie. Contro di lui, naturalmente. Fini per ora schiuma rabbia e difficilmente tornerà sui suoi passi. Casini si era già smarcato in tempi non sospetti. Entrambi si godono questa riacquistata libertà d'azione e pensano ad un terzo polo. Al momento all'ex premier hanno teso il braccio entusiasti, in un riflesso condizionato, solo Storace, Buontempo e la Santanchè. In questo modo l’annuncio del predellino è confezionato in pacchetto regalo, con tanto di fiocco, e lo spariglio acquista un senso. Volendo è anche un assist a Veltroni: caro Walter tu ed io abbiamo il consenso popolare, decidiamo noi che tipo di legge elettorale fare e poi andiamo alle urne. Tutto sommato fa comodo anche a te prendere la giusta distanza da questa maggioranza, sfruttando l’entusiasmo per la tua nuova squadra, per non rimanere nel limbo troppo a lungo, con il rischio di logorarti.
Rossana Rossanda riassume in modo perfetto e lungimirante: “(...) E' un quadro comune quello che permette un bipolarismo «perfetto», perché non muta l'idea di società ma soltanto un certo metodo dell'amministrazione, e di solito la politica estera. Collante un liberismo più o meno temperato: largo al mercato, meno stato, meno proprietà pubblica, più liberalizzazione cioè più privatizzazioni, e una riconosciuta partecipazione della Chiesa alla conduzione «morale» del paese da parte dell'uno e dell'altro schieramento (...)”.
L’accelerazione del Cavaliere non aveva però fatto i conti (o magari proprio per quello) con la bufera Rainvest e con il ritorno sotto i riflettori dell’odiato conflitto d’interessi. Veltroni, forse suo malgrado, da mazziere di questo virtuale scopone scientifico, ha così pareggiato le carte e ora si ritrova in mano il gioco. Vedremo come lo condurrà. Attenti comunque al Cavaliere: quando è all’angolo diventa ancora più pericoloso. Sarebbe però interessante sapere cosa ne pensa la sinistra.

martedì 20 novembre 2007

Ma sì, domenica fondo un partito

Devo trovare assolutamente qualcosa da fare domenica: il Milan non gioca e di stare a casa con Veronica non se ne parla proprio. Sai che palle. Ma sì: fondo un altro partito. Forza Italia, la Casa delle libertà: mi sono stufato. Quei comunisti del Pd ci hanno messo più di un anno, tra cantieri, lingotti e primarie e sono riusciti a litigare pure lì. Io gli dimostro che in un giorno si può fare tutto. E senza dire nulla a nessuno. Anche perché non so proprio a chi dovrei chiedere? A quei tre parrucconi che invece di darmi una mano, o almeno una spalla, per mandare a casa Prodi adesso si smarcano e danno la colpa a me per l’approvazione della Finanziaria? Ingrati. Io che li ho tolti dalla fogna, gli ho ridato dignità politica, ho pagato i loro debiti, li ho mantenuti. Ho anche provato a fare campagna acquisti, come no? Ho messo sul tavolo una discreta cifra: ma è colpa mia se quel deficiente di Bondi ha chiamato Braida e Ancelotti? Come era prevedibile non hanno voluto saperne di Dini e Pallaro: o Ronaldinho o niente. Adesso però basta: chiamo la Michela Vittoria e le dico di organizzare una raccolta firme, ufficialmente per sfrattare Prodi dalla mia casa di Palazzo Chigi. Poi, poi gli faccio vedere io. Partito del Popolo delle Libertà. Senti come suona bene. Chi mi ama.... E se quei tre non vogliono scomparire dovranno venire a chiedermi scusa. O li licenzio. Presidente non può licenziarli. Non mi contraddire Michela Vittoria: io licenzio chi mi pare. Alle primarie del Pd quanti hanno parteciparto? Più di 4 milioni di persone? Da noi saranno almeno 5. Che dico 5: 8, 10 milioni. Tanto chi mi può smentire? La Questura? Ma andiamo!

Se è possibile mettere in mora un partito e un'intera coalizione dal predellino di un'auto, senza cioè passare da un voto congressuale, ci sta anche questa ricostruzione faziosa e da bar sport. Quello che preoccupa è l'abitudine a questo tipo di politica: ci si aspetterebbe un coro di indignazione contro una deriva pericolosa che si fa beffe delle più elementari norme democratiche e invece arriva un'ovazione da stadio.


PDL: COMIZIO IMPROVVISATO PER BERLUSCONI E BAGNO DI FOLLA
ROMA
(ANSA) - ROMA, 19 NOV - Primo bagno di folla per Silvio Berlusconi tra i futuri elettori del neonato Partito del Popolo della Libertà. Parlando ad alcune centinaia di sostenitori osannanti in Piazza di Pietra dopo la conferenza stampa di presentazione del Partito, il leader dell'opposizione improvvisa un comizio e poi si getta letteralmente dal palco tra il pubblico che lo accoglie come una vera rock star. Centinaia di "ex forzisti" invocano a gran voce le elezioni anticipate tenendo in mano i cellulari per immortalare il momento, e, non riuscendo a fotografare il palco, in tanti si accontentano di fotografare il maxischermo allestito in piazza. I giovani, arrivati ben organizzati con cartelli e striscioni, cantano "Un presidente, c'é solo un presidente", non riuscendo comunque a coprire le grida e gli applausi dei fan più anziani, altrettanto agguerriti. La stessa folla che gremisce la piazza, impedendo il passaggio delle automobili, accompagna l'ex premier e la sua scorta per tutto il tragitto fino a Palazzo Grazioli, sostando con lui davanti alla stazione di polizia di Piazza del Collegio Romano dove il Cavaliere si ferma per una foto ricordo con alcuni agenti. Il pubblico si dirada, all'arrivo al portone di Palazzo Grazioli, soltanto dopo che Berlusconi, tra sorrisi, foto e strette di mano, fa definitivo rientro nella sua residenza romana. (ANSA).

PDL: NAPOLI, TUTTI INSIEME SCEGLIEREMO LEADER CON PRIMARIE
ROMA
(ANSA) - ROMA, 19 NOV - "Pronti al dialogo con Veltroni sulla legge elettorale, aperti a tutti gli alleati perché insieme, attraverso le primarie, si scelga il leader del Partito delle libertà. Silvio Berlusconi non ha esitato un istante, ha preso tutti in contropiede e ha rimesso carburante nella macchina arrugginita della politica italiana". Lo afferma Osvaldo Napoli, del direttivo di Forza Italia. "Con le sue decisioni - sostiene ancora Napoli - Berlusconi ha messo fine ai minuetti stucchevoli che da mesi scandivano la vicenda politica. Non lo ha fatto con un'operazione di palazzo, ma ha sentito gli umori del Paese. Dietro le decisioni di Berlusconi ci sono gli 8 milioni di firme apposte da altrettanti italiani che fra sabato e domenica si sono messi in coda davanti ai 10 mila gazebo. Al salotto televisivo e alle chiacchiere da bar, Berlusconi ha preferito le strade e le piazze dove si incontrano le persone". "Da questa sera - è la conclusione del deputato azzurro - tutto si è rimesso in movimento. Gli alleati sono i primi invitati a collaborare alla costruzione della nuova fase politica. Ognuno può portare la propria pietra, senza pregiudizi o rivendicazioni. I moderati e i liberali piemontesi sono pronti da subito a dare il loro contributo e a compiere tutti gli sforzi per affermare l'idea di un'Italia nuova". (ANSA).

PDL: LUPI; BERLUSCONI E'UNO DEL POPOLO,SA ASCOLTARE LA GENTE
ROMA
(ANSA) - ROMA, 19 NOV - "Ormai anche i più scettici devono ammetterlo, Berlusconi è uno che sa ascoltare la gente, è uno del popolo". Lo afferma Maurizio Lupi, deputato di Fi. "Rimettersi in discussione, fare un partito nuovo, voler cambiare un sistema elettorale da bipolare a proporzionale puro, significa ascoltare la voce dei cittadini - sottolinea Lupi - dare credito al popolo ed ai valori che esprime anche se questo può significare rimettersi in gioco, farsi giudicare, continuare a lottare per la costruzione del bene comune". "E' una grande lezione di politica quella che Berlusconi ha proposto nella conferenza stampa di oggi - aggiunge Lupi - per guidare il Paese bisogna saperlo ascoltare anche se questo può rimettere in discussione la scontatezza accidiosa con cui il Palazzo guarda spesso i suoi cittadini".(ANSA).

PDL: CAMMARATA, BERLUSCONI E' GRANDE INNOVATORE
PALERMO
(ANSA) - PALERMO, 19 NOV - "Silvio Berlusconi si conferma il grande innovatore della politica italiana, dimostrando una capacità ineguagliata di rispondere, con proposte serie e costruttive, non solo alle esigenze che gli italiani manifestano, ma anche alle loro insofferenze". Lo afferma il sindaco di Palermo Diego Cammarata (Fi). "L'adesione crescente dei cittadini all'antipolitica, che rischia di ammiccare al qualunquismo più bieco, - aggiunge - è stata intercettata con grande intelligenza da Silvio Berlusconi che con il Partito del popolo delle libertà riporta la protesta dei cittadini nel corretto alveo della politica e dei partiti". "La creazione di una grande forza politica - osserva - che diventerà la grande casa dei moderati che guarda alla crescita del Paese e all'affermazione dei valori di libertà e sviluppo, a cui Forza Italia ha mirato in tutti questi anni, è il segnale di una capacità di adattarsi alle richieste che emergono con forza dall'elettorato, evidentemente stanco non solo del governo Prodi, come dimostrano i milioni di firme raccolte nei gazebo voluti da Berlusconi, ma anche dei giochi di potere e di partito che si ritorcono contro i cittadini". (ANSA).

POL:BERLUSCONI, BENVENUTO PDL, ADDIO A CDL E BIPOLARISMO/ANSA
ROMA
(di Federico Garimberti) (ANSA) - ROMA, 19 NOV - Nasce un nuovo partito, muoiono bipolarismo e Casa delle Libertà. E, paradossi della politica, é proprio Silvio Berlusconi, padre di entrambi, a sacrificare il frutto di tredici anni di lavoro in nome del rilancio della sua leadership. L'ex premier sceglie il tempio di Adriano, la stessa sala dove Walter Veltroni ha presentato il suo Pd, per spiegare l'annuncio shock di ieri. Il luogo è stato prenotato nella notte, a dimostrazione del fatto che quella di Berlusconi è stata una svolta improvvisa. Alla conferenza stampa il Cavaliere arriva teso, concentratissimo. Stringe un paio di mani, poi guadagna con passo deciso il podio. In platea siedono solo giornalisti, parlamentari e alcune decine di giovani di Forza Italia. L'ex premier inizia a parlare. Alle sue spalle campeggia un logo. E' provvisorio; il nome sarà scelto dai cittadini. I colori e la fascia tricolore ricordano il simbolo del 'Partito delle liberta'. Al momento, però, la scritta è un'altra: 'Popolo della liberta''. L'inizio è soft. "Abbiamo tutti - dice - la responsabilità di non disperdere in litigi e ripicche i milioni di firme raccolte". Il nuovo soggetto, aggiunge, si chiamerà "Popolo della libertà" o "Partito della libertà", a deciderlo saranno direttamente i cittadini. Il riferimento, ricorda, è il Partito popolare europeo. Ma non sarà una "fusione fredda come quella del Pd", quanto piuttosto una scelta "dal basso, dalla gente che a milioni" ha firmato nei gazebo di Forza Italia. Parla di "decisione sofferta", ma inevitabile perché voluta dagli italiani. Annuncia un "giro d'Italia" per ricevere suggerimenti dalla gente. Sottolinea che l'iniziativa "non è contro qualcuno", ma al contrario è fatta proprio per "spalancare le porte". Riconosce che nel centrodestra, dopo cinque anni di governo, ci sono state "divisioni" tali da impedirgli di convocare vertici della Cdl. Ed ora, scandisce consapevole di dare l'estrema unzione al sistema che ha contribuito a introdurre, "mi sono reso conto che il bipolarismo è, oggi in Italia, qualcosa che non può funzionare". Si deve dunque aprire al "dialogo" per considerare "un proporzionale non macchiavellico, ma puro; con un forte sbarramento". Parte la raffica di domande. Berlusconi risponde. Spiega che il dialogo sarà aperto "a tutti", alleati ma anche avversari. Si dice disponibile ad un incontro con Walter Veltroni, anche "nell'immediato". Invita gli (ex?) alleati a "confluire" nel nuovo soggetto; nega di aver dato una 'spallata' a Fi, anziché al governo, sottolineando semmai che nel mirino ci sono i "mestieranti della politica". Identikit valido, è vero, per gli avversari. Ma anche per Fini e Casini. Ancora domande, altre precisazioni. Riforma sì, ma solo per cambiare legge elettorale e a patto che poi si voti subito, nel 2008. Del resto, dice, si occuperà il nuovo Parlamento. Governo tecnico o istituzionale? "No, le riforme si possono fare benissimo" anche con Prodi. E i partner della Cdl? Racconta di aver parlato con Bossi, ma non dice molto. Solo che "la Lega è una forza autonoma e potrà avere con la nuova forza politica gli stessi rapporti del passato". Sui leader di An e Udc neanche un accenno. Torna sul bipolarismo, ma solo per scriverne l'epitaffio: "Con queste individualità, non è più possibile". E ancora. Altre domande. Sul "no di Fini: "Non rispondo a piccole polemiche del momento"; sulle primarie: "Le faremo e saranno aperte a tutti". La conferenza stampa termina qui. Ma il Cavaliere ha bisogno di immagini. Esce. In piazza il palchetto è già e pronto, così come i giovani con slogan e piccoli cartelli. Il bagno di folla è inevitabile. Il Cavaliere si lancia letteralmente fra i supporter. Poi torna a casa, a piedi. Traffico in tilt e ancora domande. I sondaggi? "Sono molto ottimisti". Prima di infilarsi nel cortile di palazzo Grazioli, lascia cadere là: "Non ho nessun rimorso e nessun rimpianto".(ANSA).
GMB/ S0A QBXB

PDL: CONFALONIERI, BERLUSCONI MI RICORDA LENIN E ELTSIN
ROMA
(ANSA) - ROMA, 20 NOV - Berlusconi che sale sul predellino dell'auto a Piazza San Babila piena di gente ricorda a Fedele Confalonieri "l'arrivo di Lenin in Russia a bordo del treno piombato" e "mi ha fatto venire in mente anche Eltsin che parla ai moscoviti dalla torretta del carro armato, all'epoca del tentato golpe contro Gorbaciov". Il presidente di Mediaset lo afferma in un'intervista al Corriere della sera, cui dichiara che "Il lato artistico di Berlusconi è quello di essere sorprendente" e che questa volta "E' diverso, ancora più importante" della prima discesa in campo: "Dopo un decennio non è più un outsider, tutti lo conoscono. Eppure anche questa volta è riuscito a sorprendere gli addetti ai lavori", e aggiunge che "Silvio ha suonato il primo accordo musicale di una sinfonia ancora da scrivere". (ANSA).

PDL: BERTOLINI, BERLUSCONI ACCORCIA TEMPI LUNGHI POLITICA
ROMA
(ANSA) - ROMA, 20 NOV - "Silvio Berlusconi ha la dote innata di accorciare, dimezzare i tempi lunghi, estenuanti della politica. Quello che il Partito democratico ha fatto in un anno lui lo ha compiuto in un fine settimana". E' il commento di Isabella Bertolini, vice presidente dei deputati di Fi. "Con il consenso di 10 milioni di persone - dice - il presidente Berlusconi ha fondato un nuovo Partito con l'obiettivo, preciso ed immediato, di modernizzare l'Italia e di mandare a casa il governo Prodi". "Per il nostro Paese - conclude Bertolini - si apre una nuova era. Chi liquida questa nuova avventura come l'ennesimo colpo di teatro di Berlusconi non ha compreso l'importanza della svolta in atto".(ANSA).

PDL: A.MARTUSCIELLO, DA BERLUSCONI STRAORDINARIA INTUIZIONE
NAPOLI
(ANSA) - NAPOLI, 20 NOV - "Una straordinaria intuizione che ha saputo interpretare il sentimento del popolo di centrodestra". E' il giudizio del deputato di Forza Italia Antonio Martusciello in merito all'annuncio di Silvio Berlusconi di dar vita al Partito del popolo. "Al di là delle prevedibili dichiarazioni da parte della sinistra, di caratterizzare la nascita del Partito del Popolo come un tentativo del presidente Berlusconi di restyling di Forza Italia - spiega Martusciello - quella comunicata ieri dal leader azzurro è stata, ancora una volta, una straordinaria intuizione". "E' auspicabile che tutti gli alleati colgano l'importanza di questo progetto e, superando le ruvide polemiche, talvolta di stampo personalistico, convoglino le proprie risorse nella costruzione di un vero grande Partito del popolo delle libertà. La partecipazione popolare che ha animato in questi giorni le piazze italiane - aggiunge Martusciello - oltre a premiare il presidente Berlusconi per il proprio operato, rappresenta un segnale chiaro che indica una strada da cui è auspicabile che le forze del centrodestra non si allontanino". "Il contatto con la gente rappresenterà una sorta di stella polare in grado di indicare la rotta ai dirigenti del nuovo soggetto politico permettendo di evitare, come invece è accaduto nella formazione del Partito democratico, vecchie logiche di spartizione e di supremazia della nomenclatura - conclude l'esponente forzista - Berlusconi ha chiaro il percorso ed anche per questo è consapevole della necessità di instaurare un dialogo parlamentare che porti velocemente ad una riforma elettorale".(ANSA).

lunedì 19 novembre 2007

La giusta distanza


E’ la giusta distanza emotiva dagli avvenimenti la prospettiva migliore per darne una lettura verosimile, senza per forza giudicarli, soprattutto attraverso le categorie del bene e del male. Più complicato mantenere un distacco da sè: mettersi in gioco comporta sempre un rischio, a volte anche estremo. L’ultimo film di Carlo Mazzacurati, “La giusta distanza”, è la fotografia – nera, ma non solo – della provincia italiana, protagonista passiva delle trasformazioni sociali in atto, dove è inutile cercare colpevoli perché nessuno è innocente. I personaggi di Mazzacurati sono uomini e donne dei nostri tempi: né buoni, né cattivi, almeno in senso assoluto, gente qualunque, con una condotta magari eticamente discutibile, ma che oggi rientra ampiamente nel concetto di normalità. C’è il tabaccaio (il bravissimo Giuseppe Battiston), sposato con una rumena scelta attraverso un catalogo in rete, che si è inventato un’attività alternativa: la pesca d’altura in Adriatico per i turisti, in modo da mantenersi il Suv e le (eventuali) amanti; c’è l’autista dell’autobus, alla vigilia delle nozze con l’estetista, che però si lascia distrarre dalla bellezza della giovane maestra (Valentina Lodovini) appena arrivata in paese; c’è Hassan, il meccanico, che inizia una relazione con la nuova insegnante ma poi viene respinto: lui le chiede di sposarlo, lei ha altri progetti. C’è il direttore del call center erotico, che festeggia in trattoria il successo dell’impresa. Il resto è il paese, con i suoi piccoli casi di cronaca (i cani morti ammazzati e i laboratori clandestini) globalizzato suo malgrado dall’arrivo degli immigrati, con i quali ha apparentemente imparato a convivere. Ma alla scoperta del delitto della maestra, che rompe gli equilibri, è pronto a recuperare il pregiudizio e a condannare silenziosamente quello che è il colpevole ideale: il fidanzato respinto, extracomunitario e per giunta musulmano. Solo il gesto estremo di chi sa di essere in carcere da innocente porterà a scoprire la verità: anche qui una verità banalmente, o tragicamente, di provincia, come a Erba, come a Perugia. L’affresco è molto ben fatto. Valentina Lodovini è una piacevole scoperta, così come Ahmed Hafiene. Bello il cameo di Fabrizio Bentivoglio nel ruolo del caporedattore del giornale locale. Bravi e ben caratterizzati tutti gli altri, da Giuseppe Battiston a Natalino Balasso a Ivano Marescotti. La vicenda è semplice e ruota attorno a tre protagonisti: Mara, la giovane maestra elementare arrivata dalla città per sostituire la vecchia insegnante uscita di testa (che comparirà nell’unica scena ‘fantastica’, felliniana, del film); Giovanni, 17enne con il sogno di diventare giornalista e l’amico tunisino Hassan, artigiano, titolare di un’officina meccanica. E’ Mara a sconvolgere la quiete del paese. E’ bella, solare, espansiva. Hassan ne rimane affascinato ma all’inizio si accontenta di andarla a spiare la notte dalle finestre della casa che lei ha affittato. Anche Giovanni la controlla da lontano. Aiuta Mara a collegarsi ad internet e le ‘ruba’ la password d’accesso alla posta elettronica. Scoperto, Hassan si scusa e corteggia apertamente Mara. Lei in un primo momento lo respinge, poi inizia con l’uomo una relazione, pur sapendo – o forse proprio per quello - che alla fine dell’anno scolastico partirà per il Brasile per un progetto cooperativo. Giovanni riesce a diventare corrispondente del giornale locale e il caporedattore, nel dargli i rudimenti del mestiere, gli ricorda che per raccontare al meglio quel che succede in zona bisogna mantenere la giusta distanza dagli avvenimenti: per non apparire troppo freddi, ma nemmeno eccessivamente coinvolti dalla conoscenza dei personaggi, con il rischio di essere fuorviati dalle emozioni. La situazione precipita quando a Mara viene anticipata la partenza per il Brasile e proprio quel giorno Hassan le chiede di sposarlo. A quel punto Mara non può più nascondere il suo reale progetto di vita e i due ragazzi hanno una discussione. La sera stessa Mara viene uccisa nella sua casa e tutti gli indizi portano ad Hassan. Un colpevole perfetto. Caso chiuso. Al processo Hassan si difende per quel che può, giudicato preventivamente già dal suo avvocato. In carcere l’uomo si suicida e la sorella chiede a Giovanni, in nome della vecchia amicizia, di ridargli, almeno post mortem, la dignità perduta. E tocca proprio al giovane giornalista, mantenendo la giusta distanza, mettere insieme i tasselli che porteranno a scoprire il vero assassino.

venerdì 16 novembre 2007

Proporzionale

(…) Accettare la logica dell'agonia, illudendosi che la forma (il governo) corrisponda alla sostanza (un centrosinistra), affidandosi agli interessi di Pallaro o alla resistenza della Montalcini, procrastinerebbe il problema ma non lo risolverebbe. Anche perché tre senatori centristi oggi pesano più dei restanti centocinquanta della maggioranza. Perciò, se proprio bisogna governare qualcosa, meglio organizzare una via di fuga che prenda atto della fine dell'attuale coalizione e attrezzarsi alle elezioni preparate da una riforma elettorale minimamente corrispondente alla realtà italiana. Cioè un proporzionale vero, senza pasticci ispano-tedeschi - che svincoli la rappresentanza politica dai lacci del bipolarismo maggioritario. In questo paese esistono quattro grandi aree, differenziate per valori e indirizzi, da cui dovrebbero derivare i programmi e le azioni: una destra populista e autoritaria, una destra moderata, un grande centro attorno al Pd e una sinistra oggi troppo frantumata e inerme. Sarebbe bene che il Parlamento li potesse accogliere per quello che sono, dando modo a ciascuno di fare la sua parte, ridando senso e chiarezza allo scontro politico. È quel minimo di agibilità democratica che pensavamo di ottenere battendo Berlusconi. Ma finora non è andata così.

Gabriele Polo, Il Manifesto, 15 novembre 2007

mercoledì 14 novembre 2007

Calcio e anti Stato

Non c’è giustificazione per la morte violenta di un ragazzo. Nemmeno l’errore o la tragica fatalità può e potrà mai alleviare il dolore di una famiglia, degli amici. Ma quello che è andato in scena domenica nelle ore successive al fatto di sangue all’autogrill di Arezzo è pura follia. La sospensione di una partita di calcio per volontà di una frangia della tifoseria o, ancora peggio, l’attacco alle caserme della polizia e le devastazioni a Roma, rappresentano un oltre pericoloso a cui non si può rispondere solo con il blocco dei campionati professionistici per una domenica, il lutto al braccio, il minuto di silenzio o anche con i divieti alle tifoserie organizzate di andare in trasferta e la chiusura delle curve. Ha ragione Michele Serra: il calcio è la quarta regione italiana sotto il controllo dell’anti Stato. Una specie di Locride o di Scampia diffusa, spalmata per ogni angolo del Paese, nel quale le regole e le convenzioni normalmente riconosciute e applicabili altrove non hanno più luogo. Se non si prende atto di questo, il problema si ripresenterà di nuovo. Gli ultrà in Italia non sono più di 20 mila ma possono imporre qualsiasi cosa alle società: il cambio dell’allenatore, il destino di un giocatore, decidere se una partita si può e si deve disputare o meno. Una situazione per troppo tempo tollerata tanto da diventare quasi normale. Come normali sono ormai le città blindate, le stazioni ferroviarie presidiate da celerini in assetto di guerra, gli autobus con le grate che scortano i tifosi ospiti allo stadio. Ma è calcio questo? Che senso ha? Sono passati quasi 30 anni da quando Vincenzo Paparelli è stato ucciso da un razzo sugli spalti dell’Olimpico. Possibile che nessuno sia stato in grado di fermare la degenerazione del calcio? Perchè? Per quale interesse più grande si è pronti a sacrificare una vita? Cosa vogliono questi ultras? Il loro dato distintivo non è tanto il tifo a favore ma l’odio contro l’avversario. E già questo la dice lunga sulla logica che li muove. Una guerra comunque tutta interna al loro mondo, perché insieme hanno un nemico comune da combattere: la polizia. Dalla morte dell’ispettore Filippo Raciti allo stadio di Catania nel febbraio scorso e dai successivi inasprimenti delle normative in materia di ordine pubblico si sapeva che la rabbia covava tra le frange estreme di questo anti Stato. L’uccisione tragica di un giovane tifoso, seppur a centinaia di chilometri dallo stadio dove era diretto, è stata immediatamente adottata a giustificazione di una rappresaglia indegna e insensata. Certo la scarsa chiarezza delle autorità nelle prime ore dell’accaduto, la versione confusa e francamente improbabile dei fatti accreditata dal Questore di Arezzo, non hanno fatto che alimentare la violenza e fornire alibi al branco. Se uno spara in aria e colpisce un uomo, che notoriamente non vola, facilmente ha mirato più in basso. Si era già visto al G8 di Genova con l’omicidio Giuliani che una ricostruzione del genere non paga. Io non so – non ho nemmeno la competenza e gli strumenti per affermarlo - se sia stato giusto che domenica scorsa si sia giocato. Credo che sospendere i campionati a poche ore dal fischio d’inizio delle partite, con i tifosi ormai in viaggio, sarebbe stato forse peggio, perché avrebbe impedito qualsiasi controllo. Di una cosa però sono sicuro: se la polizia deve presidiare un evento sportivo per evitare che gli spettatori si scannino tra di loro o per difendersi a loro volta, se ogni domenica è a rischio, se le forze dell'ordine devono intervenire per sedare scontri addirittura durante Legnano - Pro Patria, è arrivato il momento di fermarsi, di chiudere bottega. Almeno per un po’.

martedì 13 novembre 2007

Cercasi laici (disperatamente)

Agevolazioni fiscali agli enti religiosi/Contrari solamente dodici senatori
Esenzione dall'Ici: l'indagine della Ue procede

di Alessandro Nucara*

"Bisogna rivedere le forme di agevolazioni di attività che hanno un contenuto economico e commerciale. In questo caso è legittimo che queste vengano sottoposte ad un rapporto fiscale alla pari di tutti gli altri contribuenti". Di cosa stiamo parlando? Delle agevolazioni fiscali concesse dal legislatore italiano agli enti religiosi. Il solito polverone sollevato dagli anticlericali radicali, si dirà. Ebbene, ad aver fatto quella dichiarazione è stato l'attuale sottosegretario al ministero dell'Economia, on. Paolo Cento ("La Repubblica", 22 agosto 2007). In seguito, il Presidente della Camera, on. Fausto Bertinotti, all'indomani della conferenza stampa con cui la Commissione europea comunicava l'invio di una richiesta di informazioni allo Stato italiano sui presunti aiuti di Stato concessi agli enti religiosi, dichiarava ("Il Giornale", 30 agosto 2007): "alcuni beni ecclesiastici vanno totalmente esentati" (quelli destinati al culto), "altri accortamente tassati" (quelli che danno rendite).
La laicità dello Stato, abbiamo pensato ad agosto, torna finalmente ad assumere rilievo all'interno del panorama politico italiano e non è difesa solo da Rosa nel Pugno e Partito Repubblicano Italiano.
Il voto del 7 novembre al Senato, purtroppo, ha confermato che la laicità dello Stato nel nostro Paese è un valore primario solo per un'esigua minoranza dei nostri parlamentari. Come era accaduto l'anno scorso, sempre durante la discussione sulla finanziaria, un emendamento volto a concedere l'esenzione dal pagamento dell'ICI solo per gli immobili di proprietà di enti religiosi ed ONLUS non utilizzati, nemmeno parzialmente, a scopi commerciali, è stato bocciato in Senato, con il voto favorevole di solo dodici senatori. Al voto dei senatori socialisti (la parte radicale della Rosa nel Pugno, come si sa, non ha eletto senatori) si è aggiunto, ancora una volta, solo il voto del Partito Repubblicano, nella persona del senatore Del Pennino. Si sono aggiunti, nel voto del 7 novembre, pochissimi altri senatori (il verde Bulgarelli, Furio Colombo e il "dissidente" della sinistra radicale Turigliatto). Dodici senatori! A questo si riduce in Senato l'importanza di un concetto fondamentale come la laicità dello Stato? Dove sono finiti i Verdi di Paolo Cento? E Rifondazione comunista? Evidentemente la laicità dello Stato non rientra nel DNA di certe parti politiche, oppure semplicemente non è da esse ritenuta prioritaria rispetto ad altri valori presuntamente "superiori" (si è letto di un voto di astensione, che al Senato è voto contrario, per "senso di responsabilità"; ci si chiede responsabilità verso chi o verso che cosa).
Il Partito democratico di Veltroni cosa ne pensa? la laicità dello Stato è o non è un valore irrinunciabile per il quale bisogna battersi? Sono domande che un (e)lettore attento deve obbligatoriamente porsi.
Si è letto tanto in questi mesi sulle indagini della Commissione europea a proposito dei privilegi fiscali degli enti religiosi. Purtroppo la disinformazione è stata la caratteristica principale delle dichiarazioni di tanti politici ed alti esponenti degli organi ecclesiali. Sia chiaro una volta per tutte: ciò che è stato denunciato, e su cui la Commissione europea sta indagando, sono i privilegi fiscali relativi alle attività commerciali svolte dagli enti religiosi e dalle ONLUS. Se vi sono delle attività commerciali svolte da tali soggetti, è giusto che siano sottoposte alle stesse norme alle quali sono sottoposti gli altri operatori concorrenti: il diritto comunitario, peraltro, esige l'applicazione della normativa in materia di concorrenza a tutti i soggetti che esercitano attività economica, indipendentemente dalla loro natura giuridica (profit o non - profit). Nessuno sta, dunque, sostenendo che le mense della Caritas siano in concorrenza con i ristoranti (come si è letto in un articolo di "Famiglia Cristiana"), né vi sono "oscure intenzioni" dietro le indagini della Commissione europea (come dichiarava Monsignor Betori, "Libero", 29 agosto 2007). Si chiede semplicemente che un convento adibito per una minima parte ad alloggi per suore o frati e per gran parte ad hotel o bed & breakfast sia soggetto alla stessa imposizione fiscale cui sono soggetti gli hotel di proprietà di enti non religiosi; che una clinica di proprietà di un ente religioso, che fa pagare i propri servizi esattamente come le altre cliniche private, sia sottoposta allo stesso regime fiscale; che una scuola privata di proprietà di enti religiosi, per accedere alla quale si paga una retta, esattamente come per le altre scuole private, paghi le tasse allo stesso modo; e la lista potrebbe continuare. Questo deve chiedere, anzi esigere, chi ha a cuore la laicità dello Stato.
Se non sbagliamo i calcoli, dodici senatori significano circa il 4% del Senato della Repubblica. C'è da chiedersi se solo il 4% della società italiana abbia a cuore la laicità dello Stato e ponga questo principio fondamentale in cima alla scala dei propri valori "politici". Noi crediamo di no; ed è a tutti questi individui non degnamente rappresentati nel nostro Parlamento che si deve rivolgere la nuova Costituente Liberaldemocratica.
P.S. Sarebbe interessante sapere come il governo italiano, dopo questo voto in Senato, intenderà rispondere, nei prossimi trenta giorni, alla nuova ed ulteriore richiesta di informazioni, da parte della Commissione europea, sull'esenzione ICI, così come su altri privilegi fiscali concessi agli enti religiosi ed alle ONLUS.

*avvocato

lunedì 12 novembre 2007

Grandi Vecchi

Il mio amico Carlo mi manda questa nota. Non posso dire di condividere in toto quello che scrive, ma non è necessario essere sempre d’accordo. Personalmente ho molto rispetto per i grandi vecchi del giornalismo, soprattutto di quelli che hanno una memoria storica e ne sono testimoni.


Non amo i grandi vecchi del giornalismo. Penso che a 65 anni, come tutti i lavoratori, anche loro debbano andare in pensione. Invece restano li, attaccati alla macchina da scrivere e soprattutto alle migliaia di euro con cui i loro corsivi vengono strapagati dagli stessi editori che sottopagano giornalisti giovani e bravi con 30 euro per articolo, spesso in nero, quando va bene.
No grazie.
E poi alla fine, quando si diventa vecchi ci si limita a fare morale e si finisce col rompere i coglioni.
Enzo Biagi, ma anche Montanelli, Bocca, Pansa, Romano, Cervi, Scalfari e molti altri…. Quante tirate moraliste, facili con un conto in banca gonfio, e quante ‘giravolte’ di posizioni.
E poi, sempre li a giudicarci, come i preti.
E poi fanno tutti doppio (sono tutti scrittori), triplo (moderano incontri e convegni), quadruplo (intervengono in trasmissioni televisive) lavoro. Per migliaia di euro, naturalmente.
No grazie.
Addio rispettoso a Enzo Biagi, ma il mondo va avanti. E di lui, come di noi tra qualche anno, gli altri sapranno fare senza.

giovedì 8 novembre 2007

Spunti di riflessione

Gli occhi innocenti del diavolo

“….Facciamo appena in tempo a proclamare la rivincita della fisiognomica guardando la foto del romeno violentatore e assassino di Tor di Quinto, con il suo sguardo torvo, i baffi spioventi, la maglia sfilacciata, quand’ecco apparire le foto dei multietnici violentatori e assassini di Perugia (…).
Ci spaventa che il male non abbia un appropriato dress code, una riconoscibile immagine, un codice già decifrato. Che possa essere dovunque e chiunque (…). A ogni delitto la ricerca parte puntando lontano, poi si conclude guardandosi i piedi. Certo capita che il colpevole sia il nomade straniero, ma più spesso è il vicino di casa, la coinquilina, l’ex marito, la mamma. Sono tutti gialli in una stanza chiusa (…). La cronaca nera italiana assomiglia al cinema e alla fiction del paese: due camere, una cucina, un pianerottolo, facce già viste. Quando? Poco fa, salendo in ascensore, scambiando sorrisi e banalità sul clima, il lavoro, gli studi. Non c’è “pacchetto sicurezza” che tenga, è già sfasciato perché non può contenere l’ubiquità del Male, non ci sono ghetti o frontiere per arginarlo, segnaletiche per essere avvertiti della sua imminenza. Accettarlo è un modo per disattivare l’allarme e accendere l’intelligenza”.

Gabriele Romagnoli, da Repubblica di mercoledì 7 novembre


Se l’uomo topo diventa il signore della paura

“…l’uomo che divide la tana coi topi (dite se questo è un uomo, che vive…) sbuca dal suo buio, aggredisce, strazia, e torna a sprofondare (…). Una preda inarrivabile, una borsetta, una donna, è apparsa al suo sguardo notturno, ed è stata strappata alla vita. Dopo, anche la fila di baracche orripilanti e la comunità di persone disgraziate che non erano lì per ghermire violentare e ammazzare è venuta alla luce, e per il fatto stesso di non essere più invisibile è stata spazzata via. Questa è la verità insopportabile della tragedia romana. Il resto è terribile, ma noto (…).
Il fango dal quale è emerso Mailat non attenua di un millimetro la sua colpa. Ma l’autopsia delle baracche, dei cartoni e le pagine di giornale con le donne nude e le Ferrari rosse, costringe a chiedersi perché persone come lui, a parte il gusto della vita brada, dovrebbero temere la galera. Può darsi che sia tardi. Ma anche se lo fosse, e non restasse che limitare i danni di una esasperazione irreversibile dello spirito pubblico, una frontiera non può essere oltrepassata: quella della responsabilità personale, e del rifiuto di giudizi e misure collettive”.

Adriano Sofri, da Repubblica di mercoledì 7 novembre

martedì 6 novembre 2007

Bertinotti

"Non nego ci sia un problema criminalità legato alla forte affluenza di rumeni in Italia, ma evitiamo un capro espiatorio e spostiamo il dibattito su come nasce la violenza e come si origina". Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ieri sera a 'Otto e mezzo', ha dato l’ennesima prova di essere uno dei pochi osservatori lucidi, in grado di leggere politicamente i fatti e di darne risposte conseguenti, nel rispetto delle leggi e delle istituzioni. “Capisco che c’è tensione da ruolo, ma quando abbiamo fatto politiche di emergenza – ha ammonito Bertinotti – dopo dieci anni ce ne siamo pentiti. Non dico che non si debba intervenire: ritengo che lo si debba fare per prevenire e reprimere la violenza. E penso che si possa reprimere nel giusto”. Il vero problema, ha provato a ragionare Bertinotti, è “il disfacimento degli elementi che creano una comunità solidale. C’è disattenzione nei confronti della povertà: i campi di Tor di Quinto c’erano anche prima dell’assassinio Reggiani” . Anche per questo – ha aggiunto il presidente della Camera – “ascolto con grande attenzione, pur se non credente, le parole della Chiesa e del Papa che si interrogano su questioni di fondo. La politica deve trovare una sua consistenza tra l'emergenza ed il significato dell'esistenza”. “Nelle baraccopoli se ci sono persone propense al crimine vanno represse. Però bisogna anche sviluppare modelli alternativi come è avvenuto a Pisa, dove oggi, dopo dieci anni, tutti i bambini rom vanno a scuola e agli adulti è stato trovato un lavoro". Bertinotti non si è sottratto nemmeno ad un’autocritica: “la sinistra potrebbe avere sottovalutato il carattere devastante della violenza e di ogni complicità con essa. La colpa? Aver pensato che esiste una violenza buona”.

domenica 4 novembre 2007

Rauss

Nei momenti tragici le parole più sensate arrivano sempre dalle vittime, da chi si porta e si porterà per sempre dentro l’orrore della morte violenta di un proprio caro. “L’assassino avrebbe potuto essere anche un italiano”. Stop, fermi tutti. Si deve rifare la scena. Questa battuta non era prevista nel copione e ha rovinato la sceneggiatura. Lascia perdere i condizionali: qui il mostro è un rumeno, un rom, uno zingaro, uno di quella razza là, insomma, il resto sono solo chiacchiere. Invece no, non sono chiacchiere. Uno Stato è forte se fa rispettare le leggi non se reagisce emotivamente agli avvenimenti per calmare la piazza. Ha ragione Gabriele Polo, direttore del Manifesto, quando scrive: “Forse sarebbero bastati un paio di lampioni su quella strada, per evitare a Giovanna Reggiani il buio e l'orrore in cui è stata trascinata”. Le immagini della stazione di Tor di Quinto le hanno viste tutti. Come tutti hanno visto il rosario di baracche a ridosso del fiume, dove migliaia di persone – persone, non topi – vivono invisibili da anni in condizioni disumane. Da anni, non da ieri, da quando la Romania è entrata a far parte dell’Unione Europea e quei bastardi degli zingari, il copyright è degli ascoltatori di Radio Padania Libera, sono diventati comunitari. Possibile che nessuno ci abbia mai fatto caso, si sia mai chiesto, che so il sindaco, per esempio, l’assessore ai servizi sociali, i vigili urbani: toh guarda quanti accattoni ci sono in giro ultimamente, chissà dove vanno a dormire? Probabilmente – come scrive ancora Polo - “sarebbe bastata una maggiore attenzione alla vita quotidiana delle periferie per cercare una soluzione al violento degrado in cui giacciono migliaia di persone”. Le periferie, appunto. Se proprio non vogliamo occuparci degli invisibili del fiume, anche se prima o poi verranno a bussarci alla porta di casa, sarebbe il caso di dare un occhio a quella parte della città che non si chiama centro e che, di solito, è territorialmente più estesa. Più che una stazione romana quella di Tor di Quinto sembra una stazione di Bagdad: mancano solo i cecchini. Certo rimane l’omicidio efferato. Rimane che il colpevole deve essere punito e tutto il resto. La risposta contenuta in un decreto d’urgenza rischia però di trasformare “un delitto individuale – è sempre Polo che scrive - nell'annuncio di un repulisti di massa. E non servirà a salvare altre future vittime (…). Non servirà a cacciare le paure metropolitane e nemmeno - più in piccolo - a conquistare consensi elettorali”.

venerdì 2 novembre 2007

La storia senza aiutini

Allora si può. Allora è possibile fare una televisione lontana dai brunivespa, da Cogne, da Garlasco, dai palombellisotiscrepet, dalle isole, dai lapi, che è visibilmente un ritardato ma l’ordine dato dalla famiglia è di farlo passare per un genio del marketing; una tv dove non si cucina e dove non c’è bisogno degli aiutini perché le domande che pone non hanno premi in palio. La magia l’ha fatta La7, la cenerentola delle tv generaliste, che martedì ha mandato in onda, in diretta e senza interruzioni pubblicitarie (allora si può!), “Il Sergente”, monologo di Marco Paolini, tratto dal capolavoro di Mario Rigoni Stern “Il Sergente nella neve”. Una grande pagina di storia che Paolini ha reso viva dando corpo e voce ai protagonisti, raccontando l’inferno del Don attraverso la quotidianità di quei ragazzi parlanti dialetto veneto, lombardo, bresciano e bergamasco, invasori improbabili, disperati poveri cristi, tanto da suscitare la pietas dei russi, che non negarono all’invasore in fuga una scodella di patate. “Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino”, diceva Pasolini. Ma la notizia ancora più confortante è che l’azzardo di La7 è stato premiato anche dall’Auditel, unico termometro con cui i dirigenti delle televisioni pubbliche misurano la bontà dei programmi (lo stesso fanno anche i privati, ma essendo la loro un’impresa puramente commerciale ne hanno più diritto). Uno spunto di riflessione per chi finora ha difeso il trash sostenendo, per comodità, che la gente (anzi, la gggente) quando è seduta davanti al video vuole solo svagarsi e sognare.

mercoledì 31 ottobre 2007

Fiat Volontè tua

Quando uno dice una cazzata ha due possibilità: o ammette lo sbaglio e fa pubblica ammenda o fa finta di nulla e aspetta che della suddetta la piazza si dimentichi. Se invece, malgrado i consigli di amici e parenti di lasciar perdere, persevera e, anzi, rilancia, beh allora, allora vuole farsi insultare…

POL:UDC
2007-10-31 12:06
UDC: VOLONTE', PDL CONTRO TOTALITARISMO REGIMI COMUNISTI
ROMA
(ANSA) - ROMA, 31 OTT – “Abbiamo depositato la proposta di legge che mira a sanzionare chiunque faccia propaganda e apologia a favore di un'associazione, di un movimento o di un gruppo facenti riferimento all'ideologia dei regimi totalitari comunisti o esalti pubblicamente esponenti, principi, fatti, metodi risalenti a regimi totalitari passati e/o presenti che ad essa si ispirano”. Lo afferma il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volonté. “L'Italia - spiega - deve affrontare una questione rimasta aperta con spirito nuovo e capacità d'analisi obiettiva. Lo ha fatto Occhetto nel 1989 con la 'svolta della Bolognina' pochi giorni dopo la caduta del Muro, lo fa ora Veltroni paragonando i crimini di Pol Pot agli stermini della furia nazista di Auschwitz, confermando così la necessità di un dibattito più approfondito”. “Un tema di queste proporzioni - sottolinea - non può essere liquidato con semplici slogan di comodo ma, al contrario, deve consentire una migliore riflessione anche all'interno della coalizione di centrosinistra con lealtà e amore della verità”. (ANSA).
Y60-SPA/ S0A QBXB

POL:COMUNISMO
2007-10-31 14:56
COMUNISMO: GALANTE (PDCI), VOLONTE' SI DA' ALLE COMICHE
ROMA
(ANSA) - ROMA, 31 OTT – “Per un comico che si dà alla politica non poteva mancare un politico che si dà alle 'comiche'”. Così Severino Galante, deputato Pdci, commenta la proposta di legge del capogruppo Udc alla Camera Luca Volonté, che mira a sanzionare chiunque faccia propaganda e apologia a favore dei regimi totalitari comunisti. “Grazie a Volonté - prosegue Galante - ora l'equilibrio è ristabilito. La politica non perde nulla, la nobile arte dei clown ne guadagna molto”. (ANSA).
I53-PAE/ S0A QBXB

Se però esagera, allora non è più tollerabile...

15:53, Mercoledì 31 Ottobre 2007 AGI Globale Politica
==VOLONTE':TERRACINI IN CELLA PIU' LIBERO DI TOGLIATTI A MOSCA
(AGI) - Roma, 31 ott. - Il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volonte', torna alla carica sulla sua idea di introdurre il reato di apologia di comunismo. "La mia iniziativa - spiega l'esponente centrista - non voleva innescare alcuna polemica. La proposta integra l'articolo 272 del codice penale, vietando la propaganda violenta di principi e metodi risalenti ai regimi comunisti" e poi aggiunge un concetto destinato a fare clamore: "Terracini, nelle carceri fasciste, si sentiva piu' libero di Togliatti nel Politburo di Mosca. E questo dice tutto sul comunismo". A proposito della sua proposta Volonte' poi chiarisce: "Sono previste sanzioni detentive e pecuniarie per chi in Italia fa propaganda per la violenta affermazione di una associazione, di un movimento, di un gruppo o di principi e metodi che si ispirano a regimi totalitari comunisti passati e/o presenti. Se poi la propaganda e' diretta in modo specifico all'istigazione a commettere reati contro cose o persone, la pena e' raddoppiata, salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato". "Sono convinto - dice ancora Volonte' a Diario21.net - che il comunismo italiano non sia stato lo stesso, per esempio, di quello sovietico. Occorre tuttavia che qualsiasi realta' di sinistra prenda una volta per tutte le distanze da un certo comunismo che, se in Italia e' stato rappresentato e sostenuto con forme e toni piu' o meno moderati, all'estero ha mietuto 100 milioni di morti. Non dimentichiamocelo". Volonte' conclude: "Prima o poi, l'Italia deve affrontare una questione rimasta aperta con spirito nuovo e capacita' d'analisi obiettiva. Lo ha fatto Occhetto con la 'svolta della Bolognina', lo fa ora Veltroni paragonando i crimini di Pol Pot agli stermini della furia nazista di Auschwitz, confermando cosi' la necessita' di un dibattito piu' approfondito". (AGI) Cav

16:55, Mercoledì 31 Ottobre 2007 AGI Globale Politica
COMUNISMO: SGOBIO (PDCI), VOLONTE'CHIEDA SCUSA SU TERRACINI
(AGI) - Roma, 31 ott. - La frase del capogruppo Udc alla Camera, Luca Volonte', su Terracini nelle piu' libero nelle carceri fasciste che non Togliatti a Mosca ha provocato un nuovo putiferio politico. "Oltre che una grave offesa al dolore e alle sofferenze non solo di Terracini, ma di tutti coloro i quali hanno patito sulla loro pelle il regime fascista - dice Pino Sgobio, capogruppo del Pdci alla Camera -, Volonte' manifesta lo scivolamento politico e culturale di un ceto politico che ha smarrito la propria identita' in nome della nuova caccia alle streghe: i comunisti. Volonte' ha deciso di vestire i panni dell'inquisitore. Si vergogni e chieda scusa a tutti gli italiani che hanno conosciuto per davvero le carceri fasciste". Sgobio conclude: "Evidentemente, le sue cattive frequentazioni stanno dando i primi nefasti risultati. E' una vera e propria indecenza questa affermazione, che fa il palio con quella dell'ex premier Berlusconi sul confino agli antifascisti paragonato nientemeno che a una ' villeggiatura', rispetto alla quale tutte le forze politiche e sociali democratiche del nostro Paese dovrebbero reagire". (AGI) Cav

Genova per noi

Gli agguati, le piccole meschinità di uomini che rappresentano poco più che se stessi, ma forti di un potere ricattatorio fornitogli dall’anomalia di un maggioritario malato, hanno impedito ieri al relatore designato della commissione Affari Costituzionali di portare in Aula la proposta di legge di istituzione di una Commissione d’inchiesta sui fatti del G8 di Genova. Impegno peraltro contenuto a pagina 77 della Treccani presentata dall’Unione in campagna elettorale e a cui, teoricamente, tutti gli eletti dovrebbero attenersi. Proceduralmente non tutto è perduto, perché una relazione di minoranza potrà comunque andare a cercare i voti alla Camera. E lì si capirà se ci sono mandanti, colpevoli o semplici Monsieur Malaussène.
Ognuno può pensarla come crede su Genova 2001, ci mancherebbe. Leggendo però i giornali questa mattina mi è tornata alla mente una frase di Licia Pinelli, moglie dell’anarchico Giuseppe Pinelli, che mi sembra molto calzante, oltre ad esprimere una dignità sconosciuta a molti. La dichiarazione è contenuta in un’intervista di qualche anno fa rilasciata a Giuseppe D’Avanzo di Repubblica e segnalatami da un’amica.
“Uno Stato forte e credibile sa afferrare e sopportare la verità. Se è spaventato dalla verità, quello Stato rinuncia a se stesso, si indebolisce, perde, si dichiara sconfitto (…). Non mi interessa la punizione dei colpevoli. Non mi piacciono le prigioni, non è in prigione che i colpevoli comprendono la natura dei propri errori. Per me giustizia è la consapevolezza degli uomini di che cosa è accaduto”.

martedì 30 ottobre 2007

Diritti e verità

Mi piacerebbe vivere in un Paese dove tutti hanno egual diritto di parola ma dove nessuno pretende di avere il monopolio della verità. Dove, come scrive Michele Serra, “ognuno può vivere secondo i propri orientamenti etici, purchè non costringa gli altri ad imitarlo, purchè non li metta nelle condizioni di doversi piegare a una morale che diventa arbitrio, esclusione, violazione”. Mi sembra invece che ci sia sempre più confusione tra scelte confessionali, che sono sempre individuali, e sfera pubblica. Il Papa ha il dovere di rivolgere le sue raccomandazioni ai credenti in tema di aborto, di contraccezione, di eutanasia e quant’altro. Non è ammissibile quando contesta provvedimenti di legge che riguardano l’intera comunità, non ammettendo peraltro, nemmeno per un attimo, che le scelte di una persona siano il frutto di un lungo e serio percorso di meditazione, magari anche molto sofferto. Da cittadino mi piacerebbe che ogni singolo parlamentare, qualsiasi sia il suo credo, respingesse con fermezza ogni ingerenza della chiesa, in nome di una laicità che è prima di tutto tutela delle sensibilità di ognuno, anche di un ateo. Fino a quando non riusciremo a smarcarci da questa idea illiberale – come la definisce Serra - che una morale religiosa possa e debba egemonizzare un intero consesso sociale, non diventeremo mai un Paese civile.

Comunisti

Vuole stanare tutti i comunisti, anzi, più precisamente, il suo obiettivo è di “stanare uno per uno i fedeli amici di Lenin e dei suoi gulag”. Non ha però detto cosa intende fare quando avrà redatto le liste di proscrizione. Comunque, lui è Luca Volontè, mite capogruppo dell’UDC alla Camera, spesso in tv nei pastoni dei telegiornali, che, con il capo in viaggio di nozze, ha pensato bene di prendersi spazio mediatico lanciandosi in una battaglia che lascia quantomeno perplessi, per i tempi, i modi e gli obiettivi. Cosa si è inventato Volontè: una raccolta di firme per presentare una proposta di legge di riforma costituzionale, al fine di inserire nella nostra Carta anche il divieto di apologia del comunismo, oltre a quello già previsto di fascismo. “Siamo un Paese vergogna – ha detto l’udicci - è necessaria un’operazione verità sui 100 milioni di morti irrisi dai comunisti al governo”. Perché, viene da chiedersi? Qual è la ragione politica che spinge quest’uomo ad esporsi al ridicolo? Accreditarsi agli occhi di Berlusconi, titolare indiscusso dell’anticomunismo? Reclutare gli ex democristiani della Margherita che non ce l’hanno fatta ad aderire al Partito Democratico? Boh. Quel che è certo è che quando il buon Volontè si è girato a vedere quanti prodi (scritto con la minuscola) lo avessero seguito, si è trovato drammaticamente solo. Persino Calderoli, che è Calderoli, pur trovando l’iniziativa condivisibile, l’ha bollata come superflua e comunque tardiva. Certo, essendo Calderoli, non poteva fermarsi lì. L’uomo è quello che è ed ha voluto metterci il carico da undici: “fascismo e comunismo non sono altro che le due facce della stessa moneta – ha quindi aggiunto - ed è inverosimile pensare che dopo essere andata fuori corso nel resto d'Europa non lo sia anche in Italia”. Gli altri alleati si son guardati bene dal parlare. L’unico è stato il democristiano Rotondi, il quale ha ricordato all’amico Volontè che “non esiste il comunismo, ma tanti partiti comunisti, e il comunismo italiano non ci ha negato la libertà, ma ce l'ha portata col sangue dei partigiani”
E i comunisti quelli veri cosa hanno risposto. Nessuno ha scomodato il presidente Napolitano. Fausto Bertinotti, che è un gentleman, si è limitato a dire: “Bisogna che qualcuno provi a spiegarlo a uno dei firmatari della Costituzione come Umberto Terracini”. Più articolata e politica la riflessione del senatore del Prc, Claudio Grassi: “la proposta di Volontà non va sottovalutata, perché, sulla scorta di una risoluzione dal significato analogo presentata (e fortunatamente non approvata) nella sede del Parlamento Europeo, si inserisce in una insopportabile ondata di revisionismo che, appunto, rende legittime e comunemente tollerabili affermazioni così gravi. Dieci anni fa non sarebbe stato possibile. Oggi, invece, quell'insistente campagna contraria all'antifascismo, quella - per intenderci - che equipara le responsabilità storiche di vincitori e vinti, di partigiani e repubblichini e collaborazionisti, e che accomuna, in un'unica grande categoria, il nazi-fascismo e il comunismo, rende concepibile una proposta di legge così dissennata, rischiando - il che è ben peggio - di entrare a far parte del senso comune. La storia del comunismo italiano – ha ricordato Grassi - é la storia di donne e uomini che hanno liberato il nostro Paese dalla dittatura fascista e dalle truppe naziste, di donne e uomini che hanno costruito e difeso, giorno dopo giorno, la democrazia repubblicana. Si porti rispetto per quell'immenso patrimonio di sacrifici, valori ed idee”. Tutto finito? Neanche per sogno. Sprezzante del ridicolo Luca Volontà ha risposto al Presidente della Camera. “Il rispetto per la carica istituzionale e per l'intelligenza del presidente Bertinotti, non consentono polemiche personali”, ma “in Italia chi difende la verità storica sugli orrori del XX secolo passa solo per matto”, mentre “andare ad incensare Lenin o inneggiare al macellaio Guevara è chic”. Per Volonté, “i costituenti comunisti italiani oggi sarebbero i primi a vergognarsi per i 100 milioni di morti e a superare un’ideologia che dimostra ogni giorno, non ultimi i disastri al G8 di Genova, le novelle Br e l'assalto proletario comunista alla chiesa di ieri, la sua intolleranza e violenza. Chiudere gli occhi sulla medesima radice antiumana del nazismo e del comunismo è sleale, falso e sconcertante”. Cosa vuoi dire ad uno così? Niente. Lo puoi solo compatire.

lunedì 22 ottobre 2007

Beppe Viola

Un altro fuori dal coro è stato Beppe Viola, del quale la scorsa settimana è ricorso il venticinquesimo dalla morte. Beppe Viola era tante cose, ma il mio ricordo è di lui giornalista. In Rai e all’Intrepido, settimanale che oggi non c’è più nemmeno come modello. Diciamo che era un misto tra calcio e fumetti, il pane quotidiano di una generazione cresciuta a oratorio e figurine Panini, con le maglie numerate dall’1 all’11, dove l’1 era il portiere, anzi il primo portiere, perché il secondo era il 12, quello che non giocava mai, a volte per un’intera carriera, e l’11 l’ala sinistra, il 7 l’ala destra, il 4 il mediano e il 5 lo stopper. Oltre all'Intrepido c'era Il Monello, ad inscenare una sorta di dualismo editoriale che all’epoca faceva il paio con le grandi rivalità di campo: Rossi - Graziani, Causio - Claudio Sala, Antognoni - Beccalossi, Scirea - Franco Baresi e nel ciclismo Moser - Saronni. Si stava da una parte o dall'altra, senza compromessi. Io stavo nell'ordine con Rossi, Causio, Beccalossi, Scirea e Moser. Pur propendendo per l'Intrepido e dichiarandolo pubblicamente confesso che leggevo anche il Monello. Ma non per ecumenico doroteismo, semplicemente perchè i miei nonni avevano un’edicola in paese e mi veniva facile. Beppe Viola curava, tra le altre cose, la rubrica delle lettere sull’Intrepido. Ricordo che le sue non erano semplici risposte ma aforismi, aneddoti, metafore, storie. Io vivevo di pallone e giornali e mi ero ripromesso che di una di queste passioni ne avrei fatto una professione. Nel frattempo, grazie ai nonni, leggevo tutto il tuttibile. Beppe Viola, Vladimiro Caminiti, che su Tuttosport si firmava camin, Gianni Brera, Giorgio Sbaraini, con cui ho avuto il piacere di lavorare e che ancora oggi scrive a matita e brontola in tv; Gigi Garanzini, che qualche anno fa ha di nuovo tentato di parlare di calcio davanti alla telecamere in modo originale: con gli ospiti seduti di fronte ad una tavola imbandita e un bicchiere di vino. Trasmissione troppo intelligente per quei geni della Rai che infatti l’hanno puntualmente depennata dai palinsesti. Gente insomma capace di trasmettere emozioni, affabulatori, cantastorie, tanto che a volte il pallone era solo un pretesto per raccontare la vita. Beppe Viola è morto in redazione, alla sede Rai di Corso Sempione a Milano. Era il 1982, l’anno della vittoria del Mundial spagnolo. Aveva solo 43 anni. La scorsa settimana la tv di stato ha sentito il dovere di ricordarlo. Di ricordare quella volta che intervistò Gianni Rivera sul tram che lo portava da casa al campo di allenamento. O di quando mandò in onda le immagini di un derby Milan Inter dell’anno precedente, perché quella domenica la partita era stata talmente brutta che non valeva la pena di rivederla. Tito Stagno, capo della Domenica Sportiva, se lo sarebbe mangiato vivo. Per me Beppe Viola era un genio. Di sicuro era un giornalista libero, eccentrico forse, avanti anni luce per la Rai bacchettona, protocollare e priva di spirito dell’epoca, che mal sopportava personaggi non allineati. Per capire chi era Beppe Viola basta forse questo piccolo aneddoto. All'esame da professionista ad Enzo Biagi, presidente della commissione, che gli chiedeva se secondo lui Fanfani nello schieramento della dc stava a destra o a sinistra, Beppe rispose: dipende dai giorni. Un collega oggi su un quotidiano ha definito tardivo e ipocrita l'omaggio della Rai. “Perché allora, e poi nel tempo lungo gli anni, la Rai si guardò bene dall’adottare lo stile giornalistico di Beppe Viola e preferì invece quello di Biscardi. Il calcio di Viola era leggero, ironico, divertente, festoso, sportivo nel vero senso della parola, mai sguaiato, urlante, offensivo, becero e volgare. Ma vinse la linea Biscardi, per cui oggi in tv si dà spazio ai buffoni, a chi fa il cretino, ai litigiosi di mestiere e per interesse. Ecco perché il ricordo senza scuse è suonato tardivo, ipocrita e per nulla rispettoso dell’alta e civile professionalità di Beppe Viola”. Per quel che può valere, sottoscrivo.

venerdì 19 ottobre 2007

Focolare domestico

Pagina 2 della free press Metro. Un operaio 43enne della provincia di Macerata si è impiccato in fabbrica perché temeva di non riuscire più a pagare il mutuo della casa, dopo che la moglie aveva perso il lavoro.
Pagine 5 e 6. Speciale mutui casa della BNL. Titolo: "Accendi un mutuo e vinci la tua casa". A corredo, foto di una giovane coppia, bella e sorridente.
Doveva proprio ammazzarsi ieri quel morto di fame?

mercoledì 10 ottobre 2007

Italiani da Nobel

Nessuno è sceso in strada sventolando il tricolore, ma l’assegnazione del premio Nobel per la medicina all’italo americano Mario Capecchi (più americano che italo, per la verità, visto che si è imbarcato per gli States a 9 anni e l’ultimo ricordo dell’Italia è lo scorbuto) ha sollecitato ed eccitato quel senso di appartenenza che prende ognuno di noi (mi ci metto anch’io, per non sembrare snob) quando c’è nell’aria sentore di inno di Mameli, tutti sull’attenti, occhi velati e mano sul cuore. Personalmente, tra le tante manifestazioni di orgoglio nazionale, sono molto d’accordo con la riflessione dell’on. Chiara Moroni, origini socialiste, attuale vice presidente dei deputati di Forza Italia. "L'assegnazione del premio Nobel a Mario Capecchi – ha detto Moroni all’Ansa - rappresenta per l'Italia un’occasione di riflessione e di stimolo. Non ci si può limitare a gioire per le origini italiane dello studioso, tentando di appropriarsi della paternità scientifica della ricerca. Il professor Capecchi, negli Stati Uniti, da anni studia le cellule staminali ed è bene ricordare che in Italia, a causa di una legge assurda, è vietata la ricerca su quelle embrionali. Nel nostro Paese – ha osservato ancora la parlamentare - non ci sono le condizioni, le agevolazioni e le opportune iniziative per premiare ed incoraggiare la ricerca. Molte leggi, frutto dell’ingiustificata paura e delle posizioni ideologiche, impediscono di puntare strategicamente in questa direzione. Sarebbe necessario – ha quindi concluso - puntare su una legislazione che ponga l’Italia in linea con la comunità scientifica internazionale ed aumentare i finanziamenti ai 'cervelli' perché possano operare in condizioni accettabili. L'auspicio è che l'Italia possa gioire, in un futuro prossimo, per un premio Nobel figlio della capacità di promuovere ricerca”. Ricordo che qualche anno fa ci fu il tentativo di far tornare i cervelli in Italia: un’operazione più che altro d’immagine, per non dire una farsa, visto che non erano venute meno le ragioni dell’espatrio. Una sorta di campagna acquisti di geni italiani, emigrati non per esterofilia ma solo perché la patria, il tricolore, l’inno di Mameli, occhi velati e mano sul cuore, nella migliore delle ipotesi aveva offerto loro solo la possibilità di borse di studio da fame e decenni di anonimato all’ombra di qualche barone. Al contrario, nelle nazioni dove sono andati ad operare, soprattutto negli Stati Uniti, hanno avuto l’occasione di mettersi in gioco ed esser premiati – sia economicamente, sia in carriera – in base alle loro reali capacità. Per rimanere nella metafora calcistica è come se il Pavullo, suo paese d’origine, chiedesse a Luca Toni di rientrare da Monaco per giocare nella squadra locale. In realtà qualcuno si è lasciato lusingare da quelle sirene sperando che nel frattempo qualcosa fosse cambiato, in termini di finanziamenti ma anche di condizionamenti. Non so onestamente quanti siano rimasti e se si siano pentiti della scelta. Di sicuro, finchè per la ricerca non ci saranno fondi, la laicità dello Stato sarà solo di facciata e anche gli scienziati dovranno fare i conti con l’acquasantiera, i premi Nobel avranno magari anche nomi italiani ma del nostro idioma ricorderanno solo ciao e mamma. O anche no. Come il prof. Capecchi.