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domenica 23 novembre 2014

sabato 15 novembre 2014

Razzismo

Ieri sera Maurizio Crozza ha raccontato una storiella sull'origine del razzismo di una semplicità illuminante. Ci sono 12 biscotti sul tavolo e intorno a questo tavolo siedono un politico, un cittadino e un immigrato. Il politico ne prende undici e rivolgedosi al cittadino dice: attento perchè quello vuol prendersi il tuo. Pensiamoci. Non è vero che non ci sono più soldi. Sono solo distribuiti male. E sarà sempre peggio. Secondo me il punto di non ritorno sarà quando andrà in pensione la generazione del "sistema contributivo". Allora forse il povero smetterà di prendere a calci il barbone e finalmente si rivolgerà altrove.

mercoledì 12 novembre 2014

Piove, governo ladro

Mia mamma, che è sempre quella che dicevo qui sotto, non è cambiata nel frattempo, 81 anni, 5° elementare a spizzichi e bocconi, conosce la causa di questi fenomeni alluvionali e sa anche di chi è la colpa. Me l'ha detto domenica. Se si costruisce sui letti dei fiumi, o anche in prossimità,sopra torrenti apparentemente in secca da anni, si abbandona la montagna e non si tengono puliti i boschi, poi succede quel che succede. Minchia, mi ha messo al mondo un genio e io non ho saputo onorare questo patrimonio dienneastico. Quindi? ho chiesto pensando di coglierla in fallo. Traduco dal dialetto con cui è solita esprimersi. Per prima cosa basterebbe pensare ad investimenti che consentissero ai giovani di vivere facendo rivivere la montagna. Forte la vecchia, complimenti. Vai avanti. Qui per la verità abbiamo preso una deriva pericolosa. La soluzione proposta sugli abusi edilizi e sui condoni è stata un po' troppo radicale e poco percorribile, ma del resto mia mamma non fa il ministro dell'ambiente. A proposito: quanto guadagna un ministro dell'ambiente? Non ce l'ho con l'attuale titolare del dicastero che, ammetto, non so nemmeno chi sia: le colpe sono ataviche. So invece che l'arzilla arriva forse a 1000 euro al mese dopo 34 anni di fabbrica. Ma così ne fai una questione di soldi. Già, perchè no?

lunedì 10 novembre 2014

Le adozioni gay viste da mia mamma

Mia mamma è del 1933. E' nata in un paese di montagna, nel buco del culo del mondo, prima di otto fratelli, ai quali, dai 5 ai 17 anni, ha fatto da mamma, perchè la sua di mamma, mia nonna, per mantenere la famiglia doveva andare al lavoro in una fabbrica tessile a 10 chilometri a valle. E ci andava rigorosamente a piedi. Che significava partire alle 4 del mattino quando faceva il primo turno, per rientrare alle 4 del pomeriggio e partire a mezzogiorno e rientrare a mezzanotte in caso di seconda sciolta. Tempi che si dilatavano ulteriormente quando pioveva o nevicava. Questo per dire che mia mamma è riuscita a malapena a finire il ciclo delle scuole elementari. Poi, botta di culo, a 17 anni ha lasciato l'incombenza dei figli alla madre naturale e lei ha preso il suo posto in fabbrica. Per i successivi 34 anni. Nonostante questo curriculum, è da lei che ho preso la passione del giornalismo e della politica. Ancora oggi si vede tutti i telegiornali che non sono in contemporanea e non si perde un talk show. Ha una sua precisa visione del mondo e della politica, dettata dal buon senso e dall'esperienza, che la domenica, quando vado a trovarla, mi riassume in un suo personalissimo editoriale. Prima o poi dovrei anche mettermi a scriverli questi editoriali, perchè sono delle piccole perle di saggezza e di comicità. La comicità è dovuta all'incapacità di mia madre di ricordare i nomi delle persone a cui fa riferimento e quando se li ricorda solo le assonanze mettono sulla giusta strada interpretativa. Il ragionamento però non è mai banale, malgrado le chiusure e qualche manicheismo di troppo, giustificato e giustificabile anche dall'età. Oggi mi ha fatto sorridere e un'infinita tenerezza quando in tv è andato in onda un servizio su un festival teatrale gay. L'abbrivio per lei per parlare delle adozioni alle coppie omosessuali. E lì è uscita tutta la mammitudine che ci può essere in una donna. Si è detta contraria in generale all'argomento ma con un'apertura per le adozioni da parte di due donne. Perchè due papà non ha senso, mentre due donne possono essere per un bambino. o una bambina, la mamma e la zia. Che a suo parere sono un nucleo famigliare più accettabile. Avrei voluto obiettare quanto zie sono certi uomini, ma non avrebbe capito e sarebbe stato fuori luogo. Quello che ha detto ha però una logica e per certi versi è una grande verità: la mamma non può mai mancare. Per il resto, ci si arrangia.

sabato 8 novembre 2014

Elasti

Intelligente, ironica, brillante, comica, teneramente spiazzante e tante altre cose. Elasti la trovate ogni settimana su D di Repubblica (a mio parere l'unico motivo per cui il sabato vale la pena comprare il quotidiano a 1 euro e 80)e più o meno quotidianamente sul blog www.nonsolomamma.com

venerdì 7 novembre 2014

Punti di vista

Il capotreno annuncia l'arrivo in stazione con 14 minuti di ritardo per traffico lungo la linea, scusandosi per il disagio. Il ritardo è un po' di più ma va bene. Sulla sincerità delle scuse non mi pronuncio: il pover'uomo ce l'ha per contratto e neanche questo è il punto. In ogni caso la sua è un'affermazione precisa: siamo in ritardo, vi dico perchè e chiedo venia. A quel punto è bello osservare le reazioni. C'è chi alza gli occhi al cielo, sbuffa e guarda l'orologio. Un punto di vista chiaro. Chi dorme e si sveglia disturbato dalla voce e dal rumore del treno in frenata e chiede a chi gli sta a fianco: dove siamo? A brescia, dormi. Manca molto? Dormi. Qui il punto di vista chiaro è di chi risponde, ma sono fatti privati. Poi c'è il fenomeno, che nella maggior parte dei casi è la prima volta nella vita, indipendentemente dall'età, che sale sul treno, ma ha sentito dire che i treni sono sempre in ritardo e probabilmente quando è salito dentro di sè si augurava di provare l'esperienza per poter manifestare ad alta voce e con una mimica studiata che questa è l'Italia e dove vogliamo andare in Europa, invece in Cina se il macchinista arriva in ritardo viene condannato a morte e comunque se l'Inter perde è colpa di Mazzarri. Infine c'è il punto di vista del pendolare, il mio. Cazzo, grande, 14 minuti di ritardo (erano 19, ma fa lo stesso): una delle migliori prestazioni del mese.

Ultima chiamata

Le cose che scrive Ezio Mauro io mi aspetterei che le dicesse un premier di sinistra. E' chiedere troppo?
(...)Il Premier poteva infatti spiegare al Pd che tocca alla sinistra di governo affrontare la riforma del lavoro perché altrimenti lo farà la crisi che non è un soggetto neutro, ma trasformando in politica il dogma della necessità mette i Paesi con le spalle al muro, tagliando a danno dei più deboli e non riformando nell'interesse generale. Nello stesso tempo poteva richiamare davanti ai suoi ministri il rischio che la crisi comprima soltanto i diritti del lavoro, come se fossero - unici tra tutti - variabili dipendenti, diritti nani, pretendendo quindi un'attenzione particolare alle tutele degli ammortizzatori sociali. Poi poteva dire agli imprenditori che non ci sono pasti gratis neppure per loro, e che dopo la modifica dell'articolo 18 e il taglio dell'Irap dovevano fare la loro parte contribuendo a mantenere i costi della democrazia, quindi del welfare, di quella qualità complessiva del sistema sociale di cui tutti ci gioviamo, qualunque sia il nostro ruolo. Quindi doveva avvertire tutti i soggetti sociali del rischio che si rompa il vincolo tra i vincenti e i perdenti della globalizzazione, con i primi (abitanti degli spazi sovranazionali dove si muove il vero potere dei flussi informatici e finanziari) che non sentono più alcun legame di comune responsabilità con i secondi, segregati nello Stato-nazione che non ha più alcun potere di intervento e di controllo sulla crisi, salvo subirne tutti i contraccolpi. E infine, doveva avvertire il sistema politico e istituzionale, e addirittura l'Europa, del pericolo che attraverso il lavoro salti il nucleo stesso della civiltà occidentale, ciò che ha tenuto insieme per decenni capitalismo, democrazia rappresentativa e welfare state. Di questo si tratta: e capisco che sia difficile comprimere la questione in un tweet. Ma in politica non tutto è istantaneo e non tutto è istintivo, se non vuole diventare tutto isterico, e alla fine instabile (...).
http://www.repubblica.it/politica/2014/11/05/news/il_dramma_del_lavoro_che_spacca_l_identit_della_sinistra-99781591/

mercoledì 5 novembre 2014

martedì 4 novembre 2014

sabato 1 novembre 2014

Nessuno è Stato

Non siamo dalla stessa parte

Da piccolo la mamma, ma anche la maestra a scuola, raccomandavano di non prendere in giro, nemmeno per scherzo, i più deboli, i bambini in difficoltà. Alzare le mani era inammissibile, contro deboli o non deboli indistintamente. Pena una punizione, che non era corporale, altrimenti il messaggio sarebbe stato poco coerente. Si insegnava anche così l'educazione, il rispetto per l'altro, il senso di appartenenza, la considerazione: l'aiuto, soprattutto, la necessità di dare una mano, non tanto al diverso ma in generale a chi ne aveva bisogno. Le manganellate agli operai di Terni sono intollerabili per tutte le ragioni che scrive Alessandro Robecchi.
Ecco, ci siamo. Era fatale che lo scontro da teorico diventasse molto pratico. Dico subito che non mi piace. In generale non mi piace veder menare nessuno, e meno di tutti i più deboli. Nel caso, lavoratori con una lettera di licenziamento in tasca, persone che sono davvero davanti al dramma, gente che probabilmente vede benissimo – meglio di me – la differenza tra il fighettismo glamour della Leopolda e le proprie vite. Una differenza dickensiana, quasi. A questi uomini (uomini perché lavorano l’acciaio, ma anche alle donne, ovvio) si è detto di tutto in questi sei mesi di governo. Che sono vecchi, che il loro posto fisso (l’unica cosa che hanno, e la stanno perdendo) non è più un valore, anzi che sembra un peso per il Paese.

Si è citato ad esempio Sergio Marchionne (quello che cacciava gli operai con la motivazione che erano della Fiom), si è data tribuna (e applausi) a un finanziere che vive a Londra invitato a dar lezioni a chi guadagna facendosi il culo un centesimo di quel che guadagna lui. Si sono insultati i sindacati dei lavoratori, e non parlo della gag dei gettoni (non solo), ma dell’eterno, ripetuto, ossessivamente reiterato fastidio per “i corpi intermedi”, la trattativa, il dialogo. Anche oggi, questa mattina, un’esponente del nuovo Pd ha accusato la Cgil di tessere false (poi retromarcia imbarazzante, ma è tutto imbarazzante, francamente). Il Premier è andato in televisione a dire che “l’imprenditore deve poter licenziare quando vuole”. Persino la legge di stabilità che abbassa le tasse agli imprenditori (la famosa Irap), fa sconti miliardari senza chiedere alcun vincolo, alcun impegno ad assumere. Anzi, si cancella l’ultimo barlume di argine a una politica da Far West nel mondo del lavoro. Segnali. Dieci, cento, mille segnali. Fatti, non schermaglie da social network o freddure buone per twitter. O frasette di facile presa come quelle dei Baci Perugina (come dice giustamente Maurizio Landini: "slogan del cazzo"), o per scempiaggini come "Questo è il governo più di sinistra degli ultimi 30 anni" (Renzi, febbraio 2014). Ora il problema non è più “due sinistre”, ammesso che ci sia mai stato. Ora il problema è che per quelli in piazza oggi e per moltissimi lavoratori (non solo quelli del 25 ottobre) il Pd che sta governando, quello leopoldo e chic, quello amico di Marchionne e Davide Serra, quello che va in visita da Cameron e dice che il lavoro in Italia è ancora troppo rigido, questo governo che fa i patti con Berlusconi, applaudito da Ferrara e da Confindustria, non è più un riferimento. Nemmeno un lontano parente. Se c’era un sottilissimo cordone ombelicale con il vecchio Pci (e successive modificazioni) non c’è più. Per sempre. Mi dicono che la destra sta strumentalizzando, mi si segnalano (dall’interno del modernissimo Pd renziano, tra l’altro) tweet di Salvini e della Meloni. Ma… Ma quello che va detto è che oggi per uno che lavora male, pagato male, incerto sul suo futuro, spaventato, e perdipiù insultato (vecchio, conservatore, dinosauro…) le differenze tra la Meloni e Renzi, tra Salvini e Poletti, tra Verdini e la Boschi sono impalpabili, inesistenti. La politica sul lavoro è la stessa, basta vedere gli applausi di Sacconi al Jobs act. Persino lo scherno e il disprezzo verso chi lavora somiglia a quelli della destra più retriva. Operaio, fabbrica, vengono trattate come parole antiche e volgari, senza alcun rispetto (e non dico sacralità, quello era il vecchio Pci ideologico, brutto, sporco e cattivo: meglio Fanfani ci hanno detto di recente). Ecco, ci siamo. Il coraggio di dire: non siete più dei miei, nemmeno lontanamente viene dunque dalle cose reali, non è un vezzo (diranno: nostalgia, gettoni, anni Settanta, tutte cose che non c’entrano niente), ma un dato di fatto. Ora - a parte i soldatini zelantissimi più renzisti di Renzi - arrivano da quella parte, la parte del gover inviti alla calma, alla freddezza, ad "abbassare i toni". Potrebbe essere tardi. Quando uno dice frasi come “chiudere senza salvare” deve sapere che c’è chi ha pochissimo da salvare, ma proprio perché pochissimo molto molto prezioso. Lo scontro ci sarà, è inevitabile, si può solo sperare che nessuno si faccia male come oggi. Ma una cosa è certa: nessuno potrà dire all’altro “siamo dalla stessa parte”. Perché non è vero.

giovedì 30 ottobre 2014

Solo contanti

Che la maggior parte dei centri massaggi, soprattutto orientali, siano in realtà dei postriboli lo sa anche la mia mamma. Ogni tanto carabinieri o polizia ne chiudono qualcuno, perchè a un certo punto si deve fare. Per mantenere gli equilibri, perchè ci sono altre merde e bisogna fare un po' di scaramazzo, perchè c'è da fare una conferenza stampa e qualcosa da dire bisogna pur trovarlo. Nella mia città, o per meglio dire in un paese della cintura, è successo che a denunciare il meretricio siano state le legittime degli utilizzatori finali - piccoli impresari, commercianti, imprenditori, buontemponi. Le signore hanno scoperto dai resoconti delle carte di credito che nelle pause pranzo i loro uomini invece di andare in trattoria a mangiarsi il brasato, andavano a farsi fare i piedi piuttosto che un massaggio thai, ayurvedico, thailandese o quant'altro dalla cinesa appena fuori paese. A insospettire le donne non era tanto il conto in banca in pericolosa discesa, ma questo strano cambio di stile di vita dei mariti, visto che di solito dovevano lottare perchè si facessero il bagno almeno il sabato. E adesso, tutto a un tratto, quest'attenzione alla cura del corpo. Troppo strano. Risultato: appostamenti, telecamere nascoste, e altre attività d'indagine e i doverosi sigilli al negozio. Morale della storia: mai pagare con carte di credito. Solo contanti.

mercoledì 29 ottobre 2014

Loro non lo sanno

Conferenza stampa questa mattina. Viene presentata una campagna informativa e di sensibilizzazione sull’iperplasia prostatica benigna. Campagna intelligente, peraltro: i manifesti con le informazioni utili e l’invito a rivolgersi all’urologo in caso di determinati sintomi sono stati messi nei bagni delle stazioni ferroviarie e degli aeroporti delle principali città. Nei bagni s’intende sopra gli orinatoi, in modo che mentre sostieni sei obbligato a leggere. Nel corso del dibattito è stato quasi giocoforza parlare anche delle altre patologie, più gravi, che interessano la ghiandola maschile. A quel punto uno dei relatori fa cenno ad uno studio appena pubblicato su un’importante rivista scientifica in cui si afferma, in soldoni, che aver avuto almeno 20 partner sessuali abbassa di una percentuale consistente il rischio di andare incontro ad un tumore della prostata. Un collega di fianco mi dice all’orecchio: allora sono tranquillo, io ne ho avute 64. Poi aggiunge: loro però non lo sapevano. Non so se vale. Vale amico mio, eccome se vale.



martedì 28 ottobre 2014

Sono stato impegnato, ma ho letto molto

Diego De Silva, napoletano, 50enne come me, è stata una piacevole scoperta. E come spesso accade, una scoperta fatta per caso. Un amico doveva traslocare in un appartamento più piccolo e gli avanzava un po’ di ruba, tra cui un tot di libri. I libri non si buttano, te ne porto un po’ se vuoi? I libri non si rifiutano mai: sì, grazie, ho detto ancora prima che finisse la frase. Immediatamente dopo mi sono mangiato la lingua: ..azz e se mi tocca l’opera omnia della Tamaro? Poi ho pensato: è mio amico, non può leggere la Tamaro. Tra i tanti volumi c’era anche “Non avevo capito niente”, di Diego De Silva. Protagonista è Vincenzo Malinconico, un uomo stropicciato: dalla vita, dalla professione – fa l’avvocato – dall’età, che dopo i 40 sembra avere un andamento geometrico e non più aritmetico. Certo, detto così sembra il ritratto di uno sfigato, invece Vincenzo Malinconico è un filosofo di strada, che asseconda i pensieri e ne segue il filo illogico, andando spesso e volentieri fuori tema, come si direbbe a scuola. Ma è un fuori tema di sostanza e le strade mentali che percorre non sono mai banali, hanno la freschezza e la genialità dei matti, o dei bambini, con il loro lato buffo, ironico, dissacrante, spiazzante e maledettamente vero. E le storie in cui è coinvolto sono godibili e piacevoli. Trovo inoltre oltremodo geniale l’umanizzazione che fa dei mobili dello studio e di casa, rigorosamente Ikea, chiamati con i loro nomi impossibili. Lo consiglio.

giovedì 6 marzo 2014

Premio Nobel


- Sai che Vladimir è candidato al premio Nobel per la pace?

- Chi? Luxuria?

- Noooo, Putin

- Ah, meno male, allora sono più tranquillo!

martedì 18 febbraio 2014

Fratelli? No grazie

Fratelli d’Italia è uno dei tanti spin off del fu MSI, Alleanza Nazionale, Popolo delle Libertà ecc. ecc. La sua sintesi politica l’ha vergata, in dialetto, una mano anonima sul muro di cinta di una fabbrica della mia città. Fratelli d’Italia? Gna parec! (traduzione della risposta per i non bresciani: neanche parenti). Geniale.

domenica 9 febbraio 2014

La donna delle code

Io l’uomo delle code l’ho conosciuto 40 anni fa. No, non Giovanni Cafaro che oggi i media celebrano per il genio e l’intraprendenza. Un altro. Anzi, sarebbe meglio dire un’altra. E non so nemmeno se sia lei a poter vantare il brevetto di questa attività. Maria Pia, oggi ultra ottantenne e accudita in una casa di riposo, era un personaggio da film. Non credo che in vita sua sia mai uscita dal paese della montagna bresciana che le ha dato i natali. Sicuramente però la sua fama e le sue stranezze ne hanno oltrepassato di molto i confini. Maria Pia abita in un altipiano che ospita turisti sia in estate che in inverno e sono pronto a scommettere che nessuno mai se ne sia tornato a casa senza averci parlato almeno una volta, per curiosità o per verificare di persona se le capacità straordinarie di cui si narrava fosse in possesso, in netto contrasto con l’aspetto fisico, fossero vere. Perchè strana Maria Pia era strana forte, è indubbio. Non foss’altro perché  estate e inverno, a -10 come a + 30, questo donnino di poco più di 1.40, indossava cappotto, sciarpa, cuffia di lana, calzettoni e scarpe pesanti che ne ingolfavano la figura e la facevano apparire probabilmente più grossa di quello che in realtà era. Ma a parte questo, era una sorta di Rain Man, un mostro assoluto in matematica, in grado di risolvere a mente e in tempo reale moltiplicazioni e divisioni a 4 cifre, dirti il giorno esatto della settimana di una data qualsiasi del calendario del passato e del passato remoto, di ricordarsi gli eventi del paese o della vita privata di ognuno dei compaesani, a patto logicamente che fossero in qualche modo pubblici, per esempio nascite, sposalizi, funerali, parentele, con tutti i possibili incroci che queste comportano, ecc. ecc. Il dato ulteriormente incredibile era che Maria Pia è analfabeta. Non è mai andata a scuola. E non ha mai nemmeno lavorato. O perlomeno non ha mai avuto un’occupazione retribuita. Il giorno in cui si è trovata sola al mondo ha iniziato a fare piccoli favori. Prima ai vicini. Poi pian piano tutto il paese ha imparato a usufruire dei suoi servizi: andare a far la spesa, la coda in posta o in banca per le bollette; dalla parrucchiera,che una volta si chiamava pettinatrice. Ma la cosa in assoluto geniale: la coda dal medico di famiglia. Come faceva poi ad avvisare? Semplicemente, nel caso della pettinatrice e del dottore, Maria Pia si presentava con un’ora abbondante di anticipo sull’apertura dei rispettivi esercizi. Così era sicura di essere la prima. E in caso di prenotazioni multiple valeva il diritto di chiamata, di cui informava le clienti, in modo che potessero regolarsi con i tempi.

domenica 19 gennaio 2014

Giacinto, ma non Facchetti

Suonano alla porta. Se non è una persona che conosco, o il postino, di solito non apro. Per dirla tutta, da quando sono dotato di videocitofono non chiedo nemmeno chi è.  Al mattino poi non se ne parla nemmeno. Vacanze di Natale. Il campanello mi sveglia che non è neanche mezzogiorno. Mi girano i coglioni ma la cosa finisce lì. Tanto non ho problemi a riaddormentarmi. Quel pomeriggio me ne ricordo e mi chiedo: chissà chi era stamattina. Un attimo. Pura curiosità. Il mattino dopo, più o meno allo stesso orario, la cosa si ripete identica. Campanello, sveglia, giramento di coglioni, sonno, quesito pomeridiano. Terzo giorno. Dormita spaziale senza alcuna interruzione. Alle 14.30, esco dal bagno dopo aver già acceso la doccia per prendere un accappatoio pulito e mentre ci passo davanti il videocitofono si illumina e mi rimanda il profilo di un omino di mezza età con loden e cappellino blu. Non lo conosco. Non rispondo. Sono ancora in mutande. Ma mi incuriosisce: che sia lo stesso dei giorni scorsi? Probabilmente ha pensato che al mattino non ci fosse nessuno in casa e ci ha provato al pomeriggio. Anyway. Per una serie di combinazioni astrali il mattino ancora successivo, sabato, intorno alle 11, l’orario delle volte precedenti, l’omino in loden ci riprova. Rispondo. Sono Giacinto, volevo sapere se secondo lei si può vincere la morte. Minchia. Domandone. Mi permetto di interpretare Giacinto e do per scontato che il verbo vincere in questo caso venga utilizzato nell’accezione di sconfiggere e non di conquistare, aggiudicarsi la suddetta morte. L’istinto sarebbe di rispondere: dipende. Lei Giacinto, per esempio, potrebbe vincere la morte non suonando più a questo campanello, soprattutto prima di mezzogiorno, orario in cui la vescica, purtroppo, mi chiede conto e mi obbliga ad alzare il cadavere dal letto. Ma mi sarebbe dispiaciuto. Giacinto aveva gli occhi buoni e io non sono capace di essere stronzo con chi ha già evidentemente problemi di suo. Ho quindi gentilmente declinato l’invito alla discussione. Mi scusi ma non ho tempo di pensarci. Giacinto si è allora altrettanto gentilmente offerto di ripassare, lasciandomi il tempo necessario alla meditazione. A quel punto però sono stato irremovibile. Mi è rimasta però la curiosità di sapere la confessione giacintiana. Testimone di Geova no perché quelli viaggiano sempre in coppia e vestono che non si possono guardare, mentre lui era solo e indossava abiti di questo secolo. Boh. Penso che sopravviverò.

sabato 18 gennaio 2014

Maggiordomo e classe dirigente

The Butler narra la storia di Eugene Allen, maggiordomo della Casa Bianca per più di trent'anni. Un tempo lunghissimo che ha consentito all’afroamericano Allen, scomparso nel 2010 a 91 anni, di conoscere e servire sette diversi presidenti degli Stati Uniti d’America: Dwight D. Eisenhower, John Fitzgerald Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter e Ronald Reagan. Non ho ancora visto il film ma immagino che di una pellicola del genere si possano dire tante cose, soprattutto se, come nel caso che vado a raccontare, si introduce l’argomento. Paradossalmente basterebbe anche l’incipit sopra. Invece capita che lunedì sono seduto nella prima classe di un frecciabianca insieme a 3 professionisti di mezza età. Classe dirigente. Per quasi tutto il viaggio i tre, che mostrano una consuetudine anche extralavorativa, parlano di moto, di caccia, di telefonini. Ad un certo punto quello seduto al mio fianco, interrompendo un momento di silenzio, dice: ieri sera sono andato al cinema a vedere The Butler. Un bel film. Era parecchio che non ne vedevo uno così. Penso: interessante. Sentiamo. Non so se i suoi due amici abbiano pensato la stessa cosa. Di sicuro l’espressione manifestava una certa curiosità di ascoltare il seguito. Perché sta nelle cose: se inizi un discorso del genere è perché hai piacere di raccontare, di condividere, di suggerire la visione del film. Invece il seguito è stato: no, un film de negri, ma importante. Gli interlocutori non hanno avuto la minima reazione, né fisica né tantomeno verbale. La normalità più assoluta. Ed è la cosa che mi ha sconvolto di più.