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sabato 27 agosto 2011

Non sottovalutate il posizionamento

Arrivo in stazione con un buon anticipo. Vedo con piacere che sul tabellone compare già orario di partenza e binario del mio treno. So che è un treno che si forma a Verona e a meno di disastri o di ritardi di altre frecce varie, che hanno diritto di precedenza, non dovrebbero esserci problemi. Errore. E sì che ormai dovrei essere un pendolare esperto. Mi avvio al binario pensando che nell'arco di una decina di minuti il treno uscirà dal deposito e potrò salire a leggermi tranquillamente il giornale. Ultimamente, tra l'altro, hanno declassato alcune carrozze di prima e, finchè dura, i sedili sono sedibili. Mi accomodo su una panchina e inizio a leggere Repubblica. Anche se so già che verrò interrotto almeno dieci volte dai diversi questuanti che bivaccano a Porta Nuova; sicuramente quello che mostra un vecchio biglietto con destinazione precedente alla sua ipotetica meta e chiede qualche moneta per convertire il ticket - un giorno bisogna che glielo dica: caro, io son qui tutti i giorni, ogni tanto vedi ti do qualcosa, ma lascia stare la storia del biglietto sbagliato - oppure quello schizzato che ti dice di non dare i soldi al negretto (che se non è già passato è subito lì a ruota) perchè quello i soldi ce li ha, e da di matto se qualcuno gli risponde male. Con stupore riesco ad arrivare in fondo alla lettera di Veltroni senza alcun disturbo e senza essermi dato fuoco. Nel frattempo arriva anche il treno, dieci minuti prima della partenza annunciata. Salgo, prendo posto e torno al giornale. Mi accorgo che qualcosa non va perchè una coppia di anziani inizia a mostrare i primi segni di insofferenza: lei soprattutto, che prende a vessare il povero nonno come se fosse colpa sua del ritardo, di dieci, venti e poi 30 minuti. Il controllore, che ha un simpatico accento emiliano, non si sbilancia sui motivi del fermo e si limita a dire: questione di poco e partiamo. Io non mi incazzo neanche più, aspetto che Trenitalia mi riservi lo spunto per scrivere queste note. Che puntuale arriva. E' il capotreno a servirlo attraverso la filo. Con una voce del cazzo tipo quella di certi piloti di aereo che appena dopo il decollo ti danno tutta quella serie di informazioni di cui non te ne fai nulla, tipo la temperatura esterna - chissenefrega se fuori ci sono 55 gradi sotto zero, mica devo uscire a fare una passeggiata - che senti che lo fanno per dovere: ma fai a meno, chi ti ha chiesto nulla? - con voce del cazzo, dicevo, il capotreno annuncia urbi et orbi, sprezzante del ridicolo: la partenza è prevista tra 30 minuti per ritardo nel posizionamento del treno. Se si fosse scusato per il disagio giuro che gli avrei buttato il berretto dal finestrino.

venerdì 26 agosto 2011

Mi brucia il culo

Buonanotte all'Italia che si fa o si muore, o si passa la notte a volersela fare (Buonanotte all'Italia di Luciano Ligabue). Finora non mi era molto chiaro perché eravamo arrivati ad un passo dal rischio default: cosa e perché, per esempio, avesse generato questo circolo vizioso tra debito e risanamento; quali siano le possibili soluzioni strutturali per uscire dal loop delle manovre d’emergenza; quanto sia effettivamente grave la crisi e presente il pericolo di fallimento, nonostante gli interventi della BCE. Chi, alla fine, sta inculando chi. E perchè in questo trenino ho la sensazione di occupare il vagone di testa. Questo articolo di Alessandro Penati, docente di Finanza Aziendale all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, è stato un prezioso aiuto. Copio di seguito solo la contromanovra in 7 punti proposta da Penati, che mi sembra una buona base di partenza per ragionare.


(1) evitare tutti gli interventi di natura temporanea, come la tassa di solidarietà o le patrimoniali una tantum;

(2) rallentare la crescita della spesa previdenziale, principale voce di costo;

(3) eliminare la boscaglia di enti inutili e relativi costi;

(4) eliminare, fra le centinaia di detrazioni, deduzioni, facilitazioni, contributi, sussidi, incentivi concesse a imprese e individui, quelli che sono solo canali per foraggiare interessi particolari;

(5) privatizzare e vendere beni e aziende pubbliche per abbattere lo stock del debito (i regali, vedi frequenze televisive, non sono ammessi);

(6) tassare i consumi invece dei redditi personali e di impresa per non deprimere la crescita, penalizzando chi lavora e produce;

(7) tassare stabilmente tutti gli immobili (a valori di mercato) per fornire le risorse agli enti locali, abolendo le addizionali sui redditi.


Di tutto questo non c'è traccia nella manovra del governo. Che non è risolutiva. E quindi non sarà l'ultima.



giovedì 25 agosto 2011

Sciopero

Mi fanno ridere, per non dire di peggio, quelli che è meglio restare uniti che scioperare: fighetti alla John Elkann o valvassori di governo alla Sacconi. Dovrebbero quantomeno spiegare – e con loro Cisl e Uil – perché noi lavoratori dipendenti dovremmo solidarizzare e fare fronte comune con chi ha negato per mesi la crisi, se ne è fatto carico più o meno da 15 giorni solo perché l’Europa l’ha preso per le orecchie e ha detto: adesso basta! e l’unica soluzione che ha trovato è di scaricarci l’intero peso di una manovra iniqua, frutto della sua/loro volgare incapacità. Le ragioni dello sciopero del 6 settembre indetto dalla CGIL mi sembrano ben sintetizzate nella lettera inviata ai giornali dal segretario generale della Camera del Lavoro di Bergamo.


"Dopo la proclamazione dello sciopero generale di 8 ore per martedì 6 settembre contro e per cambiare la manovra economica del Governo, da più parti, si accusa la CGIL di essere irresponsabile nei confronti del Paese e dei lavoratori. Cosa deve fare, secondo loro, un sindacato riformista per cambiare questa manovra? Un presidio sotto il senato? Qualche incontro riservato con Sacconi e Tremonti? La CGIL non è un sindacato irresponsabile e lo sanno bene i lavoratori ed i pensionati. Da tre anni parliamo della crisi di questo Paese e della necessità di investire sulla crescita e lo sviluppo. Abbiamo faticosamente costruito il 28 giugno, con Cisl Uil e Confindustria, un accordo sindacale che chiudesse la stagione degli accordi separati. Il Governo si vendica e prova invece a snaturare quell’accordo. Gli incontri del 4 e del 9 agosto sono stati avvilenti, il Governo non ci ha ascoltato e bene lo sanno anche Cisl e Uil. La verità è che oggi l’Italia è un paese commissariato dalla Germania e dalla BCE. La manovra economica è insopportabile perché colpisce i lavoratori, i pensionati, il sistema di welfare. Chi paga la manovra? La classe che ha sempre pagato le tasse. La pagheremo due volte perché è una manovra depressiva e quindi diminuiranno ancora i posti di lavoro. È ingiusta perché taglia il reddito dei cittadini ed è bugiarda perché non risolve i problemi del paese, salva il Palazzo e scarica sugli Enti locali il carico dei tagli.Ed è anche una manovra fortemente ideologica: cancellare il 25 aprile (festa della Liberazione), il 1 maggio (festa del Lavoro) ed il 2 giugno (festa della Repubblica) significa decidere di cambiare l’anima di questo paese. Decidere di introdurre la negazione della libertà contrattuale delle parti e il licenziamento senza giusta causa significa negare il ruolo delle parti sociali. Cancellare le regole del Sistri sul ciclo dei rifiuti significa fare un regalo alle ecomafie. Il giudizio delle ultime ore, compreso quello di Famiglia Cristiana, confermano come la grande maggioranza del Paese non si ritrovi nelle scelte del Governo e ne denuncia le iniquità. Cosa significa introdurre una norma per cui la tredicesima degli statali dipenderà dal comportamento dei loro dirigenti? E’ una norma ignobile. Così come l’art. 9 che riguarda il collocamento dei disabili. Noi siamo preoccupati per la situazione del paese e sarebbe il momento di unire le forze. Noi presentiamo una contromanovra che si fa carico degli stessi saldi previsti dal Governo. Ma deve essere giusta e ognuno deve fare la sua parte.Il cuore della nostra proposta è sui temi del fisco: ognuno faccia la sua parte e chi ha di più deve dare di più e questo è possibile solo se noi introduciamo una tassa sui grandi patrimoni. Il contributo di solidarietà può essere utile, ma lo pagano ancora e solo i lavoratori dipendenti. La battaglia contro l’evasione fiscale si può vincere: occorre abbassare la tracciabilità dei pagamenti sino a 500 euro, mettere insieme le banche dati per avere le informazioni sui patrimoni, introdurre pesanti sanzioni e dire no, per sempre, ai condoni. Sulle pensioni: oggi il problema non è la sostenibilità delle pensioni, ma la pensione futura dei giovani. Anche qui, ognuno faccia la sua parte: introduciamo l’obbligo del pareggio di bilancio anche per i fondi pensione. Scopriremmo che l’unico fondo che passa l’esame sono quelli dei lavoratori dipendenti, tutti gli altri non sono in equilibrio (autonomi, dirigenti).Con lo sciopero chiediamo un sacrificio straordinario, ma serve una mobilitazione per cambiare la manovra e per questo la CGIL si mobilita. Le ragioni della protesta ci sono tutte ed è qui che, ancora una volta, e ne siamo dispiaciuti, non si ritrova l’unità delle forze sindacali. Come ha scritto un autorevole sindacalista, a volte può succedere che “a fare meno si possa fare meglio. Ma non accade mai che si possa fare meglio non facendo nulla”.

Luigi Bresciani
Segretario generale CGIL Bergamo



La figa di Alberoni

Alberoni ha scoperto la figa fu uno dei tanti titoli magistrali che ci ha regalato negli anni 80 Cuore, la rivista satirica fondata e diretta da Michele Serra. Un titolo che, credo, non abbia bisogno di commenti: riassumeva il pensiero del giornale sul contributo culturale offerto sin da allora dal noto sociologo attraverso i suoi articoli sul Corriere della Sera del lunedì. Ho ripensato ieri a questo titolo leggendo che nel fine settimana uscirà nelle sale Student Services. film tratto dal romanzo autobiografico “Mès chères études", di Laura D., giovane studentessa francese, prostituta prima per gioco e poi per scelta, dopo aver risposto ad un annuncio trovato in internet ed aver così scoperto una fonte redditizia di guadagno. Il libro racconta che la prima volta di Laura fu per pagarsi gli studi, ma non è qui il punto. Quello che mi ha stupito non è la storia in sé, né mi interessa darne un qualsiasi giudizio, tantomeno morale - non sono Giovanardi né la Roccella che sui casi specifici rappresentano il foro competente – è stato lo shock che pare abbia accolto lo scorso anno l’uscita del libro in Francia e oggi del film, con annesse analisi e dibattiti sulla solitudine dei giovani, la loro mancanza di mezzi, ecc. ecc. La figa di Alberoni, insomma. Una 30ina di anni fa avevo un conoscente, amico di amici, che aveva un’idea un po’ particolare dei contratti amorosi. In estrema sintesi, riteneva di non essere abbastanza bello per poter ambire ad accompagnarsi a donne bellissime, o quantomeno a donne che lui riteneva bellissime. Per amore di verità, diciamo che questo conoscente era un ragazzo assolutamente normale, anche ben messo fisicamente, che, bastasse l'aspetto, avrebbe potuto avere una vita sentimentale normale. Solo che, probabilmente, non aveva sufficienti motivazioni per impegnarsi in lunghi corteggiamenti, senza peraltro la certezza di un ritorno carnale – esperienza drammaticamente comune un po’ a tutti - verso una persona, una donna, che comunque avrebbe rappresentato ai suoi occhi sempre e soltanto un ripiego. Anche in questo caso, non essendo Giovanardi né la Roccella, mi astengo da qualsiasi commento. Per farla breve, i suoi guadagni, invece di trasformali in azioni o beni immobili, li spendeva per passare qualche ora, la notte o l’intero week end, con giovani ragazze universitarie, che, più o meno saltuariamente, dedicavano i loro fine settimana a fare cassa come nel film francese. Ricordo che nei suoi racconti parlava di giovani tutt’altro che indigenti, a cui i genitori garantivano le tasse universitarie e, per quelle che venivano dalla provincia, anche la stanza o l’appartamento in città. Il meretricio serviva per la vacanza con le amiche o il moroso, il vestito, la borsa o le scarpe firmate. E le tariffe erano di tutto rispetto: per l’intera notte si poteva arrivare anche al milione di lire. Incontri in casa o in albergo. Nessun vincolo. Tutti adulti consenzienti. Alcune ragazze erano più assidue, altre meno. Succedeva 30 anni fa a Brescia. Non a Parigi. E presumo accada tuttora.

martedì 23 agosto 2011

I nazionalisti neri nelle valli del carroccio

Leggevo ieri Ilvo Diamanti su Repubblica che ragionava sulla perdita del principio di autorità, della sua rapida e diffusa caduta, che Diamanti vede all’origine della crisi che si è poi fatta economica e finanziaria. “Il nuovo moto di insofferenza contro la casta non deriva solo dal riprodursi di un sistema di privilegi - e di corruzione - che, in effetti, non è mai cessato. Ma dall'assoluta perdita di autorità della classe dirigente. Soprattutto dei leader che governano il Paese da 10 anni, in modo quasi ininterrotto. Quelli che, fino a un anno fa, avevano trasformato Villa Certosa nella rutilante capitale estiva del Paese. Affollata di veline e velinari. Quelli che parlano di politica con un linguaggio antipolitico. Usano il turpiloquio come linguaggio pubblico. E alzano il dito non per mostrare la luna ... Come immaginare che possano riscuotere "prestigio" e deferenza tra i cittadini? Se riproducono i vizi e le debolezze del popolo, perché dovrebbero ottenere privilegi e riconoscimento da parte del popolo? Oggi che la crisi minaccia la condizione economica e sociale, la vita quotidiana di tutti? Questa fase mi pare particolarmente insidiosa. Difficile da superare. È frustrata da un grande deficit di autorità - e di potere. Da una grande povertà di riferimenti etici e di comportamento. Un problema aggravato, (non solo) in Italia, dalla scarsità di attori e persone credibili. In grado di "dire" le parole necessarie a esprimere il sentimento del tempo. Ma, soprattutto, di tradurle in pratiche coerenti. Di dare il buon esempio”

Leggevo e mi son trovato a riflettere sul nazionalismo nero inneggiante alle camice brune che, dopo aver fatto proseliti in Europa, è arrivato anche qui da noi, dove ha preso il volto inquietante di Gaetano Saya, ex missino e massone, già noto alle cronache per aver costituito un servizio segreto parallelo. Saya, fondatore del partito nazionalista italiano, posta sul web le sue deliranti tesi razziste e omofobe ed ha chiamato a raccolta i militanti per il 24 e 25 settembre a Genova. A preoccuparmi è aver visto comparire scritte inneggianti ai nazionalisti sui muri delle valli bresciane, gli stessi che venticinque anni fa ospitavano i primi vagiti di un leghismo al confronto ruspante e da sagra paesana. All’epoca i leghisti, che non dimentichiamoci ce l’avevano con i terù e i negher e non vedevano di buon occhio nemmeno i culatù, vennero sottovalutati, derisi e sbeffeggiati come un fenomeno da baraccone, transitorio e in ogni caso circoscritto, salvo poi diventare – la Lega – la vera protagonista della politica italiana degli ultimi due decenni. La situazione in queste valli, nonostante i governi del carroccio, non è migliorata economicamente e socialmente. Il declino della grande industria tessile e siderurgica ed il mancato completo sviluppo turistico, malgrado le enormi potenzialità - mancato sviluppo a questo punto da imputare a cause antropologiche più che politiche e sociologiche - ha contribuito a rendere precario e incerto il futuro, alimentando radicalità mai sopite, inasprite ultimamente dai forse eccessivi trasferimenti coatti dei rifugiati sbarcati sulle coste siciliane. In un contesto di crisi globale, di mancanza di autorità e di prospettive, il rischio di abbracciare estremismi capaci di indicarti soluzioni facili e soprattutto i nemici da combattere è altissimo. La storia è lì a ricordarcelo.

domenica 14 agosto 2011

Leghisti ribelli

Alberto Filippi è un leghista della prima ora. Un imprenditore vicentino non specchiatissimo, almeno stando a quanto scrive il Manifesto. Quando però viene eletto in Senato e si trova a dover votare il bilancio annuale di Palazzo Madama, invece di schiacciare il pulsante, come tutti i peones, legge i numeri, ha un sussulto di coscienza e si astiene. Risultato: espulsione immediata. E questo articolo-denuncia


di Alberto Filippi
I CONTI
«Zitto e vota questo bilancio» Ma leggete quanto spendono...

Nel 2008, eletto da poche settimane nelle fila dei senatori, nel pieno dell'inesperienza, poco prima di votare il bilancio del senato butto gli occhi sui numeri e leggo qualche spesa. E non dovevo farlo, certi errori poi si pagano. Ma è stato un errore di gioventù, solo una distrazione scoprire che i «fenomeni della politica» avevano affittato un'ape car per trasportare i libri della biblioteca per 6mila euro! Tra me e me ho detto: ma... sono scemi? Con un po' di euro in più se la comperavano nuova. E così non ce l'ho fatta, al momento del voto mi sono astenuto. Apriti cielo. Il capogruppo Bricolo mi ha subito convocato. Ho provato ad entrare nel merito ma non c'è merito: «Fai quello che dico io!».
Già ma io sono un rompipalle! E allora, sì votavo ma rompevo, votavo ma protestavo, e oggi che non ho più chi può impormi come schiacciare il tastino, con gusto, a ridosso proprio del voto sul bilancio del senato decido di non gettare velocemente l'occhio sui numeri ma di incollarlo bene bene a questo bilancio. E che ti trovo? Ti trovo che tra servizio calore (circa 3 milioni di euro) gas (800mila euro) ed energia elettrica (1.500.000) si arriva ad un totale di 5.300.000 di costi energetici e allora mi chiedo: ma lo sanno che con un semplice cogeneratore si risparmierebbe almeno 1.500.000 euro all'anno? Poi l'occhio mi scende sui 1.300.000 euro di canoni di telefonia, mi blocco e rileggo: ma saranno tutti i costi telefonici... e invece no, sono solo i canoni e i costi dei servizi! Ma se siamo 300 senatori! Ma quanti cavolo di canoni telefonici ci saranno mai? (Poi rifletto e ricordo che noi senatori il telefono ce lo paghiamo quindi è ancora peggio, che canoni sono?). E allora inizio ad appassionarmi e come fosse un libro giallo da divorare sotto l'ombrellone proseguo con i numeri e trovo che per «facchinaggio e traslochi» si spende 1.505.000 euro, allora penso che c'è un trasferimento in atto ma poi noto, basito, che questo accade tutti gli anni.
Il libro giallo si trasforma velocemente in un horror ma decido di tenere gli occhi aperti; 340mila euro in vestiario di servizio e questo ogni anno e uno si domanda se non costerebbe meno farsi fare l'abito dei dipendenti da Armani; ma ciò che mi lascia fritto, immobile, congelato è il costo per le posate: 40mila euro all'anno in posate. Ma perché ogni anno? La tradizione di cambiare le posate continuamente era in voga alla corte di Francia ai tempi del re sole e ne sono passati di anni, è passata perfino la ghigliottina. A casa mia le posate magari te le regalano nella lista nozze, ma poi ti durano una vita. E poi ci sono 61mila euro per le auto, e non le auto blu da noleggiare, sono i costi del lavaggio delle auto! Ma quante sono? Io me la pago come la stragrande maggioranza dei senatori e allora dove cavolo sono tutti questi eserciti di berline da lavare?
Ogni anno si stampano le tesserine di riconoscimento ma, noi senatori siamo sempre i soliti trecento circa, non sarà poi chissà quale follia. E invece: 50mila euro l'anno, in una legislatura 250mila euro. Mi viene voglia di vomitare.
Sto perdendo le forze e le pagine di horror si stanno trasformando in qualche cosa di peggiore, ma non so come decido di affrontare le voci della manutenzione: non dovevo farlo. 355mila euro per fare la manutenzione alla tappezzeria, e mi chiedo se qui siamo all'asilo con eserciti di bambini che si appendono alle tende. Tenere in manutenzione gli impianti di sicurezza vuol dire spendere 750mila euro mentre fare la manutenzione per stare belli freschi (per inciso i condizionatori funzionano malissimo) bastano solamente, si fa per dire, 750mila euro e allora penso, ormai tutto sudato dalla confusione, che a pagare, a mo' di faraone, qualcuno che ti sventola si andrebbe a risparmiare.
Poco meno di 1 milione di euro per la manutenzione degli impianti elettrici, quasi 300mila euro per la manutenzione dei video, 240mila euro per la manutenzione alla rete informatica, 400mila euro per gli ascensori (quello degli uffici in piazza san Luigi de Francesi si è bloccato 4 volte in un anno).
Poi c'è l'antincendio che per farci la manutenzione ci vogliono 240mila euro e sono quelli spesi peggio perchè se prendesse fuoco tutto forse sarebbe meglio. Quel che è peggio però è che ho girato pagina e sono passato dalle manutenzioni ordinarie che credovo comprendessero tutto, a quelle straordinarie, che però si ripetono pari pari ogni anno. E quindi alle famose spese ordinarie per le tappezzerie di prima vanno aggiunti 1.125.000 euro di manutenzioni straordinarie in arredi e tappezzerie e poi poco sotto altri 500mila euro annui ovviamente di acquisto di arredi e tappezzeria. E lo stesso vale per gli impianti di sicurezza di prima ai quali si aggiungono ogni anno manutenzioni straordinarie per 3.540mila euro, mentre ci vogliono altri 1.610mila euro per i condizionatori di prima. Arrivo fino ai 625mila euro da aggiungere alla manutenzione per gli ascensori e alzo bandiera bianca.
Chiudo il faldoncino, mi chiedo: ma chi sono questi fenomeni che hanno il fegato di presentare questa schifezza? Qui la rispostina è facile, sono i tre senatori questori del senato e guarda un po uno lo conosco bene: è vicentino come me e della Lega Nord. Si chiama senatore Paolo Franco, uno dei vertici del famoso cerchio magico tanto per non fare nomi. Avrei voglia di andare a chiedergli qualche cosa ma poi mi blocco perché ricordo che loro sono quelli che decidono anche i tagli della politica, quindi anche il mio stipendio senatoriale; in fondo qualcosina hanno tagliato ma poi mi chiedo: loro, a loro tre, che tagli si sono fatti? Scopro che i tre questori hanno l'auto blu, hanno un'aggiunta di segretarie pagate, hanno una dotazione speciale da usare a natale per fare regalini agli amici, hanno ovviamente uno stipendio maggiorato e hanno un appartamento arredato nel cuore di Roma tutto gratis. Rialzo bandiera bianca: avrei voluto votare astenuto questo bilancio ma ora proprio non ce la faccio. Mi alzo e per protesta faccio quello che poi ho fatto: ho scritto tutto, di getto, per voi che leggete e disarmato me ne sono tornato a casa... se lo votino loro il bilancio del senato.

Manovre e manovratori

In merito alla manovra da 45 miliardi varata dal governo propongo alla lettura questa lucida analisi di Asor Rosa pubblicata giovedì dal Manifesto



COMMENTO di Alberto Asor Rosa
LA LINEA DEL PIAVE


Nella storia di questo disgraziato paese (l'Italia, intendo, per chi non ami le metafore), c'è una sindrome spesso ricorrente: si chiama la linea del Piave. Funziona così. Per anni, talvolta per decenni, gli alti comandi, i Governi, le classi dirigenti in genere, prendono decisioni inique, sbagliate, avventurose, persino ciniche e anche delinquenziali: l'incredibile mediocrità degli alti comandi medesimi, la strategia irresponsabile dell'attacco frontale, il mostruoso disavanzo di bilancio, l'incapacità del ricambio, la stralunata soggezione dell'interesse pubblico agli interessi privati o di gruppo, ne rappresentano le manifestazioni più significative ed esemplari. Poi, ad un certo punto, dai e dai, si verifica la catastrofe: le linee cedono, il bilancio crolla, l'economia va in pezzi, le classi dirigenti, d'ogni razza e colore - ripeto: d'ogni razza e colore - annaspano nel vuoto che loro stesse hanno creato. È a quel punto che a qualcuno viene in mente la linea del Piave: gli interessi non sono più diversi, separati e magari contrapposti, diventano "unico". La catastrofe si può affrontare solo tutti insieme, senza più differenze né di razza, né di colore, né di collocazione sociale, né di orientamento politico. E questo, a pensarci bene, è anche giusto: chi, infatti, vorrebbe vedere gli austriaci a Milano o a Venezia?
Se poi, come nel caso di oggi, la linea del Piave assume dimensioni planetarie, la solidarietà di tutti intorno a un modello unico di soluzione assume un'evidenza ancor più eloquente: o ci si salva tutti oppure non si salva nessuno. E anche questo potrebbe essere giusto. Ma vediamo fino a che punto il discorso del Piave regge e, ammesso che regga, quali diverse impostazioni gli si possono dare.
Facciamo (almeno noi) un passo indietro e torniamo in Italia. Negli ultimi tre-quattro mesi è accaduto nel nostro paese qualcosa che in precedenza sarebbe stato inimmaginabile: e cioè un cambiamento vistoso della costituzione materiale, un aggiustamento invisibile dei meccanismi decisionali. Tutte le più importanti scelte in materia politica ed economica sono state, non certo prese, ma indotte con forza e con, appunto, autorevolezza "dall'alto". E quale esempio più lampante di "Camere congelate" di quelle che, nel giro di quarantotto ore, hanno votato un bilancio dello Stato strangolatorio e, nel caso di certi partiti, addirittura apertamente non condiviso? Non sto dicendo né che sia stato un bene né che sia stato un male: mi limito per ora a constatare che è accaduto. Ricordate il mio articolo sul manifesto del 13 aprile? «Ciò cui io penso è una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instauri quello che io definirei un normale "stato di emergenza", eccetera eccetera». L'unico auspicio di quell'appello che non sia stato per ora praticato è il ricorso all'Arma dei carabinieri e alla polizia di Stato: non ce n'è stato bisogno, e comunque la magistratura e le forze dell'ordine erano impegnate in altro (sempre però nei dintorni: Papa, Milanese, Penati, Bisignani eccetera eccetera).
Ma in generale la linea più volte adottata è andata puntualmente in quella direzione, tacciata allora dai pulpiti più diversi d'imbecillità, provocazione, golpismo, ecc. ecc. Oggi tutti i dubbi e le riserve sono svaniti nel nulla: la linea estrema di difesa delle istituzioni repubblicane e dell'economia e coesione sociale nazionali è diventata il Governo del Presidente (non quello del Consiglio, naturalmente), universalmente invocato dalle forze, partitiche e d'opinione, che si collocano all'opposizione dell'attuale maggioranza parlamentare.
Restiamo anche noi all'interno del ragionamento, ma al tempo stesso prendiamoci la libertà di porci - di porre - alcune domande decisive: a favore di chi? Con quali mezzi? Con quale, non solo istituzionale, ma anche politica autorevolezza? Le linee del Piave, in sé e per sé considerate, non servono a scardinare i sistemi, servono a confermarli e a renderli ancora più inattaccabili. La difesa del "bene comune" è pagata sempre da una sola parte. Sul Piave (storicamente, non metaforicamente inteso) la linea fu tenuta dalla leva dei '99, giovani diciottenni gettati in massa nel rogo a difendere l'integrità e l'unità nazionale. Oggi nel tritacarne dell'unità nazionale sono destinati ad essere macinati - alfieri del tutto involontari d'un patriottismo a senso unico - gli anziani e le famiglie deboli, i pensionati, gli operai, i giovani (soprattutto i giovani), i piccoli e medi borghesi, impiegati e professionisti, gli uni e gli altri ovviamente senza rendite parassitarie alle spalle. Sull'atteggiamento da tenere nei confronti di questa situazione si è già sfarinato il fronte delle opposizioni: il Terzo Polo ha subito adottato la linea della massimizzazione dei "sacrifici popolari" (davvero singolare in questo quadro - mi sia permesso di osservarlo - l'atteggiamento della formazione che recentemente ha scelto di chiamarsi "Futuro e Libertà": non dovevano essere la forza di rinnovamento del quadro politico italiano e sono finiti alleati in tutto e per tutto subalterni dei moderati più moderati?). Ma lo sfarinamento ha già raggiunto vertici e settori anch'essi in precedenza inimmaginabili: vedere la Camusso, leader di un'organizzazione operaia e popolare come la Cgil, collocarsi anche fisicamente, quasi a segnare il rapporto gerarchico nuovo testé costituitosi, alle spalle della Marcegaglia, leader delle organizzazioni padronali, ha avuto la portata e il valore di un manifesto, ben comprensibile ai più.
La linea del Piave, per essere minimamente condivisa prima che accettata e praticata, avrebbe bisogno di molte condizioni, di cui per ora non si vede traccia, anzi, per essere più esatti, quasi nessuno parla. A scopo puramente provocatorio, come di consueto (poi fra qualche mese si vedrà meglio), ne elenco due, una di carattere economico-sociale, l'altra di carattere politico, la seconda, ovviamente, condizione sine qua non perché la prima diventi credibile.
La condizione economico-sociale è la conservazione integrale dello Stato sociale, e cioè, per essere più precisi, di quell'insieme di statuti, regole, leggi e abitudini, che garantiscono la libertà e il benessere ai cittadini più deboli. Quanto al pareggio di bilancio, bisognerebbe chiedersi se le cure prospettate, in dimensioni e rapidità di tempi, non siano destinate ad ammazzare il cavallo invece di rimetterlo in piedi. La distribuzione dei pesi e delle misure, e le loro conseguenze effettive, devono perciò fin d'ora essere elencate con estrema precisione: l'obiettivo, infatti, è garantire con assoluta certezza - e la cosa è tutt'altro che impossibile - che dalla crisi ci si proponga di uscire con uno stato più giusto, non con uno più infame.
La condizione politica è che dalla crisi si esca con un riassetto del sistema di potere che almeno garantisca la riapertura di una nuova fase. Dobbiamo invece prendere atto che finora si è andati nella direzione esattamente contraria: e cioè - nella più pura tradizione delle linee del Piave nazionali (ma almeno Cadorna nel '17 perse il posto) - la crisi ha paradossalmente rafforzato, o almeno lasciato più tranquillo, il Governo Berlusconi: è entrato a far parte anch'esso, infatti, della "soluzione unica nazionale" della crisi. Ma questo è intollerabile, e quindi inaccettabile: significherebbe far pagare al paese, come prezzo per uscire dalla crisi, la perpetuazione delle ragioni più profonde della crisi medesima, l'inaffidabilità, il discredito, interno ed internazionale, l'assoluta mancanza del senso dell'interesse pubblico da parte dei suoi governanti.
Perché la linea del Piave sia almeno decentemente compresa e condivisa, occorre che il governo del Presidente metta in programma questa apertura di una nuova fase in netta, inequivocabile discontinuità con quella precedente: anche ricorrendo, in tempi ragionevoli, ad un nuovo responso elettorale. Ai costituzionali - notoriamente ce ne sono molti e di molto eccellenti - va richiesta con urgenza una rilettura del primo comma dell'art. 88 della Costituzione, il quale recita (com'è universalmente noto): «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti; sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Le interpretazioni correnti, che depotenziano in genere la facoltà del Capo dello Stato di assumere autonomamente tale decisione, mi sembrano estremamente discutibili, e perciò andrebbero ridiscusse, in una situazione come questa in cui si potrebbe da un momento all'altro avere bisogno di disporre tranquillamente di tale estrema risorsa.
Insomma: il Governo del Presidente comporterebbe una netta e puntuale individuazione dei pesi e delle misure da adottare, una equa distribuzione dei sacrifici, una preliminare scelta di campo a favore delle classi e dei ceti più deboli e, preliminarmente e contestualmente, la ricostituzione d'un quadro politico in grado di giocare la partita nella piena dignità ed efficacia dei suoi possibili mezzi (e uomini). Altrimenti, sarà un confuso, inane e un po' disperato tentativo di tenere in piedi il sistema a favore dei soliti "amici". Non sarebbe una bella cosa, e non funzionerebbe.

giovedì 11 agosto 2011

Gli intoccabili

Sarà pure una goccia nel mare, ma visto le cifre - peraltro solo supposte - mica poi tanto. Sarà anche una proposta un filino demagogica: certo che nel balletto di ipotesi di tagli, la sforbiciata ai privilegi della Chiesa non viene mai, mai nemmeno presa in considerazione.

Recuperare risorse? Si cominci tagliando i costi della religione


La gravità della crisi economica è tale che tutti parlano di ridurre gli sprechi. Molti parlano di sforbiciare i privilegi della casta politica, ma nessuno, proprio nessuno, parla invece di intervenire sugli enormi contributi che lo Stato eroga ogni anno per fini religiosi.

L’UAAR ricorda che, anche solo lasciando allo Stato la quota delle scelte inespresse dell’Otto per Mille, si recupererebbero ogni anno oltre seicento milioni di euro. Ed introducendo l’ICI sui beni ecclesiastici ad uso commerciale, azzerando l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione destinati all’edilizia di culto ed eliminando, come Costituzione comanda, ogni onere statale per la scuola privata, la cifra aumenterebbe in modo ancora più sostanzioso.

L’entità della somma che finisce nelle tasche delle organizzazioni ecclesiastiche è sconosciuta persino al governo, e ciò dimostra come in Italia esista una realtà economica semisommersa che sfugge ai controlli. Se bisogna stringere la cinghia, conclude l’UAAR, giustizia vuole che si cominci da chi gode dei privilegi più sostanziosi.

http://www.uaar.it/

mercoledì 10 agosto 2011

Niente Paura

Niente Paura di Piergiorgio Gay è un bel film. Andrebbe fatto vedere nelle scuole, per introdurre la nostra storia recente. Racconta, attraverso le vicende personali di uomini e donne comuni e di persone conosciute - Stefano Rodotà, Margherita Hack, Umberto Veronesi, Paolo Rossi, Silvio Soldini, Fabio Volo, Carlo Verdone, don Luigi Ciotti e soprattutto Luciano Ligabue - colonna sonora e narratore del film - come siamo e come eravamo: in realtà da dove veniamo (fine anni Settanta, primi anni Ottanta, quando si opera una svolta sia nelle istituzioni che nel costume) e quale Paese siamo diventati oggi. Un Paese dove la dimensione collettiva della festa e dell'identità si esprime ormai solo ai concerti e alle partite di calcio della Nazionale, un Paese in cui perfino difendere il tricolore o l'inno di Mameli è motivo di scontro politico.
Niente Paura offre parecchi spunti di riflessione, e in un certo senso di speranza. Alle stragi, al buio del terrorismo, all'omertà, all'aridità individuale di un popolo che è "diventato spettatore, vota da casa, s'indigna ma poi va a dormire", come dice Paolo Rossi, contrappone una parte sana e bella, che si sente rappresentata dagli articoli della Costituzione, l'altro filo conduttore del film. Due storie mi hanno colpito. Molto diverse tra loro ma legate da un profondo senso di dignità, di civiltà, di voglia di andare avanti: per testimoniare, per darsi e dare una ragione, a un ideale - appreso, trasmesso, condiviso - a un sentimento che nemmeno la morte riesce a spezzare e torna riflesso nella musica, in una o in infinite canzoni. La prima la racconta Sabina Rossa, figlia di Guido, operaio comunista dell'Italsider, ucciso a Genova nel gennaio 79 da un commando delle Brigate Rosse. Guido Rossa, per una serie di circostanze fortuite, tre mesi prima del suo assassinio era stato l'unico testimone del ritrovamento all'interno della fabbrica di alcuni volantini di propaganda terroristica. Di conseguenza la sua era stata l'unica testimonianza di fronte al magistrato e poi al processo che vide imputato e condannato Francesco Berardi, il fiancheggiatore delle BR all'interno dell'azienda. Dice Sabina Rossa. "Gli ideali di mio padre sono quelli che oggi mi appartengono. Che mi hanno portato a incontrare chi quella mattina gli sparò e poi a incontrare il giudice che deve decidere sulla sua liberazione, per dirgli che oggi Vincenzo Guagliardo è un'altra persona e, soprattutto, che dopo 30 anni di carcere merita di uscire (...). Non mi sono mai posta la questione nei termini del perdono. La mia è una formazione laica: mi sono sempre posta la questione in termini di giustizia. Quando il giudice ha negato la scarcerazione e la libertà condizionale a Vincenzo Guagliardo ho creduto che fosse stata commessa un'ingiustizia. Ho creduto che il nostro Paese avrebbe potuto compiere un gesto di civiltà importante".
La seconda narra di un'altra morte sul lavoro e di un amore che continua. E' la storia di Fabio e Annalisa. Fabio Casartelli, medaglia d'oro olimpica di ciclismo, è scomparso nel luglio del 95 in seguito a una caduta lungo le strade della Grande Boucle. Aveva solo 25 anni. Annalisa era in attesa del loro primo figlio."Quindici anni fa ho perso mio marito. Una caduta durante una tappa del Tour de France e la sua e la mia vita si sono fermate. Quindici anni fa è nato mio figlio ed è per lui che il mio cuore senza un pezzo ha continuato a battere. Ed è da 15 anni che aspettavo che qualcuno mi dicesse Niente Paura, stai tranquilla, ce la farai, non preoccuparti: in qualche modo riuscirete a vedere la luna anche senza Fabio. Questa canzone mi dà forza, voglia di dimostrare che ce la faccio, che il mio amore per Fabio frega la sua morte....".

mercoledì 3 agosto 2011

Moretti, ma perchè non ti dimetti?

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx. Le prime dieci righe sono bestemmie. Ognuno le declini come crede, ci metta cioè quelle che sente più sue. E sì che questa mattina ero uscito di casa ben disposto. C’era il sole. Ero persino riuscito a bermi due tazze di caffè, fatto raro avendo sempre i minuti contati. In borsa, appena comprato, avevo Fùtbal di Osvaldo Soriano. E nel quarto d’ora a piedi che mi separa dalla stazione, le mie connessioni cerebrali stavano dando segni positivi: pensavo con timore al discorso di oggi in Parlamento del clown di Arcore, alle reazioni dei mercati. Mi chiedevo se saranno proprio i mercati a mettere la parola fine a questi 20 anni malati e se ciò sarà un bene o un male, visto il momento, e quali potrebbero essere i pro, i contro e gli eventuali rischi per noi lavoratori dipendenti con mutuo. Berlusconi a parte, una giornata che nasceva sotto buoni auspici. Non avevo fatto i conti con Trenitalia. Arrivo in stazione e il treno veloce (treno associato a veloce è un ossimoro, ma tant’è), il treno veloce, dicevo, proveniente da Milano Centrale e diretto a Venezia ha 15 minuti di ritardo. Fin qui nulla di nuovo. Tanto so che sarà comunque un’agonia. Lo è sempre da giugno a settembre: ai soliti turisti stranieri, che aumentano con la temperatura, si aggiungono le centinaia di ragazzini che ogni giorno, dal rompete le righe all’inizio del nuovo anno scolastico, vanno a Gardaland. Tutto questo – detto per inciso - senza che lo stramaledetto trust di cervelli a capo di Trenitalia provi quantomeno ad abbozzare una soluzione, se non definitiva - treni speciali? – quantomeno di minima: qualche carrozza in più? Cose semplici, insomma. Attraverso l’intera banchina e arrivo in testa al binario: nelle prime carrozze uno strapuntino tra un vagone e l’altro si trova sempre. Nell’attesa apro il libro e leggo la prima delle storie di calcio. In realtà la conosco già. E’ quella di Obdulio Varela, ripresa anche in Artisti, pazzi e criminali, di cui ho già parlato all’inizio di questo mio diario e che ne rappresenta lo spirito: all’arbitro non ho dato la mano. Non ho mai dato la mano a nessun arbitro… Non sapevo che c’era: è stata una bella sorpresa, come rivedere un vecchio amico. Nel frattempo la voce della stazione ricorda più volte il ritardo, per poi annunciare che il mio treno arriverà al binario 3 invece che al binario 1. Il sole, il caffè, Obdulio Varela: ce ne vuole per farmi cambiare umore. Ancora non sapevo. Rifaccio la banchina in senso inverso, scendo nel sottopassaggio, risalgo al binario 3 e ritorno verso la testa del treno. Le prime tre carrozze sono vacanti, come direbbe Montalbano. E già qui avrei dovuto insospettirmi. Invece l’effetto solecaffèobdulio insieme mi ha evidentemente cariato le sinapsi. Le prime tre carrozze non sono vacanti, sono chiuse. E il perché lo apprenderò a Desenzano, dopo che il treno veloce ha accumulato un’ulteriore mezzora di ritardo in soli 20 chilometri, e il disagio di una promiscuità già imbarazzante è aumentato di conseguenza. Ce lo dice un controllore a cui chiedo gentilmente conto: purtroppo questa mattina non si chiudevano le porte e siamo stati costretti a isolarle per evitare pericoli di caduta. Sempre gentilmente pongo un altro quesito: ma il materiale rotabile (lo chiamano così loro, non è colpa mia) non viene provato prima di partire? Lo ammetto: domanda da pensionato milanese che commenta i lavori stradali, ma vista la situazione va perdonata. A quel punto l’uomo ferroviario, forse colpito nell’orgoglio aziendale, mi avrebbe volentieri sputato. Poi ha probabilmente valutato che ero più grosso di lui e visibilmente più cattivo e non ha replicato. Morale, sono sceso a Verona, insieme ad una trentina di ostaggi, con quasi un’ora di ritardo. Pronti a salire ce n’era però almeno un altro centinaio. Per Venezia, si parte.