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giovedì 31 ottobre 2019

Ogni riferimento è puramente casuale


L’aspirante scrittore che ce la fa ma poi non regge la pressione. Lo scrittore affermato e venerato. Le logiche e i rituali delle presentazioni, anzi delle presentation. Quelli del firma copie. Gli interessi degli editori e quelli degli uffici stampa. Ma anche dei critici, tra frustrazioni e orgoglio: la normalità sconosciuta, chiamiamola così. Perché anche il mondo che sta attorno e chi governa i libri ha i suoi scheletri: c’è chi scrive di suo e chi scrive per altri, c’è chi ha successo, le copertine, i riflettori con la panna montata perché è stato deciso così e poi c’è il gruppo, i gregari, si direbbe nel ciclismo. Un mondo che Antonio Manzini conosce bene, essendo uno dei giallisti di maggior successo, e che mette a nudo con ironia e sarcasmo. Ogni riferimento è puramente casuale è una raccolta: 7 racconti brevi molto coinvolgenti e piacevoli da leggere, che non spoilero proprio per questo. Rimane la morale un po’ amara. Il libro non è cultura, approfondimento, condivisione di idee, o perlomeno non solo. E’ marketing. Per questo, aggiungo io, bisogna diffidare degli osanna e passare del tempo a cercare le chicche in libreria o in biblioteca. Sperando che queste chicche siano arrivate fin lì. Ma su questo noi lettori non possiamo farci nulla.

lunedì 28 ottobre 2019

Noir all'italiana


Del Codice dei Cavalieri di Cristo e di Confusione morale ho già parlato in due post dedicati. Un accenno l’ho già fatto anche sull’Uomo liquido, lettura esilarante: Morozzi ha grandi doti narrative, per due libri è stato capace di tenere in piedi la storia, drammatica, di quest’uomo che a causa di una rarissima malattia ha perso pene e testicoli, rimanendo in pratica liscio – L’uomo liscio era il titolo del primo romanzo – riuscendo comunque a mantenere integra la sua fama di donnaiolo. Le altre 4 letture sono tutti noir e le vorrei riassumere brevemente qui, dichiarando sin da subito le mi preferenze, tra conferme, belle sorprese e piccole delusioni.

La conferma è Roberto Perrone con il terzo romanzo della serie che ha per protagonista Annibale Canessa, libri da leggere in sequenza perché altrimenti si perdono alcuni riferimenti, soprattutto i rapporti tra i personaggi che ruotano intorno al colonnello in pensione. Nell’Ultima volontà, il finto suicidio di un giovane ricercatore porta Annibale e la sua strana squadra, che ricorda un po’ quella dell’Alligatore di Massimo Carlotto, in Emilia, negli anni della guerra partigiana, per fare luce su una vicenda allora sotterrata in fretta e furia e poi caduta nell’oblio. Perrone mette il dito in questioni politiche ancora sensibili sulla lotta di Liberazione, ma lo fa con grande maestria e abilità, senza la pretesa di voler riscrivere la storia o dare giudizi. In attesa del prossimo Canessa, una bella opera prima:

Il seme della violenza di Ludovico Paganelli. Siamo nella Milano dell’Expo, alla vigilia di Natale. Un broker viene assassinato e il commissario Margot Blanchard, donna tutta da declinare al superlativo, a partire da bellissima, si ritrova man mano immersa in una storia torbida, che va oltre la finanza, i soldi liquidi e le perdite in borsa, come possibile movente del delitto. Racconta di donne violate, connivenze e abusi di potere che riporteranno il commissario Blanchard a fare i conti con un passato personale doloroso, sotterrato per anni in un armadio insieme alle foto e le lettere che ne danno contezza ma che ora è chiamata ad affrontare, per sé e per non perdere gli affetti più cari. Lo consiglio.

Su Il cuoco dell’Alcyon ho qualche remora. Il testo nasce come sceneggiatura per una coproduzione italo americana e si vede, nonostante Camilleri abbia rivisto la scrittura per darle la dimensione del romanzo, Il Maestro ci consegna però un Montalbano diverso da quello che conosciamo e a mio avviso poco credibile. I temi sono quelli cari a Camilleri, a partire dal malaffare ai più alti livelli, che si incontra su una barca a vela e che un duo quasi comico, Montalbano Fazio, è chiamato a sgominare in appoggio all’FBI. Ho letto recensioni molto positive su quest’ultimo Montalbano, con argomentazioni peraltro condivisibili, per esempio le riflessioni sulla società attuale, nel caso specifico il mondo del lavoro, che sempre contraddistinguono i romanzi di Camilleri. Ferma restando la scrittura magnetica e le contaminazioni tra giallo e spy story continuo però a non essere convinto e a preferire il vecchio Commissario.

Chiudo con Farinetti che ha da sempre abituato a trame solide e coinvolgenti, immerse nei profumi e nelle atmosfere piemontesi – nello specifico  delle Langhe - e che a quattro anni dall’ultimo romanzo ci consegna questo La Bella Sconosciuta, che devo confessare mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca. Nel libro ci sono più o meno tutti i personaggi farinettiani, sempre ben disegnati e caratterizzati con precisione e ironia, ci sono come detto le Langhe e i suoi paesaggi, c’è la storia - il morto che più o meno tutti avrebbero potuto ammazzare e un colpevole che non ti aspetti – ma. Personalmente non mi convince la parte, chiamiamola così, sociale, sempre presente anche in Farinetti. Nel caso specifico un tema delicato e tuttora sensibile come il cambio di sesso, che comporta un percorso interiore e di accettazione e che qui finisce per risultare una provocazione e una punizione – vendetta? – verso un certo conformismo borghese.

domenica 27 ottobre 2019

La confusione morale


L’impianto è quello del giallo. C’è un morto ammazzato, un geometra del comune di Milano iscritto al PCI. Ma La confusione morale è un libro politico. Lodovico Festa è stato un funzionario del partito comunista milanese, ne conosceva l’ambiente, le dinamiche, l’impronta burocratica quasi militaresca e come  nel precedente La provvidenza rossa gli viene naturale parlare di quegli anni per darne una lettura e un’analisi storica – e politica – più ragionata e obiettiva. Siamo nel 1984, Berlinguer è appena morto lasciando un vuoto e probabilmente una confusione morale nei suoi eredi. Al governo c’è Bettino Craxi. Milano è guidata da una giunta di sinistra con socialisti e comunisti. Iniziano a farsi strada figure imprenditoriali che contribuiranno a modificare il tessuto sociale ed economico del Paese. La trasformazione urbanistica del territorio milanese è legata a doppio filo a costruttori chiacchierati. In questo contesto matura l’omicidio. Un omicidio che, si capisce sin da subito, diventa un fatto marginale o di contorno rispetto alle implicazioni politiche che potrebbero derivare se la morte del geometra fosse in qualche modo legata al Piano case del Comune, cosa che non dispiacerebbe a Botteghe Oscure. E qui si sviluppa l’inchiesta di Mario Cavenaghi, il presidente dei probiviri lombardi, una sorta di polizia interna, che cerca di dirimere tutte le questioni spinose, a salvaguardia del partito. Cavenaghi non cede alla facile e comoda ricostruzione che ha l’obiettivo di screditare Craxi sacrificando al contempo il governo del capoluogo lombardo. L’indagine è anzi un’occasione per rivedere alcune posizioni. Il mondo stava cambiando e il PCI sbagliava – sostiene Festa – a leggerlo e giudicarlo con logiche e schemi superati. Forse, fa dire l’autore ad alcuni protagonisti, valeva la pena prendere in considerazione alcune idee lungimiranti di Bettino Craxi e aprire un dialogo diverso con il PSI. I destini della Prima Repubblica sarebbero stati diversi, non solo perché affidare alla magistratura la surroga della politica comporta la morte di quest’ultima, ma anche perché la storia successiva dell’Italia sarebbe stata diversa, sia a sinistra che soprattutto a destra. La confusione morale è un bel libro ed è una lettura interessante per chi ha vissuto quegli anni, magari un po’ macchinosa: l’autore la scrive volutamente con la lentezza tipica delle meditazioni, dei dubbi e delle ricostruzioni di un burocrate del partito comunista, ma quando si entra nella narrazione la sostanza compensa lo sforzo.

venerdì 25 ottobre 2019

Il Codice dei Cavalieri di Cristo


C’è il cadavere di un uomo sul monte Pellegrino a Palermo, la gola tagliata e degli strani segni sul petto. A dare l’allarme è Julien Brunner, docente di Geoscienze dell’Università di Losanna, che rilascia la sua deposizione, poi esce dalla Questura e sparisce nel nulla. Il giorno successivo altri due cadaveri, a Cefalù: un uomo e una donna, appartenenti ad una setta esoterica, gli stessi segni sul petto, che si scoprirà poi essere simboli di un alfabeto antichissimo, l’enochiano. Quando gli inquirenti cercano di rintracciare Brunner per capirne di più, scoprono che il professore, di origine portoghese, è in realtà morto il giorno prima di comparire vivo e vegeto sul monte siciliano. Inizia così la nuova indagine del vicequestore Giovanni Barraco, capo della Mobile di Palermo. Un caso che lo porta a Lisbona ad indagare dapprima in un convento – il primo morto era un frate – e poi indietro nel tempo nell’Ordine dei Cavalieri di Cristo, che nella capitale portoghese viene tenuto in vita dai discendente diretti appartenenti alla nobiltà locale, in teoria con l’obiettivo statutario di fare opere di bene, in realtà non tutti in quel consesso la pensano allo stesso modo. Ci saranno altri morti, a partire proprio da uno di questi Cavalieri, in un susseguirsi di colpi di scena orchestrati con maestria e abilità da Carmelo Nicolosi, che vedono il suo Barraco impegnato in una delicatissima partita a scacchi, dove ad ogni mossa si rischia il matto (o il morto): il vicequestore non solo deve sciogliere la matassa sempre più ingarbugliata di un caso internazionale - anche la mafia marsigliese entrerà nel gioco e la storia si intreccerà con un'altra vicenda: il traffico illegale di gioielli dal Congo - ma è costretto a guardarsi le spalle perché nella polizia portoghese c’è chi potrebbe fare il doppio gioco. Per venirne a capo Giovanni Barraco può contare solo sui suoi uomini a Palermo, su Gisella Bruno, che lo raggiungerà a Lisbona, sul tenente Celia Moreira, avvenente collega con la quale nascerà qualcosa di più della semplice colleganza e Paulo Mafra, agente della polizia locale. Barraco alla fine troverà il colpevole, il burattinaio di tutti i morti ammazzati – e sono tanti - ma la cosa interessante è che fino alle ultime pagine non si riesce a capire chi è e perché. E quello che mi sento di dire è che anche il mio amico Carmelo credo l’abbia deciso solo agli ultimi 300 metri. Come in una gara di ciclismo ha portato sul rettilineo finale i 4-5 velocisti più forti, nel nostro caso i papabili colpevoli, e alla fine ne ha scelto uno. Al fotofinish. Inutile dire che lo consiglio.

giovedì 24 ottobre 2019

Non c'è stata nessuna battaglia



Romolo Bugaro, avvocato padovano della mia generazione, l’ho scoperto per caso più di 20 anni fa mentre vagavo per la città del Santo. Presentava ad una festa del libro il suo primo romanzo La brava e buona gente della nazione, finalista del Campiello. Poi l’ho perso di vista. Lo scorso anno ho letto Ragazze del Nordest; Bea vita. Crudo Nordest e Effetto domino. Adesso questo Non c’è stata nessuna battaglia. Le storie di Bugaro sono vere, crude, te le senti addosso: sono quelle della provincia, dove le dinamiche sono uguali ovunque e il disagio è un profumo indelebile sulla pelle. Le amicizie, i bar, i motorini truccati, le compagnie, gli amori, i riti di iniziazione. Qui al centro del racconto, in un flash back amaro e doloroso, ci sono le vite di 5 amici, 4 ragazzi e una ragazza – il vecchio Andrea, Nick The Best One, GMT, Tod e la Canova - le loro ambizioni, le speranze, i tormenti. C’è il mondo dei 15enni della fine degli anni 70, che, come tutti, vivono il per sempre ma finiscono per perdersi, a volte senza volerlo, disegnando una realtà altra, che per qualcuno è un buco nero dal quale non riesce più ad uscire, per altri una nuova possibilità, o forse solo un ripiego. Sullo sfondo, anche se non espresso, c’è quello che avrebbe potuto essere,  che per due dei protagonisti viene riportato a galla dopo 30 anni. Una trasmissione vista in tv e una mail inaspettata, fanno tracimare un fiume di malinconia,  mai verbalizzata, mai elaborata, di una giornata in particolare, da dove tutto è iniziato ed ha finito per segnare i loro destini. Romolo Bugaro è indubbiamente bravo, esce tra l’altro dalla “scuola” di Pier Vittorio Tondelli (Altri libertini; Pao Pao, Rimini; Camere separate), altro autore che mi sento di consigliare.  Chi come me ha superato i 50 ed è nato e vissuto per anni in provincia, può trovare in Non c’è stata nessuna battaglia un po’ della propria adolescenza.


mercoledì 23 ottobre 2019

Lavoro a mano armata


Pierre Lemaitre è un maestro assoluto e “Lavoro a mano armata” è uno dei noir più belli che ho letto. Il tema di fondo è il lavoro: necessario, importante, fondamentale, la vera ragione di vita di ogni essere umano, tanto che quando non c’è più, per tutta una serie di ragioni, nel caso specifico per una ristrutturazione aziendale, anche un uomo come Alain Delambre - colto, sensibile e integerrimo – è disposto ad armarsi per riconquistare quella dimensione personale e sociale che solo il posto fisso sembra dare. La cosa straordinaria di questo romanzo è che cambia registro almeno 4 volte e la storia prende forma su altri percorsi. Alain Delambre ha cinquantasette anni, una moglie e due figlie ormai adulte. Una vita passata a lavorare come responsabile delle risorse umane. Poi la crisi, il licenziamento, la disoccupazione. Si adatta per un po’ a quello che gli viene proposto dall’ufficio collocamento, scivolando però sempre di più nella depressione. Poi, inaspettata, la seconda chance, quella che può ridare un senso a tutto. Per essere assunto Alain deve  superare un test. Deve partecipare da osservatore ad un gioco di ruolo: un finto sequestro di persona, organizzato per mettere alla prova i quadri di una grande azienda. Un’assurdità? Forse. Sua moglie infatti non è d’accordo, ma il signor Delambre non vuole diventare l'ennesima vittima della crisi, vuole lavorare e il lavoro è pronto a prenderselo, se necessario, anche a mano armata. Non rivelo ovviamente il finale. Dico solo che Alain Delambre da osservatore diventa sequestratore vero dei partecipanti al gioco, che viene fermato e arrestato. E che a quel punto inizia un’altra storia. Quella vera.