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mercoledì 7 dicembre 2011

Pantalone

Il mantra del governo è stato: sacrifici per tutti, ma non avevamo altra scelta, pena il fallimento del Paese. Il messaggio che è passato è stato: sacrifici per tutti, non avevamo altra scelta, pena il fallimento del paese. La percezione dell’uomo della strada: sacrifici per tutti (anche se per qualcuno un po’ di più), probabilmente non avevano altra scelta, il rischio era di finire come la Grecia. Un esempio di comunicazione ben riuscita.


Alcune considerazioni, senza entrare nel merito di tutte le voci. 1) E’ bastato passare da un governo presieduto da Alvaro Vitali ad un esecutivo di persone competenti e perbene, che danno cioè l’idea di essere migliori di noi e non uguali, come a mio avviso dovrebbe sempre essere, per far digerire una manovra che colpisce pesantemente pensionati e lavoratori, come meglio non avrebbe potuto fare un qualsiasi governo di destra. 2) Finché non è con le spalle al muro e non ha una via d’uscita, anche farlocca, l’Italia fa finta di nulla, l’ultimo esempio eclatante è stato Tangentopoli, ma ce ne sono molti altri nella storia recente. 3) E’ vero che l’esecutivo presieduto dal professor Monti probabilmente non poteva fare altrimenti. O forse sarebbe meglio dire, non poteva muoversi diversamente: per avere i voti in parlamento ha dovuto e deve tener conto delle istanze di pdl, pd e terzo polo, che a loro volta devono mediare con il loro elettorato di riferimento per salvaguardarsi in vista delle prossime elezioni. 4) Alla fine a risentire della manovra saranno i più poveri, che si ritroveranno ad essere quasi miserabili. 5) Le pensioni che subiscono il blocco dell’indicizzazione sono quelle dei nostri genitori che con quei soldi non solo ci campano ma aiutano i figli o i nipoti precari a sbarcare il lunario. 6) In un momento in cui si chiedono sacrifici a tutti è difficile accettare che venga toccata, per dire, la pensione di mia mamma, che ha lavorato 35 anni in fabbrica e con il poco che prende da ancora una mano a mia sorella, e non quella di chi si mette in tasca 10 mila euro al mese. Non è demagogia: 200 euro su una pensione di 1200 vuol dire rinunciare a mangiare la carne, 2000 euro su una di 10 mila significherebbe rinunciare a niente di superfluo. 7) Non risultano tagli alla difesa: abbiamo comprato fino all’altro ieri aerei da guerra, abbiamo un numero di generali di corpo d’armata doppi rispetto ai corpi d’armata. E siamo un paese che, secondo Costituzione, ripudia la guerra. 8) Mi hanno molto colpito due stralci di lettera pubblicate ieri da Repubblica: la prima era di un lavoratore nato nel 1952: con le vecchie regole era arrivato ad un anno dalla pensione, oggi si ritrova a dover lavorarne altri sette e comunque, arrivato ai 42 anni di contributi se ne dovrà andare con una penalizzazione del 3% perché avrà meno dei 63 anni previsti per ritirarsi. La seconda invitava, in un momento di così grave crisi, a chiedere anche alla Chiesa di contribuire, pagando per esempio l’Ici sugli immobili non di culto e sui quali fa cassa. 9) E finisco. Un altro grande tema, che il prof. Monti avrebbe considerato se avesse veramente avuto mani libere, è quello delle frequenze televisive che Berlusconi si è autoregalato senza metterle a gara. Frequenze che valgono 16 miliardi, metà della manovra. Mi fa piacere che Repubblica lo ricordi oggi in un editoriale.


PS. Chi ha portato il paese sull’orlo del baratro dovrebbe avere quantomeno più pudore nelle dichiarazioni. E non mi riferisco alla Lega che ormai è un caso psichiatrico. Chi non paga le tasse è un criminale e andrebbe perseguito come tale, 41 bis compreso.

martedì 22 novembre 2011

C'è il Cav, toccatevi i cabasisi

Che il clima sia cambiato lo si vede dai dettagli, che poi tanto dettagli non sono. Vi ricordate B quando ancora pochi mesi fa, già in piena crisi, cercava di spiegare a mister Obama che il problema dell'Italia era la magistratura politicizzata e il presidente degli Stati Uniti un po' lo guardava basito e un po' cervava con gli occhi un possibile appiglio, anche un testimone di Geova spacciatore di torri di guardia, pur di levarselo dai coglioni? O i sorrisi della Merkel e di Sarkozy? La penosa solitudine di B, evitato da tutti i leader dell'Ue come fosse un menagramo? Oppure, ancora, l'imbarazzante questua di un incontro - anche 5 minuti, 2, 1 -con Barroso e Van Rompuy a Strasburgo pur di evitare di andare a Milano dai giudici ad uno dei suoi tanti processi? Mario Monti oggi a Bruxelles ha incontrato proprio Barroso e Van Rompuy, presidenti di commissione e consiglio europeo. Giovedì sarà a Strasburgo per un vertice con il presidente francese e la cancelliera tedesca. Nulla di straordinario, ci sta: l'Italia deve dar conto all'europa di cosa sta facendo per non fallire e il premier va a riferire. Un po' meno ci sta la telefonata di Juncker, presidente dell'Eurogruppo e di Buzek, presidente del parlamento di Strasburgo, per esprimere fiducia al nuovo esecutivo. Ancora meno la telefonata di Obama, che non solo ha riferito a Monti dell'altrettanto piena fiducia del governo degli Stati Uniti ma lo ha invitato alla Casa Bianca, magari prima di Natale. Monti pare abbia ringraziato e chiesto di rinviare il faccia a faccia al nuovo anno, perchè adesso deve concentrarsi sulle misure economiche necessarie all'Italia. Ieri intanto anche Forrest Bossi ha declinato l'invito ad Arcore di B, ponendo fine alla consuetudine delle cene del lunedì. Come scrive Filippo Ceccarelli: "l'asse del Nord è irrimediabilmente consumata; e anche per quanto riguarda i simboli del potere è arrivato il momento di sparecchiare, non solo la tavola da pranzo".

giovedì 17 novembre 2011

God save....

Il governo dei professori, economisti e banchieri, che oggi chiede la fiducia al Senato, è probabilmente l’unica possibilità che abbiamo per uscire da una situazione disperata. E ha sicuramente ragione chi sottolinea che è bastata l’uscita di scena di B e del suo circo barnum per respirare un clima diverso, dove la riflessione e la sobrietà hanno preso il posto delle urla e degli insulti. Rimane però il dato sconfortante che a perdere in tutto ciò è stata la politica rappresentativa: commissariata per manifesta incapacità, invitata a farsi da parte (ma non dallo stipendio), pregata di non ostacolare il lavoro del manovratore e di adoperarsi perlomeno per far digerire ai propri iscritti ed elettori eventuali provvedimenti impopolari ma necessari per evitare il default. Il prof. Monti, chiamato al capezzale di un malato quasi terminale, ha scelto un esecutivo di professionisti, a giudizio unanime di altissimo profilo: quasi tutti cattolici, quasi tutti ricchi e, nota di merito, sconosciuti al pubblico televisivo. Un esecutivo che piace all’Europa. E piace alla Chiesa. Altra notizia, solo apparentemente di costume, di cui conosceremo il peso probabilmente tra qualche mese, così come tra qualche mese capiremo il senso del titolo del Manifesto. Ieri, giorno del trasloco di Berlusconi da Palazzo Chigi, si è conclusa la diaspora dc: tutti gli ex esponenti di quella che fu la balena bianca, confluiti poi nei vari poli, partiti, movimenti, assemblee condominiali, si sono ritrovati, tra baci e abbracci, in occasione della mostra sull'orgoglio democristiano. Si sono rivisti anche Forlani, De Mita, Colombo, Mancino. Staremo a vedere.

lunedì 14 novembre 2011

Adieu

Giusto per ristabilire un po’ di verità. Non è vero che le dimissioni sono stato un atto generoso : B. non aveva alternative, stretto dalla morsa dell’Europa, del Quirinale, senza più una maggioranza e soprattutto con le sue aziende a rischio per la crisi economica. Così come non è vero che non gli è mai venuta meno la fiducia del Parlamento. Il Rendiconto generale dello Stato, un atto fondamentale senza la cui approvazione non si può approvare né la legge di Bilancio né la Finanziaria, è passato solo perché le opposizioni e i transfughi del pdl si sono astenuti. Il risultato della conta ha detto che la compagine governativa contava alla Camera di 308 voti contro 321, otto quindi in meno della maggioranza assoluta. La caduta di questo governo è avvenuta quindi in Parlamento ed è stato un evento politico a determinarla. B sapeva altrettanto bene che la strada delle elezioni anticipate, chieste dalla Lega e dai falchi della sua coalizione, non era percorribile. Prima di tutto per il bene delle sue aziende. Due mesi minimo di vuoto avrebbero dato modo agli speculatori di mangiarsi il Paese - lo stesso che il grande statista dice di amare, dove ha le sue radici, le sue speranze, i suoi orizzonti e amenità varie ricordo del videomessaggio della discesa in campo - facendolo passare alla storia come il premier del default. In secondo luogo andare al voto con l’attuale legge elettorale avrebbe significato una sicura paralisi istituzionale per l’impossibilità di avere una maggioranza al Senato.

L’indignazione per le manifestazioni di giubilo della piazza, stigmatizzate con sdegno da B e dal segretario del pdl Alfano, è del tutto fuori luogo. Avrebbero fatto più bella figura a starsene zitti e a chiedersi il perché di una festa popolare, che di solito si vede solamente alla caduta dei dittatori, Saddam e Gheddafi gli ultimi della lista. Anche George Bush tempo fa si stupì che da un sondaggio l’America fosse risultata il paese più odiato del mondo. Andare a fare la guerra in giro per il mondo di solito non ti fa proprio ben volere. Lo stesso il nostro: portare un paese sull’orlo del baratro, negando peraltro pervicacemente la crisi, l’ultima volta pochi giorni fa (ristoranti e aerei sono sempre pieni: commento da bar e non da primo ministro responsabile), non aiuta di certo ad accreditarti fiducia.

Quello che mi sembra scontato è che qualcuno, e non certamente il centro sinistra, ha deciso che era arrivato il momento del game over, della fine politica del cavaliere e del suo sodale in camicia verde. Entrambi (forse) proveranno a rialzare la testa, ma credo che saranno più che altro spasmi post mortem. Anche se non aveva alternative, il cavaliere avrà sicuramente trattato la resa ed è presumibile che, anche per età (e per pietà), non lo vedremo più candidato premier. Con lui finisce quindi questa farsa della seconda repubblica e in questi mesi assisteremo allo smottamento del truman show, con la scomparsa di tutta la pletora di segretari personali, avvocati, troie e vario circo barnum che si è portato in Parlamento. Forrest Bossi si illude invece di uscire dall’angolo resettando anni di servilismo, incompreso persino dalla base, ritirandosi in padania e sparando a zero contro un governo che, si spera, risolverà i danni fatti anche dal suo partito. La fronda interna lo costringerà presumibilmente a ritirarsi a Gemonio e a godersi la pensione. Il suo allontanamento è forse l’unica possibilità per la lega di non scomparire. Personalmente credo che il redde rationem sia arrivato anche per l’opposizione. Come si fa a dare credibilità ad una classe dirigente che in 20 anni non è stata in grado di archiviare Berlusconi e il berlusconismo con le ragioni della politica, ma l’ha addirittura alimentato e risollevato quando sembrava morto? Per chiudere: era necessario arrivare fino a questo punto? Sì, era necessario, perché l’Italia e gli italiani non sono in grado di avere un sussulto di dignità, fino a quando eventi eccezionali esterni non li costringono, o meglio, li guidano, a voltare pagina.

mercoledì 9 novembre 2011

The end, maybe

La voglia di festeggiare è, umanamente, irrefrenabile. Un po’ come l’orso Baloo quando sente la musica. Poi fai due calcoli e pensi: con B. – l’abbiamo imparato in questi anni – meglio non cantare vittoria troppo presto. Del resto le dimissioni le ha solo annunciate, primo caso al mondo di persona che riesce a non dimettersi anche quando si dimette. Chi lo conosce bene lo sa. Non a caso Il Futurista, quotidiano online vicino al presidente della Camera Fini, scrive:  “Al Caimano mai lasciare tempo, spazio e soldi. L’esperienza insegna”. Gli ex amici arrivano addirittura a chiedersi, evidentemente con cognizione di causa: “Non è che la legge di stabilità in realtà nasconda il compromesso finale, il famoso salvacondotto per Silvio Berlusconi?”. Il timore è cioè quello di un inserimento “di emendamenti ad personam finalizzati a tutelare il patrimonio di Silvio”. Il conflitto d’interessi, ancora una volta. “Bisogna vigilare – ammonisce il Futurista -  Berlusconi sta trattando la sua resa, ovvero la sua personale tutela. Anche un anno fa quel tempo supplementare che fu concesso dalle opposizioni proprio per votare la legge finanziaria, permise a Berlusconi l’acquisto dei responsabili”. Non è ancora finita.

mercoledì 26 ottobre 2011

In undici righe

Per chi si fosse distratto o arrivasse da Marte, in undici righe Michele Serra riassume 17 anni di politica italiana. 

L' AMACA


25 ottobre 2011 — pagina 46 sezione: COMMENTI

Certo che duole, la risatina franco-tedesca di scherno all' indirizzo del nostro (ridicolo) capo del governo. Ma ce la siamo meritata, no? Come italiani, voglio dire, come comunità di persone che non è stata in grado, in quasi vent' anni, prima di evitare e poi di far cessare una tragica farsa che si configurava esattamente tale già in partenza, con tutto quel cerone, quelle promesse assurde, quelle smargiassate da guitto, quella ricchezza smodata, quel reclutamento di mediocri purché obbedienti. E se per questo fallimento storico portiamo tutti almeno una briciola di colpa, l' onorevole Casini, che oggi fa le sue rimostranze da italiano offeso e reclama maggiore rispetto per il nostro Paese, ha invece colpe grandi come una montagna. Insieme a coloro che per anni hanno appoggiato Berlusconi per trarne vantaggi politici e visibilità personale. Non bisognava essere dei geni, e neanche essere di sinistra, per intuire il calibro di quell' uomo e la precarietà di quell' avventura. Se oggi il mondo ride di noi, l' onorevole Casini e l' intero novero degli alleati di Berlusconi, per primi i tanti confindustriali oggi preoccupati ma ieri plaudenti, devono considerarsi, a buon diritto, cointestatari di quelle risate. Ne hanno il diritto, se le sono conquistate sul campo. MICHELE SERRA

venerdì 14 ottobre 2011

Io sto con Fede

La mia professione di fede non è riferita al vecchio sensale del premier ma all’algida Pellegrini, campionessa di Spinea, una delle poche italiane vincenti, che ha dichiarato preventivamente, in caso qualcuno glielo volesse proporre, che lei non intende fare da portabandiera alla cerimonia d’apertura delle prossime Olimpiadi di Londra.  Il giorno dopo l’evento, la Fede dovrà già scendere in acqua e le troppe ore in piedi durante l’inutile passerella potrebbero influire negativamente sulle sue prestazioni. Apriti cielo. A stretto giro è arrivata la replica del presidente del Coni, Gianni Petrucci, replica invero doverosa dal punto di vista istituzionale, seguita da qualche intervento di atleti, ex atleti, presunti atleti, ecc. ecc. Ora, il primo obiettivo di uno sportivo che partecipa ad una competizione, soprattutto se così prestigiosa come un’Olimpiade,  è quello di vincere. Si prepara per anni all’appuntamento:  giorni di allenamento per mettere nelle gambe fondo e velocità, per migliorare i particolari, superare le difficoltà, le ansie, vincere le paure, conquistare quell’equilibrio psicofisico in grado di garantire la prestazione. Se Federica Pellegrini ritiene che qualcosa o qualcuno, dal vedere la foto di Petrucci a portare la bandiera alla cerimonia, possa interferire con questo obiettivo, è giusto che lo dica. La bandiera la può portare qualcuno che si sa sin d’ora concluderà la sua esperienza olimpica alle batterie di qualificazione. Almeno potrà raccontare ai nipoti di aver avuto l’onore di rappresentare l’Italia in mondovisione. Domani nessuno si ricorderà di chi ha vinto l’argento o il bronzo in una qualsiasi gara, figuriamoci di chi ha portato la bandiera. Certo, siccome siamo un paese meschino, rancoroso e vendicativo, se Federica Pellegrini dovesse per un qualsiasi motivo non salire sul gradino più alto del podio, le verrà rinfacciata la storia della bandiera e bla bla bla, dimenticando di tutto quello fatto finora. Ma credo che, ad oggi, per impedirle di vincere bisognerebbe spararle.

giovedì 6 ottobre 2011

Il partito della figa

Secondo lui si aderisce ad un partito non per una condivisione, prima di tutto ideale, ma per una questione di nome, di marketing, insomma. Mi piace, non mi piace; bello, brutto; buono, cattivo; cacca, fame, nanna. Annusiamoci il culo come i cani e siamo a bolla. L’involuzione della specie. La caduta libera del pdl non è quindi dovuta al malgoverno e agli annessi e connessi, ma al marchio. Che non è più nel cuore della gente, per dirla con le sue parole. Quindi?. Quindi si accettano suggerimenti e in ogni caso farà fare dei sondaggi. Fin qui, onestamente nulla di nuovo. Il modello che Berlusconi propone da sempre è questo, perché dovrebbe cambiarlo ora? Nemmeno il baratro sul quale siamo in bilico, è evidente, lo smuove dal suo delirio e i suoi figuranti con lui. Quello che è inaccettabile, ancora di più oggi, è il patetico buttare tutto in vacca, da piacione di paese, che da di gomito, racconta barzelletta a cui tutti ridono per pietà pensando che coglione: “Mi dicono che il nome che avrebbe maggiore successo è Forza Gnocca". Mentre il capo del governo discettava di figa, a Barletta erano in corso i funerali di 5 giovani donne morte per il crollo della palazzina dove lavoravano in nero per 4 euro l’ora.

domenica 25 settembre 2011

Applausi

La storia è realmente accaduta quest'estate. A raccontarmela è un'amica e collega. Siamo in un piccolo paese di villeggiatura sulle colline veronesi. Paese che un tempo si sarebbe definito bianco. Oggi enclave berlusconiana. L'annotazione non è di maniera e il senso lo si capirà alla fine. Domenica mattina, all'ora della messa. La chiesa è come al solito piena di fedeli. Quel giorno a celebrare non è il parroco ma un anziano missionario, nativo del posto, che periodicamente torna dall'Africa a respirare un po' d'aria di casa. Espletate le formule di rito, il missionario inizia a parlare e ai presenti racconta della sua realtà quotidiana. Poi di come dalla Guinea Bissau, grazie a internet, vede l'Italia. E quello che legge in rete non gli piace. Non tanto per lui, che ormai è vecchio e lontano. Ma per loro. Il suo ragionamento è semplice. Così come sono chiare e forti le parole, ingentilite solo dalla erre arrotata e dal sorriso. C'è una classe politica che vi sta rubando il futuro: dovete ribellarvi, non potete subire in silenzio. I missionari, si sa, fanno parte della chiesa di roma solo per statuto. Sono anime candide. Probabilmente è quello che li salva dall'orrore con cui spesso sono costretti a convivere. Il parroco invece è visibilmente imbarazzato. I suoi di interventi dal pulpito sono solitamente di senso contrario. Il miracolo arriva però al termine della predica. Una cosa mai vista, mi dice la mia amica. Che non si fa, per il rispetto dovuto al luogo sacro. Quando il missionario smette di parlare, parte spontaneo e contagioso l'applauso.

Lo strano silenzio della Chiesa

mercoledì 21 settembre 2011

La Papi tax

Secondo Nouriel Roubini, il solo annuncio delle dimissioni di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi porterebbe a ridurre lo spread fra i btp e i bund tedeschi decennali fra i 50 e i 100 punti base, in modo permanente. Prendiamo il livello più basso di questa forchetta di valori. A regime implica risparmi della spesa per interessi sul debito di più di mezzo punto di pil. Verrebbero ottenuti gradualmente man mano che i titoli vanno a scadenza e vengono rinnovati con nuove emissioni. Circa due miliardi in meno nel primo anno, poi 3,5 nel secondo anno fino a raggiungere8 miliardi nell' arco di 7-8 anni. Non so come Nouriel Roubini sia arrivato a questa stima, ma so che ha frequenti contatti con gestori di hedge funds, fondi pensione e fondi comuni di investimento e con loro discute scelte macroeconomiche di portafoglio, su quali Paesi investire e quanto investire. Alcuni studi hanno provato a quantificare gli effetti degli annunci degli scandali sessuali del premier sui rendimenti dei nostri titoli di stato trovando che questi hanno contribuito ad allargare lo spread in modo statisticamente significativo.

La Repubblica

Nouriel Roubini

lunedì 19 settembre 2011

Vergognati Giovanardi

Perché esiste Giovanardi? Perché un uomo così siede da un milione di anni in Parlamento, a volte anche con incarichi di governo? Passi - ma anche no, è ora di smetterla di giustificare dichiarazioni ridicole e fuori luogo: Giovanardi non è un comico, o perlomeno non dovrebbe esserlo – passi, dicevo, che se la prenda con Madonna (nel senso della cantante/attrice/regista, non della Vergine), chiedendo di boicottarne il film presentato alla mostra di Venezia, perché la suddetta avrebbe espresso giudizi poco lusinghieri sul presidente del consiglio. Non ha il senso della famiglia avrebbe detto Giovanardi, come se il suo padrone fosse un esempio di virtù. Non contento ha quindi aggiunto: “Il pensiero politico di Madonna su Berlusconi non conta nulla. Gli italiani sanno che è una supermiliardaria e non è che la gente si lasci irretire da questi satrapi ricchi e viziati". Poi finalmente l’hanno spento, per pietà. Ma del resto si sa che Giovanardi quando apre bocca fa più danni di qualsiasi intercettazione. Passi, dicevo, (ma anche no), l’uscita infelice sulla signora Ciccone. Tanto più che Madonna non leggerà mai le dichiarazioni di Giovanardi - who is? - e se mai lo facesse le basterebbe fare una ricerca su google immagini per capire tante cose di quest’uomo, e, purtroppo, anche dell’Italia. Quello che è intollerabile è che Giovanardi intervenga sulla decisione del giudice monocratico di Palermo di accordare 100 milioni di euro di risarcimento ai parenti delle vittime della strage di Ustica, condannando al pagamento i ministeri della difesa e dei trasporti, per “omissioni, negligenze e depistaggi”: i ministeri non prevennero cioè il disastro e poi impedirono l’accertamento dei fatti. Giovanardi, dall’alto del suo sottosegretariato al leccaggio di culo, ha fatto sapere che lo Stato ricorrerà contro la sentenza, sostenendo la tesi della bomba a bordo, cancellando trent’anni di vergogna, di registrazioni manomesse, sparizioni di tracciati radar, registri bruciati, morti misteriose di militari che sapevano e potevano parlare, di intimidazioni a giudici e periti. Tutti fatti accertati e incomprensibili se la causa fosse stata davvero una bomba. La realtà è che, con ogni probabilità, quella notte del 27 giugno 1980 sui cieli di Ustica c’era in atto una guerra e un missile è sfuggito al controllo dei contendenti andando a colpire il DC 9 Itavia con 81 passeggeri a bordo: 69 adulti e 12 bambini che tornavano a casa o andavano in vacanza. 81 famiglie che non hanno ancora avuto una verità perché è una verità che l’Italia non ha il coraggio o il potere di dire. 81 famiglie a cui oggi il ministro della famiglia vuole negare un risarcimento dovuto, non foss’altro per vergogna.


Il Fatto Quotidiano

Il Fatto Quotidiano

Il Fatto Quotidiano

Il Muro di gomma

martedì 13 settembre 2011

Angelino, anche meno

Angelino, anche meno. Prima ha detto che dopo Berlusconi ci sarà solo Berlusconi, e la lega (ma non solo) non l’ha presa benissimo. Poi, che chi non vuole giocare per vincere si può accomodare a bordo campo, rispondendo ai malpancisti interni che hanno già sentito puzza di cadavere e, in ragione della loro storia personale e con le conseguenti modalità, si stanno dando da fare per sganciarsi in tempo. Il cavaliere è politicamente morto, lo sanno tutti anche all’interno del centrodestra, probabilmente ne è consapevole  lo stesso coro plaudente, solo che nessuno ha il coraggio di dirglielo. A parte Letta e Confalonieri, gli amici di una vita, gli unici al di sopra di ogni sospetto di tradimento, che pare gli abbiano consigliato di trattare una exit strategy: per amor di patria, del futuro del pdl e della sua roba. Per questo, Angelino, anche meno, se vuoi trovare legittimazione come il leader (o uno dei leader) del dopo: perché il dopo ci sarà, Angelino, rassegnati.  A meno che tanta foga è dovuta alla consapevolezza – ammessa dallo stesso Alfano rispondendo a chi gli suggeriva di pensare al proprio futuro politico - che dopo Berlusconi nessuno di loro ci sarà più. 

venerdì 9 settembre 2011

Viaggio premio

Sono due giorni che le prime tre carrozze del mio treno per Verona sono chiuse. Mi piace pensare che sia l'omaggio di Trenitalia per i lunghi anni di onorato servizio: un viaggio premio prima della rottamazione senza il peso di passeggeri spesso molesti e a volte maleodoranti.

mercoledì 7 settembre 2011

Nemmeno un sottosegretario per Mino

Ieri Brescia ha reso omaggio all'ex sindaco Mino Martinazzoli, l’ultimo segretario della democrazia cristiana, traghettatore di quel che rimaneva dello scudo crociato, dopo l’uragano di tangentopoli, nel partito popolare. Nelle navate del Duomo, tra le migliaia di semplici cittadini, c’erano, in ordine sparso, alcuni dei compagni di viaggio di un tempo: Rosy Bindi e Casini, Enrico Letta, Franceschini, Follini, Castagnetti. C'era il segretario del Pd Bersani. I servizi e i televideo delle televisioni locali ieri sera sottolineavano la totale assenza del governo al funerale di un uomo che è stato tre volte ministro ed ha sempre onorato e rispettato le istituzioni. Nemmeno un sottosegretario ha sentito il dovere di chinare la testa di fronte al feretro di un uomo che, per giudizio unanime, era considerato tra i pochi politici onesti e specchiati. Ecco, appunto, onesti e specchiati.

sabato 3 settembre 2011

Qualcos(in)a di sinistra

Credo ancora nella politica come un processo di costruzione dialettica del consenso intorno a un'idea. Credo anche che per offrire un contributo al paese si debba studiare tanto, iniziare dalla gavetta ed impegnarsi a fondo: per questo non sono contrario ai professionisti e temo come la peste i tanti 'prestati' dalla società civile, idea che poteva avere anche un senso nel post tangentopoli ma che è sevita solo ad aprire le porte dei palazzi a piccoli ras di quartiere, imbarazzanti più di Cetto Laqualunque, e a troie d'alto bordo. Detto questo e premesso che non mi è simpatico, Mattero Renzi ha ragione.

venerdì 2 settembre 2011

Abazo la squola

Ci sono piccole storie che passano via come l’acqua ma che invece sono  emblematiche della civiltà di un paese  e della sua percezione del diritto. Leggevo ieri sugli online di diversi quotidiani di questa insegnante siciliana di educazione artistica che a 63 anni, e dopo 37 di precariato in tour per le scuole dell’isola, ha finalmente ottenuto la nomina di ruolo. La signora ha accolto la notizia in lacrime dicendo di considerarsi comunque fortunata, visto il periodo di crisi e bla bla bla. Ora, ognuno è libero di reagire come crede e quindi assoluto rispetto per i sentimenti di tutti, resta il fatto che alla signora in questione questo Stato ha negato per tutta la vita un diritto acquisito. E la titolarità della cattedra a due anni dalla pensione risulta più una beffa che altro. Certo, nell’euforia per il traguardo tanto atteso, forse non si può pretendere (anche se sarebbe auspicabile) che uno si metta a puntualizzare, quello che mi fa specie è che un giornalista si limiti a riportare il fatto con toni da libro Cuore senza minimamente accennare ad un palese sopruso e alla stortura di un sistema perverso.

sabato 27 agosto 2011

Non sottovalutate il posizionamento

Arrivo in stazione con un buon anticipo. Vedo con piacere che sul tabellone compare già orario di partenza e binario del mio treno. So che è un treno che si forma a Verona e a meno di disastri o di ritardi di altre frecce varie, che hanno diritto di precedenza, non dovrebbero esserci problemi. Errore. E sì che ormai dovrei essere un pendolare esperto. Mi avvio al binario pensando che nell'arco di una decina di minuti il treno uscirà dal deposito e potrò salire a leggermi tranquillamente il giornale. Ultimamente, tra l'altro, hanno declassato alcune carrozze di prima e, finchè dura, i sedili sono sedibili. Mi accomodo su una panchina e inizio a leggere Repubblica. Anche se so già che verrò interrotto almeno dieci volte dai diversi questuanti che bivaccano a Porta Nuova; sicuramente quello che mostra un vecchio biglietto con destinazione precedente alla sua ipotetica meta e chiede qualche moneta per convertire il ticket - un giorno bisogna che glielo dica: caro, io son qui tutti i giorni, ogni tanto vedi ti do qualcosa, ma lascia stare la storia del biglietto sbagliato - oppure quello schizzato che ti dice di non dare i soldi al negretto (che se non è già passato è subito lì a ruota) perchè quello i soldi ce li ha, e da di matto se qualcuno gli risponde male. Con stupore riesco ad arrivare in fondo alla lettera di Veltroni senza alcun disturbo e senza essermi dato fuoco. Nel frattempo arriva anche il treno, dieci minuti prima della partenza annunciata. Salgo, prendo posto e torno al giornale. Mi accorgo che qualcosa non va perchè una coppia di anziani inizia a mostrare i primi segni di insofferenza: lei soprattutto, che prende a vessare il povero nonno come se fosse colpa sua del ritardo, di dieci, venti e poi 30 minuti. Il controllore, che ha un simpatico accento emiliano, non si sbilancia sui motivi del fermo e si limita a dire: questione di poco e partiamo. Io non mi incazzo neanche più, aspetto che Trenitalia mi riservi lo spunto per scrivere queste note. Che puntuale arriva. E' il capotreno a servirlo attraverso la filo. Con una voce del cazzo tipo quella di certi piloti di aereo che appena dopo il decollo ti danno tutta quella serie di informazioni di cui non te ne fai nulla, tipo la temperatura esterna - chissenefrega se fuori ci sono 55 gradi sotto zero, mica devo uscire a fare una passeggiata - che senti che lo fanno per dovere: ma fai a meno, chi ti ha chiesto nulla? - con voce del cazzo, dicevo, il capotreno annuncia urbi et orbi, sprezzante del ridicolo: la partenza è prevista tra 30 minuti per ritardo nel posizionamento del treno. Se si fosse scusato per il disagio giuro che gli avrei buttato il berretto dal finestrino.

venerdì 26 agosto 2011

Mi brucia il culo

Buonanotte all'Italia che si fa o si muore, o si passa la notte a volersela fare (Buonanotte all'Italia di Luciano Ligabue). Finora non mi era molto chiaro perché eravamo arrivati ad un passo dal rischio default: cosa e perché, per esempio, avesse generato questo circolo vizioso tra debito e risanamento; quali siano le possibili soluzioni strutturali per uscire dal loop delle manovre d’emergenza; quanto sia effettivamente grave la crisi e presente il pericolo di fallimento, nonostante gli interventi della BCE. Chi, alla fine, sta inculando chi. E perchè in questo trenino ho la sensazione di occupare il vagone di testa. Questo articolo di Alessandro Penati, docente di Finanza Aziendale all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, è stato un prezioso aiuto. Copio di seguito solo la contromanovra in 7 punti proposta da Penati, che mi sembra una buona base di partenza per ragionare.


(1) evitare tutti gli interventi di natura temporanea, come la tassa di solidarietà o le patrimoniali una tantum;

(2) rallentare la crescita della spesa previdenziale, principale voce di costo;

(3) eliminare la boscaglia di enti inutili e relativi costi;

(4) eliminare, fra le centinaia di detrazioni, deduzioni, facilitazioni, contributi, sussidi, incentivi concesse a imprese e individui, quelli che sono solo canali per foraggiare interessi particolari;

(5) privatizzare e vendere beni e aziende pubbliche per abbattere lo stock del debito (i regali, vedi frequenze televisive, non sono ammessi);

(6) tassare i consumi invece dei redditi personali e di impresa per non deprimere la crescita, penalizzando chi lavora e produce;

(7) tassare stabilmente tutti gli immobili (a valori di mercato) per fornire le risorse agli enti locali, abolendo le addizionali sui redditi.


Di tutto questo non c'è traccia nella manovra del governo. Che non è risolutiva. E quindi non sarà l'ultima.



giovedì 25 agosto 2011

Sciopero

Mi fanno ridere, per non dire di peggio, quelli che è meglio restare uniti che scioperare: fighetti alla John Elkann o valvassori di governo alla Sacconi. Dovrebbero quantomeno spiegare – e con loro Cisl e Uil – perché noi lavoratori dipendenti dovremmo solidarizzare e fare fronte comune con chi ha negato per mesi la crisi, se ne è fatto carico più o meno da 15 giorni solo perché l’Europa l’ha preso per le orecchie e ha detto: adesso basta! e l’unica soluzione che ha trovato è di scaricarci l’intero peso di una manovra iniqua, frutto della sua/loro volgare incapacità. Le ragioni dello sciopero del 6 settembre indetto dalla CGIL mi sembrano ben sintetizzate nella lettera inviata ai giornali dal segretario generale della Camera del Lavoro di Bergamo.


"Dopo la proclamazione dello sciopero generale di 8 ore per martedì 6 settembre contro e per cambiare la manovra economica del Governo, da più parti, si accusa la CGIL di essere irresponsabile nei confronti del Paese e dei lavoratori. Cosa deve fare, secondo loro, un sindacato riformista per cambiare questa manovra? Un presidio sotto il senato? Qualche incontro riservato con Sacconi e Tremonti? La CGIL non è un sindacato irresponsabile e lo sanno bene i lavoratori ed i pensionati. Da tre anni parliamo della crisi di questo Paese e della necessità di investire sulla crescita e lo sviluppo. Abbiamo faticosamente costruito il 28 giugno, con Cisl Uil e Confindustria, un accordo sindacale che chiudesse la stagione degli accordi separati. Il Governo si vendica e prova invece a snaturare quell’accordo. Gli incontri del 4 e del 9 agosto sono stati avvilenti, il Governo non ci ha ascoltato e bene lo sanno anche Cisl e Uil. La verità è che oggi l’Italia è un paese commissariato dalla Germania e dalla BCE. La manovra economica è insopportabile perché colpisce i lavoratori, i pensionati, il sistema di welfare. Chi paga la manovra? La classe che ha sempre pagato le tasse. La pagheremo due volte perché è una manovra depressiva e quindi diminuiranno ancora i posti di lavoro. È ingiusta perché taglia il reddito dei cittadini ed è bugiarda perché non risolve i problemi del paese, salva il Palazzo e scarica sugli Enti locali il carico dei tagli.Ed è anche una manovra fortemente ideologica: cancellare il 25 aprile (festa della Liberazione), il 1 maggio (festa del Lavoro) ed il 2 giugno (festa della Repubblica) significa decidere di cambiare l’anima di questo paese. Decidere di introdurre la negazione della libertà contrattuale delle parti e il licenziamento senza giusta causa significa negare il ruolo delle parti sociali. Cancellare le regole del Sistri sul ciclo dei rifiuti significa fare un regalo alle ecomafie. Il giudizio delle ultime ore, compreso quello di Famiglia Cristiana, confermano come la grande maggioranza del Paese non si ritrovi nelle scelte del Governo e ne denuncia le iniquità. Cosa significa introdurre una norma per cui la tredicesima degli statali dipenderà dal comportamento dei loro dirigenti? E’ una norma ignobile. Così come l’art. 9 che riguarda il collocamento dei disabili. Noi siamo preoccupati per la situazione del paese e sarebbe il momento di unire le forze. Noi presentiamo una contromanovra che si fa carico degli stessi saldi previsti dal Governo. Ma deve essere giusta e ognuno deve fare la sua parte.Il cuore della nostra proposta è sui temi del fisco: ognuno faccia la sua parte e chi ha di più deve dare di più e questo è possibile solo se noi introduciamo una tassa sui grandi patrimoni. Il contributo di solidarietà può essere utile, ma lo pagano ancora e solo i lavoratori dipendenti. La battaglia contro l’evasione fiscale si può vincere: occorre abbassare la tracciabilità dei pagamenti sino a 500 euro, mettere insieme le banche dati per avere le informazioni sui patrimoni, introdurre pesanti sanzioni e dire no, per sempre, ai condoni. Sulle pensioni: oggi il problema non è la sostenibilità delle pensioni, ma la pensione futura dei giovani. Anche qui, ognuno faccia la sua parte: introduciamo l’obbligo del pareggio di bilancio anche per i fondi pensione. Scopriremmo che l’unico fondo che passa l’esame sono quelli dei lavoratori dipendenti, tutti gli altri non sono in equilibrio (autonomi, dirigenti).Con lo sciopero chiediamo un sacrificio straordinario, ma serve una mobilitazione per cambiare la manovra e per questo la CGIL si mobilita. Le ragioni della protesta ci sono tutte ed è qui che, ancora una volta, e ne siamo dispiaciuti, non si ritrova l’unità delle forze sindacali. Come ha scritto un autorevole sindacalista, a volte può succedere che “a fare meno si possa fare meglio. Ma non accade mai che si possa fare meglio non facendo nulla”.

Luigi Bresciani
Segretario generale CGIL Bergamo



La figa di Alberoni

Alberoni ha scoperto la figa fu uno dei tanti titoli magistrali che ci ha regalato negli anni 80 Cuore, la rivista satirica fondata e diretta da Michele Serra. Un titolo che, credo, non abbia bisogno di commenti: riassumeva il pensiero del giornale sul contributo culturale offerto sin da allora dal noto sociologo attraverso i suoi articoli sul Corriere della Sera del lunedì. Ho ripensato ieri a questo titolo leggendo che nel fine settimana uscirà nelle sale Student Services. film tratto dal romanzo autobiografico “Mès chères études", di Laura D., giovane studentessa francese, prostituta prima per gioco e poi per scelta, dopo aver risposto ad un annuncio trovato in internet ed aver così scoperto una fonte redditizia di guadagno. Il libro racconta che la prima volta di Laura fu per pagarsi gli studi, ma non è qui il punto. Quello che mi ha stupito non è la storia in sé, né mi interessa darne un qualsiasi giudizio, tantomeno morale - non sono Giovanardi né la Roccella che sui casi specifici rappresentano il foro competente – è stato lo shock che pare abbia accolto lo scorso anno l’uscita del libro in Francia e oggi del film, con annesse analisi e dibattiti sulla solitudine dei giovani, la loro mancanza di mezzi, ecc. ecc. La figa di Alberoni, insomma. Una 30ina di anni fa avevo un conoscente, amico di amici, che aveva un’idea un po’ particolare dei contratti amorosi. In estrema sintesi, riteneva di non essere abbastanza bello per poter ambire ad accompagnarsi a donne bellissime, o quantomeno a donne che lui riteneva bellissime. Per amore di verità, diciamo che questo conoscente era un ragazzo assolutamente normale, anche ben messo fisicamente, che, bastasse l'aspetto, avrebbe potuto avere una vita sentimentale normale. Solo che, probabilmente, non aveva sufficienti motivazioni per impegnarsi in lunghi corteggiamenti, senza peraltro la certezza di un ritorno carnale – esperienza drammaticamente comune un po’ a tutti - verso una persona, una donna, che comunque avrebbe rappresentato ai suoi occhi sempre e soltanto un ripiego. Anche in questo caso, non essendo Giovanardi né la Roccella, mi astengo da qualsiasi commento. Per farla breve, i suoi guadagni, invece di trasformali in azioni o beni immobili, li spendeva per passare qualche ora, la notte o l’intero week end, con giovani ragazze universitarie, che, più o meno saltuariamente, dedicavano i loro fine settimana a fare cassa come nel film francese. Ricordo che nei suoi racconti parlava di giovani tutt’altro che indigenti, a cui i genitori garantivano le tasse universitarie e, per quelle che venivano dalla provincia, anche la stanza o l’appartamento in città. Il meretricio serviva per la vacanza con le amiche o il moroso, il vestito, la borsa o le scarpe firmate. E le tariffe erano di tutto rispetto: per l’intera notte si poteva arrivare anche al milione di lire. Incontri in casa o in albergo. Nessun vincolo. Tutti adulti consenzienti. Alcune ragazze erano più assidue, altre meno. Succedeva 30 anni fa a Brescia. Non a Parigi. E presumo accada tuttora.

martedì 23 agosto 2011

I nazionalisti neri nelle valli del carroccio

Leggevo ieri Ilvo Diamanti su Repubblica che ragionava sulla perdita del principio di autorità, della sua rapida e diffusa caduta, che Diamanti vede all’origine della crisi che si è poi fatta economica e finanziaria. “Il nuovo moto di insofferenza contro la casta non deriva solo dal riprodursi di un sistema di privilegi - e di corruzione - che, in effetti, non è mai cessato. Ma dall'assoluta perdita di autorità della classe dirigente. Soprattutto dei leader che governano il Paese da 10 anni, in modo quasi ininterrotto. Quelli che, fino a un anno fa, avevano trasformato Villa Certosa nella rutilante capitale estiva del Paese. Affollata di veline e velinari. Quelli che parlano di politica con un linguaggio antipolitico. Usano il turpiloquio come linguaggio pubblico. E alzano il dito non per mostrare la luna ... Come immaginare che possano riscuotere "prestigio" e deferenza tra i cittadini? Se riproducono i vizi e le debolezze del popolo, perché dovrebbero ottenere privilegi e riconoscimento da parte del popolo? Oggi che la crisi minaccia la condizione economica e sociale, la vita quotidiana di tutti? Questa fase mi pare particolarmente insidiosa. Difficile da superare. È frustrata da un grande deficit di autorità - e di potere. Da una grande povertà di riferimenti etici e di comportamento. Un problema aggravato, (non solo) in Italia, dalla scarsità di attori e persone credibili. In grado di "dire" le parole necessarie a esprimere il sentimento del tempo. Ma, soprattutto, di tradurle in pratiche coerenti. Di dare il buon esempio”

Leggevo e mi son trovato a riflettere sul nazionalismo nero inneggiante alle camice brune che, dopo aver fatto proseliti in Europa, è arrivato anche qui da noi, dove ha preso il volto inquietante di Gaetano Saya, ex missino e massone, già noto alle cronache per aver costituito un servizio segreto parallelo. Saya, fondatore del partito nazionalista italiano, posta sul web le sue deliranti tesi razziste e omofobe ed ha chiamato a raccolta i militanti per il 24 e 25 settembre a Genova. A preoccuparmi è aver visto comparire scritte inneggianti ai nazionalisti sui muri delle valli bresciane, gli stessi che venticinque anni fa ospitavano i primi vagiti di un leghismo al confronto ruspante e da sagra paesana. All’epoca i leghisti, che non dimentichiamoci ce l’avevano con i terù e i negher e non vedevano di buon occhio nemmeno i culatù, vennero sottovalutati, derisi e sbeffeggiati come un fenomeno da baraccone, transitorio e in ogni caso circoscritto, salvo poi diventare – la Lega – la vera protagonista della politica italiana degli ultimi due decenni. La situazione in queste valli, nonostante i governi del carroccio, non è migliorata economicamente e socialmente. Il declino della grande industria tessile e siderurgica ed il mancato completo sviluppo turistico, malgrado le enormi potenzialità - mancato sviluppo a questo punto da imputare a cause antropologiche più che politiche e sociologiche - ha contribuito a rendere precario e incerto il futuro, alimentando radicalità mai sopite, inasprite ultimamente dai forse eccessivi trasferimenti coatti dei rifugiati sbarcati sulle coste siciliane. In un contesto di crisi globale, di mancanza di autorità e di prospettive, il rischio di abbracciare estremismi capaci di indicarti soluzioni facili e soprattutto i nemici da combattere è altissimo. La storia è lì a ricordarcelo.

domenica 14 agosto 2011

Leghisti ribelli

Alberto Filippi è un leghista della prima ora. Un imprenditore vicentino non specchiatissimo, almeno stando a quanto scrive il Manifesto. Quando però viene eletto in Senato e si trova a dover votare il bilancio annuale di Palazzo Madama, invece di schiacciare il pulsante, come tutti i peones, legge i numeri, ha un sussulto di coscienza e si astiene. Risultato: espulsione immediata. E questo articolo-denuncia


di Alberto Filippi
I CONTI
«Zitto e vota questo bilancio» Ma leggete quanto spendono...

Nel 2008, eletto da poche settimane nelle fila dei senatori, nel pieno dell'inesperienza, poco prima di votare il bilancio del senato butto gli occhi sui numeri e leggo qualche spesa. E non dovevo farlo, certi errori poi si pagano. Ma è stato un errore di gioventù, solo una distrazione scoprire che i «fenomeni della politica» avevano affittato un'ape car per trasportare i libri della biblioteca per 6mila euro! Tra me e me ho detto: ma... sono scemi? Con un po' di euro in più se la comperavano nuova. E così non ce l'ho fatta, al momento del voto mi sono astenuto. Apriti cielo. Il capogruppo Bricolo mi ha subito convocato. Ho provato ad entrare nel merito ma non c'è merito: «Fai quello che dico io!».
Già ma io sono un rompipalle! E allora, sì votavo ma rompevo, votavo ma protestavo, e oggi che non ho più chi può impormi come schiacciare il tastino, con gusto, a ridosso proprio del voto sul bilancio del senato decido di non gettare velocemente l'occhio sui numeri ma di incollarlo bene bene a questo bilancio. E che ti trovo? Ti trovo che tra servizio calore (circa 3 milioni di euro) gas (800mila euro) ed energia elettrica (1.500.000) si arriva ad un totale di 5.300.000 di costi energetici e allora mi chiedo: ma lo sanno che con un semplice cogeneratore si risparmierebbe almeno 1.500.000 euro all'anno? Poi l'occhio mi scende sui 1.300.000 euro di canoni di telefonia, mi blocco e rileggo: ma saranno tutti i costi telefonici... e invece no, sono solo i canoni e i costi dei servizi! Ma se siamo 300 senatori! Ma quanti cavolo di canoni telefonici ci saranno mai? (Poi rifletto e ricordo che noi senatori il telefono ce lo paghiamo quindi è ancora peggio, che canoni sono?). E allora inizio ad appassionarmi e come fosse un libro giallo da divorare sotto l'ombrellone proseguo con i numeri e trovo che per «facchinaggio e traslochi» si spende 1.505.000 euro, allora penso che c'è un trasferimento in atto ma poi noto, basito, che questo accade tutti gli anni.
Il libro giallo si trasforma velocemente in un horror ma decido di tenere gli occhi aperti; 340mila euro in vestiario di servizio e questo ogni anno e uno si domanda se non costerebbe meno farsi fare l'abito dei dipendenti da Armani; ma ciò che mi lascia fritto, immobile, congelato è il costo per le posate: 40mila euro all'anno in posate. Ma perché ogni anno? La tradizione di cambiare le posate continuamente era in voga alla corte di Francia ai tempi del re sole e ne sono passati di anni, è passata perfino la ghigliottina. A casa mia le posate magari te le regalano nella lista nozze, ma poi ti durano una vita. E poi ci sono 61mila euro per le auto, e non le auto blu da noleggiare, sono i costi del lavaggio delle auto! Ma quante sono? Io me la pago come la stragrande maggioranza dei senatori e allora dove cavolo sono tutti questi eserciti di berline da lavare?
Ogni anno si stampano le tesserine di riconoscimento ma, noi senatori siamo sempre i soliti trecento circa, non sarà poi chissà quale follia. E invece: 50mila euro l'anno, in una legislatura 250mila euro. Mi viene voglia di vomitare.
Sto perdendo le forze e le pagine di horror si stanno trasformando in qualche cosa di peggiore, ma non so come decido di affrontare le voci della manutenzione: non dovevo farlo. 355mila euro per fare la manutenzione alla tappezzeria, e mi chiedo se qui siamo all'asilo con eserciti di bambini che si appendono alle tende. Tenere in manutenzione gli impianti di sicurezza vuol dire spendere 750mila euro mentre fare la manutenzione per stare belli freschi (per inciso i condizionatori funzionano malissimo) bastano solamente, si fa per dire, 750mila euro e allora penso, ormai tutto sudato dalla confusione, che a pagare, a mo' di faraone, qualcuno che ti sventola si andrebbe a risparmiare.
Poco meno di 1 milione di euro per la manutenzione degli impianti elettrici, quasi 300mila euro per la manutenzione dei video, 240mila euro per la manutenzione alla rete informatica, 400mila euro per gli ascensori (quello degli uffici in piazza san Luigi de Francesi si è bloccato 4 volte in un anno).
Poi c'è l'antincendio che per farci la manutenzione ci vogliono 240mila euro e sono quelli spesi peggio perchè se prendesse fuoco tutto forse sarebbe meglio. Quel che è peggio però è che ho girato pagina e sono passato dalle manutenzioni ordinarie che credovo comprendessero tutto, a quelle straordinarie, che però si ripetono pari pari ogni anno. E quindi alle famose spese ordinarie per le tappezzerie di prima vanno aggiunti 1.125.000 euro di manutenzioni straordinarie in arredi e tappezzerie e poi poco sotto altri 500mila euro annui ovviamente di acquisto di arredi e tappezzeria. E lo stesso vale per gli impianti di sicurezza di prima ai quali si aggiungono ogni anno manutenzioni straordinarie per 3.540mila euro, mentre ci vogliono altri 1.610mila euro per i condizionatori di prima. Arrivo fino ai 625mila euro da aggiungere alla manutenzione per gli ascensori e alzo bandiera bianca.
Chiudo il faldoncino, mi chiedo: ma chi sono questi fenomeni che hanno il fegato di presentare questa schifezza? Qui la rispostina è facile, sono i tre senatori questori del senato e guarda un po uno lo conosco bene: è vicentino come me e della Lega Nord. Si chiama senatore Paolo Franco, uno dei vertici del famoso cerchio magico tanto per non fare nomi. Avrei voglia di andare a chiedergli qualche cosa ma poi mi blocco perché ricordo che loro sono quelli che decidono anche i tagli della politica, quindi anche il mio stipendio senatoriale; in fondo qualcosina hanno tagliato ma poi mi chiedo: loro, a loro tre, che tagli si sono fatti? Scopro che i tre questori hanno l'auto blu, hanno un'aggiunta di segretarie pagate, hanno una dotazione speciale da usare a natale per fare regalini agli amici, hanno ovviamente uno stipendio maggiorato e hanno un appartamento arredato nel cuore di Roma tutto gratis. Rialzo bandiera bianca: avrei voluto votare astenuto questo bilancio ma ora proprio non ce la faccio. Mi alzo e per protesta faccio quello che poi ho fatto: ho scritto tutto, di getto, per voi che leggete e disarmato me ne sono tornato a casa... se lo votino loro il bilancio del senato.

Manovre e manovratori

In merito alla manovra da 45 miliardi varata dal governo propongo alla lettura questa lucida analisi di Asor Rosa pubblicata giovedì dal Manifesto



COMMENTO di Alberto Asor Rosa
LA LINEA DEL PIAVE


Nella storia di questo disgraziato paese (l'Italia, intendo, per chi non ami le metafore), c'è una sindrome spesso ricorrente: si chiama la linea del Piave. Funziona così. Per anni, talvolta per decenni, gli alti comandi, i Governi, le classi dirigenti in genere, prendono decisioni inique, sbagliate, avventurose, persino ciniche e anche delinquenziali: l'incredibile mediocrità degli alti comandi medesimi, la strategia irresponsabile dell'attacco frontale, il mostruoso disavanzo di bilancio, l'incapacità del ricambio, la stralunata soggezione dell'interesse pubblico agli interessi privati o di gruppo, ne rappresentano le manifestazioni più significative ed esemplari. Poi, ad un certo punto, dai e dai, si verifica la catastrofe: le linee cedono, il bilancio crolla, l'economia va in pezzi, le classi dirigenti, d'ogni razza e colore - ripeto: d'ogni razza e colore - annaspano nel vuoto che loro stesse hanno creato. È a quel punto che a qualcuno viene in mente la linea del Piave: gli interessi non sono più diversi, separati e magari contrapposti, diventano "unico". La catastrofe si può affrontare solo tutti insieme, senza più differenze né di razza, né di colore, né di collocazione sociale, né di orientamento politico. E questo, a pensarci bene, è anche giusto: chi, infatti, vorrebbe vedere gli austriaci a Milano o a Venezia?
Se poi, come nel caso di oggi, la linea del Piave assume dimensioni planetarie, la solidarietà di tutti intorno a un modello unico di soluzione assume un'evidenza ancor più eloquente: o ci si salva tutti oppure non si salva nessuno. E anche questo potrebbe essere giusto. Ma vediamo fino a che punto il discorso del Piave regge e, ammesso che regga, quali diverse impostazioni gli si possono dare.
Facciamo (almeno noi) un passo indietro e torniamo in Italia. Negli ultimi tre-quattro mesi è accaduto nel nostro paese qualcosa che in precedenza sarebbe stato inimmaginabile: e cioè un cambiamento vistoso della costituzione materiale, un aggiustamento invisibile dei meccanismi decisionali. Tutte le più importanti scelte in materia politica ed economica sono state, non certo prese, ma indotte con forza e con, appunto, autorevolezza "dall'alto". E quale esempio più lampante di "Camere congelate" di quelle che, nel giro di quarantotto ore, hanno votato un bilancio dello Stato strangolatorio e, nel caso di certi partiti, addirittura apertamente non condiviso? Non sto dicendo né che sia stato un bene né che sia stato un male: mi limito per ora a constatare che è accaduto. Ricordate il mio articolo sul manifesto del 13 aprile? «Ciò cui io penso è una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instauri quello che io definirei un normale "stato di emergenza", eccetera eccetera». L'unico auspicio di quell'appello che non sia stato per ora praticato è il ricorso all'Arma dei carabinieri e alla polizia di Stato: non ce n'è stato bisogno, e comunque la magistratura e le forze dell'ordine erano impegnate in altro (sempre però nei dintorni: Papa, Milanese, Penati, Bisignani eccetera eccetera).
Ma in generale la linea più volte adottata è andata puntualmente in quella direzione, tacciata allora dai pulpiti più diversi d'imbecillità, provocazione, golpismo, ecc. ecc. Oggi tutti i dubbi e le riserve sono svaniti nel nulla: la linea estrema di difesa delle istituzioni repubblicane e dell'economia e coesione sociale nazionali è diventata il Governo del Presidente (non quello del Consiglio, naturalmente), universalmente invocato dalle forze, partitiche e d'opinione, che si collocano all'opposizione dell'attuale maggioranza parlamentare.
Restiamo anche noi all'interno del ragionamento, ma al tempo stesso prendiamoci la libertà di porci - di porre - alcune domande decisive: a favore di chi? Con quali mezzi? Con quale, non solo istituzionale, ma anche politica autorevolezza? Le linee del Piave, in sé e per sé considerate, non servono a scardinare i sistemi, servono a confermarli e a renderli ancora più inattaccabili. La difesa del "bene comune" è pagata sempre da una sola parte. Sul Piave (storicamente, non metaforicamente inteso) la linea fu tenuta dalla leva dei '99, giovani diciottenni gettati in massa nel rogo a difendere l'integrità e l'unità nazionale. Oggi nel tritacarne dell'unità nazionale sono destinati ad essere macinati - alfieri del tutto involontari d'un patriottismo a senso unico - gli anziani e le famiglie deboli, i pensionati, gli operai, i giovani (soprattutto i giovani), i piccoli e medi borghesi, impiegati e professionisti, gli uni e gli altri ovviamente senza rendite parassitarie alle spalle. Sull'atteggiamento da tenere nei confronti di questa situazione si è già sfarinato il fronte delle opposizioni: il Terzo Polo ha subito adottato la linea della massimizzazione dei "sacrifici popolari" (davvero singolare in questo quadro - mi sia permesso di osservarlo - l'atteggiamento della formazione che recentemente ha scelto di chiamarsi "Futuro e Libertà": non dovevano essere la forza di rinnovamento del quadro politico italiano e sono finiti alleati in tutto e per tutto subalterni dei moderati più moderati?). Ma lo sfarinamento ha già raggiunto vertici e settori anch'essi in precedenza inimmaginabili: vedere la Camusso, leader di un'organizzazione operaia e popolare come la Cgil, collocarsi anche fisicamente, quasi a segnare il rapporto gerarchico nuovo testé costituitosi, alle spalle della Marcegaglia, leader delle organizzazioni padronali, ha avuto la portata e il valore di un manifesto, ben comprensibile ai più.
La linea del Piave, per essere minimamente condivisa prima che accettata e praticata, avrebbe bisogno di molte condizioni, di cui per ora non si vede traccia, anzi, per essere più esatti, quasi nessuno parla. A scopo puramente provocatorio, come di consueto (poi fra qualche mese si vedrà meglio), ne elenco due, una di carattere economico-sociale, l'altra di carattere politico, la seconda, ovviamente, condizione sine qua non perché la prima diventi credibile.
La condizione economico-sociale è la conservazione integrale dello Stato sociale, e cioè, per essere più precisi, di quell'insieme di statuti, regole, leggi e abitudini, che garantiscono la libertà e il benessere ai cittadini più deboli. Quanto al pareggio di bilancio, bisognerebbe chiedersi se le cure prospettate, in dimensioni e rapidità di tempi, non siano destinate ad ammazzare il cavallo invece di rimetterlo in piedi. La distribuzione dei pesi e delle misure, e le loro conseguenze effettive, devono perciò fin d'ora essere elencate con estrema precisione: l'obiettivo, infatti, è garantire con assoluta certezza - e la cosa è tutt'altro che impossibile - che dalla crisi ci si proponga di uscire con uno stato più giusto, non con uno più infame.
La condizione politica è che dalla crisi si esca con un riassetto del sistema di potere che almeno garantisca la riapertura di una nuova fase. Dobbiamo invece prendere atto che finora si è andati nella direzione esattamente contraria: e cioè - nella più pura tradizione delle linee del Piave nazionali (ma almeno Cadorna nel '17 perse il posto) - la crisi ha paradossalmente rafforzato, o almeno lasciato più tranquillo, il Governo Berlusconi: è entrato a far parte anch'esso, infatti, della "soluzione unica nazionale" della crisi. Ma questo è intollerabile, e quindi inaccettabile: significherebbe far pagare al paese, come prezzo per uscire dalla crisi, la perpetuazione delle ragioni più profonde della crisi medesima, l'inaffidabilità, il discredito, interno ed internazionale, l'assoluta mancanza del senso dell'interesse pubblico da parte dei suoi governanti.
Perché la linea del Piave sia almeno decentemente compresa e condivisa, occorre che il governo del Presidente metta in programma questa apertura di una nuova fase in netta, inequivocabile discontinuità con quella precedente: anche ricorrendo, in tempi ragionevoli, ad un nuovo responso elettorale. Ai costituzionali - notoriamente ce ne sono molti e di molto eccellenti - va richiesta con urgenza una rilettura del primo comma dell'art. 88 della Costituzione, il quale recita (com'è universalmente noto): «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti; sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Le interpretazioni correnti, che depotenziano in genere la facoltà del Capo dello Stato di assumere autonomamente tale decisione, mi sembrano estremamente discutibili, e perciò andrebbero ridiscusse, in una situazione come questa in cui si potrebbe da un momento all'altro avere bisogno di disporre tranquillamente di tale estrema risorsa.
Insomma: il Governo del Presidente comporterebbe una netta e puntuale individuazione dei pesi e delle misure da adottare, una equa distribuzione dei sacrifici, una preliminare scelta di campo a favore delle classi e dei ceti più deboli e, preliminarmente e contestualmente, la ricostituzione d'un quadro politico in grado di giocare la partita nella piena dignità ed efficacia dei suoi possibili mezzi (e uomini). Altrimenti, sarà un confuso, inane e un po' disperato tentativo di tenere in piedi il sistema a favore dei soliti "amici". Non sarebbe una bella cosa, e non funzionerebbe.

giovedì 11 agosto 2011

Gli intoccabili

Sarà pure una goccia nel mare, ma visto le cifre - peraltro solo supposte - mica poi tanto. Sarà anche una proposta un filino demagogica: certo che nel balletto di ipotesi di tagli, la sforbiciata ai privilegi della Chiesa non viene mai, mai nemmeno presa in considerazione.

Recuperare risorse? Si cominci tagliando i costi della religione


La gravità della crisi economica è tale che tutti parlano di ridurre gli sprechi. Molti parlano di sforbiciare i privilegi della casta politica, ma nessuno, proprio nessuno, parla invece di intervenire sugli enormi contributi che lo Stato eroga ogni anno per fini religiosi.

L’UAAR ricorda che, anche solo lasciando allo Stato la quota delle scelte inespresse dell’Otto per Mille, si recupererebbero ogni anno oltre seicento milioni di euro. Ed introducendo l’ICI sui beni ecclesiastici ad uso commerciale, azzerando l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione destinati all’edilizia di culto ed eliminando, come Costituzione comanda, ogni onere statale per la scuola privata, la cifra aumenterebbe in modo ancora più sostanzioso.

L’entità della somma che finisce nelle tasche delle organizzazioni ecclesiastiche è sconosciuta persino al governo, e ciò dimostra come in Italia esista una realtà economica semisommersa che sfugge ai controlli. Se bisogna stringere la cinghia, conclude l’UAAR, giustizia vuole che si cominci da chi gode dei privilegi più sostanziosi.

http://www.uaar.it/

mercoledì 10 agosto 2011

Niente Paura

Niente Paura di Piergiorgio Gay è un bel film. Andrebbe fatto vedere nelle scuole, per introdurre la nostra storia recente. Racconta, attraverso le vicende personali di uomini e donne comuni e di persone conosciute - Stefano Rodotà, Margherita Hack, Umberto Veronesi, Paolo Rossi, Silvio Soldini, Fabio Volo, Carlo Verdone, don Luigi Ciotti e soprattutto Luciano Ligabue - colonna sonora e narratore del film - come siamo e come eravamo: in realtà da dove veniamo (fine anni Settanta, primi anni Ottanta, quando si opera una svolta sia nelle istituzioni che nel costume) e quale Paese siamo diventati oggi. Un Paese dove la dimensione collettiva della festa e dell'identità si esprime ormai solo ai concerti e alle partite di calcio della Nazionale, un Paese in cui perfino difendere il tricolore o l'inno di Mameli è motivo di scontro politico.
Niente Paura offre parecchi spunti di riflessione, e in un certo senso di speranza. Alle stragi, al buio del terrorismo, all'omertà, all'aridità individuale di un popolo che è "diventato spettatore, vota da casa, s'indigna ma poi va a dormire", come dice Paolo Rossi, contrappone una parte sana e bella, che si sente rappresentata dagli articoli della Costituzione, l'altro filo conduttore del film. Due storie mi hanno colpito. Molto diverse tra loro ma legate da un profondo senso di dignità, di civiltà, di voglia di andare avanti: per testimoniare, per darsi e dare una ragione, a un ideale - appreso, trasmesso, condiviso - a un sentimento che nemmeno la morte riesce a spezzare e torna riflesso nella musica, in una o in infinite canzoni. La prima la racconta Sabina Rossa, figlia di Guido, operaio comunista dell'Italsider, ucciso a Genova nel gennaio 79 da un commando delle Brigate Rosse. Guido Rossa, per una serie di circostanze fortuite, tre mesi prima del suo assassinio era stato l'unico testimone del ritrovamento all'interno della fabbrica di alcuni volantini di propaganda terroristica. Di conseguenza la sua era stata l'unica testimonianza di fronte al magistrato e poi al processo che vide imputato e condannato Francesco Berardi, il fiancheggiatore delle BR all'interno dell'azienda. Dice Sabina Rossa. "Gli ideali di mio padre sono quelli che oggi mi appartengono. Che mi hanno portato a incontrare chi quella mattina gli sparò e poi a incontrare il giudice che deve decidere sulla sua liberazione, per dirgli che oggi Vincenzo Guagliardo è un'altra persona e, soprattutto, che dopo 30 anni di carcere merita di uscire (...). Non mi sono mai posta la questione nei termini del perdono. La mia è una formazione laica: mi sono sempre posta la questione in termini di giustizia. Quando il giudice ha negato la scarcerazione e la libertà condizionale a Vincenzo Guagliardo ho creduto che fosse stata commessa un'ingiustizia. Ho creduto che il nostro Paese avrebbe potuto compiere un gesto di civiltà importante".
La seconda narra di un'altra morte sul lavoro e di un amore che continua. E' la storia di Fabio e Annalisa. Fabio Casartelli, medaglia d'oro olimpica di ciclismo, è scomparso nel luglio del 95 in seguito a una caduta lungo le strade della Grande Boucle. Aveva solo 25 anni. Annalisa era in attesa del loro primo figlio."Quindici anni fa ho perso mio marito. Una caduta durante una tappa del Tour de France e la sua e la mia vita si sono fermate. Quindici anni fa è nato mio figlio ed è per lui che il mio cuore senza un pezzo ha continuato a battere. Ed è da 15 anni che aspettavo che qualcuno mi dicesse Niente Paura, stai tranquilla, ce la farai, non preoccuparti: in qualche modo riuscirete a vedere la luna anche senza Fabio. Questa canzone mi dà forza, voglia di dimostrare che ce la faccio, che il mio amore per Fabio frega la sua morte....".

mercoledì 3 agosto 2011

Moretti, ma perchè non ti dimetti?

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx. Le prime dieci righe sono bestemmie. Ognuno le declini come crede, ci metta cioè quelle che sente più sue. E sì che questa mattina ero uscito di casa ben disposto. C’era il sole. Ero persino riuscito a bermi due tazze di caffè, fatto raro avendo sempre i minuti contati. In borsa, appena comprato, avevo Fùtbal di Osvaldo Soriano. E nel quarto d’ora a piedi che mi separa dalla stazione, le mie connessioni cerebrali stavano dando segni positivi: pensavo con timore al discorso di oggi in Parlamento del clown di Arcore, alle reazioni dei mercati. Mi chiedevo se saranno proprio i mercati a mettere la parola fine a questi 20 anni malati e se ciò sarà un bene o un male, visto il momento, e quali potrebbero essere i pro, i contro e gli eventuali rischi per noi lavoratori dipendenti con mutuo. Berlusconi a parte, una giornata che nasceva sotto buoni auspici. Non avevo fatto i conti con Trenitalia. Arrivo in stazione e il treno veloce (treno associato a veloce è un ossimoro, ma tant’è), il treno veloce, dicevo, proveniente da Milano Centrale e diretto a Venezia ha 15 minuti di ritardo. Fin qui nulla di nuovo. Tanto so che sarà comunque un’agonia. Lo è sempre da giugno a settembre: ai soliti turisti stranieri, che aumentano con la temperatura, si aggiungono le centinaia di ragazzini che ogni giorno, dal rompete le righe all’inizio del nuovo anno scolastico, vanno a Gardaland. Tutto questo – detto per inciso - senza che lo stramaledetto trust di cervelli a capo di Trenitalia provi quantomeno ad abbozzare una soluzione, se non definitiva - treni speciali? – quantomeno di minima: qualche carrozza in più? Cose semplici, insomma. Attraverso l’intera banchina e arrivo in testa al binario: nelle prime carrozze uno strapuntino tra un vagone e l’altro si trova sempre. Nell’attesa apro il libro e leggo la prima delle storie di calcio. In realtà la conosco già. E’ quella di Obdulio Varela, ripresa anche in Artisti, pazzi e criminali, di cui ho già parlato all’inizio di questo mio diario e che ne rappresenta lo spirito: all’arbitro non ho dato la mano. Non ho mai dato la mano a nessun arbitro… Non sapevo che c’era: è stata una bella sorpresa, come rivedere un vecchio amico. Nel frattempo la voce della stazione ricorda più volte il ritardo, per poi annunciare che il mio treno arriverà al binario 3 invece che al binario 1. Il sole, il caffè, Obdulio Varela: ce ne vuole per farmi cambiare umore. Ancora non sapevo. Rifaccio la banchina in senso inverso, scendo nel sottopassaggio, risalgo al binario 3 e ritorno verso la testa del treno. Le prime tre carrozze sono vacanti, come direbbe Montalbano. E già qui avrei dovuto insospettirmi. Invece l’effetto solecaffèobdulio insieme mi ha evidentemente cariato le sinapsi. Le prime tre carrozze non sono vacanti, sono chiuse. E il perché lo apprenderò a Desenzano, dopo che il treno veloce ha accumulato un’ulteriore mezzora di ritardo in soli 20 chilometri, e il disagio di una promiscuità già imbarazzante è aumentato di conseguenza. Ce lo dice un controllore a cui chiedo gentilmente conto: purtroppo questa mattina non si chiudevano le porte e siamo stati costretti a isolarle per evitare pericoli di caduta. Sempre gentilmente pongo un altro quesito: ma il materiale rotabile (lo chiamano così loro, non è colpa mia) non viene provato prima di partire? Lo ammetto: domanda da pensionato milanese che commenta i lavori stradali, ma vista la situazione va perdonata. A quel punto l’uomo ferroviario, forse colpito nell’orgoglio aziendale, mi avrebbe volentieri sputato. Poi ha probabilmente valutato che ero più grosso di lui e visibilmente più cattivo e non ha replicato. Morale, sono sceso a Verona, insieme ad una trentina di ostaggi, con quasi un’ora di ritardo. Pronti a salire ce n’era però almeno un altro centinaio. Per Venezia, si parte.

sabato 30 luglio 2011

Sull'orlo del baratro

Il processo lungo non è più solo l'ennesima legge ad personam. Il momento storico che ci vede a rischio di fallimento, la speculazione sui mercati, mostrano urbi ed orbi, in modo persino imbarazzante, per non dire ripugnante, l'assoluto disinteresse al bene pubblico e alle sorti del Paese del presidente del consiglio. Nessuna presa in carico del problema, nessun intervento per rassicurare gli italiani, come sarebbe stato auscapicabile da un qualsiasi primo ministro minimamente decente. Anzi, dopo aver mentito per anni sui conti pubblici e negato una crisi globale, con la complicità del ministro dell'economia, Berlusconi non solo è sempre più prigioniero di un'ossessione giudiziaria, a cui tenta di trovare rimedio grazie ad un parlamento a libro paga, ma gode del fatto che anche il titolare del dicastero dell'economia stia male in arnese e aspetta sulla riva del fiume che ne passi il cadavere. E chi se ne frega cosa succede nel frattempo alle borse finanziarie e soprattutto a quelle dei suoi concittadini. Barricato in una delle sue tante ville mette al riparo la roba prima che sia troppo tardi, indifferente agli appelli del mondo produttivo, angosciato da complotti veri o presunti che possano metterne in discussione la leadership, nonostante anche i sondaggi più taroccati dimostrino che ormai ha la stessa credibilità dello scemo del bar del paese, come del resto è sempre stato. Nomina a ministri altri ventriloquati e assiste silenzioso alle follie del principale alleato, dall'apertura di presunte sedi ministeriali a Monza alle abominevoli dichiarazioni di un eurodeputato secessionista sulla condivisibilità delle idee del folle di Oslo. La notizia positiva è l'annuncio che nel 2013 non si candiderà. Chissà, come dice Spinoza, che non sia questa la vera vittoria sul cancro, annunciata in una delle innumerevoli eiaculazioni verbali a cui siamo stati sottoposti nell'ultimo ventennio. Chissà però se ci saremo ancora noi o se saremo stati travolti dalle macerie.

giovedì 14 luglio 2011

il ueb

Renzo Bossi è un caso umano e andrebbe trattato come tale. Se fosse nato negli anni 70 probabilmente sarebbe stato dapprima avviato alle scuole differenziali. Poi i professori avrebbero consigliato ai genitori un buon istituto professionale, dove avrebbe potuto imparare un mestiere. Per questo non riesco a ridere guardando il video che ieri ha spopolato in rete, con lui che spiega il web 2.0. Certo se penso al mutuo da pagare e che il suo stipendio è cinque volte il mio, un po’ mi girano i coglioni. Ma poi penso anche che essere Renzo Bossi non deve essere facile. E che in fondo non è totalmente colpa sua: più di 13 mila bresciani l’hanno eletto consigliere regionale. Sono loro i mandanti.

martedì 12 luglio 2011

Colpo di sole

Oddio, il caldo gioca brutti scherzi: sono d'accordo con Capezzone

POL:BIOTESTAMENTO

2011-07-12 16:52
BIOTESTAMENTO: CAPEZZONE, SE FOSSI IN PARLAMENTO NON VOTEREI

ROMA

(ANSA) - ROMA, 12 LUG - "Desidero manifestare un'opinione strettamente personale e di coscienza, che ovviamente esprimo a titolo individuale e non in veste di portavoce del Pdl". Lo premette Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, spiegando, in una nota che "in questa legislatura non sono in Parlamento ma, se lo fossi, non voterei a favore della proposta di legge in materia di biotestamento, per ragioni che ho più volte chiarito". Il testo, osserva, "resta insoddisfacente almeno per tre fondamentali ragioni. Primo: ma davvero serve una legge? Secondo: la sottosegretaria Roccella, in teoria, ha ragione quando ammonisce contro i rischi di una 'giurisprudenzializzazione' della vicenda: ma forse sottovaluta il fatto che, se fosse approvata la legge in esame, i margini di contesa giudiziaria aumenterebbero ulteriormente, a partire da inevitabili dispute dinanzi alla Corte costituzionale, accompagnate da una prevedibile e belluina rissa politica. Terzo. Resta la questione di fondo. Una volta che si chiama in causa la volontà individuale, perché questa non deve più valere rispetto all'idratazione e alla nutrizione artificiale? Se è un testamento, va rispettata la volontà di chi lo firma. Altrimenti, che testamento è?". "Il mio auspicio personale - conclude - è che ci sia spazio per un supplemento di riflessione da parte di tutti, anche nei successivi passaggi parlamentari". (ANSA).

Y87-NAN/ S04 QBKN

lunedì 11 luglio 2011

Notizie

Per fortuna in tv hanno detto che fa caldo. Così stamattina mi sono tolto la sciarpa

mercoledì 6 luglio 2011

Libere elezioni

All'inizio dell'anno scolastico la maestra Laura indiceva libere elezioni per la nomina del capoclasse. Il capoclasse doveva assolvere sostanzialmente a due mansioni: la prima, urlare classe at-tenti qualora fossero entrati in aula un'altra maestra, il dirigente scolastico, che all'epoca veniva chiamato in altro modo, il prete, o un genitore, le uniche persone accreditate ad avvicinarsi senza essere bloccate da quel buon uomo di Faustino, il bidello; la seconda, scrivere alla lavagna i nomi dei buoni e dei cattivi se lei si fosse assentata un attimo. Le candidature erano libere, bastava proporsi alla carica, dopodichè si votava per alzata di mano. La classe aveva anche la possibilità di sfiduciare il nominato se lo stesso non si fosse dimostrato all'altezza, per esempio abusando del proprio potere per piccole vendette o per un tornaconto personale. Ma in 5 anni di elementari penso sia successo solo un paio di volte. Credo, anzi ne sono quasi certo, che la maestra Laura fosse missina, ma in quel Bronx che era il mio paese ci ha insegnato la democrazia e il rispetto delle regole.

martedì 5 luglio 2011

lunedì 4 luglio 2011

Scusa un cazzo

Ma le scuse per i disagi vengono resettate alla fine di ogni giornata o Trenitalia ha un bonus a esaurimento finito il quale un utente ha il diritto non dico di incazzarsi, che tanto non serve, ma di pretendere almeno la sospensione di queste contrizioni false e ipocrite e magari anche delle ormai surreali giustificazioni. Annuncio ritardo: il treno proveniente da e diretto a arriverà con 30 minuti di ritardo: non abbiamo parole, portate pazienza. Più onesti, no?

martedì 28 giugno 2011

Il treno e la Vergine

Certo che il treno speciale per Lourdes in ritardo di un'ora è una vera beffa (tabellone visto con i miei occhi alla stazione di Verona). Nemmeno la Madonna può nulla contro le FS.

venerdì 17 giugno 2011

Costruita intorno a te

Era da molto tempo che non vivevo la città come nelle ultime settimane. Complice il trasloco di casa che mi ha costretto a continui trasferimenti, anche a piedi, tra il vecchio e il nuovo appartamento, attraverso le vie del centro storico e la loro variopinta multietnicità. Riflettevo su due aspetti. In una settimana, in una delle strade principali, un tempo il salotto buono di Brescia, oggi declassata a tinello, hanno aperto due nuove banche, che vanno ad aggiungersi alle non so quante presenti nel comune. Segno evidente di ricchezza, almeno così mi hanno sempre detto. A distanza di 500 metri, forse nemmeno, c’è una delle postazioni del camper emergenza, che da anni distribuisce il pasto a chi non ha da mangiare. Un tempo, ricordo, lì intorno si vedeva solo qualche tossico, alcuni stranieri spauriti appena arrivati e i chochard storici. Adesso il numero delle persone è aumentato. E a  ritirare il sacchetto si mettono in fila anche molti bresciani. Lo leggevo sul giornale locale. Una testimonianza a corredo di un’inchiesta sulla cassaintegrazione che, scriveva il quotidiano, ha colpito anche gli studi legali e notarili. Il racconto di un uomo di 50 anni, dipendente di un’azienda terziaria che un anno fa è stata costretta a chiudere per mancanza di commesse. Questo signore non se l’è ancora sentita di dire ai 3 figli che ha perso il lavoro. Così ogni mattina esce alla stessa ora di sempre e va alla ricerca di un impiego. Poi aspetta il camper emergenza, prende il pasto e si piazza all’esterno di un supermercato un po’ defilato in attesa che qualche massaia svuoti e abbandoni una busta. Quindi vi trasferisce il contenuto della carità, in modo da poter nascondere ai figli, quando rientra, la sua vergogna.

Sua altezza

COMMENTO


dal Manifesto del 16/06/2011

Francesco Paternò

Il ministro precario

Ce l'eravamo perso per strada Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione, tanto che pensavamo di ricorrere alla famosa trasmissione cerca persone di Rai 3. Sempre nella polvere e mai sugli altari al contrario di Napoleone, Brunetta era mediaticamente scomparso dopo avere insultato impiegati e poliziotti, donne lavoratrici e magistrati, sinistra «di merda» at large. Ma è bastato che Michele Santoro lo invitasse nella sua ultima puntata (da vero servizio pubblico Annozero, altro che chiacchiere) e il ministro ha ripreso fiato. Tanto che qualche giorno dopo in un convegno dal titolo sbagliatissimo, «Giornata dell'innovazione», Brunetta ha rispolverato la sua cultura volgarmente stantia, definendo un gruppo di precari «l'Italia peggiore». A seguire, canovaccio noto: polemiche, lui che ci salta sopra e rivendica, altrimenti chi ne parlerebbe?
Su Internet, il ministro e le sue gesta ovviamente impazzano. Ma a coloro che usano «la rete come un manganello» (parole sue) andrebbe ricordato che anche Brunetta è oggi un precario. Un precario di quella vera «Italia peggiore» che i risultati elettorali delle amministrative e il voto referendario stanno provando a spazzare via. Se c'è un ministro barcollante e senza futuro, è lui: stressato da Giulio Tremonti che continua a non dargli un euro per le sue effimere riforme, e dalla Lega che lo ignora in quanto pasdaran berlusconiano. Insomma, un po' di pietà.
Nel 2008, all'inizio del suo mandato, è più precario che temerario il suo attacco contro i lavoratori del pubblico impiego, chiamati «i fannulloni». Riesce a imporre il contratto separato, ma l'Avis, per dirne una, gli fa sapere che d'ora in poi la donazione di sangue verrà equiparata all'assenteismo, peggio di Dracula. Agisce sempre lontano dal vaso quando definisce «panzoni» i poliziotti (se non altro perché nemmeno lui esibisce le physique di un Fassino) e quando strilla che le donne dei ministeri vanno a fare la spesa in orario di lavoro, facendo sgranare ulteriormente gli occhi alla collega di governo Mara Carfagna. Sui temi più cari al suo padrone, quelli della giustizia, un giorno sostiene che va sciolta l'antimafia, perché tanto (par di capire) se c'è, non esiste. E un altro giorno chiama «mostro» il Consiglio supremo della magistratura, aggiungendo che i magistrati «forse si sono un po' montati la testa». Quel «forse» gli fa però vincere la palma del più moderato della compagine governativa in fatto di giudici e giustizia, il che può anche essere considerata l'eccezione che conferma la regola.
Ma più precario di Brunetta in questo paese c'è l'aiuto pubblico alla cultura, e infatti il ministro coglie l'occasione per mettere in piedi una guerra tra poveracci e se la prende con il cinema e con quel «culturame» (fine vocabolario fascistizzante). Se poi qualcuno di sinistra alza il dito per difendere cinema e teatro, per Brunetta ecco la «sinistra del male». O «di merda» per la precisione. Cui augura senza tema che «vada a morire ammazzata». Nell'occasione, sproloquia anche di «colpo di stato» e non si pente mai di quel che dice.
Eppure, il ministro è un precario anche lui. Pensate che, se si dimettesse come ha tante volte minacciato in polemica con Tremonti senza farlo, non lo vorrebbero nemmeno a Venezia, sua città natale, dove nel 2000 e nel 2010 è stato sconfitto per due volte a candidato sindaco.
Solo una volta era nel giusto, quando Massimo D'Alema lo chiamò «energumeno tascabile» e lui rispose: «Volgarità razziste». Ma è noto che da anni D'Alema sbaglia sempre, anche quando ha ragione.

giovedì 9 giugno 2011

L'euforia del culo

Ha vinto Pisapia. Sono stato impegnato nel trasloco di casa e non ho avuto tempo di guardare la tv né di leggere i giornali. Non che sia stato male, anzi, ma mi sarebbe piaciuto vedere alcune facce livide e soprattutto sentire i loro commenti. Sono comunque sicuro, pur non avendole lette, di condividere e di sottoscrivere le analisi che avranno sicuramente fatto, per esempio Ezio Mauro o Eugenio Scalfari, o altri colleghi di Repubblica, del Manifesto, del Corriere, della Stampa. Personalmente non ho contributi da dare, almeno non credo. Potrei dire, prendendo a prestito una battuta pubblicata da Spinoza, che non ero così felice dai tempi dell’invasione della Cecoslovacchia. Ma sarebbe troppo radical chic e soprattutto non sarebbe vero. Il sentimento, quello profondo, che interpreta appieno il mio stato d’animo nel vedere Milano girare le spalle a Berlusconi, con quello che ciò significa anche simbolicamente, può essere riassunto in un’espressione un po’ grossier delle mie parti, di cui mi scuso ma non mi pento: mi ride anche il buco del culo.

venerdì 13 maggio 2011

Brutti, sporchi e cattivi

E così oltre ad essere brutte, soprattutto le donne, le persone di sinistra puzzano. Si lavano poco, dice Silvio B., la cui ossessione per la pulizia e i cattivi odori è cosa nota. Ai tempi di Forza Italia arrivò addirittura a regalare a tutti i deputati uno spray anti fiatella: "per gli incontri ravvicinati con il presidente e con i tuoi elettori", era scritto nella lettera che accompagnava il cadeau. Se si parte dall'assunto brutti e sporchi, si arriva, quasi per conseguenza logica, anche a cattivi. E così è naturale che donna Letizia Moratti, nata Brichetto, accusi il proprio avversario alle amministrative di collusione con i terroristi, riesumando una vecchia storia da cui l'avvocato Giuliano Pisapia venne assolto in vari gradi di giudizio, dopo essersi fatto 4 mesi di carcere da innocente. Ma buttare lì bastardamente la diffamazione, 20 secondi prima della chiusura di un faccia a faccia televisivo, è in linea con il dettato padronale di fare politica, fatto di dossier bugiardi e infamanti, il più delle volte dati in pasto a giornalisti al soldo e senza scrupoli. Una politica contundente, che punta ad annientare personalmente l'avversario o il dissidente interno, non importa quello che dice, i contenuti: l'ordine è di spostare l'attenzione, di sparigliare. Poi hai voglia di provare che non c'è nulla di vero, far vedere le sentenze: gli italiani non leggono i giornali e nel tam tam virale rimane, nel caso specifico, che Pisapia è stato in prigione e che era amico di terroristi di Prima Linea: vuoi che uno così possa fare il sindaco di Milano, anche se oggi è un signore che probabilmente se dovesse catturare una mosca in casa aprirebbe la finestra ridandole la libertà? Certo è difficile contrapporre l'etica, le idee, i progetti, una visione di città, di vivere civile, se l'unico programma che dimostra di essere vincente, almeno finora, è quello riassunto nel video sotto. Quando andò in onda, parecchi anni fa, sembrava una forzatura, un paradosso. Nessuno avrebbe immaginato che invece era la sintesi perfetta della realtà che stiamo vivendo. Eppure non bisogna mollare. Partendo da Milano.

http://www.youtube.com/watch?v=u-NRmT0R5eg

mercoledì 11 maggio 2011

L'Italia noir di Massimo Carlotto

Arriva oggi in libreria "Alla fine di un giorno noioso", il nuovo romanzo dello scrittore. Torna il personaggio di Giorgio Pellegrini, già conosciuto dieci anni fa in "Arrivederci amore, ciao". Il malaffare, la corruzione, la criminalità organizzata che si infiltra nel tessuto industriale del Veneto. "Tutte piaghe legali nel sistema produttivo. Per questo la magistratura fatica a metterci un argine"

http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/05/09/news/massimo_carlotto-15991267/?ref=HREC2-11

martedì 10 maggio 2011

Herald, uno di noi

Personalmente trovo fuori luogo, anche se li comprendo, i battimani durante i funerali.  Applaudire Herald Espenhahn, ad della ThyssenKrupp, condannato a sedici anni e mezzo per il rogo nello stabilimento torinese in cui 3 anni fa morirono 7 operai, mi sembra invece abominevole.
E siccome a farlo non è un gruppo di ultras ma l’assemblea di Confindustria - a Bergamo, nel fine settimana - lo leggo come una precisa presa di posizione, che la stessa presidente Marcegaglia ha del resto ammesso, nemmeno tanto velatamente, commentando la sentenza: “un unicum che non ha precedenti in Europa”, un atteggiamento che, “se dovesse prevalere, allontanerebbe gli investimenti esteri e metterebbe a repentaglio la sopravvivenza del nostro sistema industriale”.  Per questo ha ragione Giorgio Cremaschi, leader della Fiom, quando dice che “gli applausi dell'assemblea degli industriali di Confindustria ad un imprenditore condannato per strage sono un inqualificabile atto di vergogna morale. Con chi applaude gli omicidi condannati non c'è nulla da discutere, nulla da dialogare”. Manifestazioni di giubilo che hanno dato fastidio persino a uno come Calderoli. “Ho trovato davvero fuori luogo l'applauso al dirigente della Thyssen – ha detto il ministro - visto che la sicurezza sul lavoro è un problema che interessa tutti i lavoratori e i cittadini, Sono i morti che vanno ricordati, non chi ha violato le norme e fatto morire gli operai. Quell'applauso, invece, ha insultato i morti”. Silenzio invece da parte del Pd, che non ha commentato i fatti di Bergamo.

giovedì 5 maggio 2011

Polizze e vaselina

Vado in lavanderia a riprendermi della roba che avevo portato una settimana prima, o forse due, non sono così assiduo: solitamente la giornata dedicata per la consegna e il ritiro è il sabato mattina. Ho scoperto ieri che quel sabato di ritiro era il 19 di giugno di un anno fa. Data importante, da tenere a mente, perché è qui la chiave del giallo. Anyway.  La commessa mi informa che purtroppo c’è stato un guasto durante il lavaggio e alcuni indumenti hanno subito dei danni. Tra questi anche una sciarpa di lana della mia signora, acquistata in Giappone, regalo di una sua allieva, quindi con implicazioni affettive oltre che economiche. Lavorando può capitare, è la mia risposta molto british alla ragazza, che a sua volta mi rassicura che è già stata aperta una pratica e la loro assicurazione provvederà a risarcire i danneggiati. Nel frattempo mi da il numero di cellulare del perito incaricato dalla compagnia a cui chiedere informazioni. In quel periodo la vicenda della sciarpa non è tra le mie priorità e me ne dimentico. Me la ricorda la mia signora poco prima di Natale, al che chiamo il perito. Sto chiudendo la vertenza in questi giorni: è stato più difficoltoso del previsto perché i danneggiati erano parecchi, mi dice, anticipandomi che verrò contattato a breve dall’assicurazione per il risarcimento. Se così non fosse, mi richiami. Cosa che faccio l’altro giorno, a cinque mesi di distanza. Il perito si stupisce, perché pensava che il caso fosse ormai archiviato e mi da il numero di telefono dell’ufficio sinistri dell’assicurazione per avere direttamente lumi. Ieri telefono e parlo con il liquidatore. Scopro così che secondo l’assicurazione non ho alcun diritto perché l’incidente denunciato dalla lavanderia  sarebbe avvenuto il 10 di giugno e il mio scontrino è invece datato 19 giugno, quindi successivo all’evento. A parte che non ricordo le date, non metto in dubbio che il mio scontrino sia datato 19, ma è relativo al giorno del ritiro, come usa fare la lavanderia quando ti riconsegna la merce. Le mie argomentazioni non fanno però breccia nel rigido regolamento assicurativo, fatto di clausole, di distinguo e di vaselina. Sabato proverò ad andare in lavanderia. Quantomeno a recuperare la sciarpa rovinata.