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mercoledì 30 marzo 2011

Le Fs non mi hanno riprotetto

Dopo mesi di regionale nella direzione opposta, questa mattina alle 7.33 prendo un fracciargento per Milano. Viaggio di lavoro, rimborsato dall’azienda, quindi biglietto di prima classe. La voce della stazione, che ha appena finito di dar conto del puntuale ritardo dell’euronight da Pari/Berci (sic) diretto a Venezia ne annuncia l’arrivo in orario, prima classe in centro al treno. Carrozza 2, posto 43, pnr mandato via sms, 23 euro di spesa. Ticketless. Un signore. Purtroppo però questa mattina il 9700 da Venezia per Milano ha solo una carrozza di prima classe, la numero 1. Sorry, dice il capotreno. Sorry un cazzo mi verrebbe da dire, ma davanti a me c’è già chi si indigna per il disservizio e annuncia formali proteste, perché è uno scandalo ecc. ecc, che preferisco lasciar perdere. Percorro un chilometro di corridoi e finalmente trovo un posto libero in seconda classe. Saluto cordialmente senza ricevere risposta. Evidentemente non usa. All’altezza di Treviglio passa  una giovane fanciulla a controllare i biglietti. Mi chiede se il posto che occupo è realmente quello prenotato. No, veramente avevo una prenotazione in prima classe, ma oggi c’è solo un carrozza. E non è stato riprotetto? fa lei di rimando. Onestamente no, forse da militare, mi viene da dire, ma so che non sarebbe la risposta esatta. Mi limito a sorridere e a dire, va bene anche qui, grazie.

martedì 29 marzo 2011

Il buon senso non viaggia in treno

Sarebbe troppo facile prendersela con Trenitalia, anche se, probabilmente, si avrebbe una qualche ragione. Voglio però credere che, come spesso accade, non è per forza di cose l’istituzione colpevole dei comportamenti dei singoli dipendenti, a meno di precisi ordini di servizio di cui non sono a conoscenza. In ogni caso, sarebbe auspicabile che nell’applicare il regolamento i controllori si affidassero più spesso al buon senso. La lettera che segue è stata pubblicata oggi da un quotidiano online di Bergamo



Egregio direttore,

vorrei condividere con Lei e con i lettori la disavventura capitata a mio figlio Luca, che lunedì mattina ha preso, assieme alla sua classe, il treno Bergamo-Milano delle 7.50, per una gita scolastica.
Arrivato alla stazione di Bergamo, ha regolarmente acquistato e obliterato un biglietto da 50 Km.
Al momento della verifica, però, il controllore lo ha contestato, dato che la distanza tra Bergamo e Milano Centrale è di ben 3,742 Km superiore al suddetto biglietto, secondo i dati ufficiali FS.
Da notare che la tratta Bergamo-Milano Lambrate è di 49,669 Km.
Risultato? Biglietto non valido, multa di 200 €, disagi e ritardi per tutta la classe, gita a Milano rovinata.
Se guardiamo il regolamento, lo zelante controllore ha agito in maniera ineccepibile.
Ha punito, in maniera esemplare, un ragazzo di 16 anni, reo di non aver misurato i 3,742 Km. e di non essere esperto di stazioni e di distanze. Non certo di aver tentato di "fare il furbo" (credo il "risparmio" sia stato nell'ordine di 0,50€).
Ma il regolamento non può arrivare dappertutto. Serve anche il valore umano.
E io, malgrado mi sforzi, in questa vicenda non riesco proprio a trovarlo, anzi: a giudicare da come è stata gestita la situazione, anche e soprattutto a livello (dis-)umano, mi viene in mente l'antico adagio: la legge, coi nemici si applica e con gli amici si interpreta.
E' questo il rapporto che Trenitalia vuole avere con i suoi clienti ?
Infine, una domanda sorge spontanea: dietro questo zelo e questa solerzia al limite della protervia, non si cela forse un buco di capacità gestionale e relazionale e un drammatico bisogno di fare cassa a tutti i costi ?
Siamo tutti avvisati...

Paolo Pontremolesi

venerdì 25 marzo 2011

Figli di NN

Piccole notizie in tempo di guerra. L’Italia può mettersi il cuore in pace: non ha nessuna responsabilità per la morte di Carlo Giuliani, caduto durante il G8 di Genova del 2001 per mano di un giovane carabiniere, autore materiale di una morte annunciata e vittima a sua volta di una sceneggiatura scritta altrove. L’assoluzione è stata pronunciata ieri dalla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, alla quale si erano appellati i genitori del ragazzo (i particolari nell’articolo di Repubblica). La Corte ha dato torto su tutti i punti ai famigliari ma ha riconosciuto loro 40.000 euro: 15 a testa al papà e alla mamma e 10 alla sorella. Non era quello che cercavano. Credo sia inutile ricordare cosa è realmente andato in scena nella città ligure nel luglio di 10 anni fa: sull’argomento c’è ormai ampia letteratura e sarà la storia, tra qualche decennio, a stabilire, forse, la verità. Quello che lascia l’amaro in bocca è che la morte di un ragazzo ad una manifestazione non sia stata degna di un processo e che si sia fatto di tutto, ancora quando era a terra in piazza Alimonda, per screditarne l’immagine: un violento, uno sbandato, un drogato. Ironia della sorte proprio ieri ha preso avvio il processo per la morte di Stefano Cucchi, massacrato di botte e lasciato morire in carcere a Roma nel 2009. Anche lui solo un drogato, come ebbe a dire quell’uomo timorato di Dio del sottosegretario Giovanardi. In questo caso però un processo è stato quantomeno istruito. Ci sono degli imputati, degli avvocati che li difendono, una pubblica accusa e dei giudici che emetteranno una sentenza. Come dovrebbe sempre accadere in un paese civile e democratico, soprattutto quando a dover rispondere di ipotesi di reato sono uomini delle istituzioni. O le istituzioni stesse.

venerdì 18 marzo 2011

W L'ITALIA

La storia dirà anche ai quei pochi (spero) che non ne hanno ancora contezza di quanto siamo stati fortunati, in questi anni, ad avere come Presidente della Repubblica un uomo della statura di Giorgio Napolitano. L'equilibrio nelle decisioni, non sempre facili in questo scorcio di settennato al Quirinale, ne hanno fatto un punto di riferimento sicuro e spesso unico nei momenti più bui. Per ora la dimostrazione è venuta dalle tante piazze della Penisola: l'esposizione, per una volta non retorica, del tricolore, ha sottolineato e ha sancito il senso di appartenenza indicato con forza proprio dal Capo dello Stato. Perchè se è vero, come scrive Le Monde, che l'Italia è uno Stato e non ancora una Nazione, o come sottolinea il New York Times, che è solo un patchwork di regioni, la festa spontanea di popolo di ieri ha dimostrato che gli italiani sanno ascoltare chi non ha bisogno di urlare per farsi sentire e possono seguire insegnamenti ed esempi alti, che non prevedono per forza contrapposizioni. Anzi, chi ha voluto distinguersi platealmente, ha sbagliato tempi e spartito, suonando una nota stonata, che ha finito per coprirlo finalmente di ridicolo. L'altro giorno, quando gli amminsitratori locali della lega se ne sono andati per non ascoltare l'Inno di Mameli, ho pensato: che bello se tutti i direttori dei giornali avessero un moto di orgoglio e, al di là dei personali convincimenti, decidessero di non darne notizia. Non rilanciare questa dimostrazione di fierezza troglodita sarebbe equivalso a cancellarla: se non ne parlo non è mai successo. Il broncio da bambini in castigo dei pochi leghisti ieri alla Camera, zittiti addirittura dai colleghi importunati da inutili chiacchiere al momento del doveroso silenzio, ha invece dato ancora più importanza a che tutti i cittadini venissero a conoscenza del loro chiamarsi fuori. Quando andrà a regime la riforma federale, in tanti, purtroppo per noi, si renderanno poi conto sulla propria pelle e nelle proprie tasche del tempo perduto a inseguire un'illusione.

martedì 15 marzo 2011

Spartaco

Quando qualcuno si dimette da un incarico, denunciando pubblicamente che lo fa perché non è messo nelle condizioni di fare al meglio il proprio lavoro, va  guardato con rispetto.  Anche se è Carlo Giovanardi, e anche se non si è ancora capito se si è davvero dimesso, si dimetterà, ha solo annunciato le dimissioni, ma soprattutto: da cosa si sarebbe dimesso/si dimetterebbe Giovanardi. 

domenica 13 marzo 2011

Priorità

La giustizia stava gravemente danneggiando la catena alimentare (La finestra sul cortile di Bucchi).

giovedì 10 marzo 2011

I pungiball di Silvio

Certo che è dura fare il promotore televisivo delle libertà, il difensore ad personam del cavaliere, metterci la faccia nei talk show dove è ormai quasi impossibile non coprirsi di ridicolo, perché anche i vecchi trucchi di interrompere l’interlocutore, alzare i toni, negare l’evidenza, non riescono più a nascondere, a coprire, a sviare l’attenzione. Ecco quindi che i vari Lupi, Ravetto, Santanchè, Di Girolamo, Biancofiore - quest’ultima  è la più inquietante: bionda barbieggiante, sempre sorridente e dai modi apparentemente gentili, appena si entra in argomento si trasfigura in Hannibal Lecter – si siedono negli studi di Annozero, 8 e mezzo, Ballarò e come tanti pungiball si guadagnano lo stipendio. E se qualcuno, Maurizio Crozza o Vauro, ironizzano, cazzeggiano, sberleffano, l’ordine tassativo è di non ridere, neanche dentro, che il capo ti vede. Santanchè è la più incazzosa, Ravetto e Di Girolamo le assertive, della Biancofiore ho detto. Lupi è quello più navigato: fa finta di guardare gli appunti, accenna smorfie di disapprovazione, scuote la testa amareggiato, guarda con pietà cristiana (e rancore ciellino) chi osa prendere per il culo la vita e le opere di Silvio I da Arcore. Il massimo l’ha raggiunto in una puntata di Annozero quando per difendere l’indifendibile stava perdendo talmente di dignità che Rosi Bindi e Italo Bocchino si sono sentiti in dovere di pregarlo di fermarsi, di pensare a sé, che non era il caso. Che l’osso se l’era comunque ampiamente conquistato.

mercoledì 9 marzo 2011

Senza vergogna

L’immagine è quella di Corrado Guzzanti che nel bel mezzo di una festa piscia sul divano di casa mentre la voce fuori campo dice: nella casa delle libertà ognuno fa il cazzo che gli pare. Satira politica, teatro, finzione. L’odierno Truman Show è invece talmente reale che si finisce per perdere il senso della realtà. E della vergogna. Due notiziole lette questa mattina. La prima. Il 4 marzo ricorreva il sesto anniversario della morte di Nicola Calipari, servitore dello Stato, assurto per qualche giorno al rango di eroe per aver perso la vita in Iraq, ucciso dal fuoco amico mentre riportava a casa la giornalista Giuliana Sgrena, appena liberata dalla prigione irachena. Ucciso non si sa bene perché, né da chi: o meglio, si può ipotizzare il perché e a quel punto importa poco da chi. Il suo ricordo sta diventando talmente imbarazzante che quest’anno, per commemorarlo, non è stata organizzata alcuna cerimonia di Stato, ma una semplice funzione religiosa. La famiglia ha giustamente declinato l’invito. Contemporaneamente due suoi colleghi, sporcati da inchieste e da pesanti sospetti, hanno avuto un avanzamento di carriera. La seconda storia fa il paio con questa. Strage di Ustica. Il Dc 9 dell’Itavia che improvvisamente scompare dai radar, per riapparire in mare con il suo carico di 80 persone una sera di fine giugno del 1980. Una strage su cui permane il segreto di Stato e per la quale i famigliari non hanno avuto ancora la soddisfazione di vedere riconosciuto un colpevole. Dopo i processi farsa, le omissioni, le troppe falle di un’inchiesta a ostacoli, ora devono subire anche questa ulteriore umiliazione dal governo italiano. L’esecutivo ha infatti deciso che querelerà qualsiasi persona, famigliari compresi, dovesse ancora parlare di abbattimento del Dc 9 durante un combattimento tra velivoli militari, o da un missile, tirando in ballo depistaggi della nostra Aeronautica. Che probabilmente è la verità. L’unica verità concessa dal nostro governo è invece la bomba esplosa a bordo. A vigilare è stato messo il sottosegretario Carlo Giovanardi. Come dire, la tragedia che si trasforma in farsa.

lunedì 7 marzo 2011

Zorro e Paperino

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Tra le firme raccolte dal Pd contro Berlusconi pare ci siano anche quelle di don Diego de La Vega, Zorro, e di Paolino Paperino: il difensore dei deboli e lo sfigato per antonomasia. Non so se sia un buon segno. Oddio, personalmente continuo a pensare che raccogliere firme così tanto per fare sia una iniziativa da oratorio: i governi si battono in parlamento e con i progetti. Il resto è folclore tanto quanto e conta come il due solo a briscola chiamata.

domenica 6 marzo 2011

Il professor N.

Sera di consiglio comunale nella piccola cittadina in riva al lago. All’ordine del giorno, la difficile situazione degli edifici scolastici, che la giunta di compromesso storico - un bicolore dc-pci, il primo e forse unico esempio nell’Italia della prima repubblica - intendeva risolvere con una serie di spostamenti d’istituto, ai quali gli studenti si opponevano con occupazioni e manifestazioni ormai da settimane. Io, giovane cronista del giornale locale, incaricato di seguire la vertenza scuola, mi siedo nei banchi riservati alla stampa. Entra nell’aula del consiglio il prof. N., assessore alla pubblica istruzione, mi vede e si avvicina. Il prof. N. è un signore molto elegante, così come lo sanno essere solo i meridionali, ed è un democristiano di lungo corso. Io la leggo sa, mi dice sorridendo e porgendomi la mano. Lei è bravo, ma è un po’ troppo manicheo nei suoi resoconti: lo dico per lei, aggiunge, mentre fa per allontanarsi per raggiungere il suo posto.  Poi ci ripensa, torna sui suoi passi e mi fa: tutti da giovani siamo stati rivoluzionari, non ci crederà ma lo sono stato anch’io; col tempo però si diventa tutti un po’ democristiani, si ricordi. Il prof. N. si sbagliava. Non ero per nulla bravo. Le mie cronache erano assolutamente di parte. Tra gli edifici a rischio trasloco c’era anche il mio vecchio liceo ed io mi ero lasciato coinvolgere: non ero stato capace di mantenere quella giusta distanza con gli avvenimenti di cui parlerà anni dopo in un bel film Carlo Mazzacurati. Sul fatto di diventare democristiani, se il prof. N intendeva, come penso, che con gli anni e l’esperienza si riesce a smussare qualche spigolosità e a stare più attenti alle ragioni di ognuno, pur senza perdere la passione, beh, allora aveva ragione. Da quell’episodio sono passati vent’anni. Ho cambiato giornali e città, e da allora ho perso di vista quella realtà e la sua politica. L’altra sera, uscendo da casa di un amico, ho visto la partecipazione funebre del prof. N. E la mente è tornata indietro nel tempo, a quel consiglio prezioso di un uomo intelligente a cui, credo, fossi simpatico. Le sia lieve la terra, caro professore.

sabato 5 marzo 2011

Vecchio Gagà

Carlo Rossella, già direttore di TG1 e Panorama, intimo del premier, delle sue cene e degli scoppiettanti dopocena, tra le varie collaborazioni conta anche una surreale rubrica della lettere su Chi, il personale Truman Show di nostro signore Silvione che settimanalmente gli viene apparecchiato da Alfonso fu fu fu Signorini. Tranquilli, non compro Chi: mi è capitato di sfogliarlo in una casa di riposo dove notoriamente non girano riviste impegnate. Ora, va bene tutto, va bene l'assoluta leggerezza e l'inutilità delle missive, ma ammesso che esista davvero, uno come Francesco di Pinerolo, che scrive quanto segue, mi piacerebbe conoscerlo.

Carlo caro, la futura sposa di William d'Inghilterra, Kate Middleton, potrà contribuire a rinverdire i fasti della corona inglese? Potrà mai prendere il posto dell'indimenticabile Lady Diana nel cuore del popolo? E, infine, vorrei un suo giudizio sull'eleganza della futura principessa.

Senza essere Freud, balza subito agli occhi che il ragazzo/uomo in oggetto, sempre ammesso che esista davvero, è una persona in grossa difficoltà e proprio per questo non lo si può insultare: Francesco, ma vai a cagare, che cazzo te ne frega di Kate, William, della corona inglese, di come si veste la futura principessa e se riuscirà a far dimenticare Lady D. Chiedergli però, con tatto, quali problemi abbia, come passi le sue giornate o quantomeno perchè questo interesse per il Regno Unito, mi sarebbe parso umanamente doveroso. Invece il vecchio Gagà (copyright Luca Bottura) non ha fatto una piega e ha risposto:

Caro Francesco, non stravedo per Kate. Ma mi piace tanto il principe William e spero che sia felice con la sua miliardaria Cenerentola e soprattutto con la terribile, ambiziosa e antipatica suocera.

Francesco e Carlo, due shampiste, la stessa persona.

mercoledì 2 marzo 2011

E' qui la festa?

Nel 2011 ricorre il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Nell’ambito delle commemorazioni e dei festeggiamenti, su sollecito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si pensa di istituire una giornata di festa nazionale (una tantum). La data indicata è il 17 marzo, giorno in cui, nel 1861, Vittorio Emanuele, firmando la legge n. 4671 del Regno di Sardegna, proclamò il Regno d’Italia. L’idea non piace a tutti, Lega in testa, che quando sente parlare di Italia o vede il tricolore le viene l’orticaria sotto i piedi. In un primo tempo anche i nordisti devono però abbozzare. Senonchè la confindustriala Marcegaglia solleva delle perplessità: il 17 marzo cade di giovedì e una festa proprio quel giorno apre le porte ad un ponte straordinario, con grave nocumento per l’economia, in un momento di crisi e bla bla bla. Sarebbe meglio festeggiare lavorando. Ai leghisti non par vero: persino il fazzoletto verde d'ordinanza ha un’erezione e con faccia seria e compunta, per quanto possibile a uno come Calderoli, sostengono la tesi padronale, arrivando quasi allo scontro fisico con gli ex missini al governo che, in un rigurgito nazionalista, si sono irrigiditi sulle posizioni del Capo dello Stato. Il momento è grave, non si può perdere un giorno di produttività. Bene, verrebbe da dire. Allora per quest’anno lavoriamo a pasqua, o a natale o a Santo Stefano: che festa è tra l’altro Santo Stefano! Per non parlare dell’epifania o del primo dell’anno. Con il Carroccio si schiera anche un’altra mente illuminata: il presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Durnwalder: “Non abbiamo un grande interesse. Ci sentiamo una minoranza austriaca e non abbiamo scelto noi di far parte dell’Italia”. Italiani ciapac col s-ciop. Italiani presi con il fucile sintetizzavano con una qualche ragione dalle mie parti. E Il premier? A lui frega un cazzo di feste dove non ci sono fighe disponibili, quindi non detta la linea e le truppe vanno in ordine sparso. La Gelmini, che non perde occasione per farsi stare sui coglioni da studenti e insegnanti, mette subito in chiaro: la scuola rimarrà aperta. Michela Vittoria Brambilla che invece non perde occasione per coprirsi di ridicolo, dichiara che lei è per lavorare, salvo poi sostenere, il giorno successivo, alla conferenza stampa che ufficializza la firma del decreto che istituisce la festa, che un ponte in quel periodo, visto che il calendario non ne offre altri, è un bene per l’industria turistica. Nuntio vobis che questa minus habens di proporzioni stellari è un Ministro della Repubblica Italiana. E non si sa per quali meriti visto che mi rifiuto di pensare che un esteta come Silvione possa avere scopato un cesso simile! Sorry, ma quando ci vuole ci vuole. Il dato è che in Consiglio dei ministri la lega prova fino all’ultimo a fare muro ma di fronte alla minaccia di La Russa e Gasparri di votare l’emendamento del pd sull’istituzione della festa, pare siano intervenuti  il cavaliere e monsignor Letta per mettere fine al pollaio, preoccupati di una possibile crisi alla vigilia dei noti processi. Perché sì, rinuntio vobis, noi festeggiamo i 150 anni di Repubblica con un primo ministro alla sbarra in procedimenti diversi e infamanti. Buon compleanno Italia!
M a non è finita. Siccome non c’è mai davvero limite al peggio, la lega, tanto preoccupata del Pil, chiede l’istituzione delle festa del Carroccio e della bandiera della Lombardia. Data richiesta il 7 aprile, un giovedì, giorno in cui, nel 1167, ci fu il giuramento di Pontida. Alla fine la spunta per il 29 maggio, domenica, anniversario della vittoria contro l’imperatore Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano del 1176. Dopo 150 anni siamo messi ancora così.

martedì 1 marzo 2011

Metteremo la luce nei campi

Muammar, se non riesci a comprare i rivoltosi con i soldi, prova a dire che abolirai l'Ici! Qui ha funzionato. In realtà qui ha funzionato anche comprare i rivoltosi: adesso si chiamano responsabili.