Translate

lunedì 24 marzo 2008

Achille, tartarughe e treni

Zenone di Elea, filosofo greco del V secolo, allievo di Parmenide, era considerato da Aristotele il fondatore della dialettica formale. L’originalità del suo metodo era di assumere come punto di partenza la tesi da confutare e dedurne rigorosamente tutte le logiche conseguenze, per mostrarne la contraddittorietà e di conseguenza l’assurdità. Di lui rimangono famosi i paradossi, il più noto dei quali è forse quello di Achille e la tartaruga. In soldoni, se in un’ipotetica gara di corsa Achille dovesse lasciare un vantaggio minimo alla testuggine, non riuscirà mai a superarla, perché nel tempo che il Piè veloce impiegherà a colmare lo svantaggio, la tartaruga avrà fatto un ulteriore tratto in avanti, e così all’infinito. Speculazione interessante, dove appunto entra in gioco il discorso di essere unico e immutabile, l’impossibilità della molteplicità e del moto. Zenone aveva buon gioco, insomma, anche perché all’epoca non si conosceva ancora un concetto matematico fondamentale: quello delle serie numeriche convergenti.
Perché tutto questo discorso? Mi son trovato a pensare ad Achille e alla tartaruga una mattina che ero fermo sull’interregionale Milano-Venezia, nella stazione di Peschiera del Garda, in attesa che l’Eurostar, sempre da Milano, ci superasse, permettendoci di riprendere la marcia. In realtà il paradosso di Zenone è stato il secondo pensiero. Il primo è che, anche quel giorno, non solo avrei perso la navetta aziendale delle 9.10, che mi avrebbe comodamente portato al lavoro, ma anche il 61 delle 9.17 e avrei dovuto aspettare più di mezzora per la corsa successiva, a meno di prendere un altro autobus e di scendere ad un chilometro dalla meta.
Sono ormai due anni che faccio il pendolare Brescia-Verona. Fino a quando è rimasto in vigore l’orario invernale 2006-2007 era andato tutto bene. L’interregionale in arrivo a Brescia alle 8.23, con fermate a Desenzano, Peschiera e Verona Porta Nuova, 8 giorni su 10 era in perfetto orario: prima fermata a Desenzano alle 8.40, a Peschiera alle 8.50, e arrivo a Porta Nuova tra le 9.02 e le 9.05. In tempo per la navetta e, nei rari casi di ritardo dovuto al transito di un altro treno con diritto di precedenza o per traffico in entrata in stazione a Verona, per il 61. Dall’estate 2007, a parità di convogli, son saltati tutti gli equilibri. L’interregionale è sempre in orario. Brescia 8.23, Desenzano 8.40, Peschiera 8.50. Ma a Peschiera c’è il blocco. Quando va bene 10 minuti, a volte anche 15. Ci sarebbe tutto il tempo per arrivare a Verona. Invece no, bisogna aspettare a Peschiera l’incrocio dei due Eurostar da e per Milano che, non si sa perché, visto la decantata velocità, fiore all’occhiello di nostra signora Ferrovia dello Stato, sono sempre in ritardo e a catena ritardano il viaggio anche di chi, più modestamente, rispetta la propria tabella.
Prima considerazione. Chi in Ferrovie dello Stato si occupa degli orari non conosce i paradossi di Zenone e nemmeno sa fare i conti con le serie numeriche convergenti. Diciamo che è un incapace, essendo riuscito, giocando con gli stessi treni, a intaccare un meccanismo che funzionava. Non è un fatto personale. L’Eurostar Roma Bergamo delle 16.35, che ferma a Brescia alle 21.40, nel corso dell’anno arriva con un ritardo di 5-10 minuti una decina di volte. In tutti gli altri giorni il ritardo è variabile dai 30 minuti in su. Qualcuno si è mai chiesto perché o ha fatto qualcosa per risolvere la situazione? Basterebbe onestamente dire che in 5 ore e 5 minuti è impossibile coprire il percorso e adeguare l’orario. Certo a quel punto diventerebbe difficile giustificare il prezzo del biglietto. Comunque, poco male: di solito nelle aziende di stato gli incompetenti vengono presto promossi ad altro incarico. E’ solo questione di tempo.
Seconda considerazione. Se non si adeguano le infrastrutture – binari, raddoppi di linea, ecc. - è inutile costruire treni super veloci o parlare di TAV. Nelle mulattiere si viaggia bene in 4x4 non in Ferrari.
Per quanto mi riguarda, per evitare inutili ansie già dal mattino, metto la sveglia un’ora prima e prendo il treno alle 7.23. Certo potrei salire sull’intercity delle 8, ma mi costerebbe il 70% in più di abbonamento.
Morale. Per colpa di un pezzo di merda, che sta rubando lo stipendio, mi devo alzare con le galline. E la cosa che mi fa più imbufalire è che non capisco il perché.

A proposito di incompetenti, ad delle ferrovie compreso, e di sprechi di denaro pubblico, consiglio la visione di “Cara politica – come abbiano toccato il fondo”, raccolta in dvd di 4 inchieste di Report.

venerdì 21 marzo 2008

Laicisti

Penso che in politica sia quasi naturale dividersi, ma essere di sinistra, o comunque laici, significa partire da una base condivisa, in buona sostanza quella proposta da Rossana Rossanda. Il resto sono accomodamenti, compromessi al ribasso, uno stanco vivacchiare parlando di valori, ormai nemmeno più declinati. Come gli allenatori di calcio: "La sconfitta? Oggi la squadra non aveva i valori giusti. In settimana lavoreremo per capire perchè i ragazzi hanno smarrito quei valori che ci avevano portato fin qui". Un tempo, gli allenatori, utilizzavano il termine attributi, almeno davanti alle telecamere. Non vorrei mai fossero sinonimi!

La Chiesa al suo posto
Rossana Rossanda

Che campagna elettorale! Poche idee, bassezze, graffi, scuse, perfino Vespa si annoia. Nel Popolo della Liberta gli slogan di sempre sono pieni di disprezzo per l'avversario. Berlusconi aggiunge una prudente allusione ai tempi difficili che verranno - recessione, euro troppo alto, petrolio alle stelle - per cui (ma non lo dice) si stringerà la cinghia. Invece Veltroni gioca la carte delle buone maniere anche se ieri gli è sfuggito un «chi vince comanda», a prova che della democrazia hanno la stessa idea. Lui però non mette in guardia dalle imminenti vacche magre: macché pericoli provenienti dall'esterno, sono state la sinistra e i centro-sinistra a sbagliare tutto, facendosi legare le mani dalla nefasta ideologia che contrapponeva padroni e operai, proprietari e spossessati, beni privati e beni pubblici. Usciamo da questa paralizzante menzogna! Lo pensa anche Galli della Loggia. Passate le redini in mani più giovani e refrattarie alle fantasie sociali l'Italia rifiorirà. Bankitalia e l'Ocse informano che abbiamo in Italia i salari più bassi dell'Europa, neanche la Grecia, ma solo Bertinotti raccoglie. Gli altri tacciono perché la Banca Centrale Europea comanda: guai ad alzarli, i salari, sarebbe l'inflazione. I salariati non hanno da fare che una cura dimagrante in attesa di tempi migliori. Eppure all'aeroporto mi hanno avvicinato due giovani, due facce pulite: Questo Veltroni, quale speranza per noi! E lei che ne pensa? Rispondo ridendo: Il peggio possibile. Sorpresa. Li guardo, due ragazzi cui il leader rinnovatore, le playstation e la tv assicurano che viviamo in un mondo senza conflitti, eccezion fatta per l'amore, la mafia e il terrorismo islamico. Che strada in salita li attende per rimediare alla devastazione di quel minimo di critica dell'economia e di spessore democratico cui eravamo arrivati.
Non penso agli estremisti, ma a uno come Caffè, uno come Bobbio, miti persone serie, anch'esse consegnate da Silvio e Walter alle pattumiere della storia. Non stupisce che nella generale piattezza tornino a brillare le religioni con i loro lampi lontani, ma la vicina tentazione di una nuova egemonia. Non tutte, intendiamoci, da noi si agita la chiesa cattolica apostolica romana, cujus regio ejus religio. Ratzinger parla dallo schermo ogni due giorni più la domenica, negli altri predicano i cardinali Bertone e Bagnasco. Degli altri culti approda in tv solo il Dalai Lama, ma perché perseguitato dalla Cina. Non ci arrivano le sue parole. Non la sapienza dell'ebraismo, non quella dei protestanti: la comunità ebraica italiana si fa sentire solo in politica, i secondi sono avvezzi a essere ignorati. Silvio e Walter e Casini omaggiano più di ogni altro il Sacro soglio, ma con il ritorno del sacro hanno frascheggiato tutti. Politici e filosofi, maschi e femmine pensanti. Adesso che se ne vedono le conseguenze, più interventismo che spiritualità, proporrei alla sinistra di mettere fra le tre o quattro priorità un bel ritorno al laicismo. Eh sì. Si finisca di traccheggiare con «laicità sì, laicismo no». E' una distinzione inventata da poco, che in parole povere vuol dire: la Chiesa ingoi la separazione dallo stato nei termini costituzionali, purché applicata «con juicio» e con i consueti strappi sottobanco, tipo esenzione dalle tasse e accomodamenti con la scuola privata . Ma ad essa lo stato deve riconoscere la competenza sulla sfera morale e del costume. Il bieco laicismo la nega, una laicità come si deve è tenuta invece a riconoscere l'autorità del papa su questo terreno. Io penso che questa autorità non vada riconosciuta affatto. Prima di tutto, come si può parlare di etica, di scelte morali, là dove non esiste libertà di coscienza? Mi ha sorpreso che uno dei nostri amici più colti, Massimo Cacciari, abbia definito Karol Woytila come la più alta autorità «morale» dei suoi tempi. Si può parlare di fede, ed è vero che l'esperienza di fede può raggiungere grandi altezze, affascinanti, tragiche. Si può ammettere che sono spesso legati a una «rivelazione» gli squarci sapienziali che intemporalmente ci parlano. Ma fede e sapienzialità implicano una obbedienza che mette duri limiti al sapere critico e ai suoi strumenti, senza i quali non si darebbero né la modernità né un pensiero scientifico e tanto meno politico. Tanto più che a imporre limiti e veti sono le chiese, strutture del tutto terrestri e facilmente prevaricanti. Non hanno persuaso per secoli che il potere terreno fosse la mera proiezione della gerarchia teologica? Non a caso la rivoluzione francese è dovuta passare attraverso l'uccisione del re, autorità che si forgiava su quella celeste e ne era consacrata. Dalla secolarizzazione la chiesa cattolica apostolica romana non si è mai rimessa. Spento Giovanni XXIII è stato tutto un lento rimuovere quel che ad essa concedeva il Vaticano II. Con Ratzinger la rimozione è diventata precipitosa. Specie in Italia non deflette dal riguadagnare terreno. E' ridicola l'argomentazione che si fa perché il Vaticano ha la sua sede nel nostro paese. In realtà qui ha sede la classe politica borghese più cedevole d'Europa. Il Vaticano neppure tenta in Francia una incursione sulle leggi del 1905 (che sarebbero di utile lettura ai nostri politici) e Zapatero ha messo un alt secco al tentativo di intervenire sulle elezioni in Spagna. Da noi i governi ritirano le leggi appena i vescovi vi mettono il becco. La vicenda dei rapporti italiani fra stato e chiesa è fin paradossale. Il fascismo ha fatto il Concordato nel modo più cinico: nelle scuole elementari si cominciava con una preghiera ma poi si propinava in tutte le salse una paganissima romanità. Dopo il 1945, il Concordato sarebbe stato abolito se il miscrendente Togliatti non avesse scelto di lasciarlo in piedi per timore di una guerra di religione che isolasse i comunisti, e fu un errore, la guerra ci fu lo stesso, i comunisti furono scomunicati. Sarebbe stato il cattolico De Gasperi ad arginare le velleità integraliste di Gedda, cosa che Pio XII non gli perdonò. Sempre paradossalmente fu Craxi, primo ministro socialista, a confermare e rimaneggiare il Concordato, mentre il credente e praticante Scalfaro fu l'ultimo presidente della repubblica a non inchinarsi al santo soglio. Poi c'è stato il diluvio. Alla morte di Karol Woytila, un capo di stato dietro l'altro finirono in ginocchio, mentre i leader dei partiti di sinistra scoprivano di essere andati a scuola dai salesiani. L'Opus Dei usciva con fragore alla luce dalla clandestinità e la signora Binetti transitava direttamente al Partito democratico. Ecco dunque una bandiera da raccogliere da parte di una sinistra che voglia restare una cosa seria. Raccogliere bandiere lasciate cadere da qualcun altro ha un suono un po' sinistro, ma afferrare quelle sventolate della chiesa cinguettando con i vescovi è una patente regressione. Fino al ridicolo. Come definire altrimenti la decisione del comune di Roma di non celebrare unioni se non eterosessuali perché il Sacro Soglio è collocato sul suo territorio? Come lasciare che i vescovi mettano il veto a una legge del parlamento sottoposta a referendum senza invitare il Vaticano a restare al suo posto? Come assistere senza aprir bocca ai ripetuti tentativi di questo o quel primate di resuscitare il Non Expedit? Se è un affare interno della Chiesa affossare passo a passo il Vaticano II, umiliando una grande speranza dei credenti, sarà bene un affare interno dello stato legiferare senza interferenze sulla famiglia, sulla sessualità, sulla riproduzione, sul diritto di morire con dignità. Da questi terreni che ineriscono alla più intima libertà anche lo stato dovrebbe ritrarre il piede, rispettando le scelte della persona, e prima di tutto quella delle donne, da sempre ossessione e bersaglio d'una chiesa tutta maschile. Una grande mutazione sta venendo da esse e ne esce mutata anche la concezione della vita e della morte - uno stato moderno, attento, prudente segue questa evoluzione non lascia alla Chiesa di emettere una fatwa alla settimana. Certo, bisogna che abbia un'idea di che cosa sia un'etica pubblica, quella che matura discutendone in libertà e responsabilità, alle soglie del terzo millennio. Ma di questo i leader del «paese normale» non hanno cura. Loro hanno i «valori». Meno stato più mercato per i beni, meno repubblica più Vaticano. I «valori» di Berlusconi, quelli di Veltroni, quelli di Casini, quelli di Emma Mercegaglia, quelli del cardinal Bagnasco. Se ne fa un gran parlare. Un «valore» accompagna ogni vassallata, ogni porcheria. Se mi si permette (e anche se non mi si permette), molti di noi ne hanno abbastanza. Inciampiamo a ogni passo in valori di latta, mentre si torna a guardare con più disprezzo che un secolo fa alla vita e alla libertà di chi lavora nel frenetico accendersi e spegnersi di migliaia di imprese senza regole. Assimilati ormai ai poveri, cui si deve al più un briciolo di compassione. Se non è declino morale questo, travestito da affidamento ai principi della Borsa, della Confindustria e di oltretevere, la ragione non ha più corso.

Barzelletta

Grande Franceschini, era da tanto che non ridevo così...

CONFLITTO INTERESSI: FRANCESCHINI, LO FAREMO,TESTO E' PRONTO ROMA (ANSA) - ROMA, 20 MAR - "Prima della crisi di governo avevamo portato all'Aula un testo. Riprenderemo da lì. La norma sul conflitto di interessi va fatta, perché serve al Paese". Lo ha detto il vice presidente del Pd, Dario Franceschini, parlando del conflitto di interessi a 'Repubblica Tv'. "C'é un testo già pronto - ha aggiunto - e appena vinciamo riprendiamo da lì e proviamo a portarlo in Aula".(ANSA). KTV/ S0A QBXB

martedì 18 marzo 2008

Protagonisti, comparse e pupari

Non mi importa più se Berlusconi racconta le barzellette, se invita la giovane precaria a sposare un uomo ricco per risolvere la sua situazione - anche perché intanto lei, furbina, ha accettato di candidarsi con il Pdl alle comunali di Roma - se vuole o non vuole rimandare i soldati in Iraq, se annuncia che intende spezzare le reni alla Grecia o istituire la festa nazionale della libertà, del liberismo, del libero mercato, del libero in linea, con Maldini centrale e Gattuso a coprire il centrocampo. Perché perder tempo, energie, farsi sangue cattivo stigmatizzando, commentando, fino ad esaurire tutti gli ando, il pensiero del Cavaliere? Al limite potrebbe essere più interessante chiedersi cosa non dice chi corre contro di lui e perché. Credo abbia ragione un vecchio democristiano della mia città che il giorno delle ultime amministrative, pronosticando la vittoria dell’attuale sindaco, disse che la sua avversaria non aveva speranze perché – traduco dal dialetto – la gente non conta nulla (eufemismo): chi gestisce i voti decide per tempo su chi puntare. E non necessariamente per clientelismo, ma perchè, semplicemente, un candidato fornisce maggiori garanzie dell’altro rispetto ad un progetto economico, sociale e urbanistico.

giovedì 13 marzo 2008

Zapatero vince ma da noi ha già vinto il Vaticano

Segnalato da Carlo

di Widmer Valbonesi
Il leader socialista spagnolo Zapatero vince con la sua determinazione riformatrice ma soprattutto con la sua concezione moderna della laicità dello Stato, anche contro le gerarchie ecclesiastiche che frenano le conquiste civili e di sviluppo del paese. Zapatero, con la sua determinazione, vuole dimostrare che lo Stato laico è l'unico depositario dell'etica pubblica e non teme che le gerarchie ecclesiastiche si schierino apertamente contro di lui, il che gli conferisce una certa autonomia nel perseguire le scelte di rinnovamento del paese, sia in campo civile che in quello scientifico, economico e sociale.
Il contrario di Walter Veltroni, che prima si rallegra della vittoria socialista, dimenticando di non aver voluto un'alleanza con Boselli, che sta nell'Internazionale socialista - chiedendogli di rinunciare alla sua identità - e poi si rallegra per l'annunciata neutralità della chiesa, che è tale solo perché tutte le forze di destra, di sinistra e di centro si sono stese a tappetino sulle richieste ecclesiastiche.
Berlusconi ha fatto di più, si richiama al liberalismo e ha ricordato che sui temi di coscienza ha lasciato libertà ai laici di decidere, salvo poi eliminarli tutti: da Del Pennino a Sterpa, da Jannuzzi a Biondi, fino a Capezzone, come fosse stato un ordine dell'inquisizione. In questo imitato dal Pd, che ha messo i laici - Radicali e non - in posizioni "a rischio".
Per alcuni si è detto che erano vecchi, ma per il fascista Ciarrapico o per Tremaglia l'età non conta.
In questa farsa di nuovismo e di buonismo c'è poi la farsa delle quote femminili .C'è chi si vanta di avere messo in lista un numero di donne pari al cinquanta per cento. Però, se si spulciano le liste, la stragrande maggioranza di esse sono collocate in fondo. Dove non saranno mai elette.
In compenso emerge invece la tendenza al nepotismo, al familismo, a premiare i fedeli, i collaboratori, le segretarie e i portavoce, gli addetti stampa. Cioè coloro che hanno il superbo compito di schiacciare fedelmente un bottone, a discapito delle intelligenze del mondo della cultura, delle professioni o dell'economia: di tutte quelle presenze che potevano sostanziare un'attività legislativa di qualità.
Il bipartitismo e il bipolarismo illudono gli italiani del fatto che, concentrando il voto, si cambierà il volto del paese; sarebbe ora che il paese cambiasse il volto di questa politica bipolare ipocrita e arrogante.

venerdì 7 marzo 2008

Candidature

Il Pd candida più donne del Pdl. Il Pdl però le candida più fighe, ma presenta meno arditi de La Destra. Sinistra critica e Sinistra Arcobaleno candidano più operai e dicono che gli operai del Pd non sono così operai, perché stanno dalla parte dei padroni. L'Udc candida invece una principessa, vandeana, ultracattolica, amica del papa. Purtroppo per questa tornata elettorale rimangono fuori la donna cannone e l'uomo con l'uccello più lungo. Il nano invece c'è.