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martedì 20 novembre 2018

Gli anni al contrario


"I grandi, in fondo, non sono che bambini sopravvissuti”. Ci sono romanzi che ti prendono l’anima e non te la lasciano, neanche quando hai finito di leggerli. Perché… perchè a volte toccano nervi scoperti, parlano del tuo mondo: quello che hai vissuto, che in qualche modo hai frequentato, o che ti è passato accanto, sfiorandoti soltanto e accarezzandoti appena. Gli anni al contrario, esordio letterario di Nadia Terranova, l’ho letto un sabato pomeriggio e mi ha trovato inavvertitamente disarmato. Ambientato a Messina tra il 1977 e il 1989, racconta l'intima epopea di una giovane coppia negli anni in cui gli ultimi sussulti ribelli di una generazione venivano cancellati da una triplice deriva: l'approdo alla lotta armata, la piaga dell'eroina, la rivincita degli stereotipi borghesi. Aurora è la seconda di 6 figli, il padre è un ex guardia carceraria, fascistissimo, che porta addirittura i ragazzi in gita a Predappio per farli benedire da donna Rachele. Giovanni è invece il terzogenito di una famiglia borghese: il padre è un noto avvocato iscritto al PCI. Aurora cerca di affrancarsi dal suo mondo e dalle rigidità famigliari attraverso lo studio. Giovanni è un animo ribelle, attratto dagli eccessi, dalle utopie espulse da un partito comunista che per molti giovani dell’epoca odorava di sconfitta. Giovanni e Aurora si incontrano all’Università nel ’77, si amano, sognano la rivoluzione, credono in una società migliore al punto mettere al mondo una bimba, Mara, e giocano a fare i grandi. Ma è un gioco appunto troppo grande, soprattutto per Giovanni che soffre la lontananza, la marginalità dell’isola rispetto ai fermenti delle grandi città italiane ed europee, dove si sta facendo la storia. E questo tormento interiore, questo cane che morde dentro e non dà tregua lo porta sempre più lontano da Aurora e da Mara, che sì ama visceralmente, ma non basta. I sogni diventano allora allucinazioni chimiche, perché solo così si riesce a tenere a bada la bestia e a non pensare. Aurora, che invece i suoi sogni di dottorato li ha abbandonati per Giovanni e per Mara, prova in tutti i modi a capire e ad aiutare l’uomo della sua vita, ma è una lotta impari se il nemico si chiama disillusione ed ha scavato un solco irrimediabile con il passato. Certo ci sono i tentativi di ristabilire un ritmo coniugale ma sono intessuti di silenzi, insicurezze e sensi di colpa. Giovanni toccato il fondo ci prova davvero, per Mara, per Aurora, e ci riesce. Il rapporto prima epistolare dalla comunità terapeutica e poi fatto di incontri settimanali con Mara è di una tenerezza disarmante. La speranza in qualche modo sembra rinascere e c’è ancora tanto tempo davanti: Giovanni ha 35 anni, Mara ha appena iniziato le elementari, Aurora, comunque vada, è l’amore per sempre. All’inizio degli anni 80 viene scoperto un virus che si dice colpisca i tossici e gli omosessuali. E’ un virus bastardo, che si impadronisce del tempo. L’ultima estate Giovanni la passa a Pantelleria da solo con Mara e non ci potrebbe essere finale più bello.
Molti ragazzi di quella generazione, intrisi di ideali politici, di grandi slanci, di sentimenti estremi, sono stati salvati da una passione bambina e grazie a lei sono diventati adulti: il calcio.

sabato 17 novembre 2018

Brunò, il commissario francese




Ho letto di recente Grand Prix di Martin Walker e non mi aveva entusiasmato
particolarmente, Devo dire invece che il romanzo d’esordio di questa serie - Brunò, il commissario francese – è un bel noir. La vicenda è ben raccontata, così come le implicazioni storiche e politiche che la sottendono, i personaggi, a partire dal protagonista, sono disegnati alla perfezione e Walker li fa muovere con grande maestria, in un territorio - St Denis, cittadina del Perigord - che l’autore conosce molto bene e non solo ne apprezza i paesaggi ma anche il cibo e il vino, ingredienti che ormai fanno parte integrante della scrittura gialla. Benoît Courrèges, detto Brunò, è l’unico poliziotto di St. Denis, alle dipendenze dirette del sindaco, con compiti più di salvaguardia e tutela dell’ambiente che di ordine pubblico. Tanto da trovare il tempo anche di allenare la squadra locale di rugby e di insegnare tennis ai ragazzi del paese. Una vita tranquilla, quasi bucolica, quella di Brunò, fino al giorno in cui viene improvvisamente scoperto il cadavere di un anziano algerino, eroe di guerra, ucciso brutalmente e oltraggiato con una svastica incisa sul petto. Un omicidio a sfondo razzista è la prima ipotesi sulla quale Brunò e la squadra di investigatori arrivati da Parigi iniziano a lavorare. E i primi sospetti cadono infatti su un ragazzo di buona famiglia che si scopre essere legato a movimenti di estrema destra. Ma, come spesso accade, la verità sta nei dintorni, e servirà tutto l’acume e la conoscenza dei propri concittadini di Benoit Courrèges per scrivere il finale di questa storia, che affonda le radici nel passato, in uno dei periodi più tormentati della storia francese: la Seconda guerra mondiale. La cosa bella in questo caso, almeno per me, è che alla scoperta della verità non viene fatta giustizia, come vorrebbero la legge, l’etica e la morale. Perché a volte – mettiamola così – c’è un giusto che non corrisponde al vero So che è un terreno molto scivoloso ma se leggerete il libro forse concorderete con me.