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venerdì 29 aprile 2011

Dai Giovanardi, interroga ancora

Il senatore Cardiello se la prende con il commissario Montalbano (vedi post precedente) reo, a suo dire, di aver insultato i militari che difesero Genova durante il G8 del 2001, il sottosegretario Giovanardi con l’Ikea per una libera interpretazione di famiglia in un manifesto pubblicitario. Un suggerimento, magari allo stesso Giovanardi, uno dei più grandi comici approdati in Parlamento. Visto che siamo ormai alle sbrago totale, si è reso conto che anche la saga dei paperi potrebbe essere portatrice di messaggi sbagliati, se non addirittura aberranti, sulla famiglia tradizionale? Prendiamo per esempio Qui Quo Qua, tre gemelli dei quali non si conoscono né il padre né la madre, che vivono con uno zio nullafacente, Paolino Paperino, il quale a sua volta non solo non si decide a sposare la sua eterna fidanzata, Paperina, rendendola finalmente una papera onesta, ma lascia addirittura che aleggi (o Disney per lui) un’ombra incestuosa sulla sua casa. Infatti, se è comprensibile che Qui Quo Qua chiamino zia anche Paperina - è la fidanzata dello zio e ci sta che ragazzi moderni non stiano a sottilizzare – un dubbio inquietante sorge quando tutti quanti - nipoti, zii diretti ed acquisiti - chiamano nonna Nonna Papera. Un’interrogazione parlamentare sulla Disney ci starebbe bene, o no?

giovedì 28 aprile 2011

Responsabilmente imbecille

Io alcune notizie non le pubblicherei punto: per rispetto verso il lettore, perché sono oltre ogni immaginabile, non fanno ridere e non mettono nemmeno in ridicolo il loro autore: sarebbe come ridere di una disgrazia. Altrimenti bisognerebbe avere il coraggio di scrivere: il senatore tal dei tali è un imbecille e sta rubando lo stipendio.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/palermo/notizie/politica/2011/27-aprile-2011/i-responsabili-contro-moltabano-no-global-offende-poliziotti-g8-190523109425.shtml

Lavoratori

L’ho letto questa mattina su una free press a firma Paola Rizzi e sono assolutamente d’accordo.


Possibile che la salvezza del paese dipenda tutta dalle ore lavorate il 1° maggio, che tra l’altro, almeno finché resta così l’articolo 1 della Costituzione, festeggia il fondamento della Repubblica italiana, il lavoro? Ostinarsi a smantellare una delle poche feste laiche e unificanti del calendario – lavoriamo o vorremmo lavorare tutti – è un po’ come mettere in discussione il Natale per i credenti, che in fondo, non me ne vogliano, celebra un fenomeno paranormale. Non le condizioni concrete di miliardi di persone.

martedì 19 aprile 2011

Fermatelo

Invito a leggere quanto scrive il prof.Rodotà. Di seguito alcuni stralci, in fondo il link all’articolo


Siamo di fronte ad una aggressione continua, manifestazione pericolosa di una ossessione quotidiana di un presidente del Consiglio che, privo da sempre del senso delle istituzioni, affida la propria sopravvivenza alla riduzione d'ogni istituzione ad un cumulo di macerie. La sua furia si nutre di insinuazioni, minacce, aggiunge all'attacco alla magistratura, abituale oggetto polemico, un nuovo affondo contro la scuola pubblica.

In questi giorni la Repubblica italiana sta prendendo congedo dall'Europa e dalla sua stessa Costituzione. Sta così tagliando le proprie radici. Non siamo solo di fronte ad una crisi istituzionale e politica, pur profondissima. Sprofondiamo in un tunnel oscuro, diviene sempre più evidente una "tirannia della maggioranza"

Ha scritto un filosofo liberale, Ronald Dworkin, che "l'istituzione dei diritti è cruciale perché rappresenta la promessa della maggioranza alla minoranza che la sua dignità ed eguaglianza saranno rispettate. Quando le divisioni tra i gruppi sono molto violente, allora questa promessa, se si vuole far rispettare il diritto, dev'esser ancor più sincera".

La riforma della giustizia (…) Il punto chiave della riforma è rappresentato dal fatto che materie oggi affidate ad una diretta garanzia costituzionale vengono trasferite alla legislazione ordinaria. Due esempi. Nell'attuale articolo 112 della Costituzione si stabilisce che: "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale". La riforma proposta dal Governo aggiunge le parole "secondo i criteri stabiliti dalla legge": sarà dunque la maggioranza del momento a stabilire in quali casi il pubblico ministero può indagare. Nell'attuale articolo 109 si stabilisce che "l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria". La riforma proposta dal Governo prevede che "il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge": sarà dunque la maggioranza del momento a determinare le informazioni di cui i magistrati potranno disporre. Il mutamento è radicale, la decostituzionalizzazione è compiuta. Ciò che la Costituzione aveva voluto sottrarre alla possibile prepotenza delle maggioranze, per garantire l'autonomia della magistratura, dovrebbe essere assoggettato proprio a questa ipoteca.

(…) la fase (…) della decostituzionalizzazione, è inquietante, ma pure pericolosa. Il pericolo nasce dal fatto che siamo di fronte a proposte che potrebbero dividere il fronte delle opposizioni. Quando comparve la proposta di riforma costituzionale della giustizia, subito si materializzò il singolare partito dei "sedersialtavolisti". Ma chi mai accetterebbe di sedersi ad un tavolo da gioco insieme ad un baro, al tavolo di un ristorante dove il cuoco è un noto avvelenatore travestito da chef creativo? Mi auguro che la lezione del processo breve alla Camera sia servita a dissuadere gli aperturisti ad ogni costo, convincendo tutti della necessità di mantenere saldo un fronte comune. Allo stesso spirito l'opposizione dovrebbe ispirarsi in tutti gli altri casi, compreso quello del testamento biologico dove qualche cattolico potrebbe essere sedotto dall'ingannevole richiamo a valori non negoziabili.

Riprodurre in tutte le prossime occasioni parlamentari i comportamenti tenuti in occasione del processo breve, sfruttare ogni spazio parlamentare per far discutere le proposte dell'opposizione. Può reggere la maggioranza ad una mobilitazione permanente che coinvolga l'intero Governo? Non chiudersi in Parlamento, troppe cose avvengono nel paese. Costruire, quindi, una solida sponda politica per il crescente numero di cittadini che non si limitano a manifestare nelle piazze reale e virtuali ma, così facendo, costruiscono una concreta agenda politica. Ma, soprattutto, per le opposizioni scocca l'ora obbligata dell'unione, la sola a poter ricostruire le condizioni per una vera dialettica democratica.

Forse solo la saggia parola alle Camere del Presidente della Repubblica può ricordare a tutti che la politica deve essere sempre "costituzionale".

http://www.repubblica.it/politica/2011/04/18/news/rodot-15074344/

venerdì 15 aprile 2011

Paradossi e paraculi

Ognuno è libero di pensarla come crede, ma utilizzare un palese paradosso per distorcere un’analisi storico politica e attaccare personalmente il suo autore gridando al golpe, mi sembra un’operazione meschina. Passi per i megafoni berlusconiani, che ce l’hanno per contratto di rappresentare una realtà parallela sempre e comunque, faccio più fatica a comprendere le ragioni dei distinguo di chi, almeno a parole, dice di stare a sinistra. Comunque, chi volesse farsi un’opinione personale, di seguito trova sia l’articolo incriminato del prof. Asor Rosa, sia il commento al chiasso virale del direttore del manifesto Norma Rangeri.



Non c'è più tempo


di Alberto Asor Rosa

Capisco sempre meno quel che accade nel nostro paese. La domanda è: a che punto è la dissoluzione del sistema democratico in Italia? La risposta è decisiva anche per lo svolgimento successivo del discorso. Riformulo più circostanziatamente la domanda: quel che sta accadendo è frutto di una lotta politica «normale», nel rispetto sostanziale delle regole, anche se con qualche effetto perverso, e tale dunque da poter dare luogo, nel momento a ciò delegato, ad un mutamento della maggioranza parlamentare e dunque del governo?

Oppure si tratta di una crisi strutturale del sistema, uno snaturamento radicale delle regole in nome della cosiddetta «sovranità popolare», la fine della separazione dei poteri, la mortificazione di ogni forma di «pubblico» (scuola, giustizia, forze armate, forze dell'ordine, apparati dello stato, ecc.), e in ultima analisi la creazione di un nuovo sistema populistico-autoritario, dal quale non sarà più possibile (o difficilissimo, ai limiti e oltre i confini della guerra civile) uscire?

Io propendo per la seconda ipotesi (sarei davvero lieto, anche a tutela della mia turbata tranquillità interiore, se qualcuno dei molti autorevoli commentatori abituati da anni a pietiner sur place, mi persuadesse, - ma con seri argomenti - del contrario). Trovo perciò sempre più insensato, e per molti versi disdicevole, che ci si indigni e ci si adiri per i semplici «vaff...» lanciati da un Ministro al Presidente della Camera, quando è evidente che si tratta soltanto delle ovvie e necessarie increspature superficiali, al massimo i segnali premonitori, del mare d'immondizia sottostante, che, invece d'essere aggredito ed eliminato, continua come a Napoli a dilagare.

Se le cose invece stanno come dico io, ne scaturisce di conseguenza una seconda domanda: quand'è che un sistema democratico, preoccupato della propria sopravvivenza, reagisce per mettere fine al gioco che lo distrugge, - o autodistrugge? Di esempi eloquenti in questo senso la storia, purtroppo, ce ne ha accumulati parecchi.

Chi avrebbe avuto qualcosa da dire sul piano storico e politico se Vittorio Emanuele III, nell'autunno del 1922, avesse schierato l'Armata a impedire la marcia su Roma delle milizie fasciste; o se Hinderburg nel gennaio 1933 avesse continuato ostinatamente a negare, come aveva fatto in precedenza, il cancellierato a Adolf Hitler, chiedendo alla Reichswehr di far rispettare la sua decisione?

C'è sempre un momento nella storia delle democrazie in cui esse collassano più per propria debolezza che per la forza altrui, anche se, ovviamente, la forza altrui serve soprattutto a svelare le debolezze della democrazia e a renderle irrimediabili (la collusione di Vittorio Emanuele, la stanchezza premortuaria di Hinderburg).

Le democrazie, se collassano, non collassano sempre per le stesse ragioni e con i medesimi modi. Il tempo, poi, ne inventa sempre di nuove, e l'Italia, come si sa e come si torna oggi a vedere, è fervida incubatrice di tali mortifere esperienze. Oggi in Italia accade di nuovo perché un gruppo affaristico-delinquenziale ha preso il potere (si pensi a cosa ha significato non affrontare il «conflitto di interessi» quando si poteva!) e può contare oggi su di una maggioranza parlamentare corrotta al punto che sarebbe disposta a votare che gli asini volano se il Capo glielo chiedesse. I mezzi del Capo sono in ogni caso di tali dimensioni da allargare ogni giorno l'area della corruzione, al centro come in periferia: l'anormalità della situazione è tale che rebus sic stantibus, i margini del consenso alla lobby affaristico-delinquenziale all'interno delle istituzioni parlamentari, invece di diminuire, come sarebbe lecito aspettarsi, aumentano.

E' stata fatta la prova di arrestare il degrado democratico per la via parlamentare, e si è visto che è fallita (aumentando anche con questa esperienza vertiginosamente i rischi del degrado).

La situazione, dunque, è più complessa e difficile, anche se apparentemente meno tragica: si potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via democratica, il tarlo è dentro, non fuori.

Se le cose stanno così, la domanda è: cosa si fa in un caso del genere, in cui la democrazia si annulla da sè invece che per una brutale spinta esterna? Di sicuro l'alternativa che si presenta è: o si lascia che le cose vadano per il loro verso onde garantire il rispetto formale delle regole democratiche (per es., l'esistenza di una maggioranza parlamentare tetragona a ogni dubbio e disponibile ad ogni vergogna e ogni malaffare); oppure si preferisce incidere il bubbone, nel rispetto dei valori democratici superiori (ripeto: lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del «pubblico» in tutte le sue forme, la prospettiva, che deve restare sempre presente, dell'alternanza di governo), chiudendo di forza questa fase esattamente allo scopo di aprirne subito dopo un'altra tutta diversa.

Io non avrei dubbi: è arrivato in Italia quel momento fatale in cui, se non si arresta il processo e si torna indietro, non resta che correre senza più rimedi né ostacoli verso il precipizio. Come?

Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o, ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici. Certo, la pressione della parte sana del paese è una fattore indispensabile del processo, ma, come gli ultimi mesi hanno abbondantemente dimostrato, non sufficiente.

Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale.

Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando. Se non saranno colte, la storia si ripeterà. E se si ripeterà, non ci resterà che dolercene. Ma in questo genere di cose, ci se ne può dolere, solo quando ormai è diventato inutile farlo. Dio non voglia che, quando fra due o tre anni lo sapremo con definitiva certezza (insomma: l'Italia del '24, la Germania del febbraio '33), non ci resti che dolercene.



Dietro il paradosso


di Norma Rangeri

Che tristezza, che indegna campagna si sta scatenando contro il nostro collaboratore Alberto Asor Rosa. Addirittura girano appelli bipartisan, meritevoli di altri destinatari, per questo mai disturbati. Asor Rosa è un intellettuale che esprime liberamente il suo pensiero, talvolta anche in modo paradossale. Non ha truppe cammellate, né un partito alle spalle, ma solo un piccolo giornale contro il quale altre volte sono state scagliate accuse di ospitare il pensiero dei "cattivi maestri", sempre lanciate dalla destra del Pci. E non a caso questo attacco oggi, come ieri, viene portato da un ex stalinista.

Strumentalizzare una provocazione è gioco facile, specialmente se si possiedono i potenti mezzi della televisione. Parliamo naturalmente del clamore suscitato dall'articolo di Asor Rosa («Non c'è più tempo», manifesto 13 aprile), pubblicato nella prima pagina accanto a un articolo di Valentino Parlato (ancora sull'emergenza berlusconiana) e a uno di Ugo Mattei sul furto di legalità contro i referendum.

Abbiamo pubblicato la sua opinione, compresa la paradossale conclusione, perché affonda lo sguardo sull'eutanasia della democrazia italiana, riflette sulla torsione autoritaria del regime (parola fino a qualche anno fa ostracizzata ma ormai diventata di uso corrente). Più che sulla boutade finale («chiamiamo i carabinieri, la polizia» e, già che ci siamo «anche la guardia di finanza») con cui si concludeva il suo intervento, sarebbe utile sviluppare la discussione sulla grave compromissione degli spazi di agibilità democratica provocati dal plebiscitarismo di Berlusconi, portato alle estreme conseguenze con la cancellazione dell'architrave delle democrazie moderne: la divisione dei poteri.

Noi crediamo nei movimenti, nella possibilità di sbarazzarci di Berlusconi e del berlusconismo con la loro forza, testimoniata in questi mesi in modo straordinario e ancora in campo in queste elezioni amministrative e nei referendum. Rispetto a uno sbocco positivo, lasciamo i paradossi alla loro funzione e discutiamo come affrontare lo stato di emergenza.

Il parlamento è trasformato in un collegio di difesa allargato del premier, l'assalto all'autonomia della giurisdizione è giunta fino all'approvazione della vergognosa legge sul cosiddetto "processo breve", e l'assommarsi delle prerogative del legislativo e del giudiziario nel potere esecutivo, sotto la spinta inarrestabile del conflitto di interessi, è davanti gli occhi di tutti. A cominciare da quelli del Presidente della Repubblica, come testimoniano le parole forti pronunciate ieri l'altro dal capo dello stato intervenuto sulla situazione politica.

E' Napolitano a parlare di «ristrette oligarchie dotate di poteri economici e sociali senza contrappesi», è ancora il Presidente della Repubblica ad allarmarsi perché «nulla potrebbe essere più lontano dall'idea di una democrazia di un corpo sociale indistinto in grado di esprimersi solo elettoralmente». E' il Quirinale che ieri ha esplicitato l'intenzione di verificare le conseguenze dell'ultima legge ad personam licenziata dalla Camera, prima ancora che giunga a approvazione definitiva da parte del Senato.

Se dunque le leggi del libero confronto, che si forma e si esprime nelle elezioni e nelle maggioranze parlamentari, si trasformano in un vuoto simulacro, parlare della dialettica tra opposizione e maggioranza rischia di diventare esercizio retorico. Scontiamo (purtroppo) l'inadeguatezza di un'opposizione che per prima non crede alla possibilità di mettere in campo un'altra politica, e la crisi istituzionale ne è una delle conseguenze. Del resto le forzature sono all'ordine del giorno: nell'aula di Montecitorio, D'Alema ha recitato l'articolo 88 della Costituzione: il Presidente della Repubblica può «sciogliere le camere sentiti i loro presidenti», anche in assenza di una crisi di governo. E se lo dice D'Alema...

giovedì 14 aprile 2011

Il favoloso mondo di Silvio

Sabato scorso, zappingando distrattamente mi sono imbattuto in una trasmissione rai condotta da Milly Carlucci, ormai l’unica vera signora della televisione italiana, e mi sono chiesto che fine avesse fatto la sorella Gabriella, anche lei un passato brillante da show girl e presentatrice, almeno fino alla decisione di prendere la strada per Arcore ed entrare a far parte delle donne in servizio permanente effettivo di Lui, come lo chiamano tra loro i suoi deferenti. Gabriella Carlucci è stata una delle prime, e per un periodo ha avuto una certa visibilità, anche se non ricordo nulla di particolarmente rilevante della sua esperienza parlamentare. Poi, come tutte le donne di Silvio, anche lei è passata, ed il suo posto è stato via via preso da altre, più o meno avvenenti. Le agenzie hanno soddisfatto la mia curiosità. L’on. Carlucci è la prima firmataria di un progetto di legge che chiede l’istituzione di una Commissione d’inchiesta per verificare l’imparzialità dei libri di testo scolastici. Secondo i deputati del pdl, soprattutto i libri di storia conterrebbero frasi da vero e proprio indottrinamento, allo scopo di plagiare i giovani e gettare fango su Berlusconi. Seguono lista e autori. Ora, non è la prima volta che la destra solleva l’argomento: nel 2000 ci aveva provato anche Storace, senza peraltro trovare riscontro. Converrebbe quindi non darsi pena, pensando ai problemi del Paese. Non sottovaluterei però tutte queste schermaglie. Nulla è mai per caso, anche le cose apparentemente più stupide e illogiche, hanno un obiettivo: compiacimento, distrazione, distruzione chemioterapica di quello che non corrisponde. Ormai è palese che una classe politica intera, mi spiace ripetermi, vive in un personale Truman Show, scritto e diretto per far divertire il capo, ed ha addirittura finito per credere che la realtà sia quella di cartapesta.  Finché il tutto rimaneva circoscritto in ciò che viene definito conflitto d’interessi, che è enorme e inimmaginabile in qualsiasi democrazia europea, ce ne eravamo quasi fatti una ragione. Tanto per dire la capacità di incassare del popolo. Ora però siamo andati oltre. Sembra di stare in un permanente videogame, dove al centro dello schermo a parare i colpi che arrivano da ogni parte - processo breve, prescrizione breve, lodo alfano 1 e 2, legge contro le intercettazioni, persino leggi che intendono riscrivere la storia ecc. ecc. ecc. - ci sono le persone perbene, indipendentemente che siano di destra o di sinistra. E per cosa poi? Per compiacere, salvare, mettere al sicuro un solo uomo e la sua roba. Che io sia di sinistra si è capito. Ma mi chiedo, a rischio di passare per ingenuo: se alla guida di questo esecutivo ci fosse un liberale, per esempio Giulio Tremonti, a che punto saremmo? Probabilmente ci sarebbero altre persone ad occupare i dicasteri, sicuramente avremmo un parlamento impegnato a rispondere alle priorità dell’Italia e non a quelle di Silvio Berlusconi. A questo punto spero solo che l’incubo finisca presto e che il risveglio sia ancora democratico.

giovedì 7 aprile 2011

Salvate il soldato Carlo

Conta un cazzo, ma se qualcuno non se ne fosse accorto, Giovanardi alla fine non s'è dimesso. E' vero, aveva annunciato che se ne sarebbe andato perchè non gli erano stati dati i fondi per fare al meglio il suo lavoro: un rigurgito d'orgoglio che avrebbe fatto onore a una carriera servile ai limiti della decenza. Ma a distanza di pochi giorni, con la stessa faccia, ha anche detto che l'uso di droga in Italia è diminuito del 20% e questo grazie solo agli spot pubblicità progresso del ministero. Qualcuno faccia qualcosa per quest'uomo.

venerdì 1 aprile 2011