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venerdì 27 agosto 2010

Falce e Marchionne

Il titolo non è mio ma del Manifesto. Così come del suo direttore, Norma Rangeri, è il commento che segue.

Diretto, feroce, semplice l'applauditissimo proclama, in triplice copia, inviato ai cittadini italiani dalla tribuna di Comunione e Liberazione: prima Marcegaglia («Basta con la lotta di classe»), poi Tremonti («La legge sulla sicurezza sul lavoro è un lusso), e nel gran finale Marchionne («Abbandonare la lotta tra capitale e lavoro»).La presidente degli industriali e l'amministratore delegato della Fiat invitano il mondo del lavoro a farla finita con la cultura degli anni '60, con quell'idea primitiva del conflitto tra padroni e operai in difesa di diritti e salari. Per affrontare senza indugi la competizione globale ci vuole una grande riforma, il mondo non aspetta e, ricorda il ministro Tremonti, «l'Italia e l'Europa devono adeguarsi». Al terzetto è doveroso aggiungere il nome del ministro Maroni, pronto a ripulire il belpaese dall'ingombro dei rom (troppe donne e bambini). L'estate delle chiacchiere politiche («stronzo», «trafficante di banche», «Fini è una merda») finalmente può lasciare il campo alla nuova igiene della globalizzazione dettata dagli uomini del fare.L'arroganza del pensiero e del linguaggio vestono gli screditati pulpiti da cui provengono i nuovi comandamenti. Come consigliava ieri sul Corriere della Sera, Massimo Mucchetti, l'uomo d'oro della Fiat potrebbe trovare giovamento da un corso di aggiornamento professionale alla Volkswagen, e , aggiungiamo, leggendo con attenzione le parole rivolte dal presidente Napolitano ai tre operai di Melfi, sulla dignità di chi lavora, potrebbe anche riflettere su cosa misurare la modernità. Capirebbe (il condizionale è d'obbligo) che «il lavoro non esiste solo per essere pagati ma per la dignità dell'uomo», come gli ha ricordato monsignor Bregantini, un ministro di dio e della Cei, che con questa idea cristiana non avrebbe guadagnato l'applausometro riservato all'uomo-Fiat dai devoti ciellini.Quanto al pulpito di Confindustria, Marcegaglia che invoca la fine della lotta di classe, è la stessa che nella relazione di insediamento alla presidenza dell'associazione volle comunicare al paese come, con Berlusconi IV, in Italia si fosse creata «una situazione favorevole al cambiamento». Una donna con il dono della lungimiranza.Ma il campione che li sopravanza, l'uomo illuminato da «dio, patria e famiglia», è il super ministro Tremonti. I suoi principi morali non gli consentono infingimenti, né doroteismi da prima repubblica. Eccolo annunciare che prima ci si libera dei vincoli di sicurezza sui posti di lavoro, meglio è. In realtà su questo fronte l'Italia non è un paese che si lascia superare facilmente nelle classifiche europee, avendo a lungo mantenuto i primi posti. Però nel 2009 la crisi, con la disoccupazione, ha abbassato la media e ora dobbiamo recuperare. Di fronte alla salute dell'economia, quella del singolo lavoratore è un prezzo da pagare alle sorti progressive dell'umanità. Pazienza se il panorama sarà appesantito da invalidi e cadaveri: i primi al massimo disturberanno l'estetica, i defunti nemmeno quella.

giovedì 26 agosto 2010

Saldi in banca

Le persone normali, quelle che hanno a malapena un conto corrente e al massimo hanno acceso un mutuo per la casa, percepiscono la banca come un potere granitico, senza punti deboli, in grado di decidere, insindacabilmente, del loro futuro. Un po’ in effetti è così, ma fa piacere sapere che a volte la ruota gira e chi specula è costretto a scendere a compromessi, come scrive Vittorio Zucconi nella sua rubrica sul magazine di Repubblica

(…) Se devi mille euro alla Banca del Piccolo Naviglio e non puoi pagare, sei nei guai. Se milioni di persone devono milioni di euro e non possono pagare, nei guai è la Banca (…).

mercoledì 25 agosto 2010

Basta!

Questa Amaca del 14 agosto scorso rappresenta esattamente il mio stato d’animo.

L' AMACA
Quello che ci si chiede, di fronte al sempre più minaccioso localismo leghista, è come e quando ci sarà la rivolta degli italiani che lo vivono come un' offesa, una violazione identitaria (a furia di blaterare di "identità", perfino noi italiani ci stiamo accorgendo di averne una). "Padroni a casa nostra", come dice la Lega, noi italiani del Nord non lo siamo più da un pezzo, e non lo siamo per colpa di Bossi, non di Roma. Non lo sono, padroni a casa loro, quei veneti che si sentono italiani prima che veneti, i milanesi di casa in Europa che non capiscono perché il loro futuro dovrebbe dipendere da Varese o da Pontedilegno, i piemontesi che, con tutto il rispetto per Cuneo, guardano alla Francia e si sentono nipoti di Cavour e non parenti di Cota. Ne abbiamo le tasche piene e siamo in tanti, siamo stufi di subire le prepotenze e le mattane di una minoranza che si è auto-nominata "Padania" e parla a nome di tutto il Nord senza averne alcun diritto. A partire dal primo gennaio 2011, anno del centocinquantenario, mi metterò addosso ogni giorno, per 365 giorni, qualcosa di tricolore (un distintivo, una fascetta, una coccarda come fa Paolo Rumiz nel suo bel viaggio "garibaldino"). Più che per polemica, per dignità. Anzi: per identità. - MICHELE SERRA

martedì 24 agosto 2010

Cut it out!

Durante il servizio militare mi accadeva spesso di pormi al di fuori e osservare. Osservare la follia degli ordini impartiti dal superiore di turno e pensare: chissà lungo quali praterie del pensiero sta cavalcando questa mente bacata e fin dove noi, soldati di leva, saremo disposti ad assecondare questo suo pubblico autoerotismo. In quel caso però si trattava di un microcosmo, sicuramente malato, ma a termine. Bastava resistere al massimo un anno, avendo peraltro l’obiettivo a breve delle licenze intermedie. Quindi, tutto sommato, oltre ad essere un’occasione di studio e di divertimento in camerata, era quasi una funzione sociale, un viagra naturale, dar modo a quel coglione in divisa di avere la sua erezione quotidiana vessando, o pensando di farlo, dei ragazzi sani di cerebro. Fin dove siamo disposti ad arrivare prima di bloccare questa discesa inarrestabile, prima di dire basta, possibilmente in modo democratico, a questi 15 anni di buio della Repubblica?

lunedì 23 agosto 2010

Tu quoque

Malgrado il fido Capezzone si premuri di bocciarlo con i soliti argomenti puerili (Berlusconi ha vinto le elezioni, il resto sono solo chiacchiere, diversivi e fumisterie), lo scenario prospettato da Italo Bocchino sul sito di Generazione Italia mi sembra molto politico – scenario peraltro condiviso in alcuni punti da un esperto come Ilvo Diamante su Repubblica di oggi - e il Cavaliere farebbe bene a tenerne conto. Scrive Bocchino: “Oggi il ricorso al voto lo vogliono davvero soltanto Bossi e Tremonti, il primo per prendersi i voti di Berlusconi e il secondo per prendere il suo posto a Palazzo Chigi. Non le vuole il Paese, non le gradirebbe il Quirinale, non le vuole l’opposizione, non le vuole Fini e non le vogliono quei sessanta – settanta parlamentari del Pdl che dovrebbero lasciare il posto ai leghisti al Nord, a “Futuro e libertà” al Sud e al centrosinistra nelle regioni dove senza il presidente della Camera è impossibile conquistare il premio di maggioranza. E sotto sotto il voto non lo vuole neanche Berlusconi, consapevole ormai che ha solo da perderci.Se davvero si andasse a elezioni anticipate le uniche due certezze sarebbero il travaso di voti dal Pdl alla Lega e una maggioranza al Senato diversa da quella della Camera. In uno scenario del genere Bossi avrebbe gioco facile a chiedere un passo indietro al Cavaliere, che verrebbe pensionato da quello che ritiene l’alleato più fedele, aprendo così la strada a un governo Tremonti che sarebbe a propulsione leghista e otterrebbe il voto di una maggioranza larghissima che si formerebbe con l’obiettivo reale di mandare definitivamente a casa Berlusconi. È questa la trappola che sta scattando ed è molto difficile per Berlusconi sottrarsi, avendo rotto con i moderati Fini e Casini e avendo affidato la golden share del governo a Bossi e Tremonti. Se il quadro è questo le truppe di “Futuro e libertà” diventano paradossalmente lo scudo del Cavaliere rispetto alla trappola, ma il presidente del consiglio deve decidere che atteggiamento avere verso Fini e i finiani. La conta sui numeri l’ha sonoramente persa, la campagna acquisti è velleitaria e i tentativi di divisione inutili. Così com’è dannoso pensare di poter negoziare con i finiani senza parlare con Fini".

mercoledì 18 agosto 2010

Leggere prima dell'uso

E' interessante sin dall'incipit l'intervista proposta ieri da Repubblica all'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky. «La Costituzione è ancora in vigore. E non esiste una costituzione materiale alternativa». Ci sono poi due passaggi assolutamente dirimenti, che aiutano a porre fine a tutte le letture interessate.

1) (...) La legge elettorale non dice che si indica il futuro capo del governo, ma i capi dei diversi partiti che si presentano alle elezioni. Se fosse come dicono Alfano e Maroni, saremmo in una repubblica presidenziale introdotta dalla legge elettorale. Ma non è così. Il legislatore che ha fatto quella legge sapeva benissimo che questo sarebbe stato impossibile, platealmente incostituzionale. Infatti, la stessa legge, subito dopo il passo che ho citato, aggiunge che "restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall' articolo 92 della Costituzione (...).

2) (...) Sarebbe stata perfino superflua, l' aggiunta. Ma si è voluto evitare ogni equivoco. L' articolo 92 dice che è il presidente della Repubblica, non il corpo elettorale con investitura diretta e plebiscitaria, a scegliere il capo del Governo, tenendo conto della situazione parlamentare e della necessità che il governo ottenga la fiducia delle Camere. Siamo pur sempre una Repubblica parlamentare. Il presidenzialismo è solo un desiderio di alcuni e il timore di altri, dunque una questione controversa (...).


http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/17/il-presidente-difende-la-costituzione-gli-interessi.html

lunedì 16 agosto 2010

Facce come il culo



Questo signore rubizzo si chiama maurizio bianconi, è vicepresidente dei deputati del pdl. Sfiga ha voluto che nel mare di cazzate che giornalmente vengono preparate per i dichiaratori ufficiali - Cicchitto, Capezzone, Stracquadanio, Gasparri, Napoli, i più assidui - proprio bianconi ieri abbia pescato la più bastarda. In tutti i sensi. Non poteva capitargli che so, un no al governo tecnico, un qualsiasi ultimatum ai finiani, un'insinuazione sull'integrità morale della signora Tulliani. No, niente di tutto ciò. Sul suo bigliettino c'era scritto: devi dire che il presidente Napolitano tradisce la Costituzione. E lui l'ha detto. Con quella faccia.

domenica 15 agosto 2010

Carta alla mano

1) La Costituzione stabilisce che spetta al capo dello Stato il potere di sciogliere le Camere se il Parlamento non è in grado di esprimere una maggioranza, così come è in suo potere nominare il presidente del Consiglio e su sua proposta i ministri rinviando il governo alle Camere per ottenerne la fiducia

2) Non esiste quindi un governo tecnico: i governi debbono ottenere la fiducia del Parlamento e quindi sono tutti e sempre governi politici, quali che siano il presidente del Consiglio e i ministri che ne fanno parte. Purtroppo gran parte dei politici ignorano o dimenticano questi principi costituzionali e le norme che li configurano.

3) Uno dei cardini portanti della nostra Costituzione è l'articolo 67 che stabilisce che "i membri del Parlamento rappresentano la nazione e sono eletti senza vincolo di mandato". Quest'articolo è fondamentale perché è il solo strumento che impedisce alle oligarchie dei partiti di asservire gli eletti dal popolo. Il popolo trasferisce ai suoi delegati la propria sovranità fino a quando si tornerà a votare.

4) I finiani, per difendere il loro leader dall'attacco di cui è vittima, sono partiti al contrattacco non solo ricordando fatti antichi e non sanate illegalità del Cavaliere, ma indicando temi recenti di gravissima portata e cioè: l'uso dei Servizi di sicurezza per distruggere gli avversari politici del premier, rapporti di comparaggio del presidente del Consiglio con il primo ministro russo Putin; analoghi rapporti di comparaggio di Berlusconi con il leader libico Gheddafi. Se i finiani dispongono di prove o almeno di gravi indizi su queste presunte e gravissime illegalità, hanno a nostro avviso l'obbligo di esibirle informandone la competente Procura della Repubblica; non possono invece tenerle in serbo come potenziale deterrente. Chi ha sollevato una questione di legalità deve anzitutto difendere se stesso esibendo prove certe contro le accuse che gli sono state lanciate, ma non può a sua volta ritorcerle senza provarne la consistenza. Qui risiede il coraggio e la forza della propria coscienza morale.

Lo scrive oggi Eugenio Scalfari su Repubblica nel consueto editoriale domenicale. I grandi vecchi andrebbero ascoltati, lui, Giorgio Bocca e il presidente Napolitano che, fortuna nostra, in questa barbarie ha la forza e la statura per difendere la Costituzione.