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mercoledì 23 dicembre 2009

Moretteide

Alle 10 e mezzo il tabellone non segnalava alcun ritardo dell’Eurostar per Venezia previsto in arrivo a Brescia alle 9.23. In compenso almeno una decina di volte la voce della stazione aveva preannunciato la cancellazione dell’Eurostar successivo, quello delle 9.53. Oggi non è stato effettuato, ci scusiamo per il disagio. Scuse di circostanza, servono a poco, sempre meglio comunque di Moretti, che ieri nel pieno del caos non aveva trovato di meglio che consigliare ai forzati del treno di munirsi di panini, acqua e coperte. Su Moretti ci torno più avanti. Il regionale di mezzo era schedulato sin dalla sua comparsa sul tabellone con un ritardo di 30 minuti. Quando ho deciso di tornarmene a casa, il delay era già arrivato a 100. Tutto bloccato. Per 20 cm di neve. Ampiamente annunciata peraltro, non solo la nevicata, anche la quantità. Curzio Maltese questa mattina su Repubblica iniziava il suo commento così: “E’ dura dirselo tra milanesi, ma la nostra bella città non sorge sulla costiera amalfitana. Quindi, talvolta, specie d’inverno, nevica. Meno che a Oslo, ma più che a Hammamet”. Ed è ancora più dura se scopri dall’Adnkronos che la transiberiana tra Mosca e Vladivostock, malgrado i 32 gradi sotto zero, anche oggi era in orario. Torniamo all’ingegner Moretti. Se è vero quello che scrive Maltese, e trovo difficile obiettare, qualche responsabilità per l’inefficienza, l’ad di Trenitalia ce l’ha. Non dico di andare in conferenza stampa con la lettera di dimissioni, perché in Italia non si dimette nessuno, ma perlomeno esordire chiedendo scusa a tutti per il disagio forse era opportuno. Invece no: panini, acqua e coperte. Simpatico come la merda dicono dalle mie parti. Moretti viene dalla CGIL. Un mio amico che conosce l’ambiente sostiene che i sindacalisti che diventano padroni sono i peggiori. Probabilmente ha ragione. Come ha ragione il vecchio Andreotti in uno dei suoi celebri aforismi: i manicomi ospitano due generi di matti: quelli che si credono Napoleone e quelli che vogliono risanare le Ferrovie dello Stato. Moretti non è matto e sicuramente non metterà in ordine nulla. Altrettanto sicuramente quando finirà il suo mandato verrà premiato con una buonuscita milionaria e andrà a far danni in un’altra impresa statale. Nel frattempo si mette in tasca 680 mila euro all’anno. Un altro mio amico a questo punto non esiterebbe un secondo: che gli vadano tutti in medicine. Buon Natale.

sabato 19 dicembre 2009

Treni Taglia

Non era mai successo che a dicembre nevicasse sull’Italia del Nord, né tantomeno che città come Milano o Torino, e le rispettive province, si trovassero a dover far fronte al ghiaccio. Un evento eccezionale, che mai a memoria d’uomo. Come se ad agosto in Sicilia si prevedesse sole, tanto per fare un esempio. L’eccezionalità dell’evento spiega quindi i ritardi di ore dei treni fast o le loro cancellazioni. Il treno Euro Night proveniente da Parigi per Venezia Santa Lucia era annunciato a Brescia questa mattina a mezzogiorno con 500 minuti di ritardi: ci scusiamo per il disagio, ha anche aggiunto senza apparente vergogna la voce della stazione. Tutto questo sarebbe comunque nell’ordine delle cose e metabolizzabile se il trust di cervelli, capitanati dall’ineffabile Moretti, a capo della principale impresa di trasporti statale, non avesse pensato quest’anno di giocare il carico. La totale incapacità di questi manager da milioni di euro di far funzionare la macchina la si evince infatti dalla scelta strategica di inaugurare le nuove linee ad alta velocità il13 di dicembre, alla vigilia delle festività natalizie e del maggior afflusso di clienti sui treni. Oggi, in un’intervista a Repubblica, lo stesso Moretti sostiene che un sistema così complesso ha bisogno di rodaggio, di essere provato giorno dopo giorno, e che i ritardi sono dovuti a guai giovanili, così li chiama lui. E alla luce di ciò le FS cosa fanno? Lanciano quelli che i pendolari hanno ribattezzato i frecciarotta di treni taglia nel periodo più critico dell’anno, quando oltre alle mancanze ataviche dell’azienda – carrozze insufficienti, mancanza di riscaldamento, overbooking…. - c’è anche il clima ad incidere sul regolare funzionamento del traffico. Ma Moretti ha mai preso un treno?

venerdì 18 dicembre 2009

Attenti al lupo

La cosa che fa più specie e che nemmeno di fronte ad un atto grave come il ferimento del presidente del consiglio non ci sia stato un attimo di tregua, che sò, 24 ore, perlomeno per lo sbigottimento. Che nessuno abbia sentito il dovere di fermarsi un secondo: se un cittadino, pur con l’attenuante dei problemi psichici (ma chi non ne ha?) si arroga il diritto, o il dovere, di farsi giustizia sommaria, forse c’è qualcosa che non va. Forse, stiamo sbagliando qualcosa. Niente di tutto ciò. L’onorevole Cicchitto, la voce deputata a rendere pubblici il sentire e la strategia della maggioranza, ha dato la lista dei mandanti di Tartaglia e ha enunciato le richieste del governo per pacificare (con la forza) questo paese ingrato. L’obiettivo è talmente palese che non serve nemmeno un grande sforzo per comprenderlo: forzare la mano per rompere il tavolo. Con quali conseguenze è francamente difficile dirlo. Di certo è importante, e auspicabile, che chi oggi viene additato come cattivo maestro non si lasci trascinare nella disputa becera e mantenga comunque fermo il proprio agire.
Per questo vale la pena archiviarsi alcuni articoli a futura memoria. Tanto per cominciare gli editoriali di due dei principali terroristi, il direttore di Repubblica Ezio Mauro e il collega Giuseppe D’Avanzo. In copia anche la lucida analisi di Norma Rangeri del Manifesto.


EDITORIALE di Norma RangeriTERRORISMO IN AULAL'onorevole Fabrizio Cicchitto, ex socialista lombardiano, poi gelliano, ora berlusconiano, si è alzato dal suo banco di Montecitorio versando sul parlamento purissima benzina. Fino a scandire la lista dei terroristi, i nomi dei mandanti del folle di piazza Duomo: il gruppo Repubblica-Espresso, Annozero, Il Fatto, Travaglio, Di Pietro, i pubblici ministeri. Giornalisti, politici, magistrati, tutti con le mani insanguinate. Ponendo infine l'aut-aut: subito «leggi funzionali», cioè leggi speciali a protezione del capo. E quando ha preso la parola Antonio Di Pietro, l'incendiario è uscito dall'aula insieme ai parlamentari del Pdl, concludendo una sequenza di arroganze verso ogni forma non concordata di opposizione al governo. Come dimostrava, di lì a pochi minuti, l'ennesima richiesta di voto di fiducia sulla legge finanziaria, costringendo il presidente Fini a parlare di «deprecabile impedimento all'aula di pronunciarsi», scontando le repliche avvelenate degli uomini del cavaliere. Che la campagna di odio non si sarebbe fermata era prevedibile, che aumentasse di intensità e virulenza anche. Dai comizi al parlamento, naturale approdo per chi punta al massimo traguardo: il bersaglio costituzionale.Il segretario del Pd indietreggia, si difende dall'assalto di Cicchitto definendolo «il pompiere incendiario», rileva il pericoloso distacco del governo da un paese stremato dalla crisi. Accusa i colpi indiretti (contro Di Pietro) e quelli portati nelle sue stesse file (contro Rosy Bindi). Cerca di fuggire dal terreno su cui l'avversario gli lancia la sfida, senza tuttavia riuscire ad imporne un altro. Mentre la Cgil è esclusa dal tavolo del governo, e nelle fabbriche si applicano gli accordi decisi da rappresentanze minoritarie, facendo così saltare il già debole gioco della democrazia sindacale, ultimo ammortizzatore di un malessere profondo.Al resto, al bombardamento quotidiano sul pericolo terrorista che vuole rovesciare il potere del popolo, ci pensa la televisione. La regina del populismo moderno, berlusconiana (di nome o di fatto), tiene alto il fuoco nelle case italiane, a colpi di telegiornali e vita in diretta, di talk-show e intrattenimento. La tv monta la panna acida del vittimismo berlusconiano, punta la telecamera contro l'opposizione, esalta la figura del piccolo padre, ferito custode di un amore sconfinato «per la gente, nella gente, con la gente», come recita il mantra ossessivo dell'onnipresente portavoce-sottosegretario Bonaiuti, confondendo Vespa che lo chiama «Berlusconi». Tanto odio contro un uomo buono, come non è mai successo, ripetono i suoi, mai una campagna è stata mirata a sconfiggere un politico.Invece una battaglia all'ultimo titolo contro un leader italiano ci fu, condotta proprio sulle colonne di questo giornale. La inventò Luigi Pintor contro Amintore Fanfani, candidato al Quirinale. Era il mese di dicembre del 1971, e ai titoli di carta seguì una manifestazione, proprio a Milano. Contro il «fanfascismo», forma primitiva di presidenzialismo. Fu durissima, ma abbondantemente ripagata dalla vittoria di un appena nato quotidiano comunista. Noi siamo sempre gli stessi, ma al confronto Fanfani era un galantuomo.

martedì 15 dicembre 2009

La politica della curva nord

Sarebbe meglio evitare di arrivare allo scontro fisico. La violenza è un punto di non ritorno che si autoalimenta e non si sa dove può portare. Sicuramente come prima cosa porta alla negazione della ragione, della dialettica come forma democratica del dibattito, non solo politico, e del vivere civile. Di chi sia la colpa dell’esasperazione dei toni non mi sembra un buon punto di partenza per riflettere su quel che è accaduto domenica in piazza Duomo e su quali azioni culturali è necessario intraprendere per evitare che possa succedere di nuovo. In quest’ottica è da leggere anche la visita del segretario del pd al presidente del consiglio: un conto è il giudizio politico che, credo, non muti, un altro è la solidarietà umana nei confronti di un uomo che ha il diritto costituzionale - per fortuna e almeno per ora – di esprimere le proprie idee, nei limiti della legalità. Se non si fa salvo questo principio, il resto è solo barbarie. Purtroppo c’è chi, da entrambe le parti, non ha alcun interesse ad abbassare i toni: pensare costa fatica, bisogna impegnarsi, studiare anche. Urlare viene più naturale: è un espressione ancestrale, riconoscibile e riconosciuta. E per spararla più grossa del tuo nemico non serve aver fatto la Normale. Personalmente non credo che un paese, ma nemmeno un partito, possa essere condotto come un’azienda. Poniamo però per un momento che ciò sia possibile. In azienda chi detta la linea o è deputato a farla rispettare ha il dovere di richiamare all’ordine i sottoposti che prevaricano a quello che è loro mandato. In questo momento tenersi in casa degli ultras è oltremodo pericoloso e non so nemmeno quanto sia utile. A meno di non voler davvero arrivare allo scontro finale. Certo una quota di responsabilità ce l’ha anche chi da voce agli stupidi. Non è necessario riportare tutto per filo e per segno, se questo tutto è altrettanto violento. Un esempio? Un lancio Ansa di questa mattina che non ha davvero bisogno di commenti se non un appello: fermate gli ultras.

BERLUSCONI: GIOVANI PDL TREVISO,'ABOLIRE' IDV E RIFONDAZIONE
(ANSA) - TREVISO, 15 DIC - Il movimento giovanile del Pdl di Treviso intende portare all'attenzione del partito una istanza che chiede che venga varata una legge abolitiva "di quei soggetti politici che hanno come unico scopo l'inneggiare alla violenza e alla disobbedienza civile, che in Italia sono l'Italia dei Valori e Rifondazione". "I giovani del Pdl - è detto in una nota riportata oggi da "La Tribuna di Treviso" - non intendono più tollerare una politica che vede nella violenza fisica e verbale contro l'avversario il suo unico programma". I giovani si dicono quindi convinti della necessità "di un intervento istituzionale molto forte" che si traduca nella legge abolitiva. "Porteremo ai rappresentanti politici del Pdl - è detto ancora - questa nostra istanza. Siamo a un punto di non ritorno in cui è necessaria la più ferma presa di posizione contro partiti che non hanno nulla a che fare con la democrazia: le parole di Di Pietro lo confermano. Risulta palese che l'obbiettivo di questi eversivi è quello di scatenare una vera e propria guerra civile". Nicola Di Maio, coordinatore dei giovani a Treviso, spiega che non is vogliono eliminare i partiti che non la pensano come il premier ma "vogliamo mettere al banda, per legge, quelli che calunniano e infamano Berlusconi creando un pericolosissimo clima di odio che, come si è visto, può sfociare in atti di violenza".

giovedì 10 dicembre 2009

Casi disperati

Come al solito Giovanardi non ha capito un cazzo!

17:38, Giovedì 10 Dicembre 2009 AGI Globale Politica
BERLUSCONI: GIOVANARDI, GOVERNO E' ORGANO MENO IMPORTANTE?
(AGI) - Roma, 10 dic - "Il profondo rammarico e preoccupazione espressi dal capo dello Stato per l'attacco ad un organo Costituzionale sarebbero pienamente condivisibili se altrettanto rammarico e preoccupazione fossero stati espressi nel momento in cui per due volte la Corte Costituzionale ha bocciato leggi approvate dal Parlamento (Lodi Schifani ed Alfano) e quando la scorsa settimana si e' consentito che il Presidente del Consiglio italiano fosse accusato da un pentito, in mondovisione, di aver venduto il Paese alla mafia. Ma evidentemente e' diffusa l'opinione che in questo Paese, Parlamento e Governo siano organi Costituzionali molto meno importanti di altri, da poter diffamare e dileggiare senza alcuna conseguenza". Lo afferma il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi.(AGI) Mal

giovedì 12 novembre 2009

Falce e martello


Scrive Gabriele Polo nell’editoriale del Manifesto di ieri: “Tra i tanti modi per risolvere una crisi aziendale e occupazionale, da ieri c'è anche quello suggerito da un gruppo di vigilantes guidati da un amministratore delegato: volto mascherato, piede di porco in mano, fare minaccioso, hanno fatto irruzione in uno stabilimento romano dell'Eutelia, aggredendo i lavoratori prossimi al licenziamento e senza stipendio da mesi. Volevano spaventarli, cacciarli da lì e, poi, ripulire qualche cassetto aziendale per evitare che la magistratura ci possa trovare le prove della grande truffa che ha costruito la crisi del gruppo. Banditismo di strada a servizio di quello finanziario.L'episodio romano - che ricorda le commistioni tra criminali e padroni negli Stati uniti della grande depressione - si è chiuso con gli operai che hanno chiamato la polizia. Ma non sarà la forza pubblica a poter risolvere il problema cui allude: come affrontare una crisi, come uscirne, chi ne deve pagare i costi. Questioni complicate - e anche per questo parecchio rimosse dal panorama politico e culturale - ma ineludibili, soprattutto per chi è «istituzionalmente» chiamato a occuparsene, come il sindacato”. Polo poi prosegue parlando della CGIL e della difficoltà interne e di strategia alla vigilia del congresso. Ma il tema che mi interessa è il primo su cui peraltro il Manifesto torna oggi con un pezzo di Paolo Gerbaudo che svela i retroscena del banditismo finanziario di cui parlava l'ex direttore del Manifesto.
Giusto un paio di settimana fa mi stavo facendo raccontare da mia madre alcune storie del cotonificio dove lei e mio padre hanno trascorso oltre trent’anni della loro vita. Piccole storie di uomini e di donne: spunto di conversazione ma anche un’occasione per riallacciare i fili di un’epoca ormai lontana, quando i tempi del nostro quotidiano erano scanditi da quelli della fabbrica. Ho chiesto a mia mamma se si ricordava del primo sciopero, negli anni ’50. Ovviamente si ricordava: si ricordava gli operai che presidiavano i cancelli, i blocchi ai crumiri che cercavano di entrare, mia nonna in prima fila in qualità di componente – unica donna - della commissione sindacale interna, l’arrivo dei carabinieri, chiamati dalla direzione, e la comparsa tra le mani dei presenti al picchetto di falci, falcetti e martelli: simboli che prendevano corpo per farsi strumento vero di difesa di un ideale. Probabilmente nessuno li avrebbe usati contro i colleghi o contro la forza pubblica: sta di fatto che i carabinieri – racconta mia mamma – raccomandarono a tutti di non farsi male e tornarono in caserma. Di una cosa sono però quasi sicuro: se a forzare il blocco fosse stato il padrone, come nel caso dell’Eutelia, gli avrebbero fatto la pelle, come in zona succede al maiale giusto in questo periodo. Altri tempi.


Dietro l'Eutelia fantasmi e mafie
di Paolo Gerbaudo

Numero 27 di Holywell Row, strada breve e stretta, a mezzo miglio dalla City di Londra nei pressi di Old Street. Paesaggio urbano decadente ma alla moda, vecchi magazzini e palazzi commerciali trasformati in abitazioni, uffici, «studios» per designer e artisti, a pochi passi dai club della movida londinese di Shoreditch. La sede della Restform, uno dei due fondi di investimento che controllano Omega, impresa che ha acquisito il ramo information technology di Eutelia è all'angolo, in un modesto palazzo a tre piani. All'entrata una porticina blu e quattro nomi sul citofono. Non esattamente quello che ci si attende dalla sede legale di un fondo finanziario che controlla imprese con migliaia di lavoratori e beni ingenti. Il manifesto è andato a fare visita alla Restform, fondo di investimento inglese che insieme ad Anglo Corporate, controlla Omega. Ma non l'ha trovata. In compenso allo stesso indirizzo ha scovato la Ashcroft Cameron, piccola impresa specializzata nella registrazione di compagnie, che offre il servizio di nominee. Ovvero messa a disposizione di prestanome, direttori d'azienda e azionisti fittizi, quelli che nel gergo finanziario chiamano gli straw men: gli «uomini di paglia». Suoniamo al campanello della Ashcroft Cameron. «Salve. Sono interessato ai servizi che offrite». Un signore inglese sulla cinquantina ci apre la porta e fa strada verso lo scantinato. Dentro un ufficio angusto, mobilio modesto, quattro computer e due altri uomini di mezz'età in jeans e felpa impegnati al lavoro su alcuni documenti. Diciamo che vogliamo aprire una compagnia, ci danno un modulo per la registrazione e un tariffario. Creazione compagnia: 95 sterline. Servizio sede legale: 150 sterline l'anno. Direttore e azionisti nominali: a partire da 150 sterline all'anno. Proviamo a chiamare il numero di telefono sul biglietto da visita e chiediamo della Restform. La persona che ha risposto passa la cornetta a qualcuno al suo fianco. «Pronto? Vorrei parlare con il direttore della Restform». La prima volta buttano giù il telefono. La seconda volta rispondono. Dall'altro capo del telefono la voce incespica, «sì... qui ci prendiamo cura della Restform». «Ci potrebbe mettere in contatto con il direttore?». «Salve, il direttore sono io». Dice di chiamarsi Stuart Baxter, la voce sembra quella della persona che poco prima ci aveva aperto la porta. Ma poi il «direttore», o meglio il prestanome della Resform limited, si rifiuta di rispondere alle domande e spiegare chi sia il «direttore reale». Tutto lecito, per carità. «È un sistema perfettamente legale, che serve a preservare la privacy delle imprese», spiega il sito di una delle tante compagnie che nel Regno offre il servizio di prestanome. «È pensato per quelle persone che preferirebbero evitare che il proprio nome venga associato ad una certa compagnia». Una pratica legale sì, ma infame. Ideale per mettere al riparo chi vuole fare operazioni poco chiare da occhi indiscreti.Spulciando tra i documenti ufficiali di Restform messi a disposizione dal registro britannico delle imprese si scopre che l'impresa fu creata nel 2000, ma i bilanci 2008 e 2009 sono fermi ad una sterlina, la cifra che viene messa di default quando si apre un'impresa. Una società fittizia insomma, che esiste solo sulla carta e sui database informatici. Chi la controlla? Stando ai documenti esaminati, a partire dal giugno 2009 il direttore è un'altra compagnia. Si tratta della Cdf Formations Limited, la cui sede legale è ancora una volta il 27 di Holywell Row. Un'altra scatola cinese? Probabile. Ma cosa si nasconde allora dietro la Restform Ltd, dietro la Cdf Formations Ltd, e dietro altre eventuali scatole cinesi? Su siti e blog rimbalza la voce che di mezzo ci sia nientemeno che la 'ndrangheta. Un'accusa pesante il cui solo indizio al momento è contenuto in un articolo apparso il 28 aprile scorso sul Giorno di Lodi, dove si riferisce come Daniele D'Apote, imprenditore accusato di ricettazione e legami con la mafia calabrese. Tra le azioni di compagnie chiacchierate trovate in suo possesso, c'era pure una piccola quota della Revincta srl, azienda di costruzioni con sede a Milano, controllata proprio dalla fantomatica Restform.

martedì 10 novembre 2009

Il Muro di Augusto

Nel giorno dell’anniversario della caduta del Muro, il prode Augusto, direttore del TG1, dedica il suo editoriale all’immunità parlamentare e a come la magistratura, da Tangentopoli in poi, abbia condizionato e tenuto sotto scacco la politica. Scelte. Non so quanto libere ma comunque scelte. L’opposizione non ci sta e protesta, per quanto vale. A difendere Minzolini ci pensa però il fido Capezzone, ormai sprezzante del ridicolo. Se fossi Minzolini mi preoccuperei più degli interventi di Capezzone che delle reprimende del pd.

CAPEZZONE, EDITORIALE MINZOLINI? VOGLIA CENSURA SINISTRA
(AGI) - Roma, 10 nov - "La reazione immediata e virulenta, a piu' voci, della sinistra contro l'editoriale di ieri sera di Minzolini svela la voglia di censura che abita nelle stanze dell'opposizione. Le stesse persone che hanno organizzato, partecipato, esaltato, la manifestazione per la liberta' di stampa di qualche settimana fa si sono prontamente schierate per l'imbavagliamento di un direttore libero. Sono i soliti vecchi vizi della peggiore politica". Cosi' Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, sulla vicenda del discusso editoriale del direttore del Tg1.(AGI)

lunedì 2 novembre 2009

Noi, i non allineati della vita

In occasione della giornata mondiale della salute mentale del 2001, Alda Merini scrisse queste poche righe su Avvenire. Ogni tanto me le leggo.

Considero la malattia mentale un bene proprio, un patrimonio genetico che può rischiare di morire con la manipolazione distratta di certi medici. L’insorgenza della malattia mentale, che ha radici molto nomadi, non ha una spiegazione logica rispetto alla realtà, ma – come dice il Manganelli – è un grande sogno di poesia, che non va involgarito da cure approssimative. Quando io mi stupii con Franco Fornari – grande analista del ventesimo secolo e grande scrittore – del fenomeno per cui dopo aver subito tanti elettrochoc io continuassi a scrivere, Fornari mi rispose con una frase che testualmente diceva: “Il manicomio è come la rena del mare: se entra nelle valve di un’ostrica genera perle”. Per Fornari, e anche per me, le perle erano le lacrime dell’ammalato, ma anche la purezza della poesia. Franco Fornari è stato il mio analista per cinque anni e soleva dirmi che, più che una nevrotica, io ero una grande Carmen: non mi allineavo. La follia è un’invenzione della vita: il malato sa benissimo di essere l’autore di una folle indecenza che è la sua solitudine. Una solitudine che presso gli altri – che amano il rumore, che gozzovigliano, che non sanno mai fermarsi a meditare – fa scandalo.
Noi, matti di solitudine, eravamo però così grati alla Terra che ci aveva generati e che pur tuttavia ci lasciava vivere malgrado tanti terrori: non potevamo negli anni di manicomio che pregare e osannare il Signore che anche quel giorno ci aveva salvati. Il manicomio è la casa della follia. Però sono stati anche anni deliziosi: noi sapevamo tutte le paranoie che c’erano là dentro, ci conoscevamo uno per uno. Lì libri non ce n’erano, non potevamo leggere nulla, neanche i giornali; oggi mi delizia quando qualche critico mo chiede “ti ricordi quando nel ’70…”. Io rispondo “scusa, ma quell’anno io non c’ero, non ero nel mondo”. Si definiscono colti e non sanno… Auguro a tutte le persone di trovare la loro serenità, la giustificazione alla loro personale follia. Purché sia esentasse!

venerdì 30 ottobre 2009

Atimpuri

Da 15 anni a questa parte, dalla discesa in campo tanto per capirci, il termine comunisti è diventato sinonimo di tutto ciò che di più immondo la mente umana può immaginare. Su questa ossessione Michele Serra ci costruisce un ragionamento interessante.


giovedì 29 ottobre 2009

L'ora di religione

(…) La vera questione è se sia la scuola pubblica di uno Stato laico il posto più indicato dove essere istruiti non su una disciplina ma su una fede (…).
Lo scrive oggi Corrado Augias rispondendo ad un lettore di Repubblica che argomentava a difesa dell’ora di religione nella scuola statale, scelta, a suo dire, dal 91% degli studenti.

Disonorevoli

E’ storia vecchia quella dei privilegi di deputati e senatori, e non parlo degli importi degli stipendi o delle pensioni, sui quali ci sarebbe comunque da discutere, ma di quei benefit che vanno oltre la decenza e il rispetto e che gli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama si portano dietro come vitalizio: aerei, treni e autostrade gratis, tanto per fare gli esempi più presentabili. Ora, in questo momento di crisi economica, anche a livello centrale si cerca di fare cassa tagliando le voci di spesa meno urgenti, e siccome non è possibile togliere i capricci a chi è attualmente in carica, l’ipotetico ragioniere di Camera e Senato ha deciso di spuntare dal bilancio le risorse destinate fino ad oggi agli ex dei palazzi della politica. Personalmente ritengo scandaloso che persone non certo indigenti - professionisti perlopiù, a cui la parentesi amministrativa non ha certo nuociuto all’attività privata, anzi - usufruiscano di queste regalie: perché? a quale titolo? Non ho aggettivi per definire la loro alzata di scudi alla notizia che dal prossimo anno si cambia. Il fatto che a guidare la marcia sia un ex deputato del pci invece mi fa vomitare.

mercoledì 28 ottobre 2009

Da “yes, we can” a “se po’ fa”

(…) Per questo aborrono Berlusconi che, per contro, ha legittimato i vizi storici degli italiani, gli altri italiani, che son forse la maggioranza. Che con la scesa in campo del Cavaliere hanno finalmente trovato qualcuno che non li faceva vergognare della vocazione nazionale ad "arrangiarsi", magari con qualche imbroglio piccolo o grande, eludendo il fisco, lavorando in nero, armeggiando per una violazione edilizia. E soprattutto vivendo la legge, le regole e sotto sotto anche qualcuno dei 10 Comandamenti, figuriamoci la Costituzione, come malevoli impedimenti al libero esplicitarsi di tutto ciò che bisogna fare per sopravvivere. Per questo amano e si identificano con Berlusconi che ha suonato la campana del "liberi tutti" (l'altro giorno, persino, dall'obbligo di pagare il canone Rai). Cosa gliene importa del conflitto d'interessi, della suddivisione dei poteri, del ludibrio gettato sulla Magistratura? Anzi, la condotta scandalosa, pubblicamente esibita, la degradazione dei palazzi del potere in luoghi di privato piacere, la promozione delle veline di turno, danno a tanti diseredati, ai rampanti in lista di attesa, agli infiniti aspiranti alle innumerevoli "isole dei famosi", il placet "che tutto se po' fa", la versione plebea dello "Yes, we can". (…)

martedì 27 ottobre 2009

What a pity


Via la maglietta, corsa sotto la curva, braccia alzate, bestemmia liberatoria, danza tribale intorno alla bandierina, come Juary, ve lo ricordate? Rutelli lascia il Pd.

Oltre il trans

La triste vicenda umana nella quale si è infilato Piero Marrazzo ripropone il tema della questione morale in politica: lo affronta per primo il quotidiano dei vescovi, ma è un passaggio dal quale non sembra più possibile prescindere, se si vuole arginare la deriva di quest’Italia gobba, dove la legalità è opzione, come scrive Giuseppe d’Avanzo su Repubblica. E proprio D’Avanzo offre un’analisi inquietante di uno scenario che oggi, per caso, ha per protagonisti l‘ormai ex governatore del Lazio e il primo ministro. Il fatto è che se non cambiano le cose, domani avremo quasi sicuramente altri nomi in cartellone (a parte forse quello del premier), ma vedremo replicare all'infinito la stessa brutta commedia.

lunedì 26 ottobre 2009

Basso ventre

Chi ha incarichi di governo non può permettersi debolezze che lo rendano in qualche modo ricattabile. E non si tratta di considerazioni morali o moralistiche, ma di etica e di rispetto della rappresentanza e dei rappresentati. A questo si aggiungano le riflessioni di Ida Dominijanni sul Manifesto di domenica.


Ida Dominijanni

Un brutto nodo

Bene ha fatto Piero Marrazzo ad autosospendersi da governatore della Regione Lazio. Meglio avrebbe fatto a dimettersi: non ieri, dopo aver ammesso quello che l'altro ieri negava ostinatamente e incomprensibilmente, ma in quel di luglio, all'indomani degli ormai noti fatti, quando capì di essere sotto ricatto e, stando alle sue stesse dichiarazioni, pagò i ricattatori nel tentativo di mettere tutto a tacere. Tentativo vano, perché nell'epoca della riproducibilità tecnica di tutto vana è la speranza di mettere a tacere qualsivoglia cosa. Tentativo colpevole, perché un uomo di governo sotto ricatto ha l'obbligo di denunciare i ricattatori e, a meno che la causa del ricatto sia inesistente, non può fare l'uomo di governo. Non può fare nemmeno la vittima, o solo la vittima, come invece Marrazzo ha fatto nell'immediatezza dello scandalo. Il governatore del Lazio è vittima e colpevole, tutt'e due. E' vittima di un'aggressione indecente dell'Arma dei carabinieri, un'aggressione su cui a noi tutti è dovuta piena luce dai vertici dell'Arma e dai ministeri competenti, i quali ci facciano il piacere di non provare a cavarsela con la solita tesi delle mele marce. E' colpevole di aver taciuto, sottovalutato, occultato quanto gli stava accadendo, con la solita tesi che la vita privata è privata e non c'entra niente con la vita pubblica.Rieccoci al punto che tiene inchiodato il dibattito politico da sei mesi: e quando un punto ritorna così insistentemente, sia pur sotto una differenziata casistica, significa che è un punto dolente. Sono patetici i vari Cicchitto, Cota, Lupi e relativi giornalisti organici alla Feltri che si lanciano sulla succulenta occasione per salvare Berlusconi col duplice argomento che a) tutti hanno i loro peccati, a destra e a sinistra, b) chi di moralismo e violazione della privacy ferisce, di moralismo e violazione della privacy perisce. Non casualmente, solo da destra si chiede che il governatore resti al suo posto, con l'unico scopo di far restare al suo anche il premier. Purtroppo però qui non si tratta di salvare tutti, bensì di non salvare nessuno. Pur cercando di esercitare la sempre più difficile arte delle distinzioni. Piero Marrazzo non è colpevole di frequentare trans, come Silvio Berlusconi non è colpevole di frequentare escort o di avere, o millantare, tutte le fidanzate che crede. Entrambi sono colpevoli però di non aver capito che la vita privata di un uomo politico riverbera sulla sua immagine (e sulla sua sostanza) politica. Nonché di scindere, nella miglior tradizione della doppia morale di un paese cattolico, i lori vizi privati dalle loro dichiarazioni pubbliche di fede nei sacri valori della famiglia. Dopodiché le analogie finiscono. Marrazzo si dimette e Berlusconi no. Marrazzo si chiude disperatamente a Villa Piccolomini e Berlusconi fa un proclama al giorno per rivendicare che lui, l'eletto dal popolo, fa quello che vuole. Marrazzo - stando alle testimonianze - ha avuto relazioni personali con alcuni trans, Berlusconi è al centro di un sistema diffuso di scambio fra sesso, danaro e potere, in cui «il divertimento dell'imperatore» viene retribuito in candidature e comparsate in tv (privata e pubblica). Fa qualche differenza, e nel senso opposto a quello che scrive Il Giornale, che già salva la candida «normalità» del premier che va a donne contro l'immonda ambiguità sessuale del governatore che va a trans. Per tutte e tutti noi si spalancano ogni giorno di più tre questioni. La prima - il punto dolente di cui sopra - è che l'ostinazione a scindere il privato dal pubblico e la vita personale dalla vita politica, in tempi in cui i telefoni filmano e registrano, la Rete diffonde e le donne non stanno zitte, rasenta la stupidità: vale per la destra ma anche per quella sinistra che oggi ne è colpita ma fino a ieri è stata su questo reticente. La seconda è che è vero che sui comportamenti sessuali non si può sindacare moralisticamente, ma se quelli che la cronaca ci rimanda sono sempre più spesso comportamenti sessuali di uomini di potere mediati dai soldi è lecito quantomeno interrogarsi sullo stato della loro sessualità e del loro potere. La terza è che se la politica, ripetutamente, inciampa nel sesso, in un sesso siffatto, qualcosa s'è rotto nel segreto legame che unisce qualità delle relazioni interpersonali e qualità del legame sociale, passioni personali e passioni collettive, desiderio individuale e felicità pubblica. C'è un brutto nodo che stringe questione maschile, questione sessuale e crisi della politica. Se è vero che, come ci insegnavano a scuola, oportet ut scandala eveniant, che almeno ci servano a vedere questo nodo, e a scioglierlo.

mercoledì 21 ottobre 2009

Figurante e figuranti

L’articolo è un po’ lungo ma vale assolutamente la pena. L’autore è professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma.
Pubblicato sul Manifesto di domenica scorsa


di Gianni Ferrara
LETTERA AL PREMIER
Signor presidente, Lei è stato ingannato
Lei è stato ingannato, onorevole Berlusconi. Assumo questa premessa. L'unica che credo possa consentirmi di rivolgermi a Lei nella speranza, quanto mai flebile in verità, di una qualche forma di attenzione. Credo infatti remotissima l'ipotesi di poter influire sui suoi convincimenti e sui comportamenti che ne sono conseguiti e ne conseguono. Ci vorrebbe altra forza che quella di uno dei più vecchi costituzionalisti italiani per sperarlo. Ma lo stellone d'Italia potrebbe profittare anche di qualcuna delle riflessioni che andrò esponendo per suscitare in Lei dubbi su qualcuna delle sconvolgenti iniziative che la stampa le attribuisce come prossime. Insisto sulla premessa. Lei è stato ingannato e per tre volte. Da una congiuntura particolare della nostra storia nazionale che ha fatto emergere preoccupazioni e reazioni motivate e spiegabili, miste però ad umori profondi e mefitici. Da una conseguenza che ne ha tratto, a cagione della sua professione, ma non consona alla scelta che ha operato. Da una cultura indotta nell'opinione pubblica e divenuta insistente, martellante, deleteria. La congiuntura a cui mi riferisco è quella dell'inizio della sua avventura politica che coincise con la crisi dei partiti che avevano costruito la Repubblica. Colpiti dalla responsabilità di tangentopoli, quei partiti si rivelarono incapaci di dare una risposta politica alla crisi, una risposta forte e risolutiva, adeguata alla soluzione della questione morale che aveva corroso il sistema politico. Abbandonarono alla magistratura questo compito che, per le proporzione assunte e la qualità della materia implicata, era invece tutto e soprattutto politico. Sciaguratamente anche il partito che aveva esercitato per più di quaranta anni il ruolo di opposizione costituzionale andava dissipando o addirittura rinnegando, per desolante e irresponsabile insipienza di chi lo dirigeva, tutto il patrimonio ideale e politico accumulato. La sua «discesa in campo», onorevole Berlusconi, corrispose all'esigenza di tutto l'elettorato della DC e dei sui alleati che, avendo perduta quella tradizionale, cercava una sua rappresentanza. Lei gliela offrì sbandierando l'anticomunismo dopo averlo dissepolto. Che era però quello stesso delle tante elezioni che si erano succedute dal 1946. Solo che, con Lei, si aggregavano tutti gli elettori in un solo schieramento che aveva come obiettivo il no alla sinistra, tanto più motivato quanto più la stessa sinistra, meno che una sua frazione, appariva confusamente pentita, ma pentita, e si presentava sradicata, sfocata, sfumata. Ebbe grande ed immediato successo questa sua «trovata». Lei si propose come il campione dell'anti-politica. Usò abilmente quel monopolio delle emittenti televisive private che aveva ottenuto con procedure non limpidissime e dimostrò di avere il perfetto possesso della più alta tecnologia di manipolazione dell'opinione politica. La vittoria che ottenne non premiava però una geniale visione politica, un nuovo paradigma culturale ed ideale, un programma di lungo periodo capace di unire e trascinare le donne e gli uomini di ogni classe sociale, di ogni strada e di ogni piazza d'Italia. Fu il primo degli inganni. Lei forse non lo avvertì, ha agito come se non lo avesse percepito. Ora però la sua intelligenza non può non averlo compreso. Ma non ne trae le conseguenze. Perché mai? Ha tanta fiducia nella deformazione mediatica della realtà, nella manipolazione televisiva delle coscienze? Vuole sfidare la verità? Il suo ego contro i fatti, la realtà, la verità? Potrebbe non convenirle. L'altro inganno fu quello che le predispose il mestiere che fino ad allora aveva esercitato, quello di imprenditore. Lei entrò in politica con la convinzione, la mentalità di chi prende possesso di una azienda acquisita mediante un contratto di compravendita. Ha considerato e continua a considerare il governo della Repubblica come la più importante impresa di una holding delle cui azioni Lei detiene il pacchetto di controllo (che, come ben sa, non conferisce però il potere di annichilire i diritti degli azionisti di minoranza). Comunque, Lei sbaglia, Onorevole Berlusconi, ad attribuirsi questo o analogo ruolo, a concepire il governo del Paese in quella visuale. Sbaglia di grosso. Lei non è il proprietario ed insieme l'amministratore delegato dell'Italia s.p.a. Per una ragione tanto evidente quanto decisiva. La s.p.a. Italia non esiste. L'Italia non è, né può essere una s.p.a.. L'Italia è uno stato, per di più una Repubblica. E come se non bastasse, è una repubblica democratica. Il successo elettorale, ottenuto così rapidamente, le ha sicuramente nascosto un profilo importantissimo della rappresentanza, che una visuale molto imprenditoriale, privatistica, della politica, come è la sua, avrebbe dovuto invece farle immediatamente comprendere. La titolarità dei pubblici uffici, come tali, al di là della stessa responsibility politica implica, richiede, impone accountability, una accountability complessiva, riferibile ad ogni aspetto del titolare, precedente e attuale, privato oltre che pubblico, e tutte e due i profili, quello della responsibility e quello dell'accountability integrano la situazione soggettiva di un rappresentante, la representativity politica.Vengo al terzo inganno. Lo ha rivelato Lei qualche giorno fa. Quando ha detto di essere l'unico eletto direttamente dal popolo. Non è vero. Lei è stato eletto dal corpo elettorale assieme a 271 altri candidati nelle liste presentate per le diverse circoscrizioni elettorali dal «Popolo della libertà» per l'elezione alla Camera dei deputati ed anche assieme ad altri 358 membri della stessa Camera dei deputati, candidati nelle altre liste in tutte le circoscrizioni elettorali della Repubblica. Lei è stato eletto deputato, non altro e non più che deputato dal corpo elettorale, così come tutti gli altri deputati e come i 315 eletti dal corpo elettorale come componenti del Senato della Repubblica. La carica di Presidente del Consiglio Lei la deve al decreto di nomina del Presidente della Repubblica, l'unico che gliela poteva conferire, a norma dell'articolo 92, secondo comma, della Costituzione in vigore in questo nostro Paese.Lei ha definito «figuranti», un termine non proprio esaltante, i suoi colleghi parlamentari. Ed a ragione visto che a scegliere quelli del suo partito è stato lei, così come ciascun leader quelli del proprio partito, con effetti quanto mai compressivi del potere degli elettori e del principio rappresentativo. Badi però che questo principio, come ogni altro costituzionalmente sancito, non è comprimibile oltre un certo limite. In astratto, proprio quei «figuranti», possono revocarle la fiducia e ridurre Lei a «figurante». So bene che è stata prevista la figura di «capo di forza politica» e/o quella «di unico capo della coalizione» da una disposizione improvvida, equivoca e di molto dubbia costituzionalità della legge elettorale vigente. Una legge che, essa sì, avrebbe meritato di essere rinviata alle Camere, ai sensi dell'art. 74 della Costituzione, per incostituzionalità manifesta di molte altre sue disposizioni. Ma è anche vero che la stessa disposizione che si inventa la carica di capo riconosce - e non potrebbe essere altrimenti - che «restano ferme le prerogative del Presidente della Repubblica previste» dalle norme costituzionali su-indicate. So altrettanto bene che questa figura di capo, pericolosa, aberrante in una democrazia quale dovrebbe essere ancora la nostra, e che dovrebbe essere ripudiata se non sublimata, collegata a, mediata da, specificata come riferibile ad entità morale, astratta dalle contingenze, dalle passioni, viene, al contrario, scelta come denotativa di supremazia, di potere, di forza e quindi di arbitrio. Ma so anche, e soprattutto, che a suggerire quella disposizione, ad evocare l'idea ed il mito del capo, soprattutto a configurare le elezioni politiche come scelta del governo è stata ed è una certa politologia, rozza e irresponsabile, penetrata nel nostro Paese e che ha mistificato principi, distorto convinzioni, offuscato non poche verità. Una di queste verità rivela che la democrazia moderna è rappresentativa o non è. Rappresentativa di tutti, non di una sola parte pur se maggioritaria. Rappresentanza che va integrata, arricchita, consolidata con la partecipazione delle cittadine e dei cittadini, ma non ridotta all'acclamazione del capo a mezzo scheda. C'è un'altra verità che va gridata: quella per cui il mandato popolare non comporta mai un potere totale, non può conferire, non attribuisce mai tutto quello che appartiene al popolo, secondo la nostra Costituzione, ad altri, tanto meno ad uno solo. Ed è assolutamente vero che il costituzionalismo, lo stato moderno, la civiltà giuridica e politica raggiunta dopo secoli di lotte e di conquiste è limitazione, distribuzione del potere. Concludo, onorevole Berlusconi, chiedendole di liberarsi dagli inganni, di riflettere su questi principi. Il destino ha riservato ad alcuni uomini politici la sorte di separare il loro cursus honoris in due fasi, di segno addirittura opposto l'una all'altra. Potrebbe essere anche il destino suo. Glielo auguro. Lo auguro soprattutto all'Italia. Con la più alta considerazione dell'ufficio che ricopre, gradisca i miei saluti.

martedì 20 ottobre 2009

Servizietti

Dossier. La prima vittima è stata Dino Boffo, poi il giudice Mesiano, adesso ci provano con il mite Corrado Augias.

martedì 6 ottobre 2009

Golpevole

Perché gridare al golpe e chiamare una manifestazione di piazza per una sentenza civile, peraltro non definitiva, e su un fatto del tutto privato? Un privato che la stampa di corte dovrebbe far di tutto per tenere nascosto, visto che ancora una volta mostra il vero volto del premier. Lo spiega bene Giuseppe D’avanzo su Repubblica di oggi

giovedì 10 settembre 2009

Lavoratori

Non ho fatto il militare a Cuneo come Totò (ed Enrico Mentana) ma molto più banalmente in una base missilistica dell’aeronautica, dove, per passare il tempo, chi comandava il vapore era arrivato alla perversione di ordinare, a noi avieri a tempo determinato, di salire a cavalcioni dei missili, armati di straccetto e secchio di benzina, per lucidarli. Ricordo che provai a chiedere se questa premura la si doveva alla volontà di non fare brutta figura con gli eventuali nemici a cui fosse diretto l’armamentario. Imparai a mie spese che ai militari non piacciono gli spiritosi, non so se per un fatto di disciplina, di rigore o perché pensano preventivamente che li stai prendendo per il culo. Sta di fatto che non aver svolto il mio compito di massaia senza protestare mi costò 48 ore di permesso. Ma non è questo il punto. Durante il servizio di leva hai modo di incontrare tanti ragazzi, di ogni provenienza, estrazione sociale, con vissuti, sogni e prospettive i più disparati. Uno di questi, giovane sergente del sud, mi confidò che si era arruolato a 16 anni, perché l’esercito perlomeno gli garantiva un lavoro sicuro e onesto. Lo disse con molta dignità. Oggi potrebbe apparire un eroe, o un matto, dipende sempre dagli occhiali con cui la si guarda. All’epoca era solo una persona normale. Leggere l’Amaca di Michele Serra per capire.

L' AMACA
Repubblica — 08 settembre 2009 pagina 30 sezione: COMMENTI
La D' Addario alla Biennale, Noemi Letizia intervistata da Sky, entrambe insignificanti e raggianti. È l' indotto dell' Era di Papi, un capillare industriarsi di piccole e piccolissime imprese individuali, con l' ombra dello scandalo riconvertita, oplà, in luci della ribalta. Le ragazzine e le ragazzone che ancora nutrissero dubbi sull' efficacia di quel rapidissimo cursus honorum, vedendo la Patrizia e la Noemi scintillare in video, penseranno che ne vale la pena, eccome. La congiura della stampa cattocomunista fallirà, statene certi, perché dal nostro sconcerto non si ricava un soldo, mentre dalle stanze di Papi (quelle veree quelle metaforiche) piovono quattrini e successo. Per chi si accontenta di una particina (la sedotta e abbandonata, la carina e risparmiata, la favorita e candidata, eccetera), da qualche parte c' è un red carpet già steso. Le più sincere e i più sinceri, tra l' altro, lo dicono pure: tutto, piuttosto che fare l' operaio o l' impiegata. Come si fa a dire che il capitalismo ha vinto? Il capitalismo, con quella sua vecchia mania novecentesca che bisogna lavorare produrre, al popolo fa schifo peggio del comunismo. - MICHELE SERRA

sabato 22 agosto 2009

L'ora di religione

(…) Alcide De Gasperi, cattolico severo, difendeva lo Stato dai prelati. Nell'Italia istupidita da un lugubre edonismo, Mater Ecclesia estorce quel che vuole al Supremo Affarista peccatore. Sul come introdurre lo scibile divino nello scuole, Philosophus risponde secco: diventi materia obbligatoria; e non ha in mente una sociologia religiosa, forse utile se non rubasse lo spazio d' insegnamenti più importanti nello stato analfabetico in cui versano tanti poveri figlioli; la materia de qua è il cattolicesimo romano, storia e dottrina; i vescovi difendono l'identità organica degli
italiani (…)

venerdì 21 agosto 2009

Semenya

… Una e più autentica quanto più assomiglia all'idea che ha sognato di se stessa… (dal monologo di Agrado in "Tutto su mia madre" di Pedro Almodovar)

mercoledì 19 agosto 2009

Facci sognare

Filippo Facci scrive per Il Giornale e non è sicuramente di sinistra. Peccato non aver letto nulla di così chiaro da parte di commentatori di area.

(…) in Italia è in corso un'offensiva che mira a ridimensionare la legge 194 e a confondere le acque raccontando anche sonore bugie; abbiamo una legge che anno dopo anno sgretola il ricorso all'aborto (nel 1982 furono 233mila, oggi sono 120mila e in costante diminuzione) e che lo sgretolerebbe anche di più, se questa offensiva non impedisse che le categorie che abortiscono in maggioranza - le ignoranti e le immigrate - fossero raggiunte da un campagna sulla contraccezione come se ne fanno in tutti i Paesi del mondo dove non c'è il Vaticano. Questa campagna non mira a cancellare la legge 194 - perché non ci riuscirebbe - ma a ridimensionarla sollevando continui polveroni, invitando alla moltiplicazione di quei truffatori dello Stato che sono in stragrande maggioranza gli obiettori di coscienza, ipotizzando la presenza di militanti religiosi nei consultori, raccontandovi che siano in corso complotti ideologici per smontare la stessa 194: quando gli ideologici sono solo loro, e a voler smontare la 194 sono solo loro. Questa offensiva è condotta da una casta numericamente modestissima che frequenta gli snodi dell’informazione, è una lobby che auspica ipocriti «miglioramenti» a una legge che vorrebbero solo abbattere, vi raccontano e racconteranno un sacco di balle. I nomi sono noti. Non credete a quello che dicono. Pensate con la vostra testa e con una coscienza che è solamente vostra, non ha bisogno di ambasciatori in folgorazione pre-senile.

martedì 18 agosto 2009

L’inno di Biscardi


Povero Maestro Biscardi, lui che ha fatto tutto il tuttibile perché i calciatori della nazionale cantassero l’inno di mameli e non si scaccolassero prima delle partite. Che lo ha imposto con la forza dei numeri, quantomeno del suo personale sistema metrico decimale: lo esigggono milioni di miliardi di italiani: tutti i suoi telespettatori. E adesso che ce l’aveva quasi fatta, che qualche azzurro perlomeno muove la bocca a pappagallo e non si stura il naso, arriva un ministro della repubblica e gli rovina la festa, il traguardo di tutta una vita professionale: l’inno? Non lo conosce nessuno. Che tradotto dal dialetto del ministro in questione equivale a dire: conta un cazzo o, in alternativa, è una merda.

lunedì 17 agosto 2009

Onorevole, quante volte?


Bisogna riabilitare il capo che si è preso qualche libertà di troppo, sessuale e verbale, e l’house organ di punta che fa? Commissiona ad una povera giornalista un servizio hot, di quelli estivi, da spiaggia, allo scopo di dimostrare che alla fine tutti scopano. Anche in Parlamento. Binetti esclusa, naturalmente. E allora, suvvia, cosa sarà mai?. Anzi, se vogliamo proprio dirla tutta, non ammetterlo è una pruderie da bigotti mentre annunciarlo urbi et orbi, e magari farsene vanto, avvicina di molto al volgo: all’uomo italico sicuramente ma anche alle signore che possono eventualmente portare il premier ad esempio se i loro di celoduristi dovessero perdere qualche colpo. E allora via in Transatlantico a chiedere: onorevole, quante volte? Scopriamo così che è vero, anche onorevoli e senatori fanno sesso, e alcuni hanno medie invidiabili, perlomeno in termini quantitativi. Il problema è che la domanda vera da fare era un’altra. Onorevole, anche lei va a troie? O meglio: anche lei riceve troie in casa sua all’insaputa di sua moglie, organizza festini e si intrattiene con minorenni?

martedì 11 agosto 2009

Io ti sbattezzo

La notizia la riferisce l’agenzia Asca. 15 parlamentari del pd, perlopiù teodem, compreso, ahimè, il mio ex sindaco, hanno scritto una lettera al direttore dell’Unità per lamentare la pubblicazione di una striscia umoristica sullo sbattezzo e per stigmatizzare la continua richiesta di una precisa presa di posizione della Chiesa sulla condotta del premier. A volte mi chiedo se c’è un limite al ridicolo.

venerdì 7 agosto 2009

Ru486

Come dice Roberto Saviano, non si deve mai abbassare la guardia.


La crociata vaticana e le mani sulla vita

(…) È inammissibile, invece, la pretesa autoritaria e illegale di fare dell' Italia un luogo dove alle donne è preclusa la possibilità di fare le stesse scelte delle donne di quasi tutti gli altri paesi europei; e dove si violano consolidate regole europee sulla registrazione dei farmaci, fondate sul "mutuo riconoscimento": quando il farmaco è già stato autorizzato in un altro paese europeo, si può chiedere che venga autorizzato anche in altri. Questa procedura implica che si possa discutere sulle modalità dell' autorizzazione, non sul concederla o negarla. E nel comunicato dell' Agenzia italiana per il farmaco si dice che l' autorizzazione «conclude quell' iter registrativo di mutuo riconoscimento seguito dagli altri paesi europei». Se, invece di abbandonarsi alle invettive, si fossero lette queste poche parole e le equilibrate considerazioni del direttore dell' Agenzia, si sarebbero evitate molte sciocchezze e forzature (…)

La pillola va giù

Chi vuol prendere la pillola antiabortiva RU486, la prende. Chi non vuol prenderla (per motivi medici, etici, religiosi, varii) non la prende. Nessuno è obbligato a nulla. La scelta è chiara, semplice: infatti in altri Paesi europei questo farmaco è liberamente in vendita. Da noi, no. Da noi la Chiesa cattolica, dotata di un potere politico che è oppure sembra forte, che altrove ha già perduto la partita, che non pare avere fiducia nell’obbedienza e osservanza dei suoi fedeli, ha già dato inizio a tutte le possibili pressioni negative (…)

mercoledì 5 agosto 2009

Stampa alternativa

Alberto Piccinini tiene una rubrica sul Manifesto intitolata Vuoti di memoria. Vale la pena.

Scomunica
Dopo il decreto del Sant'Uffizio. Avviso. È peccato grave: 1. Iscriversi al Partito Comunista 2. Favorirlo in qualsiasi modo, specie col voto. 3. Leggere la stampa comunista 4. Propagare la stampa comunista. Quindi non si può ricevere l'assoluzione se non si è pentiti e fermamente disposti a non commetterlo più. Chi, iscritto o no al Partito Comunista, ne ammette la dottrina marxista, atea e anticristiana e ne fa propaganda è apostata dalla fede e scomunicato, e non può essere assolto che dalla Santa Sede. Quanto si è detto per il Partito Comunista deve estendersi agli altri Partiti che fanno causa comune con esso. Il Signore illumini e conceda ai colpevoli in materia tanto grave il pieno ravvedimento, poiché è in pericolo la stessa salvezza dell'eternità (testo del manifesto comparso nelle chiese italiane nel luglio 1949. In altre versioni dello stesso manifesto era aggiunto un quinto punto: «Chi rimane nelle organizzazioni comuniste: Camera del Lavoro, Federterra, Fronte della Gioventù, Cgil, Udi, Api ecc...», e un nota bene finale: «Chi in confessione tace tali colpe fa sacrilegio: può invece essere assolto chi sinceramente pentito rinuncia alle sue false posizioni».)

Test
Serom in quatter col Padola, el Rodolfo, el Gaina e poeu mi: quatter amis, quatter malnatt, vegnu su insemma compagn di gatt. Emm fa la guera in Albania, poeu su in montagna a ciapà i ratt: negher Todesch de la Wermacht, mi fan morire domaa a pensagh! Poeu m'hann cataa in d'una imboscada: pugnn e pesciad e 'na fusilada... Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, a San Vittur a ciapaa i bott, dormì de can, pien de malann!... Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, sbattuu de su, sbattuu de giò: mi sont de quei che parlen no! El Commissari 'na mattina el me manda a ciamà lì per lì: «Noi siamo qui, non sente alcun - el me diseva 'sto brutt terron! El me diseva - i tuoi compari nui li pigliasse senza di te... ma se parlasse ti firmo accà il tuo condono, la libertà! Fesso sì tu se resti contento d'essere solo chiuso qua ddentro...». Ma mi, ma mi, ma mi (...) Sont saraa su in 'sta ratera piena de nebbia, de fregg e de scur, sotta a 'sti mur passen i tramm, frecass e vita del me Milan. El coeur se streng, venn giò la sira, me senti mal, e stoo minga in pee, cucciaa in sul lett in d'on canton me par de vess propri nissun! L'è pegg che in guera staa su la tera: la libertà la var 'na spiada! Ma mi, ma mi, ma mi (...) Mi parli no! («Ma mi», 1959. G. Strehler/F. Carpi)

Pillole di morale

A proposito di morale a intermittenza della cei.

martedì 4 agosto 2009

Potere temporale

Credo che la domanda con cui Vito Mancuso chiude la sua analisi sulla moralità a intermittenza della chiesa sia retorica. Credo che Mancuso conosca benissimo i motivi. In ogni caso la risposta che cerca io ce l’ho e da un bel po’ peraltro. Come anche ho capito perché il Vaticano, solitamente così solerte ad interessarsi delle spinte pelviche del volgo, non è mai intervenuto ufficialmente su quelle del premier. Anzi, la diplomazia d’oltre tevere si è presa addirittura la briga di una nota di distanza quando qualche ecclesiastico si è permesso di criticare i provvedimenti sulla sicurezza imposti dalla lega. E ha mantenuto un assordante silenzio quando dalla lega sono arrivati commenti di dileggio all’essenza stessa del suo magistero. Questo fa capire quanto affari e potere, che vivono di equilibrismi e di tattiche le cui regole non possono essere certo dettate dalla pancia (o dal culo, come in questo caso), vengano prima di tutto. Anche di un presidente del consiglio imbarazzante. Figurarsi di qualche migliaio di straccioni.

lunedì 27 luglio 2009

Tu chiamale se vuoi emozioni

… Il più recente studio sul voto - vedi The Political Brain di Drew Westen - sostiene che i cittadini votano con le emozioni più che con il ragionamento. Con la sua ricchezza e con il suo potere mediatico Berlusconi ha agito a livello emotivo in tutta la sua vita pubblica e continua a farlo…

venerdì 24 luglio 2009

Maschi: soldi, auto e figa

Berlusconi da di gomito e strizza l'occhio al maschio italiano, e anche ad un bel po' di donne compiacenti. Può farlo perchè conosce a fondo i suoi simili, con buona pace delle gerarchie ecclesiatiche, che come dice Saraceno sono però spesso più realiste del re, anche in tema di alcove aperte. Basta che non si sappia in giro. E quando si sa è sufficiente un minimo pentimento,
una genuflessione e una prece e poi si può tornare a parlare di affari. Ego te absolvo in nomine...
La sindrome del maschio
di CHIARA SARACENO

"Non sono un santo", ha dichiarato Berlusconi, meritandosi i titoli di apertura di tutti i giornali. È davvero una ammissione di colpevolezza, una assunzione di responsabilità rispetto al pericolo serio in cui ha messo la sicurezza dello stato con i suoi comportamenti a dir poco sventati, e rispetto alle menzogne profuse con generosità al paese?

venerdì 17 luglio 2009

E' il pd il maggior alleato di Berlusconi

Archiviato l’happy hour dell’Aquila si riaccendono i riflettori sulle escort, messe sullo sfondo durante il vertice per rispettare l’appello alla decenza del presidente Napolitano. In attesa del dibattito in aula, ammesso che ci si arrivi, alcune considerazioni sparse. A tendere la trappola al premier e a rivelare al mondo la sua bulimia sessuale, di cui si sapeva da tempo, è ormai chiaro che è stato qualcuno del suo schieramento, per ragioni non certo morali ma politiche. Berlusconi è probabilmente ritenuto bollito e ingombrante e va sostituito, magari attraverso un passaggio intermedio, come per esempio un governo tecnico. I ben informati dicono entro 6 mesi. In ogni caso credo non sarà facile mettere da parte un uomo che ha dalla sua un potere economico enorme e le conseguenti armi di ricatto. E non sarà facile soprattutto perché, come sempre accade quando sembra sull’orlo del baratro, Berlusconi trova il suo maggior alleato nel pd. Inutile risalire al primo Prodi e poi a D’Alema e alla mancata legge sul conflitto di interessi: in questa fase il partito democratico invece di approfittare della situazione elaborando una serie proposta alternativa, non trova di meglio che aprire la stagione congressuale, facendosi peraltro prendere per il culo da Beppe Grillo. Strano paese l’Italia, governata dall’inventore del Bagaglino, con un comico di professione che cerca di scalare il maggior partito d’opposizione e dove a fare inchieste giornalistiche sono da anni un pupazzo rosso e i suoi omologhi. Nell’attesa che i democratici si facciano del male da soli, lasciando al pdl l’onere di mandare in pensione il capo, magari con il supporto della Chiesa, la sinistra prosegue nel suo processo di estinzione. Nella galassia dei partitini comunisti italiani, che divisi rappresentano dall’1 al 3% dell’elettorato, e uniti altrettanto, a conferma che la divisione è in un certo senso una ragione di vita dell’essere comunista, ecco affacciarsi i Comunisti – sinistra popolare di Marco Rizzo, destinati a veleggiare, forse, intorno allo 0 e briscola per cento. Con buona pace di quel mondo – alcuni milioni di persone – che ci crede ancora ma si ritrova a non avere nemmeno quello che un tempo si chiamava il diritto di tribuna. Mi sa comunque che il tempo dei giochi stia per scadere. E un primo segnale, seppur minimo, locale fin che si vuole, arriva dall’Ideal Standard di Brescia: di fronte allo spettro della chiusura, le rappresentanze sindacali dell’azienda di sanitari hanno annunciato l’intenzione di rivolgersi al ministro Bossi. Chiederanno un incontro al leader della Lega perché il suo intervento pare abbia risolto un’analoga situazione in non ricordo più quale fabbrica. C’è qualcosa che non va. In un momento di crisi strutturale, i lavoratori non hanno voce all’interno delle istituzioni politiche e le rappresentanze sindacali o non remano dalla stessa parte o quando lo fanno mirano a salvare la pelle senza pensare al prezzo da pagare. O, probabilmente, arrivati a questo punto, la pelle non ha prezzo. Il che sarebbe ancora peggio.

giovedì 2 luglio 2009

C’e Roccella e Roccella

A Roccella Ionica, piccolo centro sulla costa orientale calabra, ogni anno in agosto organizzano un fantastico festival jazz. Roccella, nel senso di Eugenia, è invece una delle tante integraliste cattoliche equamente divise nei due schieramenti politici maggioritari. Il loro unico obiettivo, con un lavoro ai fianchi encomiabile per perseveranza e abnegazione, è di sottomettere qualsiasi legge che in qualche modo riguardi la vita e la morte delle persone, cioè tutte, alla dottrina della chiesa. E quando ciò non avviene, o sorgono degli impedimenti di ordine costituzionale, parte un fuoco di fila che lascia quantomeno perplessi per i toni e i termini. E’ successo ieri dopo la sentenza del Tribunale di Bologna, che legittima la fecondazione assistita anche per le coppie non sterili e la diagnosi genetica sull’embrione, per scongiurare la trasmissione di gravi malattie genetiche. Roccella (sempre Eugenia, non Ionica) non ha perso tempo e ha dettato all’Ansa una nota piena di livore, non consona al ruolo ricoperto di sottosegretario al ministero della salute: "E' sconcertante, si tratta di un vero e proprio tentativo di riscrittura della legge 40 (…) la sentenza del Tribunale di Bologna non ha nessun collegamento con la sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava illegittima la 40. Al di là delle questioni etiche o non etiche qui la magistratura non ha dato una sua interpretazione della legge, ma ha tentato di riscriverla. Ed è una riscrittura - ha concluso - che dimostra che le decisioni del Parlamento non sono tenute in considerazione. Ora aspettiamo le motivazioni della sentenza e poi vedremo come muoverci". Sulla stessa lunghezza d’onda, dal fronte opposto, (suor) Paola Binetti che dichiara: “non è una sentenza positiva, sono convinta che la scienza ci dovrebbe dare tutti gli strumenti per curare e non per selezionare e in qualche modo cancellare alcune persone. La sentenza prima della Corte Costituzionale e ora di Bologna - prosegue Binetti, che a questo punto ti viene di immaginarla con le mani giunte e gli occhi al cielo, in leggera ascensione - ci rende tutti particolarmente attenti a legiferare per essere certi che il valore della vita sia sempre difeso in se stesso". Di parere opposto Benedetto della Vedova, deputato pdl come la Roccella (Eugenia): "La decisione del Tribunale di Bologna di consentire il ricorso alla fecondazione assistita anche alle coppie non sterili, in presenza di malattie genetiche trasmissibili, si adegua alla recente sentenza della Consulta ed inquadra la legge 40 in una cornice giuridicamente coerente con le disposizioni costituzionali". Della Vedova non condivide inoltre chi accusa "i tribunali di continuare ad attaccare le norme più qualificanti della legge 40", perché, a suo avviso, i giudici civili, amministrativi e costituzionali hanno "evidenziato e censurato le incongruenze delle sue disposizioni più massimaliste rispetto ai principi generali dell'ordinamento giuridico in tema di autonomia dei medici e diritto alla salute delle donne". Il parlamentare ha poi criticato "la pretesa di vietare, attraverso la diagnosi pre-impianto, la selezione degli embrioni e di continuare a consentire la diagnosi prenatale e l'aborto terapeutico”.
Il dato politico di tutto ciò è che ancora una volta si evidenzia come il discrimine sia ormai tra chi concepisce la politica e le sue espressioni in modo laico e chi non abdica dal dogma confessionale, tra chi pensa e agisce in funzione del bene comune e chi questo bene lo subordina alla legge non più delle creature ma del creatore. Alle ultime politiche Eugenia Roccella è stata indecisa se candidarsi con il centrodestra o con il centrosinistra, perché entrambe le coalizioni le avevano offerto un posto nelle liste. E infatti non c’è alcuna differenza per esempio tra lei e i teodem che albergano nel pd. Benedetto Della Vedova è un ex radicale, liberale, che ha trovato casa nel pdl per ragioni, immagino, di vicinanza ideologica, per una visione economica, sociale e politica del mondo diversa da quella del pd, e su questo fa le sue battaglie. Secondo me su temi quali la procreazione, l’aborto, il fine vita, l’eutanasia, tanto per citarne alcuni, chi è incaricato di legiferare dovrebbe essere talmente illuminato da lasciare a casa le proprie convinzioni intime e avere una visione che vada al di là del proprio ombelico. Volere a tutti i costi che solo le coppie sterili possano accedere alla procreazione assistita e imporre loro comunque la roulette russa dell’embrione farlocco è cattiveria allo stato puro. Non mi viene da pensare altro.

lunedì 29 giugno 2009

In ricordo di un collega

Stamattina quando mi son trovato in rassegna stampa un articolo di Gianbattista Pasinetti mi è preso un colpo. Per un attimo ho sperato davvero fosse ancora vivo. Poi ho visto la data, 14 novembre 2002 e il pezzo di Cristiano Gatti che lo accompagnava. Non posso dire di averlo conosciuto o di esserne stato amico, anche per questo non lo chiamerò confidenzialmente Titta, privilegio che appartiene solo a chi gli è stato vicino. Ho incontrato Gianbattista a Torino a fine settembre 2002, nel corso di un congresso nazionale dell’Associazione Italiana Oncologi Medici (AIOM). Lui, inviato del Giornale, io, all’epoca, addetto all’ufficio stampa dell’AIOM. Gianbattista era già malato, ma il cancro, che si stava impadronendo del suo corpo, non aveva ancora lasciato segni esteriori nel suo fisico. Arrivò in sala stampa nel tardo pomeriggio di venerdì 27 o sabato 28. Per noi era un viso assolutamente nuovo: mai visto nel giro dei giornalisti scientifici. Il collega che era con me si presentò e così scoprimmo per chi lavorava, che era un inviato, che in genere si occupava d’altro e che era la prima volta in un congresso di oncologia. Iniziammo a parlare: sfogliò con un certo interesse la cartella stampa, le diverse pubblicazioni e opuscoli che avevamo preparato. Ricordo che faceva un sacco di domande, soppesando le risposte e replicando se qualcosa non era chiaro o non lo convinceva. Dire oggi che faceva domande come un giornalista sarebbe troppo facile e demagogico, ma tant’è. In una pausa di questa conversazione rispose al cellulare. Eravamo rimasti in tre in quella sala del Lingotto riservata alla stampa e anche non volendo io e il mio collega fummo travolti da quella telefonata. Gianbattista parlava concitato, ad un certo punto ebbe anche un moto di disperazione. Noi, spettatori involontari, pensammo banalmente a questioni di donne e uscimmo per discrezione. Fu Gianbattista a richiamarci. È stato allora che ci disse che aveva il cancro e che purtroppo le notizie avute da chi era all’apparecchio erano tutt’altro che positive. Se qualcuno ti fa una confidenza così intima, in qualche modo entra a far parte della tua vita. Cercammo di rassicurarlo, dicendogli che noi sapevamo esserci novità importanti in terapia e che comunque l’avremmo fatto parlare con due oncologi specialisti nel tumore che l’aveva aggredito, di non mollare, che c’erano casi che sembravano e invece. Sorrise. Non so se per la nostra reazione o se davvero eravamo riusciti a tranquillizzarlo. La sera a cena eravamo allo stesso tavolo. Conversammo piacevolmente d’altro, del cibo e del Barolo che lo accompagnava: fantastico, mai più bevuto. Uscendo dal ristorante Gianbattista ringraziò per la serata e aggiunse una cosa che non dimenticherò mai: chiese scusa per quanto successo nel pomeriggio.

domenica 28 giugno 2009

Timorati di dio

Sarebbe bello sapere cosa ne pensa Giovanardi che santo subito va a troie e frequenta minorenni e spacciatori di cocaina.

giovedì 25 giugno 2009

Attenti al Berluscane

Piccoli episodi di provincia che però danno il senso del clima generale. Un clima in buona parte indotto, mi riferisco all’isolamento dei non allineati su preciso mandato (il caso Crozza è l’ultimo della serie: vedere in proposito http://www.alessandrorobecchi.it/), in gran parte – ahimè - preventivo, su iniziativa di servi e cortigiani che nemmeno pensano di ingraziarsi il re, ma, peggio, che sia giusto così. Ricordo a memoria un caso a Lecco e anche in questa circostanza mi viene in aiuto Robecchi: la denuncia del vicequestore di Lecco Guglielmino ai danni di un giovane della stessa città, Duccio Facchini. “Inopinatamente sedizioso il contesto: mentre il ministro La Russa era in visita a Lecco per sostenere il suo candidato alla provincia e rilasciava copiose interviste, il ragazzo urlava, dall’altro lato della piazza, frasi come “La Russa chiedi scusa all’Onu”, o anche “E ve la prendete coi i migranti”. Tutto qui. Non una sberla (a parte quelle incassate dal Facchini, zittito dalla polizia), non un contatto fisico, solo qualche urlo, ma abbastanza per far saltare i nervi al ministro e al suo codazzo. E poi tutto rigorosamente documentato in video e finito su Youtube, compreso lo sprezzante ordine gracchiato da La Russa: “Se lo possiamo identificare e portare via…”. Gli altri li potete leggere direttamente sul sito di Robecchi, visto che i telegiornali, anche quelli pre Minzolini, li hanno bellamente ignorati. Così come è stata ignorata, a parte dalla stampa locale, la vicenda del pensionato veronese denunciato dai vigili urbani per aver chiamato il suo vecchio cane Berluscane e aver appeso al cancello della sua casa in Borgo Roma (la si vede perché è una villetta multicolore in mezzo a ordinate e ordinarie palazzine) il cartello Attenti al Berluscane. Pare che i vicini abbiano tollerato per un po’ poi hanno chiamato le guardie. Risultato: una multa da 55,60 euro per violazione al dispositivo dell’articolo 33 del regolamento di polizia urbana che prevede, per i possessori di uno o più cani, l’obbligo di affissione di un cartello al cancello dell’abitazione contenente (solo) la scritta Attenti al cane. Il nonno, che è eccentrico e forse comunista ma non fesso, si è rivolto ad un avvocato e nella memoria difensiva spedita al sindaco ha motivato il nome dato alla bestia (senza offesa) con “la vivacità amorosa (del cane s'intende, ndr) inversamente proporzionale all’età“. Per quanto riguarda il cartello, il legale si è limitato a far osservare che la parola Berluscane contiene la parola cane e quel che più conta è preceduta dall’avvertimento Attenti (secondo me è geniale). Adesso la palla passa al sindaco, il leghista Flavio Tosi, che può annullare la sanzione o anche aumentarla. Ah, dimenticavo. Il nonno, ex insegnante e ancora oggi scrittore, burattinaio, musicista e altro, vive con 4 cani. L’ultima, una cagnetta trovata abbandonata nelle campagne vicine, l’ha chiamata Noemi.

lunedì 22 giugno 2009

sabato 13 giugno 2009

Sì, un po’di merda l’ha pestata

La doverosa premessa è che non si può, o meglio, non si dovrebbe confrontare il risultato di una tornata continentale con una nazionale. Agli italiani l’Europa interessa poco, la vedono come qualcosa di imposto e comunque lontano, malgrado l’organo di governo di Strasburgo avrà sempre di più un peso specifico importante nella vita e nelle decisioni di ogni singolo Paese. E infatti l’astensionismo è lì a dimostrarlo. In molte città e province però si è votato per il rinnovo delle amministrazioni e in questo caso il giudizio sulla stabilità del quadro politico un certo senso ce l’ha. Detto ciò è innegabile che il centrodestra abbia vinto. Ma non come auspicava il suo signore e padrone, che avrebbe voluto un plebiscito per il pdl, e suo personale, tale da dargli ancora maggior spazio di manovra e soprattutto mano libera per il referendum, dove sarebbe andato all’incasso. Il premio di maggioranza al partito che prende più voti e non alla coalizione significa comandare e non curarsi, o curarsi lo stretto indispensabile, degli eventuali alleati, ridotti al ruolo di accessori. Invece non è andata così. Il pdl ha vinto ma ha rallentato nei consensi e il papi ha forse pagato i suoi pruriti al basso ventre, pruriti che il vaticano ha imparato a sopportare, a patto che non si sappia in giro, ma se qualcuno li rende pubblici, per statuto, anche suo malgrado, deve mettere per un po' di tempo una certa distanza fra lui, il vaticano, e chi viene trovato con le braghe in mano. Di contro, la lega, che sui pruriti al basso ventre ci ha costruito una piattaforma programmatica, ha raddoppiato la percentuale di voti, come del resto tutti i partiti razzisti e xenofobi del vecchio continente, sfondando addirittura in regioni storicamente di sinistra. E l’amico umberto, vatti a fidare, è andato subito a presentare il conto. Alla solita cena del lunedì ad Arcore, a urne ancora calde, il senatur non ci ha girato tanto intorno: se vuoi il nostro appoggio ai ballottaggi, se non vuoi perdere la provincia di Milano, caro papi, devi scordarti il referendum. La nuova legge elettorale la si farà in Parlamento: quando e come lo diremo noi. E mentre il ridicolo capezzone in tv aveva appena finito di sostenere le ragioni del sì, papi silvio, senza aver raccontato nemmeno una barzelletta ai commensali, se ne è uscito con una nota: l’appoggio al referendum non è più opportuno. Amen. Nel contratto non scritto dei portavoce c’è la possibilità di essere smentiti: vai, fai la dichiarazione concordata e vediamo le reazioni. Se sono negative si presenta il capo e aggiusta il tiro. Il portavoce viene delegittimato, si prende una buonuscita ma non si iscrive alle liste di collocamento. Il mondo lo sa che fa parte del gioco e nel curriculum non rimane macchia. E’ successo allo storico portavoce di bush padre durante la prima guerra del golfo, quando rimbrottò pesantemente il generale schwarzkopf jr., eroe dell'operazione desert storm, per aver detto cose che in teoria non gli competevano. Peccato che il generale avesse dalla sua l’intera nazione e il vecchio bush quella volta dovette rivedere il suo pensiero e salutare l’amico portavoce. capezzone è invece funzionalmente stupido e rimarrà dov’è.
Tornando a bomba, neanche il centrosinistra non se la passa un granché bene. Certo avrebbe potuto andar peggio. Ma per questo è solo questione di giorni: i ballottaggi apriranno probabilmente una nuova stagione dei lunghi coltelli. Già sono partite le grandi manovre dei big. Senza contare di pietro che col suo fare ruspante protoleghista fa proseliti in campo amico. Pare che d’alema abbia fatto una campagna elettorale come mai prima, per sondare l’umore della piazza nei suoi confronti, se non per avere un ruolo di primo piano, almeno per piazzare un suo uomo al vertice, leggi pierluigi bersani. E comunque niente si muoverà senza il suo consenso, compreso il nome nuovo debora serracchini, capace di battere nel nord ovest addirittura il cavaliere e già candidata alla segreteria, e al di là di quello che decideranno veltroni, fassino e lo stesso prodi, tornato a parlare dopo oltre un anno. L’omologo di capezzone nel centrosinistra, francesco rutelli, continua a smarcarsi, insieme a quella pattuglia del rosario della quale prima il pd se ne libera e meglio è. In ogni caso lui non lo sa, o forse sì, ma non conta un cazzo. In mezzo rimane il povero franceschini a cui va il merito di aver quantomeno tentato di dare un’impronta politica al partito e di tenere una barra a sinistra, lui ex democristiano, a dispetto degli ex comunisti. Forse sarebbe il caso di ripartire da questa certezza. La capacità di farsi del male della sinistra in generale potrebbe però portare, secondo i rumors dei beninformati, a un distacco netto tra la parte socialista e quella cattolica, ridando vita a quello che veniva definito il centro sinistra col trattino. Soprattutto se a prevalere, anche ufficialmente, fosse la linea del leader massimo. Della sinistra cosiddetta radicale meglio non parlare. Vediamo se l'ennesima sconfitta produrrà nuove scissioni. Quel che è sicuro, ahimè, è che non ci saranno sintesi. Piccola nota personale. Ieri sera ho chiesto a mia mamma: per chi hai votato? Per i comunisti. Si, ma quali? Chei nof, chei de Ventola. Quelli nuovi, quelli di Ventola. Mia mamma coi nomi non ce la può fare, è più forte di lei. Sono orgoglioso di mia mamma.

venerdì 29 maggio 2009

Appesi a un pelo

Non ho ancora capito se stavolta ha davvero pestato una merda o se, come sempre succede ad ogni vigilia elettorale, la merda in questione, che solitamente prende il nome di un giudice mentre oggi, casualmente, si chiama Noemi, si trasformerà in un plebiscito di voti. Certo il vecchio l’ha fatta grossa: passi trombarsi il trombabile (trombarsi, poi?) in cambio magari di una comparsata, un reality, una fiction, un ministero toh, ma accompagnarsi ad una minorenne è troppo anche per il popolo degli aiutini. O dio, troppo… Staremo a vedere se i papà e le mamme delle migliaia di potenziali Noemi che ci sono in Italia, una volta in gabina elettorale, tanto per citare l’altro ex celudurista, avranno un moto di ribellione, l’istinto sano, di non farsi rappresentare da un uomo che, nella migliore delle ipotesi, è malato, come dice la signora Veronica. Se però, nonostante tutto questo, B. dovesse ottenere di nuovo un successo personale, beh allora ci sarebbe davvero da preoccuparsi: di cancro a volte si guarisce, dalle metastasi è ancora complicato.

sabato 16 maggio 2009

Storia di Sajjad, rifugiato pakistano

Quelli con cui è più arrabbiato sono i trafficanti, «che ti organizzano il viaggio - dice - gli uomini della rete. Quando ci finisci dentro non riesci più ad uscirne». Sajjad viene dal Kashmir ed è arrivato fino al Regina Pacis, il Cpt dove «i muri erano imbrattati di sangue». Ha 35 anni ma gliene daresti qualcuno in più. Forse solo perché ha gli occhi tristi anche quando cerca di sorridere, mentre racconta la sua storia. A lui, e giustamente, Nichi Vendola ha affidato l’ultimo intervento del Forum. Poi lo ha ascoltato girando la sedia per guardarlo bene mentre parlava. Perché nessuno, alla fine di una giornata così, poteva restituire un quadro più lucido, e drammatico, della realtà e soprattutto delle motivazioni che spingono i governatori a cercare di chiudere i Cpt.

giovedì 14 maggio 2009

Il Papi oscura Pippi


Non so quale operazione ci sia dietro alla vicenda Berlusconi-Noemi-Lario. Perché adesso, perché in questi termini e che parte in commedia hanno i diversi personaggi, giornali compresi. O forse, prendendo a prestito Pasolini, lo so ma non ho le prove. Di sicuro c'è che il papi ha oscurato pippi. Il 4 maggio ha infatti compiuto 50 anni Inger Nilsson, alias Pippi Calzelunghe. Quelli che non sanno chi è trovano abbondante materiale su Youtube.

mercoledì 6 maggio 2009

lunedì 4 maggio 2009

Maiale a chi?

Di seguito lo stralcio più significativo di un lungo articolo di Mike Davis sulla pandemia suina pubblicato il 1° maggio dal Manifesto

(…) Non si tratta tanto di un fallimento del sistema di allarme della pandemia, quanto della sua completa inesistenza, persino negli Stati uniti e in Europa. Forse non sorprende che il Messico non abbia né la capacità né la volontà politica di monitorare le malattie del bestiame e il loro impatto sulla salute pubblica, ma la situazione è quasi la stessa a nord del confine, dove la sorveglianza è un fallimentare mosaico di giurisdizioni statali e le corporazioni dei commercianti di bestiame trattano la salute con lo stesso atteggiamento con cui sono soliti trattare lavoratori e animali.Allo stesso modo, una decade di avvisi urgenti da parte di scienziati sul campo non è riuscita ad assicurare il trasferimento di sofisticate tecnologie virali al paese sulla strada diretta di probabili pandemie. Il Messico conta esperti di fama mondiale ma ha dovuto mandare i tamponi ai laboratori di Winnipeg (che ha meno del 3% ella popolazione di Città del Messico), per poter identificare il genoma del virus. Motivo per il quale si è persa quasi una settimana. Ma nessuno era meno in allerta dei leggendari controllori di Atlanta. Stando al Washington Post, il Cdc è rimasto all'oscuro dello scoppio della pandemia fino a sei giorni dopo che il governo messicano aveva iniziato ad impartire misure di sicurezza. Infatti il Post scrive: «A distanza di due settimane dal riconoscimento dell'epidemia in Messico, i funzionari dei servizi sanitari americani non hanno ancora valide informazioni a riguardo».
Non ci sono scuse. Non si tratta di un evento straordinario. Di fatto, il vero paradosso di questo panico da virus suino è che, sebbene del tutto inaspettato, era stato previsto con precisione. Sei anni fa Science aveva dedicato un lungo articolo (mirabilmente scritto da Bernice Wuetrich) per dimostrare che «dopo anni di stabilità, il virus nord-americano dell'influenza suina è entrato in una fase di rapida evoluzione».Dalla sua identificazione all'inizio della Depressione, il virus H1N1 aveva solo leggermente deviato dal suo genoma originario. Poi, nel 1998, si è scatenato l'inferno. Una varietà altamente patogena ha cominciato a decimare le scrofe di un allevamento di maiali nella Carolina del Nord, e nuove virulente versioni hanno iniziato ad apparire quasi ogni anno, inclusa un'insolita variante dell' H1N1 che conteneva geni interni di H3N2 (l'altro tipo di influenza A che circolava tra gli umani). Ricercatori da Wuethrich, intervistati, espressero la preoccupazione che uno di questi ibridi potesse diventare un'influenza che colpiva gli umani (si ritiene che le pandemie del del 1957 e del 1958 siano state originate da una mescolanza di virus aviari e umani nei maiali) e sollecitarono la creazione di un sistema ufficiale di sorveglianza per l'influenza suina. Quell'ammonimento, naturalmente, passò inosservato in una Washington che si preparava a gettare miliardi in fantasie bioterroriste e trascurava i pericoli più ovvii.Ma cosa ha provocato l'accelerazione di questa evoluzione dell'influenza suina? Probabilmente la stessa cosa che ha favorito la riproduzione dell'influenza aviaria. I virologi hanno a lungo ritenuto che il sistema agricolo intensivo della Cina meridionale - un'ecologia immensamente produttiva di riso, pesci, maiali e uccelli selvatici e domestici - sia il motore principale delle mutazioni influenzali: sia degli «spostamenti» stagionali sia dei «cambiamenti» episodici del genoma (più raramente può verificarsi un passaggio diretto dagli uccelli ai maiali e/o agli umani, come con l'H5N1 nel 1997).Ma l'industrializzazione indotta dalle corporation della produzione da allevamenti ha rotto il monopolio naturale della Cina sull'evoluzione dell'influenza. Come molti autori hanno evidenziato, nei recenti decenni la zootecnia è stata trasformata in qualcosa che somiglia più all'industria petrolchimica che all'allegra famiglia contadina raffigurata nei libri di scuola. Nel 1965, ad esempio, c'erano in America 53 milioni di maiali per più di un milione di fattorie. Oggi, 65 milioni di maiali sono concentrati in 65mila strutture - la metà delle quali con più di 500mila animali. In sostanza è avvenuta una transizione dai vecchi porcili a enormi inferni di escrementi, mai visti in natura, contenenti decine, persino centinaia di migliaia di animali con sistemi immunitari indeboliti, che soffocavano nel caldo e nel letame, mentre si scambiavano agenti patogeni a velocità accecante con i loro compagni di sventura e con la loro patetica progenie.Chiunque passi per Tar Heel, North Carolina o Milford, Utah - dove ogni partecipata di Smithfield Foods produce annualmente più di un milione di maiali, oltre che centinaia di pozze piene di merda tossica - capirebbe in modo intuitivo quanto profondamente l'agrobusiness ha interferito con le leggi della natura.Lo scorso anno una rispettata commissione convocata dal Pew Research Center ha rilasciato un clamoroso rapporto sul tema «produzione animale in allevamenti industriali», sottolineando il grosso rischio che «i continui cicli di virus in larghe mandrie aumenteranno le possibilità di generazione di nuovi virus attraverso mutazioni o ricombinazioni che potrebbero risultare in una più efficiente trasmissione uomo-uomo». La commissione ha anche avvertito che l'uso promiscuo di diversi antibiotici negli allevamenti suini (alternativa meno costosa di un sistema di drenaggio o di ambienti più umani) stava causando l'aumento di resistenti infezioni da stafilococco, mentre le perdite fognarie producevano esplosioni da incubo di Escherichia Coli e Pfisteria (l'apocalittico protozoo che uccise più di un milione di pesci negli estuari della Carolina e fece ammalare decine di pescatori).Tuttavia ogni tentativo di migliorare questa nuova ecologia patogena è destinato a scontrarsi con il mostruoso potere esercitato dai conglomerati dell'allevamento come Smithfield Foods (maiale e manzo) e Tyson (pollo). I commissari della Pew, guidati dall'ex governatore del Kansas John Carlin, hanno raccontato di sistematiche ostruzioni alle loro ricerche da parte delle corporation, comprese sfacciate minacce di far ritirare i finanziamenti ai ricercatori. Inoltre questa è un'industria altamente globalizzata, con equivalente peso politico internazionale. Come il gigante thailandese del pollame Charoen Pokphand riuscì a sopprimere le inchieste sul suo ruolo nell'espansione dell'influenza aviaria attraverso il sudest asiatico, allo stesso modo è probabile che l'epidemiologia forense dell'esplosione della febbre suina vada a sbattere la testa contro le mura di pietra dell'industria delle costolette.Non vuol dire che la «pistola fumante» non sarà mai trovata: c'è già del gossip sulla stampa messicana circa un epicentro dell'influenza intorno a una gigantesca sussidiaria della Smithfield Foods nello stato di Veracruz. Ma ciò che importa di più (specialmente a causa della continua minaccia costituita da H5N1) è il quadro più ampio: la fallita strategia anti-pandemie dell'Organizzazione mondiale della sanità, l'ulteriore declino della salute pubblica mondiale, il ferreo controllo di Big Pharma sui farmaci vitali e la catastrofe planetaria di un allevamento industrializzato e ecologicamente disordinato.

martedì 28 aprile 2009

Verità di stampa

Giorni fa un importante esponente del parlamento europeo ha sostenuto che la vera nascita dell’Europa ci sarà solo quando, di Europa, ne parleranno i giornali. Non l’ho sentito personalmente, me l’ha raccontato una collega che era presente al dibattito. In effetti, a poche settimane dal rinnovo dell'emiciclo di Strasburgo, non c'è granchè consapevolezza generalizzata sul ruolo e sulle effettive competenze dei membri che andranno a comporlo, e sull'istituzione in sè. Ci ho ripensato leggendo il commento di Norma Rangeri all’ultima puntata di Annozero. Lo spunto l'ha offerto Sandro Ruotolo, inviato a Lampedusa, da dove ha proposto le immagini girate all'interno del mercantile che qualche giorno prima aveva raccolto i naufraghi di due barconi, figli di nessuno respinti dall'Italia e da Malta. Scrive Rangeri: “Non sono le riprese di qualche telegiornale italiano, ma il frutto del lavoro di un reporter tedesco. Insieme a un inviato di Repubblica, il giornalista è arrivato alla nave con un gommone e ha acceso la telecamera per documentare la drammatica situazione. Immagini di ordinaria sofferenza, gli immigrati stesi come un tappeto umano, mancanza di acqua, la ragazza incinta morta. La domanda di Ruotolo è semplice: «Se li avessimo visti subito, se i tg avessero mandato in onda questi volti, le autorità italiane li avrebbero lasciati in mezzo al mare per cinque giorni prima di intervenire con i soccorsi e portarli a Lampedusa?». No, lo dimostra il fatto che appena i due giornalisti si sono mossi, sono arrivati anche i soccorsi e la decisione della Farnesina di accoglierli. Segue una seconda domanda: come mai i nostri tg non hanno battuto sul tempo il reporter tedesco? Qui si entra nel merito della penosa condizione in cui è costretta l'informazione del sistema televisivo italiano: in mancanza di una concorrenza interna, lo scatto giornalistico si allenta, sono tutti più tranquilli e rilassati. Per rompere la routine deve venire uno dall'esterno. In più, gli immigrati sono finiti in mezzo al mare in un momento sbagliato, quando la tv aveva già la sua dose di dolore quotidiano con il terremoto. E in generale, i clandestini, come diceva Gad Lerner (anche lui a Lampedusa), non devono diventare persone, meglio se restano numeri, statistiche, problema di sicurezza nazionale. Non appena fai vedere le loro facce oltre a quelle degli abitanti dell'isola (Annozero ha mostrato il funerale della ragazza morta, con una silenziosa folla di lampedusani che portava fiori al cimitero), rischi che il telespettatore simpatizzi con questo popolo di disperati in fuga”.

giovedì 9 aprile 2009

Il marketing dei morti

In Abruzzo si continua a scavare nella speranza di non dover aggiungere altri nomi alle oltre 270 vittime accertate, ma chissà quanti clandestini rimarranno senza identità anche da cadaveri.
Di fronte a questa tragedia, la Rai trova modo di baloccarsi sui record d’ascolto dei Tg, delle trasmissioni d’approfondimento e persino del contatti al sito internet, rubando minuti in video con cifre e dati esultanti che stridono con quelli dei danni, dei senza tetto, di chi ha perso tutto. Non solo, c’è anche chi riprende e rilancia i comunicati dell’azienda facendo un pastone di tutto: terremoto, il commissario rex, la partita di Coppa dei Campioni. In alcuni momenti, forse, sarebbe meglio fermarsi, fare un passo indietro e uscire dalla competizione e dalle logiche di marketing. Hai vinto? Va bene. Stavolta tienitelo per te: ci fai più bella figura.

RAI: OTTIMI ASCOLTI PER TG1, "PORTA A PORTA" E REX
(AGI) - Roma, 9 apr. - Anche ieri, mercoledi' 8 aprile, l'informazione sul terremoto in Abruzzo e' stata molto seguita: il TG1 delle 7.00 e' stato visto da 1 milione 568 mila spettatori e uno share del 40.31; quello delle 13.30 ha raggiunto 5 milioni 252 mila con il 31.69. L'edizione delle 20.00 ha ottenuto 7 milioni 359 mila con il 31.59. Ottimi ascolti in seconda serata per "Porta a porta" con collegamenti in diretta e ospiti in studio che ha registrato 1 milione 948 mila spettatori e il 18.05 di share. Molto seguite anche le varie edizioni del TG2, come quella delle 13.00 che ha totalizzato 3 milioni 413 mila spettatori e uno share del 22.00. Su Raitre alle 7.30 "Buongiorno Regione" ha registrato il 12.34 di share; l'edizione della TGR delle 14.00 e' stata vista da 3 milioni 16 mila spettatori e uno share del 19.22, mentre quella delle 19.35 ha fatto registrare 3 milioni 21 mila e il 16.16. La serata televisiva su Raiuno prevedeva 2 episodi del telefilm "Rex": il primo ha realizzato 4 milioni 623 mila spettatori e uno share del 16.46 e il secondo 4 milioni 102 mila e il 16.32. Su Raidue l'andata del quarto di finale di Coppa dei Campioni tra Barcellona e Bayern Monaco ha realizzato 2 milioni 758 mila spettatori e il 10.11 di share. Su Raitre il programma di servizio "Chi l'ha visto?" ha registrato 2 milioni 314 mila spettatori con il 9.35 di share. Bene nel pomeriggio di Raiuno la seconda parte di "Festa italiana" con 1 milione 947 mila spettatori e uno share del 20.45 e a seguire "La vita in diretta" sia nella prima parte con 2 milioni 206 mila e il 27.55 che nella seconda con 2 milioni 324 mila e il 25.88. (AGI) Red

lunedì 6 aprile 2009

I questuanti del Suv

Quando fai il cronista di nera è quasi naturale frequentare professionalmente carabinieri e poliziotti. Come accade nella vita, con qualcuno nasce una simpatia: reciproca, a pelle, che rientra in quell’alchimia difficile da spiegare che porta naturalmente a fidarsi e abbatte le barriere, ideologiche e di appartenenza. Il comandante della stazione dei carabinieri del mio paese d’origine mi era simpatico. E io lo ero a lui. Un giorno, nei primi anni ’90, andai a trovarlo per dirimere una questione personale: alla morte di mio nonno ci trovammo a dover decidere cosa fare di due vecchi fucili da caccia che l’antenato aveva in casa, pur non frequentando da anni. Per ragioni affettive mio padre voleva prenderli in custodia, nonostante anche lui fosse un pentito del tiro al volatile. Per farla breve, portai con me tutto l’incartamento sui fucili e il maresciallo, a sua volta, recuperò da una vecchia carpetta gialla dell’archivio le relative copie. Per la simpatia di cui sopra iniziammo a scherzare su quante informazioni i carabinieri avevano su ogni singolo abitante e su eventuali dossier. Non era uno scherzo. Di noi, nel senso di famiglia, si sapeva per esempio che eravamo comunisti, peraltro nessuno aveva mai fatto nulla per nasconderlo, che in casa si leggeva l’Unità e il Manifesto (anche, aggiunsi io, visto che i nonni avevano una rivendita di giornali e per noi l’accesso a qualsiasi carta istoriata era facilitato) e altre varie amenità su usi e costumi. Ho ripensato a questa storiella leggendo le notizie sulle dichiarazioni dei redditi da indigenti di molti imprenditori italiani. L’Italia è il paese delle 100 città, delle province, delle regioni, delle migliaia di piccoli comuni dove tutti sanno tutto di tutti, peli del culo compresi. Basterebbe mettere in relazione il tenore di vita, le proprietà “alla luce del sole” di ognuno e le relative dichiarazioni dei redditi per fare tana a milioni di evasori fiscali. Non che questo sia compito dei carabinieri, ma una sinergia tra forze dell’ordine fino alla guardia di finanza, potrebbe essere una soluzione.