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venerdì 29 febbraio 2008

Nani e ballerine

La politica dovrebbe essere una cosa seria. Lo è stata. Perlomeno fino a quando nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama hanno iniziato a prendere posto saltimbanchi, nani e ballerine. Avrebbe dovuto essere un segnale di crisi. Non era normale, dico io, che Carlucci di ogni genere, prive di qualsiasi background, passassero di punto in bianco dalle serate sulle terrazze romane, tutte "signora mia non mi dica, non sa cosa mi ha fatto oggi la filippina", a pontificare e a decidere di legge 194, di missioni all’estero, di finanziaria. Invece niente. A partire dalla famosa discesa in campo, la madre di ogni nefandezza, ad ogni elezione, tutti i partiti dell’arco costituzionale, nessuno escluso, fanno a gara per garantirsi in lista almeno un esponente del jet set, che può essere un attore, un cantante, un presentatore, o comunque qualcuno su cui la cronaca malata di quel momento ha acceso i riflettori: il no global, il figlio dell’imprenditore, l’operaio scampato ad una tragedia. Perché? Cosa hanno a che fare questi signori con la politica? Possibile che nessuno riesca a interrompere questo corto circuito? Chi chiede ad un volto noto, in quanto volto noto, la disponibilità a candidarsi, non ha alcuna giustificazione. Ma anche chi accetta… Fatevi curare a vostre spese, non c’è bisogno di andare in parlamento. L’ultima follia è la candidatura per amicizia. La conosco da anni, mi ha convinto la sua determinazione. Il mio lavoro mi ha dato tanto, ora sento di dover fare qualcosa io per gli altri. Chi te l’ha chiesto? Ci son tante belle cose di cui occuparsi. Se senti il sacro fuoco per gli altri dedicati alla tua famiglia, fai il/la volontario all’ospizio, al campo nomadi, aiuta la filippina a lavare le tende.
Non ce l’ho personalmente con Paola Ferrari, che non conosco, e che oggi ha annunciato di sposare la causa de La Destra e in particolare di Daniela Santanchè. E’ tutto il sistema che non funziona. E non si è ancora toccato il fondo. Uno dei prossimi papabili ad un seggio potrebbe essere Flavio Briatore, anche lui amico della Santanchè e definito dalla Ferrari un’eccellenza italiana. A quando Luciano Moggi e Fabrizio Corona? E che ne dite del figlio di Riina, di nuovo a piede libero per decorrenza dei termini?

lunedì 25 febbraio 2008

Cartellino rosso

Avvenire getta la maschera, se mai l’ha avuta, ed entra a gamba tesa nella campagna elettorale. I leader di Pd e Pdl hanno siglato un tacito accordo per tenere fuori dal dibattito temi sensibili come l’aborto, ma l’offensiva integralista cattolica non sente ragioni e, in barba alla tanto sbandierata non ingerenza della chiesa, trova ogni occasione per serrare le fila e imporre la propria visione del mondo. Credo che questo accanimento sia un segnale di debolezza più che di forza: è indubbio però che siamo obbligati ad ascoltare una voce stonata, fastidiosa come un brufolo sul soprasella direbbe un mio vecchio collega, in una fase in cui la politica italiana sembra avere finalmente imboccato, almeno per ora, la strada della pacatezza (detto senza ironia) e della piena legittimazione e del rispetto dell’avversario.
Al quotidiano della Cei non piace la candidatura nelle liste del Pd per il Senato del prof. Umberto Veronesi. E chissenefrega verrebbe da dire: il non gradimento dei preti è secondo me un punto a favore dell’oncologo milanese. Il problema - politico a questo punto, ce ne vogliamo rendere conto? – è che i vescovi trovano subito sponda nell’ineffabile suor Binetti, che dichiara di non prendere nemmeno in considerazione l'ipotesi che il prof. Veronesi possa tornare a guidare il dicastero della salute.
Le ragioni del quotidiano della conferenza episcopale sul no a Veronesi, affidate alla penna di Francesco D’Agostino, già presidente della Commissione nazionale di bioetica, lasciano quantomeno perplessi. Credo che il commento migliore lo offra oggi su L’Unità il sociologo Luigi Manconi. Ridurre il pensiero e la statura del prof. Veronesi ad alcune sue prese di posizione e dichiarazioni pubbliche in contrasto con il magistero della chiesa e considerarlo per questo indegno di rappresentare il popolo di uno stato laico, è inaccettabile. E chi dall’interno di un partito, che spero abbia ancora qualcosa di sinistra, si dice d’accordo con questa lettura dovrebbe essere espulso.

sabato 23 febbraio 2008

Il problema serbo

Ricevo da Carlo

La Serbia è sempre stato un problema. Sempre. Un problema di democrazia, di arroganza, di violenza, di cattiveria storica. Il popolo serbo ha sempre scelto rappresentanti aggressivi, arroganti, violenti, cattivi. L’esempio degli ultimi 20 anni dovrebbe essere di monito a tutti i paesi che hanno a cuore la pace nei Balcani, zona – non dimentichiamolo mai – da cui hanno preso il via due guerre mondiali. E quasi ce ne scappa una terza. Sono, spero, nel ricordo di tutti, le violenze, gli stupri, le aggressioni a civili inermi messe in atto dalle truppe erbe durante quella guerra.
L’aggressione all’ambasciata americana e a tutte le sedi istituzionali e commerciali dei paesi che hanno riconosciuto il sacrosanto diritto all’indipendenza del Kosovo (dopo anni di tirannia serba) è una vergogna che dovrebbe avere pesantissime conseguenze politiche e, se necessario, anche militari. Attaccare un’ambasciata – o non difenderla da attacchi semi-militari, come è avvenuto – è un palese atto di ostilità e di guerra nei confronti di un altro Paese, che nulla ha fatto se non riconoscere il diritto all’indipendenza di un popolo votata in assoluta democrazia.
Il parallelo Kosovo - Padania portato in una delirante intervista dall’ambasciatrice serba in Italia, finalmente ritirata dal suo governo e spero mai più gradita in Italia, è assolutamente indecente, segno della scarsa conoscenza del nostro Paese. Agli slogan popolani e un po’ beceri dei nostri autonomisti, infatti, sono sempre seguiti gesti politici ben più seri, magari non condivisibili, ma sempre nel rispetto della legge. Soprattutto in Italia non c’è un esercito che vessa, arresta, ammazza oppositori politici e violenta donne. E mai ci sarà.
Nonostante questo la Russia di Putin continua a difendere questo stato, veramente ‘canaglia’, che nella storia ho solo portato guerre, violenze e distruzioni.
Ci auguriamo un pronto ritiro dell’ambasciatore italiano in Serbia e la chiusura di ogni rapporto politico e commerciale con un popolo e un governo che predicano e applicano quotidiana violenza da molti anni. Mi auguro di non dover mai trovare spazio per la Serbia nell’Unione Europea.

venerdì 22 febbraio 2008

Bioetica e biopolitica

L’accordo tra il Pd e i radicali non piace alla senatrice teodem Emanuela Baio Dossi. Pazienza, anch’io non vorrei la senatrice Baio Dossi e tutti i teo qualcosa in un partito di centro sinistra, ma sembra che in Italia i nipoti del pci non possano fare a meno dei cattolici. Come le mosche della merda. Forse si devono scusare di qualcosa: sì siamo comunisti, ma anche…. Sì, abbiamo una cultura marxista, siamo figli del materialismo storico ma abbiamo anche profondo rispetto per la dottrina della chiesa. Per quanto mi riguarda non c’è problema, non voterò il Pd e continuerò a non avere interesse ad ascoltare quanto dicono né le alte né le basse gerarchie ecclesiastiche. Detto questo vale la pena leggere il pensiero politico di Baio Dossi e i perché dei suoi distinguo dai radicali così come sono stati riportati dall’Agi.
“Da credente impegnata in politica ritengo che un cattolico possa votare uno schieramento che comprenda i radicali, come del resto emerge dal sondaggio pubblicato oggi sul settimanale Famiglia Cristiana, il quale afferma che il 40% dei cattolici ha detto sì. Si tratta dell'ingresso nel PD di singole persone che entrando, devono mettere da parte le proprie origini radicali, come del resto ho fatto io, pur provenendo dal partito popolare e dalla margherita. L'elettorato cattolico - prosegue la senatrice del PD - è tra i più esigenti, è vero, ma quando è posto davanti ad una scelta, la valuta nel suo insieme. Sicuramente guarda a temi quali la bioetica e la biopolitica, ma li coniuga alle scelte di carattere economico e sociale con un'analisi attenta verso la politica estera. L'elettorato cattolico mette al primo posto l'aumento dei salari, infatti, per poter garantire il rispetto della persona, è importante anche riuscire ad arrivare alla fine del mese e consentire ai membri della famiglia di vivere serenamente e dignitosamente. Questo è un punto essenziale del programma del PD che deve essere condiviso, senza ritrosie, dai radicali. L'elettore cattolico nel panorama sociale colloca al primo posto la salvaguardia dei diritti umani, della persona umana e dei diritti ad essa connessi. La presenza di candidati che si riconoscono nella dottrina sociale della Chiesa rappresenta una forza consistente e maggioritaria nel PD. La presenza di candidati di estrazione politica radicale -conclude la senatrice Baio - rappresenta, al contrario, una esigua maggioranza che, se vuole entrare a far parte a pieno titolo del PD, deve scegliere di condividere lo statuto, il manifesto dei valori e il codice etico approvati dall'Assemblea Costituente il 16 febbraio 2008”.
Che dire: averne di menti lucide come questa in parlamento.

martedì 19 febbraio 2008

L’elmo di Scipio

Si dice che Walter Veltroni sia l’unico leader politico in grado di competere sul terreno della comunicazione con Silvio Berlusconi. Credo che se per comunicazione si intende demagogia, populismo e retorica da bar sport, Berlusconi non abbia eguali. A Veltroni, che l’arte della politica l’ha respirata nelle cellule del Pci, va dato invece atto di aver riaperto una partita persa in partenza e, almeno finora, di governare la campagna elettorale, avendo obbligato il centrodestra a seguirlo sul suo terreno. Dapprima nella costruzione di un partito unico, che ha innescato un meccanismo virtuoso di semplificazione del quadro politico; quindi nei toni: nessuna demonizzazione dell’avversario, anzi ore di intervento senza mai citarlo direttamente, e attenzione concentrata invece al programma di governo, spiegato come un buon padre di famiglia alla piazza, alla gggente degli aiutini che si spera torni popolo. Il tutto pacatamente, detto senza ironia. Walter il buono sta togliendo linfa vitale ai professionisti della rissa, ai Bonaiuti, ai Vito, ai kamikaze del cavaliere programmati per far saltare i nervi a chiunque, trascinando l’interlocutore di giornata su un terreno in cui solo gli ospiti di Biscardi possono competere. Veltroni sembra schermato, quasi insensibile alle provocazioni, e lo si è visto alla prima uscita a Porta a Porta, quando ha chiuso in modo perentorio e senza possibilità di replica, ma con il sorriso, il tentativo di Bruno Vespa di farlo scivolare su un argomento sensibile come la legge 194.
Il viaggio in Italia, il pullman, il pranzo in casa, in famiglia, fanno parte integrante di una strategia comunicazionale questa sì forte: noi siamo i veri moderati, senza barriere ideologiche, un grande partito che non andrà da Che Guevara a Madre Teresa, come canta Jovanotti, ma più modestamente da Antonio Boccuzzi, operaio sopravvissuto all’inferno della ThyssenKrupp, a Paola Binetti. Un partito dove laici e cattolici lavoreranno insieme per risolvere i problemi dell’Italia. Il dodecalogo presentato ai cittadini non poteva che essere una diretta conseguenza di ciò: “Stringato e ovvio, comprensibile e generico: perfetto. Un’efficace aporia elettorale che parla ad un paese bisognoso di conforto. Poco importa, ai fini della contesa del 13 aprile che glissi sui nodi della laicità, dei diritti, dei conflitti sociali, delle risorse illimitate. Ciò che conta è la sua immediata spendibilità. Sapendo che dopo le elezioni, chiunque sia il vincitore lo sarà di misura e dovrà accordarsi con lo sconfitto: ma il terreno di quel compromesso è già scritto in dodici punti”. La sintesi e l’analisi sono di Gabriele Polo, direttore del Manifesto.
Il dato che emerge è invece chiaro: questo centrosinistra ha in sé molto centro e quasi nulla di sinistra. Non che sia un male, anzi. Perlomeno non ci sono equivoci né mal di pancia per compromessi al ribasso e bagnati nell’acquasantiera. Si tratta ora, per la sinistra, di occupare quello spazio disponibile con una spendibile idea alternativa di società. E poi andiamo a contarci.
Un’ultima cosa. Confesso che sono rimasto affascinato dalla mossa di Veltroni, che credo venga da lontano e che nella sua fase progettuale abbia messo in conto, se non auspicato, la caduta del governo Prodi. Confesso anche di essere stato tentato di votare Pd il prossimo 13 aprile, malgrado la presenza imbarazzante di suor Binetti Le mie buone intenzioni di moderazione hanno iniziato a scricchiolare al momento dell’accordo con Di Pietro e alla chiusura a socialisti e radicali. Sono definitivamente crollate dopo l’invito di Veltroni alla piazza a intonare l’inno di Mameli. No, la retorica della bandiera è davvero troppo. Pazienza, sarà per la prossima vita.

mercoledì 13 febbraio 2008

A history of violence

Io non so di chi sia la colpa. Se è di questo clima da caccia alle streghe, che comunque sa tanto di disperazione, di un abuso di potere da parte del magistrato che ha firmato il mandato, oppure di un eccesso di zelo della polizia: erano davvero necessarie le sirene? le sgommate? l’irruzione nel reparto di ostetricia? gli interrogatori e tutto il resto? Chiunque sia il colpevole materiale, il blitz di ieri all’ospedale Federico II di Napoli è figlio di un’ideologia crudele, che non solo priva la donna del diritto di scegliere, ma non le riconosce nemmeno la capacità di soffrirne. Nega a priori le lacerazioni devastanti che una madre, costretta ad una decisione drammatica e definitiva come è l’interruzione di una gravidanza, a volte si porta dentro per tutta la vita. Se non è violenza questa...

martedì 12 febbraio 2008

Decidi Dc

Alla fine il Cavaliere si genuflette e in un’intervista a Tempi, il magazine del quotidiano di famiglia, appoggia l’iniziativa del ticket Ferrara-Ruini a favore di una moratoria sull’aborto. L’avviso del cardinale, attraverso il portavoce Boffo, direttore di Avvenire, ospite la scorsa settimana del Tg1 delle 20, è andato a segno. Il messaggio suonava più o meno così: Presidente Berlusconi, la Chiesa non si sente pienamente tutelata da lei e dai suoi liberisti, la invita quindi a non portare alle estreme conseguenze il braccio di ferro con l’Udc e a trovare un compromesso affinché un partito dichiaratamente cattolico sia rappresentato nel centrodestra. E si sa che il verbo invitare, quando si tratta delle alte gerarchie ecclesiastiche, è un puro eufemismo. In ogni caso, va il nostro sentito grazie al direttore Gianni Riotta per aver permesso alla nazione di partecipare a questa corrispondenza privata e, se permettete, anche un po’ volgare. Il dato comunque è che l’ex plenipotenziario della Conferenza episcopale detta ancora le condizioni e subito il presidente del consiglio in pectore ha dovuto abbassare il capo e aprire quantomeno le trattative. Mosse chiaramente politiche. Per tutti, eccetto che per suor Paola Binetti. In merito all'appoggio alla moratoria l’esponente dei teodem dichiara candidamente al Corriere: quella di Berlusconi è una naturale elaborazione di un pensiero che ha a cuore la vita, senza se e senza distinguo. Nessuna opportunismo, dunque. Anzi, un bravo a lui e a Ferrara dei quali Binetti dice di condividere appieno il pensiero. Per riportare al centro del dibattito le donne (scusate ma la Binetti e tutte le Bertolini plaudenti lo sono solo per genere) propongo la lettura del bell’articolo di Grazia Zuffa, membro del Comitato nazionale di bioetica.

NB. Ho scoperto che passata la settimana di lettura gratuita, gli articoli linkati del manifesto scompaiono automaticamente. Allego il testo di quelli che sono riuscito a recuperare
La madre, il feto, il ginecologo
Grazia Zuffa


Dopo le polemiche, innescate da Formigoni, circa i limiti da imporre all'aborto terapeutico sulla base delle nuove possibilità di sopravvivenza al di fuori del grembo materno, e dopo l'uscita di un gruppo di ginecologi romani sullo stesso tema, si precisa il quadro dell'offensiva integralista: diretta non solo e non tanto contro la legge sull'interruzione di gravidanza, quanto, più alla radice, contro la centralità del «corpo pensante» della madre nella procreazione: reinquadrando la scena della nascita alla luce dei progressi tecnologici. Partiamo da come sono presentati i «fatti» scientifici e le conseguenti ricadute. I progressi nel campo delle cure neonatali sono stati così straordinari che fino dalla ventiduesima settimana di gravidanza i feti sarebbero in grado di vivere: dunque va messo in discussione l'aborto oltre i tre mesi, che si configura come soppressione di un bambino.
L'abbassamento dei limiti di sopravvivenza al di fuori dell'utero è un dato inoppugnabile che testimonia lo sviluppo tecnologico, ma può essere analizzato da molti punti di vista e ha molteplici risvolti di carattere etico: come si evince dal confronto da tempo in corso fra i pediatri e i neonatologi sulle cure da fornire ai bambini nati molto prematuri, il cui numero pare in crescita. Una problematica, come si vedrà, assai diversa dall'interruzione volontaria di gravidanza. Dunque, c'è innanzitutto da chiedersi perché proprio il conflitto con la 194 emerga come «il problema etico», vista l'eccezionalità dell'aborto negli stadi più avanzati di gravidanza, che la legge ma soprattutto le donne ben tengono presente.
L'aborto è destinato a balzare in primo piano solo seguendo una precisa e univoca lettura simbolica dell'evento tecnologico: i feti che un tempo erano destinati a rimanere «non nati» al di fuori del corpo materno, adesso «nascono» grazie alle tecnologie neonatali. Il feto è sempre più un «soggetto» autonomo: suo alleato è il medico, che lo salva (è proprio il caso di dirlo), dalla natura matrigna e dalla madre nemica (la madre assassina della moratoria sull'aborto). Questo il senso dell'appello di quei ginecologi che avocano a sé soli il diritto/dovere di rianimarlo, contro la madre. In tal modo il medico gioca un ruolo di autorità morale, oltre che tecnica. O meglio, le due cose sono connesse: le tecnologie al servizio della «sacralità della vita» sono anch'esse sacralizzate, col medico nelle vesti di officiante.
Soffermiamoci sulla assolutizzazione/sacralizzazione delle tecnologie: non una parola è spesa nel merito dell'ambivalenza delle tecniche, nel caso specifico le tecniche di rianimazione neonatale. Non una parola è spesa sul carattere straordinario (e straordinariamente gravoso) delle cure intensive cui si vorrebbe sottoporre di regola i feti e/o i prematuri di ventidue settimane.
Eppure proprio questo è il punto da cui è partita qualche anno fa la riflessione di molti pediatri, sfociata in un documento, chiamato Carta di Firenze, da qualche tempo all'attenzione anche del Comitato nazionale di bioetica. Basti leggere il preambolo: le riflessioni della Carta sono «ispirate alla necessità di garantire alla madre e al neonato adeguata assistenza, col fine unico di evitare loro cure inutili, dolorose e inefficaci, configurabili con l'accanimento terapeutico».
Dunque i dubbi (dei cultori laici della medicina e non dei gran sacerdoti) sorgono non dalla preoccupazione di un deficit di cure, ma al contrario di un possibile eccesso: ad uno stadio di maturazione in cui mancano le evidenze di efficacia degli interventi. In particolare, si ribadisce che al di sotto della 23ma settimana non esiste (allo stato attuale) possibilità di sopravvivenza al di fuori del corpo materno salvo casi del tutto eccezionali; al di sopra delle 25 settimane è possibile la sopravvivenza pur dipendente da cure intensive. Rimane dunque da valutare la fascia delle 23/24 settimane- dice la Carta- su come e quando applicare le cure definite straordinarie per evitare che si configurino come cure sproporzionate.
Per chiarire la delicatezza umana di questa valutazione basti pensare all'invasività di queste cure straordinarie, a fronte non solo di bassissime probabilità e durata di sopravvivenza, ma anche di danni iatrogeni gravi e irriversibili: pratiche quali l'intubazione tracheale e il massaggio cardiaco esterno possono provocare, oltre a sofferenze certe, la lacerazione della trachea, lo pneumotorace e altro, data l'estrema vulnerabilità di questi piccolissimi. I rischi sono aumentati dalla casistica estremamente esigua a quello stadio di età e dunque dall'esperienza assai limitata dei medici.
Da qui l'insistenza della Carta nel coinvolgere i genitori nella decisione se intraprendere o meno le cure straordinarie al di sotto delle 25 settimane. Può sembrare un'indicazione ovvia, a partire dal riconoscimento della responsabilità genitoriale e dal rispetto degli affetti dei soggetti coinvolti: ma questo è il punto principale di scontro, con chi vorrebbe lasciare al solo medico la scelta. Eppure, proprio perché il sapere tecnico vacilla (mancano le evidenze circa l'appropriatezza delle cure mediche da prestare) e la valutazione dei costi/benefici è particolarmente dubbia e dolorosa, proprio per questo i medici dovrebbero temere la solitudine. Per alcuni è così, come la Carta mostra. Per altri no: come se dall'imperativo assoluto di schierarsi a favore della Vita discendesse un potere assoluto delle tecniche e del medico chiamato ad applicarle. Un potere che non vuol vedere i limiti e le contraddizioni delle tecniche di cui dispone, che volta il capo davanti alle nuove sofferenze che possono arrecare. In questa luce, le problematiche dell'inizio vita appaiono del tutto simili a quelle del fine vita; così come le posizioni etiche in campo.
Torniamo alla polemica intorno alla 194 o meglio alla rappresentazione delle tecnologie salvifiche contro la madre mortifera. L'irruzione delle tecniche sulla scena della procreazione non è cosa nuova e neppure il loro utilizzo simbolico contro le donne. Barbara Duden ha mostrato come le tecnologie della gravidanza, rendendo trasparente il corpo femminile, siano un potente veicolo della rappresentazione del feto «autonomo» e del degrado della madre ridotta a puro ambiente di vita. In un crescendo, le tecnologie della riproduzione hanno «creato» l'embrione in provetta, al di fuori del corpo materno. Oggi quel corpo viene mostrato come sempre meno necessario: ridotti i tempi dell'opera materna, ridotta la funzione, negata la parola. Sempre più la madre è un grembo di transito. L'antico sogno maschile del controllo completo della procreazione sembra più vicino a realizzarsi. Di questo dovremmo discutere, uomini e donne.
(membro del Comitato nazionale di bioetica)

Colesterolo

Big Pharma

Il falso medico in barca. Spot "taroccato" del Lipitor
Il colesterono non è più un killer? Panico tra le multinazionali. Il mito negativo e la persuasione occulta

m.ca

Da mezzo secolo gli americani sono ossessionati dal colesterolo. Big Pharma ha fatto di tutto per costruire e rafforzare il mito negativo del colesterolo "cattivo". Lo sforzo è stata ampiamente ripagato: da anni i prodotti per abbassare il colesterolo sono i farmaci più venduti nel mondo. Il falso, spesso parente stretto del mito, è sempre ingrediente base della persuasione occulta. Lo confermano due fatti, emersi in una manciata di giorni, che mettono a dura prova le credenze degli americani sul colesterolo.Il primo è una vera e propria spallata al mito del colesterolo killer. Uno studio scientifico su due farmaci, che combinano principi attivi già noti, dimostra che meno colesterolo nel sangue non equivale a meno placche di grasso nelle arterie. Essendo le placche di grasso una delle cause principali degli infarti, ne consegue la quasi assoluzione del colesterolo. Il secondo è lo spot televisivo del Lipitor, l'anticolesterolo della Pfizer. Una storia gustossissima che andiamo a raccontarvi.Protagonista dello spot, andato in onda dal 2006, è il dottor Robert Jarvick, noto per aver creato un quarto di secolo fa il primo cuore artificiale. Nello spot si vede il dottor Jarvick che, nonostante i suoi 62 anni e il fisico non da atleta, rema potente e intrepido su una barca. Le acque sono quelle di un lago nell'incantevole zona di Seattle. La musica, ovviamente intonata al paesaggio, si abbassa quando il testimonial consegna al pubblico il suo messaggio: «Quando la dieta e l'esercizio fisico non bastano, l'aggiunta del Lipitor abbassa significativamente il colesterolo». Si è scoperto che il signore che rema non è il dottor Jarvick. E' uno stunt man, assoldato alla bisogna per fare la parte del dottore che, dice un suo ex collega al New York Times, «ha la stessa disposizione alle attività all'aria aperta di Woody Allen». Il dottore Jarvick sulla barca ci è salito giusto il tempo per pronunciare la frase con cui invita a consumare il Lipitor. Ma la barca galleggiava in un bacino costruito apposta per riprenderlo.L'altarino, scoperto un po' a scoppio ritardato, mettle in imbarazzo il dottore e soprattutto la Pfizer. Della cosa si sta interessando persino la Commissione commercio del Congresso degli Stati Uniti (gli americani sono fatti così: si bevono la fola delle armi di distruzioni di massa in mano a Saddam, ma non transigono su uno spot "ritoccato".) La commissione ha chiesto le «carte» alla Pfizer e alle agenzie che hanno realizzato le campagne pubblicitarie della multinazionale per appurare se le tecniche usate «possano aver tratto in inganno i consumatori», tradendone la buona fede. In effetti, vedendo un provetto vogatore che rema con baldanza si è indotti a pensare che il Lipitor faccia miracoli.Senza versare una goccia di sudore, il dottor Jarvick ha guadagno 1 milione e 350 mila dollari per fare il testimonial del Lipitor. Una somma ingente, anche per gli standard statunitensi degli spot tv. Ma una briciola rispetto ai 258 milioni di dollari spesi dalla Pfizer da gennaio 2006 a settembre 2007 per sostenere il Lipitor. Le date spiegano la ragione di un così forte investimento. Nel 2006 è scaduto il brevetto dello Zocor, il farmaco anticolesterolo rivale diretto del Lipitor. Sono entrati in commercio farmaci generici identici allo Zocor, ma a prezzo più basso del Lipitor. Per difendere quest'ultimo, che è il farmaco più venduto nel mondo e che l'anno scorso ha incassato quasi 13 miliardi di dollari, Pfizer ha scritturato il dottor Jarvick (e una controfigura).Tutte le multinazionali del farmaco, compresa quella che probabilmente ha passato alla stampa la dritta sul "falso" dottor Jarvick, zoppicano dallo spesso piede della Pfizer. Pompano valanghe di soldi in promozione (dal 1997 al 2007 negli Usa le spese pubblicitarie per i farmaci sono aumentate del 300%, sfiorando l'anno scorso i 5 miliardi di dollari) e le spacciano per «ricerca e sviluppo». Dopo il caso del Vioxx, l'antidolorifico superdecantato dalla Merck e ritirato dal mercato nel 2004 perchè aumentava il rischio di attacchi di cuore, le multinazianali del farmaco si sono date linee guida per una comunicazione pubblicitaria più sobria e responsabile. Non è cambiato niente.

giovedì 7 febbraio 2008

Il paese (sur)reale

L’analisi politica di Ezio Mauro è perfetta per un Paese normale. Personalmente credo ancora che la corsa in solitaria annunciata dal Pd non sia un atto di presunzione ma l’unica strada praticabile per forzare il gioco, visto che il centrodestra non ha voluto sedersi ad un tavolo per semplificare le regole. Un atto di chiarezza e di trasparenza di Veltroni, al di là della facile ironia sul Yes, we can obamiano che fa seguito peraltro al I care delle comunali, se non sbaglio.
Il vero problema è che il distacco tra il palazzo e l’opinione pubblica mi pare molto più profondo e non c’è da cercare un colpevole più colpevole, perché nessuno è innocente. Il paese reale è quello che è entrato fisicamente nella tv e a volte esce per sparare da una finestra ai passanti, come ieri a Verona, nella rappresentazione vivente della playstation o di una qualsiasi fiction. La vita come un grande gioco di società: da una parte le alchimie politiche e le strategie per la gestione del potere, dall’altra un popolo diventato gggente, dove a vincere non è il merito o l’impegno, nello studio, nel lavoro, ma la furbizia o la fortuna: basta pescare il pacco giusto, no? Purtroppo non son convinto che a preoccupare il campione in (apparente) rilevazione permanente sia l’assemblaggio omogeneo dei partiti in questa o quella coalizione. Destra e sinistra, quando va bene vengono definite facce della stessa medaglia, altrimenti sono post-it per classificare il passaggio dalla kefiah ai tacchi a spillo (e ritorno). Niente più che una moda. La declinazione dei valori è affidata ormai solo agli allenatori di calcio: mi sfugge la ratio, il ridicolo invece è evidente. In ogni caso si vede che fa chic. Ma del resto a cosa serve pensare o applicarsi, come si diceva una volta agli studenti svogliati, all’Università della De Filippi?

mercoledì 6 febbraio 2008

Giustizia

CARCERI: INVALIDA, OCCHIO DI VETRO,CHIEDE DI VEDERE MADRE
(AGI) - Roma, 6 feb - Invalida al 70%, con un occhio di vetro e gravi problemi cardiaci, una detenuta di 37 anni e' stata accompagnata 'in ceppi' davanti al giudice che avrebbe dovuto decidere sulla sua richiesta di permesso per visitare la madre appena operata in ospedale. L'episodio e' stato denunciato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni che ha sollecitato l'immediata apertura di un'indagine penale e amministrativa sulla vicenda. Sabrina A., 37anni di Velletri (Roma), detenuta dal 2000 per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio, con fine pena nel 2012. Dopo un periodo di carcerazione a Rebibbia, nel 2004 e' stata trasferita a Santa Maria Capua Vetere e, nel 2005, a Benevento, dove nessun familiare puo' andare ad incontrarla. In questi anni le sue richieste di essere riavvicinata a Roma - sostenute dal Garante dei Detenuti - sono state rigettate con la criptica formula di "motivi di sicurezza e opportunita' penitenziaria", o con la giustificazione che gli Istituti di Alta Sicurezza laziali (Latina e Rebibbia femminile) sono sovraffollati. Per altro, la donna ha presentato domanda di Grazia, ancora giacente al Ministero di Giustizia. Le visite mediche cui e' stata periodicamente sottoposta hanno evidenziato un'invalidita' al 71% - la donna ha anche un occhio di vetro - insufficienza tricuspidale con segni ECG di danno striale ed iniziale cardiopatia, tutte patologie degenerative che stanno peggiorando nel tempo Anche la famiglia di Sabrina non naviga in buone acque: la madre, invalida al 100%, cieca e vedova dal 2005, accudisce un figlio anch'egli invalido al 100%, malato di hiv che non cammina ormai da 12 anni. Di recente la donna e' stata operata per la revisione di una protesi all'anca ed e' per questo che Sabrina aveva fatto richiesta all'Ufficio di Sorveglianza di Avellino di un permesso per visitarla in ospedale che, pero', le era stato negato con la motivazione che la madre ricoverata non si trovava in pericolo di vita. Sabrina ha proposto ricorso al Tribunale di Sorveglianza di Napoli dove, il giorno dell'udienza, e' giunta nelle condizioni raccontate dal suo avvocato difensore: "..l'ingresso in aula in mezzo a tre agenti, ammanettata e tenuta al guinzaglio, mi ha gelato il sangue. In ceppi e' stata accompagnata e fatta sedere dinnanzi al Tribunale. Ho fatto richiesta di liberarle i polsi: il che con molta calma e' stato ottenuto. Al termine della breve discussione (con parere negativo del giudice) e' stata rimessa in vincoli per la ritraduzione al carcere di Benevento. Non ho avuto animo di chiedere alla meschina se durante il lungo viaggio di andata e ritorno essa sia rimasta ammanettata." "Giudico l'accaduto gravissimo, un odioso rigurgito di un modo di fare che, pensavo, fosse stato definitivamente accantonato - ha detto il Garante dei detenuti - Auspico l'apertura di un'indagine penale e amministrativa e che chi di dovere si adoperi per restituire la dignita' a questa ragazza iniziando, magari, dalla concessione di un permesso per consentirle di riabbracciare la madre in ospedale".(AGI) Red/Ale

martedì 5 febbraio 2008

Due Camere (con bagno)

Come era prevedibile, all’ultimo Berlusconi si è sfilato. Per un mese ha fatto credere a Veltroni di essere disponibile al dialogo sulle riforme, un minuto dopo la sfiducia al governo Prodi ha prestato ascolto solo alle sirene delle elezioni anticipate, convinto di vincere a mani basse. Non l’hanno fermato né l’autorevolezza del presidente Napolitano, nè la mediazione del presidente Marini, nè tantomeno gli appelli del mondo imprenditoriale, delle parti sociali, della stessa Chiesa ad una transizione di poche settimane, per aggiustare una legge elettorale pessima che impedisce la governabilità. C’era da aspettarselo: lo stesso scherzo lo fece a D’Alema nella Bicamerale. Ora abbiamo davanti due mesi di campagna elettorale, si spera dai toni pacati e soprattutto senza la demonizzazione dell’avversario. Il Partito democratico ha annunciato che correrà da solo e questa potrebbe costituire una novità dirompente, stante il quadro politico attuale. Perché, come scrive Edmondo Berselli su Repubblica, con il calcolo si può conquistare il potere; ma una scommessa intelligente può far saltare il banco.

venerdì 1 febbraio 2008

Torna Belzebù, quello vero

Non so se ai vertici del Pd capita mai di ascoltare Radio Maria, spero di no. Sarebbe importante però che conoscessero il pensiero del suo direttore, tal padre Livio Fanzaga. In particolar modo le esternazioni sull’Università la Sapienza e sui motivi della caduta del Governo. Breve guida all’ascolto. Nei corridoi dell’ateneo romano si aggirerebbero gruppuscoli di giovani “al limite del satanismo” e “professori cornuti con tanto di tridente e di coda”, che a spruzzargli addosso dell’acqua “esce fuori il fuoco” e “fumano”. Il ritiro della fiducia a Prodi è invece dovuto alla mancata partecipazione in massa degli esponenti del centrosinistra all’Angelus di riparazione convocato dal cardinal Ruini. Se fossero stati più umili, dice padre Fanzaga, l’esecutivo sarebbe durato di più. Toma castagna.