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domenica 19 gennaio 2014

Giacinto, ma non Facchetti

Suonano alla porta. Se non è una persona che conosco, o il postino, di solito non apro. Per dirla tutta, da quando sono dotato di videocitofono non chiedo nemmeno chi è.  Al mattino poi non se ne parla nemmeno. Vacanze di Natale. Il campanello mi sveglia che non è neanche mezzogiorno. Mi girano i coglioni ma la cosa finisce lì. Tanto non ho problemi a riaddormentarmi. Quel pomeriggio me ne ricordo e mi chiedo: chissà chi era stamattina. Un attimo. Pura curiosità. Il mattino dopo, più o meno allo stesso orario, la cosa si ripete identica. Campanello, sveglia, giramento di coglioni, sonno, quesito pomeridiano. Terzo giorno. Dormita spaziale senza alcuna interruzione. Alle 14.30, esco dal bagno dopo aver già acceso la doccia per prendere un accappatoio pulito e mentre ci passo davanti il videocitofono si illumina e mi rimanda il profilo di un omino di mezza età con loden e cappellino blu. Non lo conosco. Non rispondo. Sono ancora in mutande. Ma mi incuriosisce: che sia lo stesso dei giorni scorsi? Probabilmente ha pensato che al mattino non ci fosse nessuno in casa e ci ha provato al pomeriggio. Anyway. Per una serie di combinazioni astrali il mattino ancora successivo, sabato, intorno alle 11, l’orario delle volte precedenti, l’omino in loden ci riprova. Rispondo. Sono Giacinto, volevo sapere se secondo lei si può vincere la morte. Minchia. Domandone. Mi permetto di interpretare Giacinto e do per scontato che il verbo vincere in questo caso venga utilizzato nell’accezione di sconfiggere e non di conquistare, aggiudicarsi la suddetta morte. L’istinto sarebbe di rispondere: dipende. Lei Giacinto, per esempio, potrebbe vincere la morte non suonando più a questo campanello, soprattutto prima di mezzogiorno, orario in cui la vescica, purtroppo, mi chiede conto e mi obbliga ad alzare il cadavere dal letto. Ma mi sarebbe dispiaciuto. Giacinto aveva gli occhi buoni e io non sono capace di essere stronzo con chi ha già evidentemente problemi di suo. Ho quindi gentilmente declinato l’invito alla discussione. Mi scusi ma non ho tempo di pensarci. Giacinto si è allora altrettanto gentilmente offerto di ripassare, lasciandomi il tempo necessario alla meditazione. A quel punto però sono stato irremovibile. Mi è rimasta però la curiosità di sapere la confessione giacintiana. Testimone di Geova no perché quelli viaggiano sempre in coppia e vestono che non si possono guardare, mentre lui era solo e indossava abiti di questo secolo. Boh. Penso che sopravviverò.

sabato 18 gennaio 2014

Maggiordomo e classe dirigente

The Butler narra la storia di Eugene Allen, maggiordomo della Casa Bianca per più di trent'anni. Un tempo lunghissimo che ha consentito all’afroamericano Allen, scomparso nel 2010 a 91 anni, di conoscere e servire sette diversi presidenti degli Stati Uniti d’America: Dwight D. Eisenhower, John Fitzgerald Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter e Ronald Reagan. Non ho ancora visto il film ma immagino che di una pellicola del genere si possano dire tante cose, soprattutto se, come nel caso che vado a raccontare, si introduce l’argomento. Paradossalmente basterebbe anche l’incipit sopra. Invece capita che lunedì sono seduto nella prima classe di un frecciabianca insieme a 3 professionisti di mezza età. Classe dirigente. Per quasi tutto il viaggio i tre, che mostrano una consuetudine anche extralavorativa, parlano di moto, di caccia, di telefonini. Ad un certo punto quello seduto al mio fianco, interrompendo un momento di silenzio, dice: ieri sera sono andato al cinema a vedere The Butler. Un bel film. Era parecchio che non ne vedevo uno così. Penso: interessante. Sentiamo. Non so se i suoi due amici abbiano pensato la stessa cosa. Di sicuro l’espressione manifestava una certa curiosità di ascoltare il seguito. Perché sta nelle cose: se inizi un discorso del genere è perché hai piacere di raccontare, di condividere, di suggerire la visione del film. Invece il seguito è stato: no, un film de negri, ma importante. Gli interlocutori non hanno avuto la minima reazione, né fisica né tantomeno verbale. La normalità più assoluta. Ed è la cosa che mi ha sconvolto di più.