Translate

sabato 27 novembre 2010

Piuttosto

Da un po’ di tempo, anche per esperienze personali, sono convinto che non ci sia un momento in cui si possa dire basta, così non ha più senso vivere, sarebbe meglio che. A tutti credo sia capitato di pensare, o di sentire da altri: preferirei morire piuttosto che rimanere bloccato in un letto, dover dipendere anche nelle cose più intime, perdere la dignità. Ma sono pensieri che attraversano la mente e svaniscono con la stessa rapidità con cui sono venuti in una situazione di benessere fisico. Poi capita che la malattia colpisca una persona cara e allora cambia la prospettiva. Soprattutto se quella stessa persona, che un tempo aveva detto piuttosto, rimane aggrappata alla vita con tutte le sue forze. Non si arrende. E magari lo fa stringendoti la mano, o cercando i tuoi occhi, quando anche i medici se ne sono andati. E dopo la fase acuta riesce con fatica a ritrovare una sua dimensione, di dialogo e di rapporto, malgrado sia costretta in un corpo che non risponde e non risponderà mai più. Come si fa a dire, sarebbe meglio? Chi ha questo diritto? Detto ciò io non ho paura di chi riflette di eutanasia, fine vita, accanimento terapeutico. Ritengo che offrire la possibilità di scegliere sia un dovere di un paese non genuflesso. Scegliere non significa imporre. Per questo penso sia profondamente stupido da parte delle cosiddette associazioni pro life (mi chiedo peraltro se c’è qualcuno concettualmente contrario alla vita) pretendere dalla rai di replicare a e in una trasmissione che ha sostenuto la dignità di una scelta personale altra. Che senso ha? Qui non si tratta di par condicio o di diritto di tribuna, ma di scrittura narrativa che, nel caso specifico, rappresenta tra l’altro un arricchimento culturale del Paese. La mia speranza è che la rai, per una volta, non si pieghi ai ricatti e si schieri apertamente a favore dell’indipendenza dei propri autori. Purtroppo non sarà così e le suddette associazioni, se non nel programma di Fazio, avranno sicuramente a disposizione il salotto di Vespa per imporre la loro verità. Una verità che forse appartiene a tutti: rappresenta l’essenza stessa di ognuno di noi e si chiama istinto di sopravvivenza. Che si legittima da sé, senza bisogno di repliche o ripetizioni. La riflessione e la scelta proposte da Roberto Saviano e dalla signora Welby viaggiano su un altro piano del discorso, dove non ci sono le categorie riconosciute e riconoscibili dei buoni e dei cattivi o del giusto e dello sbagliato. E questo per qualcuno può risultare emotivamente destabilizzante.

venerdì 26 novembre 2010

Piacionaggine

Il discorso, in generale, è un po’ come le massime di Catalano: meglio essere simpatici che antipatici. E’ necessario però stabilire se essere o, peggio, fare il piacione abbia valore (che è diverso dal convenga, si badi bene) in tutti i campi della vita, al di là di quello strettamente privato. Personalmente, per esempio, sono più tranquillo se il medico che ho di fronte mi sa curare bene: se poi non sa raccontare le barzellette, pazienza. Che poi, sempre per quanto mi riguarda, questa specifica mancanza sia addirittura un punto a suo favore, è un altro discorso. Tornando a bomba, lo stesso ordine di priorità dovrebbe valere anche per chi ha compiti istituzionali. La riflessione mi viene dalla lettura di un interessante commento del critico televisivo Antonio Dipollina che, per quanto vale, sottoscrivo.


La tv ha un solo scopo, produrre ore di prodotto portando a casa un qualche risultato. I talk-show, idem. E quindi non si avvererà mai quello che si può definire un sogno a tutti gli effetti. Esempio: si sta discutendo per ore e ore, in tv, delle abitudini private del premier. In studio, quelli che sono stati convocati come difensori, avvocati veri e propri, sostenitori giornalistici, tirano fuori l'argomento principe: il premier è fortissimo perché è fatto come la gente comune. Bene. Non lo farà mai nessuno, ma poi chissà: parliamo dell'ipotesi che, appena pronunciata la frase in questione, il conduttore mandi via tutti gli ospiti. Via, sciò, ricominciamo da capo. E faccia entrare un qualche personaggio, studioso, esperto, storico, intellettuale, quello che volete: e che il resto della trasmissione lo si impieghi a spiegare qualcosa che dovrebbe essere l'abc, ma evidentemente non lo è. Ovvero: guardate che chi comanda, chi è al governo, non dovrebbe essere come gli altri, come la gente comune. Dovrebbe essere migliore. E su questo concetto, si costruisca il resto del programma. Non è abbastanza accattivante per la tv? Allora facciamo così: il conduttore fa entrare il mio coinquilino del secondo piano. E lo fa parlare. E gli chiede com'è e che cosa pensa. Lui parla (il sottoscritto ha già spento la tv, ma gli altri no) e dice cose e magari racconta barzellette. Alla fine il conduttore si rivolge alla telecamera: volete davvero che chi governa sia come questo qui? C'è caso che la maggioranza risponda sì, entusiasta, ma un tentativo andrebbe fatto.

martedì 23 novembre 2010

Avetrana

Ho saputo per caso di un orrendo delitto che si sarebbe consumato ad Avetrana, che dovrebbe essere in Puglia, se non sbaglio. Pare che una ragazzina di 15 anni sia scomparsa nel nulla quest’estate. In un primo momento, su indicazione anche dei parenti, gli inquirenti avrebbero seguito la pista dell’allontanamento volontario. Forse con un amico incontrato su Facebook, si diceva. Una vicenda che, era il pensiero comune, si sarebbe risolta a breve, con un ritorno a casa della ragazzina e la necessità per i genitori di capirne e comprenderne i disagi adolescenziali. Poi, ad un mese di distanza, la scoperta del cadavere in un pozzo. E l’arresto quasi immediato dello zio, che avrebbe dapprima confessato il delitto, anche con particolari raccapriccianti, quindi avrebbe ritrattato per accusare la figlia, di poco più grande. Figlia che tra l’altro pare fosse la migliore amica della vittima. Sullo sfondo, si narra, la disputa tra le due giovani donne per un ragazzo del posto. Ho usato tutti questi condizionali perché di questo orrendo delitto è tutto quello che si sa al momento. La televisione se n’è guardata bene dal parlarne. Qualche accenno al telegiornale, probabilmente. Tanto è vero che la notizia me la sono persa. Di sicuro non c’è stata alcuna trasmissione di approfondimento, anche solo un inviato sul posto che documentasse questo abominio. Purtroppo in tv siamo costretti a subire giornalmente pipponi sulla crisi economica, ore di analisi sul rischio di bancarotta del Portogallo, della Grecia e ora anche dell’Irlanda; sulla disoccupazione, ormai non più solo giovanile, ma che coinvolge almeno tre generazioni. Sui tagli alla scuola e alla cultura. Ieri c’è stato addirittura uno speciale su una delibera fatta approvare in Commissione Europea da Francia e Germania che prevede per i Paesi Ue l'obbligo di rientro dei debiti eccedenti il 60 per cento del Pil entro due anni, a partire dal 2012. Adesso la delibera dovrà essere approvata dal Parlamento di Strasburgo che, se la dovesse ratificare, comporterebbe per l’Italia una manovra, nel 2012, di 45 miliardi solo per ottemperare a quell'obbligo e altrettanti per l'anno successivo. Il commentatore ci ha poi messo del suo, come fanno sempre in questi casi, dicendo che manovre di queste dimensioni per un paese già stremato da una stasi nella crescita che dura da vent'anni, potrebbero risultare letali. I soliti pessimisti. Ho deciso che non guarderò più la televisione. A meno che non si occupi di più di casi come quello di Avetrana.

lunedì 22 novembre 2010

Padroni a casa nostra. E si vede

L'episodio di sciacallaggio di Bovolenta e le dichiarazioni del presidente della provincia di Treviso, Leonardo Muraro, sono le due facce della stessa medaglia: atti criminali o, nella migliore delle ipotesi, il prezzo da pagare alla legge Basaglia. Il problema vero delle alluvioni, se si vuole discuterne, l'ha posto domenica scorsa sul Manifesto Alessandro Robecchi. Il resto è spazzatura.



Mentre a Roma i gloriosi padani appoggiano il governo Bunga Bunga, nelle loro terre, in Veneto, i fiumi straripano alla grande, le città si allagano tipo Venezia, capannoni, laboratori e fabbrichette sono inagibili. Niente male come controllo del territorio, la tanto sbandierata specialità dei leghisti, che questa volta, perdonerete la metafora, ha fatto acqua da tutte le parti. Il governatore Zaia con il cappello in mano chiede un miliardo all’odiato stato centrale: il Veneto ai veneti, per carità, ma gli schei che vengano da Roma. Certo, un’alluvione è un’alluvione ovunque, e siccome l’Italia c’è ancora e la Padania non esiste, è giusto che all’emergenza si corra ai ripari con soldi di tutti. E questo anche se sulla Padania, un leghista di Varese ha vantato opere lombarde che in Veneto non si sono fatte: magra goduria vedere i barbari che si insultano tra loro. Quella che manca all’appello, però, è proprio quella parolina magica che i giannizzeri della Lega sventolano in ogni istante: territorio. Già, cos’hanno fatto per il territorio, la sua bonifica, la sua messa in sicurezza, la sua salvaguardia tutti quei sindaci e amministratori così impegnati a scrivere cartelli in dialetto? Crescere, urbanizzare. La casa, il laboratorio, il capannone, il magazzino, il laboratorio più grosso, la strada più larga, la casa che diventa villetta e via così. Per anni, prima sull’onda del “miracolo del nord-est”, e poi cavalcando il “padroni a casa nostra”, il tutto mentre il famoso territorio si comprimeva e diventava una bomba d’acqua pronta a esplodere. La sacra ampolla, il dio Po, la secesiùn, il dito medio alzato, le scuole griffate lega, il tricolore piegato in modo che si veda solo il verde (lo hanno fatto in aula i consiglieri regionali veneti della Lega il 4 novembre), tutto molto folkloristico. Ma poi chissà, svegliarsi una mattina con l’acqua alle ginocchia potrebbe essere il preludio di un risveglio vero, il primo passo per capire che il territorio è una cosa seria, che va usato per vivere, e non per i comizi.

giovedì 18 novembre 2010

Marina

Non so se Marina B. deciderà di succedere al padre anche alla guida del paese. A naso direi di no. Nemmeno S.B.,. a suo tempo, si sarebbe imbarcato nell'avventura istituzionale se non fosse stato costretto dagli eventi e non avesse dovuto mettere al sicuro se stesso e la roba. Ormai il lavoro sporco è completato, o quasi. Nonno S. dovrebbe cioè aver esaurito il suo mandato, durato quanto basta, come il sale e il pepe nelle ricette di cucina, grazie soprattutto all’aiuto della divisa (nel senso della moneta), di faccendieri disposti sia ad indossarla che a intascarla, di un’organizzazione perfetta in cui hanno trovato posto uomini molto intelligenti ma anche stupidi da querela, entrambi però funzionali perché i target di riferimento per il consenso non sono tutti uguali. Oggi il problema per Marina e i figli in genere è di tenere a bada il nonno, ossessionato dal priapismo: controllare che non vada in giro per strada a far vedere l’uccello alle signore. Le aziende (e tutto il resto) sono a casa. Tra poco anche il Milan, la playstation di S., forse non servirà più e per gli eredi sarà una rottura di coglioni in meno e una voce da cancellare nella casella delle perdite.


Il problema rimane invece per noi, a prescindere dai tempi della dipartita, dai colpi di coda, sempre possibili quando a governare le idee e l’etica è la divisa di cui sopra. Lo dice bene Barbara Spinelli in un articolo illuminante: “(…) Non siamo all'epilogo dei Pagliacci, e non basta un feeling per spodestare chi è sul trono non grazie a sentimenti ma a una macchina di guerra ben oleata. Per uscire dalla storia lunga che abbiamo vissuto - non 16 anni, ma un quarto di secolo che ha visto poteri nati antipolitici assumere poi il comando - bisogna, di questo potere, averne capito la forza, la stoffa, gli ingredienti. Non è un clown che si congeda, né l'antropologia dell'uomo solitario aiuta a capire. I misteri di un'opera sono nell'opera, non nell'autore, Proust lo sapeva: "Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che manifestiamo nelle nostre abitudini, nella società, nei nostri vizi". Sicché è l'opera che va guardata in faccia, per liberarsene senza rompersi ancora una volta le ossa (…)”.

Ci sarà occasione poi per analizzare le colpe: qualcosa anticipa già Spinelli e io condivido in pieno.

http://www.repubblica.it/politica/2010/11/17/news/spinelli_crisi-9191608/

mercoledì 17 novembre 2010

Traversi(n)e

Ho letto che un treno su tre è sempre in ritardo.  Non capisco perché mi ostino a salire sempre su quello!

sabato 13 novembre 2010

Il mondo 2.0

Il mondo 2.0 ha cambiato i modi (e forse anche le regole) della comunicazione. Da osservatore interessato mi trovo a dover prendere atto che la filiera classica di produzione, elaborazione e fruizione delle notizie non è più valida, o quantomeno non è più l'unica possibile. Così come sono cambiati gli interlocutori: quelli che un tempo erano solo i destinatari passivi di un messaggio, oggi, grazie alla rete, possono e sono in grado di rilanciare lo stesso messaggio in modo virale e decreterne il successo o il fallimento. Per questo chi lavora, a vario titolo, nel mondo della comunicazione, non solo è chiamato a fare i conti con le opportunità e le applicazioni date dalle tencologie, per non perdere opportunità, quote di mercato, business, ma deve rivedere, modificare e adattare i propri claims in funzione di destinatari multitasking, dovendo peraltro tener presente che quello che viene detto sarà potenzialmente tracciabile per sempre e che un domani qualcuno potrebbe chiederne ragione. Certo, professionalmente è un'evoluzione affascinante. Onestamente non so se in questo caso più informazione corrisponda a più verità e democrazia. Credo che il punto critico stia nella capacità di gestire culturalmente la massa di notizie disponibili. C'è poi un altro dato da considerare e da analizzare - sociologicamente volendo, ma non sono in grado - per cui mi limiti ad ascriverlo alla sola democraticità del web, che a volte, proprio per questa ragione, ha come possibile conseguenza anche il ridicolo: questa è l'epoca che se non intervieni e commenti ciò che leggi non sei nessuno. "E' una specie di flagello - scrive il giornalista Antonio Dipollina - superiore alle cavallette: un giorno finirà, ma intanto ci saremo persi gli anni migliori a commentare l'esistente invece di viverlo un po' di più".

giovedì 11 novembre 2010

Confini

La sottocultura, la paura e la negazione del diverso, che non è più solo lo straniero per pelle ed etnia, il restringimento parossistico dei confini identitari, in nome di un federalismo di maniera e opportunistico, hanno prodotto un abbruttimento etico e sociale da cui non sarà facile uscire. Per me che sono mezzo vicentino, che in veneto ci lavoro e conosco tanta gente perbene, è amaro leggere e dover condividere quanto scrive Serra in queste due Amache.

L' AMACA
Repubblica — 09 novembre 2010 pagina 46 sezione: COMMENTI
Hanno ragione, i veneti: sono sott' acqua nell' indifferenza generale (anche dei media), quasi la loro alluvione fosse un problema locale non italiano. Centinaia di milioni di danni, famiglie rovinate, imprese affogate e nemmeno una vera prima pagina di un vero giornale nazionale. Al Sud ci sono abituati, a sentirsi lontani, a sentirsi meno importanti. Per il ricco Veneto è invece quasi un esordio, nella classifica delle regioni "dimenticate". Precedenti catastrofi, alluvioni e terremoti nordestini, ebbero una risonanza ben differente per quantità e per qualità. Fossi veneto proverei a farmi qualche domanda sulle ragioni di questo legame affievolito, di questa solidarietà intiepidita. Fino a vent' anni fa il nesso storico e identitario tra l' Italia nel suo complesso e le sue singole parti era indiscusso, quasi naturale. Che il destino fosse comune, nella fortuna come nella disgrazia, era un' ovvietà. Se oggi viene percepito come "cosa dei veneti" un dramma che fino a pochi anni fa sarebbe stato condiviso da tutta la nazione, è anche colpa del localismo cieco e masochista che ha avvelenato il Nord. La forsennata speranza di fare da soli, di non avere bisogno degli altri, di potersi chiamare fuori dalla comunità nazionale, ha un prezzo: diventare periferia. - MICHELE SERRA

L' AMACA
Repubblica — 10 novembre 2010 pagina 48 sezione: COMMENTI
Il governatore del Veneto Zaia, nel legittimo sforzo di ottenere quattrini per la sua terra alluvionata, inveisce contro «chi vuole dare 250 milioni per quei quattro sassi a Pompei». Detta da un povero cristo che scava esasperato nel fango, la frase è giustificabile. Detta da un dirigente politico di alta responsabilità, è un' idiozia di quart' ordine. Degradante. Il problema della Lega - direi il suo problema costitutivo - è che la sua classe dirigente parla e pensa come il cosiddetto uomo della strada, illudendosi che questo sia "popolare". Non lo è affatto. Nessun partito popolare ha mai potuto o voluto eludere la questione - nevralgica - del miglioramento del linguaggio, del livello culturale, delle ambizioni della sua gente. Un partito popolare che non metta a disposizione del popolo parole, pensieri, obiettivi più alti e più importanti di quelli a cui il popolo è costretto dalla sua soggezione, non ha alcun rispetto del popolo.È un partito snob( sine nobilitate ), che spregia "la gente" al punto da ritenerla incapace di concepire pensieri generosi e di capire quelle "cose difficili" che è ingiusto rimangano patrimonio di pochi. Un dirigente politico che parla da ignorante è uno che non sa fare il proprio lavoro. - MICHELE SERRA

venerdì 5 novembre 2010

Faminchia

Forum delle famiglie. Stavolta ha ragione Giovanardi: "La presenza del presidente del consiglio è un valore aggiunto". Porta le figheeeee.