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sabato 29 dicembre 2007

Due cose

La prima è un appello di Articolo 21 http://www.articolo21.info/ ai sindaci di tutti i comuni d’Italia affinché la notte del 31, per un minuto, venga spenta l’illuminazione pubblica: sessanta secondi di buio per ricordare le stragi quotidiane sul lavoro. Nel 2007 hanno perso la vita nelle fabbriche e nei cantieri edili della penisola 1038 operai; un milione e 38 mila si sono infortunati e 25 mila sono rimasti invalidi.

La seconda è un monito, alla luce del sempre più precario quadro internazionale e dei venti di guerra. Lo ‘rubo’ al grande scrittore uruguaiano Edoardo Galeano.
“Le guerre si vendono, così come si vendono le automobili. Nel 1964 gli Stati Uniti invasero il Vietnam, perché il Vietnam aveva attaccato due navi degli Stati Uniti nel golfo del Tonchino. Quando la guerra aveva già fatto fuori un sacco di vietnamiti, il ministro della difesa, Robert McNamara, ammise che l’attacco al Tonchino non c’era mai stato. Quarant’anni dopo la storia si è ripetuta in Iraq”.

mercoledì 19 dicembre 2007

Una moratoria per i senza tetto

Dire quanti sono è quasi impossibile, forse per questo li chiamano invisibili. L’ultima stima, fatta dal mensile di strada Scarp de’ Tenis, risale al 2005 e calcola tra 65 e 110 mila il numero delle persone senza tetto. Un dato di gran lunga inferiore rispetto ad un’indagine, più o meno dello stesso periodo, condotta dalla Federazione Europea delle Associazioni Nazionali che lavora con i senza fissa dimora: la Federazione ritiene che siano dai 150 ai 200 mila quelli che non avrebbero il conforto di una casa propria. Di questi, 60-90 mila sarebbero privi di qualsiasi sistemazione. Nel corso degli anni è anche cambiato l’identikit degli homeless. Pensare soltanto ad uomini adulti con problemi di alcol è riduttivo. L’immigrazione e le difficoltà economiche hanno allargato le categorie: per strada oggi si trovano molte, moltissime donne e molti working poors, ovvero gente che lavora regolarmente ma che non guadagna a sufficienza per pagarsi un affitto. Per chi vive sotto la soglia della povertà, con 7-800 euro al mese, basta poco - una separazione, un lutto, che priva di una pur altrettanto misera entrata - per non essere più in grado di sostenere la spesa di una casa. Fortunatamente questo paese gode ancora di una rete di protezione privata fatta di associazioni di volontariato, laiche e cattoliche, di preti illuminati, che distribuiscono pasti caldi, coperte, vestiti, che riadattano locali per le emergenze e che non chiedono nulla, nemmeno i documenti, perché a differenza dei ricchi, i poveri sono davvero tutti uguali. Certo questo lavoro meritorio e impagabile non è sufficiente per far fronte a numeri enormi: 200 mila persone sono una città italiana di medie dimensioni, come Brescia o Verona. Varrebbe la pena che qualcuno ci pensasse. Magari anche chi nel Pd si occupa con un accanimento quasi morboso di quello che accade nel letto degli italiani, dettando regole, modi, tempi e spinte pelviche. Demagogia? Provate a dormire su una panchina a -5 e poi ne riparliamo.

martedì 18 dicembre 2007

Giovanardi Carlo (3)

Gliele ha cantate, eccome che gliele ha cantate. Prima di tutto al presidente Casini. “Tutti sanno che nel '94 eri capolista di Forza Italia. Nel '98, quando rimanemmo in 8 parlamentari, fu Forza Italia a portarci alcuni deputati per fare il gruppo. Infine, nel 2001, avevamo zero seggi, avendo raccolto il 3,2 per cento e tu sei diventato Presidente della Camera e io ministro”. Poi l’affondo. Sabato il Pierferdi lo aveva accusato di tenere il sedere nell'Udc e il cuore con Berlusconi: “E' molto peggio – ha replicato Giovanardi Carlo - stare col cuore lontano da Berlusconi e col sedere sulle sue poltrone”. Toma castagna. Quindi l’accorato appello a favore del Pdl e, finalmente, anche un moto d’orgoglio. “Oggi c'é la possibilità che nasca una grande costola italiana del Ppe. A me - aggiunge Giovanardi, provato dallo sforzo di esprimere un pensiero non teleguidato (ogni riferimento a persone o cose è casuale) - non interessa né Berlusconi né Casini (l’ha detto! Ha nominato il nome di dio invano e senza genuflettersi!). Mi interessa se riusciamo a fare tutti insieme un partito come quello di Aznar, della Merkel, del 30 per cento”.
Il Giova è scatenato e ne ha anche per gli altri dissidenti, Tabacci e Baccini, che mirano a creare la 'Cosa Bianca'. “La vedo simile al partito di La Malfa – dice sprezzante - quel Pri che era votato da Agnelli, da Ronchey, da alcuni maitres a pensair, che però non andava oltre il 5-6 per cento. Entrare in un partito che vuole scegliere le alleanze dopo le elezioni non é nel mio orizzonte politico”. E la chiusa è proprio una dedica al suo orizzonte politico, perché al Giovanardi, abituato ad essere maggioranza relativa, già fare la minoranza lo indispone, fare la minoranza che conta un cazzo lo deprime oltremisura. “Tutti parlano di andare oltre l'Udc verso il Ppe. Io penso che quella forza politica potrà essere quella annunciata da Berlusconi, quando nascerà, se ci sarà il concorso di tutti noi”. Per il momento, comunque, il Giova non lascia il partito: sia mai che il predellino non sia abbastanza resistente. Alla fine, alla conta, con lui stanno una quarantina di dirigenti, poco più dell’11%. Casini non infierisce più di tanto. Cesa, da segretario, è più esplicito: “Non consentirò mai doppie tessere e doppie appartenenze. Chi se ne vuole andare, può farlo, ci dispiacerà molto ma è libero di aderire a nuovi progetti. Certamente - ironizza - non vedo nessuna fila davanti all'ufficio tesseramento del partito di Berlusconi. Sia chiaro - prosegue - che noi in quella casa non ci andremo mai, perché non è la nostra. E' un partito demagogico e privo di regole, la cui unica certezza è la leadership di Berlusconi e la capitolazione degli alleati”. Ronconi, vicepresidente dei deputati centristi, usa il bastone e la carota. “A Giovanardi, sconfitto, va l'onore delle armi perché è uscito allo scoperto, ha manifestato le sue idee, non condivisibili ma legittime. Ora deve dare seguito alla sua linearità di impegno: rappresentare la minoranza nel partito, seguendo le indicazioni della maggioranza e lavorando per far guadagnare consensi alle sue. Non sarebbe accettabile invece il ruolo di 'agente all'Avana’ che semmai sarebbe meglio impersonato da chi dissente ma non appare”.

lunedì 17 dicembre 2007

Giovanardi Carlo (2)

Così il buon Giovanardi rimane fuori dalla porta per almeno due ore. Ogni tanto guarda alle finestre e a un certo punto,dietro le tende, gli pare di vedere Bondi e Cicchitto ridere. Devo trovare al più presto un altro modo per farmi notare, rimugina tra sè. Ma sì, perché non ci ho pensato prima: non è stato Berlusconi a fare campagna acquisti per far cadere il governo, è questo governo che sta in piedi grazie al voto di un eletto nelle file del centrodestra, Herry Potter Follini, quel maledetto. Pronto Ansa? Sì, chi è? Sono Giovanardi Carlo volevo… Clic. Pronto sono ancora Giovanardi Carlo, dev’essere caduta la linea. Strano, succede ogni volta che chiamo…. Comunque, vorrei dettare questo…Clic. Sempre Giovanardi Carlo, mi passi un collega del politico.
“Il gigantesco polverone innescato dal solito circuito mediatico giudiziario sul tentativo di Berlusconi di convincere senatori del centrosinistra a togliere la fiducia al governo Prodi, copre l'elemento essenziale della situazione politica italiana. Numeri alla mano, infatti, il governo esiste ancora perché il 6 dicembre, il senatore Marco Follini, eletto con i voti del centrodestra e poi passato al centrosinistra, ha dato il suo voto determinante di fiducia per salvare Prodi (158 si contro 156 no). C'é davvero da chiedersi se i sepolcri imbiancati che ieri si sono stracciati le vesti non sentano un minimo di vergogna nel difendere una realtà del Senato che già in partenza aveva visto il centrodestra prevalere nelle urne con il 50,2% dei voti popolari contro il 48,9% del centrosinistra e che oggi si regge soltanto sul voto di un transfuga”. Questa volta non mi possono lasciare fuori. Drinnn. Sono Giovanardi, pres….Clic. Dalla finestra qualcuno lancia un aeroplanino. E’ un’Ansa.
2007-12-13 15:14 BERLUSCONI INDAGATO:RONCONI,GIOVANARDI DIMENTICA DE GREGORIO ROMA (ANSA) - ROMA, 13 DIC – “L'onorevole Giovanardi, nella sua giusta difesa d'ufficio di Berlusconi, dimentica che il primo tempo della 'campagna acquisti' tra centrodestra e centrosinistra si è chiuso sull'1-1. Per un Follini che è andato a sinistra c'é stato un De Gregorio che ha negato la fiducia a Prodi". Lo afferma il vicepresidente dei deputati dell'Udc, Maurizio Ronconi.(ANSA).

Laicità

(….) La laicità senza aggettivi riposa esclusivamente sul principio di non imporre ai cittadini altro vincolo all’infuori di quello che vieta a ciascuno di limitare la libertà altrui e di violare il principio di eguaglianza di tutti di fronte alla legge (….). Ogni opinione può essere manifestata liberamente e in contrasto con altre opinioni. Ma se l’opinione di alcuni – fosse pure l’opinione maggioritaria – si trasformasse in norma discriminante, allora l’eguaglianza sarebbe violata e con essa la democrazia. L’esempio più chiaro è quello della legge sul divorzio. Si tratta in quel caso di una norma facoltativa: consente a chi vuole utilizzarla di valersi di una procedura a tutela di un diritto, che non impone alcun dovere a chi non voglia valersene. Viceversa impedire il divorzio ad una coppia che voglia recidere il contratto matrimoniale impone un limite ad un diritto l’esercizio del quale non lede alcun altro cittadino. Fondandosi sul principio di eguaglianza di fronte alla legge le Costituzioni democratiche vietano ogni discriminazione basata su etnia, religione, sesso. La legge è uguale per tutti. Tutti i diritti che non ledono diritti altrui meritano rispetto e cittadinanza (….). Le coppie di fatto siano etero siano omosessuali, hanno diritto di esistere poiché non ledono alcun altro diritto. Le leggi che le tutelano sono, come il divorzio, facoltative. Impedirne l’esistenza costituisce una discriminazione e viola in tal modo un precetto costituzionale. Si può invocare l’obiezione di coscienza contro un principio costituzionale? Rivendicando contemporaneamente la propria appartenenza ad un partito democratico? Direi proprio di no. L’obiezione di coscienza avrebbe in tal caso un’impronta tipicamente clericale, incompatibile con i principi della democrazia.

Eugenio Scalfari – Repubblica di domenica 15 dicembre

domenica 16 dicembre 2007

Giovanardi Carlo

Giovanardi Carlo, ma avrebbe voluto tanto chiamarsi Silvio, Piersilvio, o al limite anche Marina, a volte è commuovente. La sua fedeltà al padrone, non richiesta peraltro, fa tenerezza. Il dramma di quest’uomo è che malgrado tutta l’abnegazione che ci mette non riesce a far breccia nel cuore del re. Anzi, Berlusconi non lo degna mai di una citazione e Bondi, Cicchitto, Fede, Vito, persino Vito, non perdono occasione per prenderlo per il culo. Quando si presenta in udienza, anche se nessuno ricorda di averlo chiamato – ah c’è Giovanardi: è già andato in lavanderia a ritirare le camicie? - il portiere di Palazzo Grazioli e il cuoco Michele si toccano le pudende. Da dentro le tasche, ma se le toccano. Lui però non demorde. Qualche settimana fa ha anche cercato di fare lo spiritoso imitando la gag del capo. Ha detto ai giornali di aver preso cappello e di essersene andato dal suo vecchio partito perché quegli ingrati non avevano accolto con cori di giubilo l’annuncio del predellino e non erano corsi a ringraziare il messia di Arcore per la nuova opportunità politica. Ha aspettato di vedere la notizia, un riquadro nelle pagine interne, e l’ha subito smentita. L’hanno preso per il culo tutti, come un Giovanardi qualsiasi. Vi ricordate Grisù, il draghetto che non si rassegnava alla sua draghitudine e voleva diventare pompiere? Giovanardi Carlo (Silvio, Piesilvio, ma al limite anche Marina) è un po’ così. Qualche giorno fa, quando appena alzato ha letto su Repubblica che il re era di nuovo nei guai con la Magistratura non gli è quindi sembrato vero di indossare il caschetto e andare a spegnere il fuoco dei nemici rossi. Ancora in pigiama ha preso carta e penna deciso a scrivere al Presidente della Camera. “Egregio Presidente (presidente con la P maiuscola in segno di rispetto, sia mai che qualcuno insinui che lui non riconosce la terza carica dello Stato perché è un comunista) leggo questa mattina sul quotidiano 'la Repubblica' un suggestivo articolo (di cui Le allego copia) tutto centrato su ricostruzioni, tanto maliziose quanto improbabili, dell'attività politica del deputato Silvio Berlusconi, che in altri tempi sarebbero sicuramente state attribuite a veline di qualche 'servizio deviato'. Nell'articolo, si riferiscono i contenuti di asserite conversazioni fra membri del Parlamento (il medesimo Silvio Berlusconi e il senatore eletto nella Circoscrizione estero Nino Randazzo) ma non risulta chiaro se il redattore ne abbia contezza (ma come parla?) perché le medesime conversazioni siano state intercettate o perché, semplicemente, quei contenuti sono frutto del racconto, successivo e interessato dello stesso Randazzo”. "Se fosse vera la prima ipotesi è chiaro che la procura di Napoli avrebbe apertamente infranto le disposizioni costituzionali poste a tutela delle prerogative del Parlamento, con evidente violazione della normativa ordinaria vigente; nel secondo caso saremmo di fronte viceversa all'ennesimo episodio del circo mediatico-giudiziario messo in moto dalla denuncia unilaterale di un parlamentare della sinistra. Le chiedo pertanto, signor Presidente, di volersi cortesemente attivare presso la procura di Napoli, per assumerne - nel quadro della leale collaborazione fra le istituzioni - le informazioni volte a chiarire quale delle due ipotesi corrisponda alla realtà”. Firmato Giovanardi Carlo. Fax a Montecitorio e uno alle agenzie. Poi di corsa a Palazzo Grazioli. Non gli hanno aperto.

(continua)

venerdì 14 dicembre 2007

giovedì 13 dicembre 2007

Odifreddi for president

In una mail inviata agli altri membri della Commissione del Pd incaricata di scrivere il Manifesto dei Valori, lo scienziato Piergiorgio Odifreddi scrive: “Vorrei spendere una parola a favore del tema della laicità. Io non credo di avere 'pregiudizi' nei confronti dei cattolici, così come non credo di averne nei confronti degli astrologi o degli spiritisti: mi limito a constatare che hanno visioni del mondo che sono antitetiche con la visione scientifica, e più in generale con la razionalità, e ne deduco che sarebbe bene che esse rimanessero confinate nel campo individuale. Non propongo certo la proibizione delle sedute spiritiche, degli oroscopi o delle messe. Mi sembra sensato, però, pretendere che non sia sulla base di queste cose che vengano prese le decisioni politiche dei nostri governanti e del nostro nascente partito. E trovo altrettanto scandaloso che qualcuno (Prodi) dica che ha ricevuto notizie significative sul sequestro Moro durante una seduta spiritica, che qualcun altro (Reagan) si sia fatto consigliare da una maga, e che molti altri seguano i dettami della Chiesa per legiferare. Laicità significa separare nettamente queste credenze individuali dall'azione sociale e politica dello Stato e dei partiti”. Odifreddi giudica “assolutamente insoddisfacente, oltre che contraddittorio”, l'articolo a questo proposito della bozza del Manifesto. “E' ridicolo iniziare dicendo che 'la laicita' è un valore essenziale del Pd', e continuare riconoscendo 'la rilevanza nella sfera pubblica delle religioni e delle varie forme di spiritualità. Il nuovo partito – conclude Odifreddi - deve scegliere se essere laico o no; nel primo caso bisogna abolire la seconda parte dell'articolo, e nel secondo caso la prima: sono entrambe soluzioni possibili, ma per favore evitiamo di essere il partito del 'ma anche', come va dicendo da settimane Crozza nelle sue imitazioni di Veltroni”.

Sotto tir(o)

Il blocco degli autotrasportatori imporrebbe una riflessione più approfondita. Le lunghe code davanti ai distributori di benzina, gli scaffali dei supermercati vuoti, le tonnellate di derrate alimentari mandate al macero, la moria di animali per mancanza di mangime sono solo la conseguenza dello stop, non il problema. Pesante e insopportabile quanto si vuole, ma solamente la conseguenza. Il primo dato che emerge, lo sappiamo già, è la supremazia assoluta nel nostro Paese del trasporto su gomma rispetto a tutte le possibili alternative, comprese quelle marittime e fluviali, vista la geografia dell’Italia. Il secondo viene da sé: una corporazione con un potere così ampio, quasi assoluto, non solo è in grado: si sente in diritto di tenere in ostaggio una nazione. Come dice il prof. Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma, oggi l’album delle rivendicazioni corporative indica il rischio dell’individualismo e la deriva dello spirito di coesione. La protesta degli autotrasportatori è inquietante perché non c’è una riflessione adeguata sulle forme di lotta contro l’interesse pubblico, così come una percezione chiara del danno all’idea di società, evidente nelle performance comunicative del corporativismo. Se le singole categorie difendono esclusivamente il proprio ‘particulare’ – dice Morcellini - già questo è un documento interessante dei cambiamenti sociali. Ma è soprattutto un segno eloquente dei nostri tempi: estremismo nei confronti della mediazione politica; liquidazione di qualunque analogia con le tradizioni di lotta del mondo sindacale e del suo sforzo per coniugare rivendicazione e compatibilità, determinando la sensazione di una totale indifferenza per l’immagine sedimentata dai media e dal sentimento comune. E quando le categorie si comportano come individui – conclude Morcellini - il codice etico di soggetti collettivi rischia di sfumare nel codice penale.

mercoledì 12 dicembre 2007

Cosa Rossa


Il mondo abbandonato
di Gabriele Polo


(…) Chissà se ne hanno coscienza i dirigenti che sabato e domenica hanno dato vita a un embrione di unità politica segnato da troppi retropensieri e troppe timidezze. Quell'atto doveroso e richiesto a gran voce da ciò che resta del tessuto militante della sinistra non sconta solo le difficoltà che vengono dallo stare in un governo che di sinistra ha poco o nulla, né solo il travaglio di identità diverse da mettere in comunicazione tra loro per un'azione comune. A pesare c'è soprattutto la mancanza di una lettura della società, una concezione della rappresentanza sempre più indistinta e perciò in crisi, la mancanza di efficacia prodotta dalla crescente distanza tra ciò che si enuncia e ciò che si fa (o ci si riduce a fare). O, per essere quasi banali, sapere a chi vuoi dare voce e contro chi. E da lì trarre delle conseguenze. Perché, ad esempio, se si subisce in nome di «superiori interessi politici» la diminuzione del costo degli straordinari per le imprese, non ci si può poi stupire di fronte a turni di lavoro che arrivano a dodici ore consecutive. Come è successo in quell'acciaieria di Torino. In questi giorni sono state spese molte parole e molti minuti di silenzio per le vittime della ThyssenKrupp. Sono stati promessi controlli più accurati e norme più severe. Va tutto bene. Ma non sarà un consiglio dei ministri straordinario a rimettere al centro dell'agenda politica la crucialità del lavoro e della sua condizione. Non basterà un cartello elettorale di sinistra a ridare automaticamente voce e speranza a chi lavora. Serve una rivoluzione culturale che sposti il baricentro dell'azione politica dai palazzi alla società e che consideri il lavoro e i suoi conflitti una risorsa, non un problema o un costo. La «Cosa» (rossa o arcobaleno) parte da lì. O non parte proprio.

lunedì 10 dicembre 2007

Solo operai

Ogni giorno muoiono in media sul lavoro 4 persone. Un tributo insopportabile di vite umane destinato a crescere proporzionalmente all’allargamento della forbice tra il dibattito politico e la realtà quotidiana degli operai nelle fabbriche. Lo snodo è tutto qui. I cambiamenti economici, il ridimensionamento o lo smantellamento della grandi fabbriche, il trasferimento della produzione in mercati dove la manodopera costa meno, la riconversione produttiva, hanno reso invisibili 7 milioni di uomini e donne, 2 milioni e mezzo nel solo settore metalmeccanico, che per 250 e passa giorni all’anno varcano i cancelli e timbrano il cartellino di una qualsiasi industria della nostra penisola. La scomparsa dall’agenda politica, straordinariamente attenta e in fibrillazione per ragioni di fede ma poco partecipe quando c’è in gioco l’etica, la dignità e il diritto dei cittadini, ha decretato l’isolamento dei lavoratori manuali. L’operaio non esiste più. Missing. Scomparso. Cancellato anche dalla televisione, l’unico mezzo che certifica l’esistenza o meno di una categoria. E se neanche Bonolis, per dire, ti riconosce e ti manda in onda come puoi pretendere che ci sia qualcuno a difenderti? O anche solo qualcuno delegato a far rispettare le norme che regolamentano la sicurezza sui posti di lavoro? Norme di fatto solo sulla carta visto che mancano ancora i decreti attuativi. Forse verranno approvati in settimana in tutta urgenza. Il ricatto della produttività, l’esigenza di far fronte alle commesse in tempi sempre più stretti e con personale ridotto all’osso, in gran parte interinale, gli appalti assegnati al minimo ribasso, alzano la posta, tolgono la rete di protezione nei reparti a più alto rischio o nei cantieri edili, dove le maestranze spesso non esistono nemmeno sul libro paga: doppiamente invisibili, salvo riacquistare il proprio corpo quando, purtroppo, cadono da un’impalcatura. Ecco dunque l’attacco all’articolo 18, fortunatamente respinto, ecco l’approvazione della legge 66 che cancella il tetto massimo delle ore lavorative settimanali. Del resto, come si fa a campare, a mantenere una famiglia con 1.100 euro al mese? Per forza si devono accettare gli straordinari, i turni doppi, fino allo sfinimento, quando la minima disattenzione può costare la vita. L’Italia ha i più bassi salari di tutta Europa. L’ha detto il prof. Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia. Più del 40% delle famiglie vive con un reddito inferiore ai 1.300 euro al mese. Un terzo dei lavoratori ha cambiato già due impieghi da quando è sul mercato. Un tempo quando un giovane trovava il posto fisso, pensava a sposarsi e a cercare casa vicino alla fabbrica o all’ufficio, perché era molto alta la possibilità che la sua vita si sarebbe svolta tutta in quel contesto. Con orgoglio, salendo fin dove possibile la scala gerarchica e finalmente, dopo 35 anni, andare in pensione. Oggi il sistema è cambiato e sarebbe utopistico ragionare con quei parametri. Non è ammissibile però che flessibilità sia sinonimo di precarietà, che finisce per svilire non solo le professionalità ma soprattutto le persone, vuoti a perdere di un’economia bastarda. Quel che fa male, oltre al dolore dell’ultima tragedia, è – come ha detto Pietro Ingrao – che non c'è stato uno scatto nel paese, nelle istituzioni, un allarme per questi eventi che si ripetono. “Ma cosa deve ancora succedere – si è chiesto l’ex presidente della Camera - perché su questo tema antico del rapporto uomo-fatica, un potere costituito si turbi, si preoccupi, si domandi "che dobbiamo fare"? Ingrao si sarebbe aspettato che di fronte all’orrore delle morti bianche “le due assemblee politiche, Camera e Senato, avessero troncato il loro lavoro per aprire il dibattito sull'evento torinese, non foss'altro per parlare da lontano a coloro che stavano morendo o rischiavano ancora la morte”. Non è stato così. Anzi, tra pochi giorni, “l'evento cupo di Torino si dissolverà, impallidirà, senza diventare un fatto emblematico e rivelatore”. Anche perché non ci saranno tifosi a ricordare con i loro cori i caduti della Thyssenkrupp. Solo operai.

mercoledì 5 dicembre 2007

Anghingò

Sempre a proposito di terzo tempo, lo scrittore satirico Chicco Gallus lancia una proposta interessante. In sintesi, Gallus invita il mondo del pallone a pescare le sane abitudini di fair play nel proprio passato invece di mutuarle da altri sport, nella fattispecie il rugby. Per esempio: la domenica, una domenica, i capitani delle due squadre potrebbero trovarsi al centro del campo per fare la conta: anghingò o bimbimbam, secondo i gusti. Poi a turno scegliere un giocatore alla volta da mettere in squadra. In questo modo, esperienza bambinica, verrebbero squadre equilibrate e sorprendenti. Quindi, calcio d’inizio con giocatori mischiati, non vale il fuorigioco, si parte alle dieci e si finisce quando è pronto in tavola. Questo sì - sostiene Gallus - sarebbe un vero miracolo. Ma del resto chi ha detto che nel calcio ci devono essere solo le parabole?
Perché sono solo i comici (vedi Crozza, Benigni, la Littizzetto) o gli scrittori satirici a dire le cose più intelligenti su politica, letteratura e sport? Non oso immaginare a quali vette può essere arrivato lunedì il maestro Biscardi sul terzo tempo…

martedì 4 dicembre 2007

Ilaria e Miran

“Da un'analisi complessiva degli elementi indiziari fino ad oggi raccolti dagli inquirenti, la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dell'omicidio su commissione, attuato per impedire che le notizie raccolte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, in ordine ai traffici di armi e rifiuti tossici avvenuti tra l'Italia e la Somalia venissero portati a conoscenza dell'opinione pubblica italiana”. Con questa motivazione il giudice per le indagini preliminari, Emanuele Cersosimo, ha respinto la richiesta di archiviazione dell’indagine-bis sul duplice omicidio avanzata dalla procura di Roma, accogliendo così la richiesta dell'avvocato Domenico D'Amati, che assiste la famiglia Alpi. E’ forse la prima volta che un magistrato mette nero su bianco che la mattanza di Mogadiscio del 20 marzo del 1994 non è stata un incidente, come si era cercato di accreditare sin dalle prime ore del tragico fatto di sangue con manovre e depistaggi vergognosi, e che dietro all’unico miliziano somalo, Omar Hashi Hassan, rinchiuso in un carcere del nord d'Italia con una condanna a 26 anni di reclusione, c’è qualcosa di più grande e di sporco. Per esempio strane navi regalate dalla Cooperazione italiana alla Somalia, un traffico internazionale di armi, in uno scenario in cui si muovevano indisturbati strani personaggi legati al sottobosco politico-affaristico italo-somalo e settori del servizio segreto italiano. Ora il procuratore aggiunto Franco Ionta avrà sei mesi di tempo per svolgere ulteriori accertamenti sui mandanti dei due delitti, alla luce anche degli elementi che secondo Giorgio e Luciana Alpi sono emersi dalla commissione parlamentare guidata da Carlo Taormina. Nella speranza che si arrivi ad una verità finalmente non addomesticata, vale la pena leggere due bei libri inchiesta che documentano cosa stavano scoperchiando Ilaria e Miran tanto da dover essere fermati. La nausea che si prova alla fine della lettura non è dovuta ad una sindrome influenzale o all’effetto ritardato della visione di una puntata di Porta a Porta.

L’esecuzione - Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer, Maurizio Torrealta, Kaos edizioni

Ilaria Alpi: un omicidio al crocevia dei traffici – Barbara Carazzolo. Alberto Chiara, Luciano Scalettari, Baldini e Castaldi editore

Terzo tempo

Si chiamerà terzo tempo, sarà sancito con una norma federale e dovrà essere rispettato su tutti i campi di calcio a partire da gennaio. A fine gara, davanti al tunnel degli spogliatoi, giocatori, allenatori, arbitro e assistenti si saluteranno pubblicamente con una stretta di mano. A prescindere da quello che è successo durante i 90 minuti di gioco: insulti, bestemmie, onestà e virtù delle mamme messe in dubbio, falli, simulazioni e quant’altro. L’importante è che alla fine si faccia simbolicamente la pace. Grazie signore grazie, grazie signore grazie, grazie. Del resto non accade già nel rugby o nella pallavolo? Vero. Peccato però che in entrambi i casi i gesti degli atleti sono spontanei e nessuno ha mai pensato di metterci sopra una bolla papale. Quello che si è visto domenica allo stadio di Firenze è stato un bell’esempio di civiltà in una giornata però del tutto particolare, dove anche il minuto di silenzio per la prematura scomparsa della moglie dell’allenatore viola è stato rispettato da tutto il Comunale. Non succedeva da anni, perché il tifo più becero si è impadronito anche di questo tributo laico ad una persona che non c’è più con applausi fuori luogo, cori o, peggio ancora, fischi. Peraltro non dimentichiamo che in un primo momento la Lega aveva vietato il consenso al terzo tempo richiesto dalla Fiorentina, salvo poi ricredersi quando le immagini di una giornata normale di calcio sono state salutate dai media come l’apparizione della Madonna. A quel punto i geni che gestiscono il mondo del pallone hanno pensato bene di costruirci intorno il santino: non si esce dall’arena se non si bacia la reliquia. L’importante è dare l’impressione di essere tutti amici. E i mali del calcio, di tutto il circo barnum della pedata? Non solo gli ultrà, ma anche i conti in rosso delle società, le evasioni fiscali, i risarcimenti spalmati per secoli, i contratti imbarazzanti, giù giù fino a tutti i biscardi della terra? Per quelli c’è tempo. Per ora salviamo l’immagine, confezionandola in un bel pacchetto regalo. Un po’ come raddrizzare un quadro in una casa sventrata dal terremoto. O curare la calvizie ad una persona che ha il cancro.

lunedì 3 dicembre 2007

Fascisti

Pier Paolo Pasolini è stato uno dei più grandi poeti, scrittori e narratori del ventesimo secolo, un intellettuale di altissimo spessore, un regista che ha regalato alla storia del cinema italiano capolavori come Accattone, Medea, Uccellaci Uccellini, Il Vangelo secondo Matteo. Una biografia da premio Nobel, insufficiente però, secondo un consigliere comunale di Alleanza Nazionale, per dedicargli un parco pubblico a Chia, minuscola frazione di Soriano nel Cimino, nel viterbese. “Era un ricchione”, la sentenza senza appello dettata a verbale nella seduta del 19 novembre scorso da tale Luciano Perugini. Per fortuna l’opposizione dell’aennino non è stata determinante e la proposta del consigliere Terzo Camilli dell’Udeur ha avuto il conforto della maggioranza degli amministratori. Camilli aveva motivato la proposta con il fatto che il poeta aveva scelto Chia per girare Il Vangelo secondo Matteo. E che in quell'occasione si era innamorato del territorio, tanto che aveva deciso di acquistare e restaurare la Torre medievale del borgo e di passarvi gli ultimi anni di vita. Pasolini era atteso a Chia proprio il mattino successivo al suo omicidio.

domenica 2 dicembre 2007

Ricerca, ancora ultimi nell'Ocse

Ricevo da Carlo, che ringrazio, e pubblico volentieri


Ancora ultimi, come accade da anni. Il sistema di ricerca scientifica italiano continua a fare acqua da tutte le parti e a soffrire per un insufficiente livello di stanziamenti: solo l’1,1 % (rapporto tra R&S e Prodotto interno lordo) del 2004 è una cifra che colloca l’Italia all’ultimo posto nei Paesi Ocse, a pari merito con la Spagna. Nella graduatoria, Israele è al primo posto con il 4,4%, la Svezia investe il 4,0%, la Finlandia il 3,5%, il Giappone 3,2%, la Svizzera e la Corea il 2,9%. Gli altri paesi oscillano tra il 2,7% degli Stati Uniti e l’1,2% dell’Irlanda. In valore assoluto i 15.252 milioni di euro complessivi di stanziamenti tra comparto pubblico e imprese collocano l’Italia al nono posto: al primo posto compaiono gli Stati Uniti con 312,5 miliardi di dollari Usa (a parità di potere di acquisto), seguono con 118 il Giappone e la Cina con 94, Germania (59,2) Francia (38,9) e Regno Unito (32,2), Corea (28,3), Canada (20,8).
Questi dati – elaborati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche in occasione della presentazione di un data book dal titolo ‘Scienza e tecnologia in cifre. Statistiche sulla ricerca e sull'innovazione’ – segnano comunque un aumento rispetto al 2003 dell’1,2 per cento, dopo una generale diminuzione negli anni Novanta.
“I mali della ricerca sono molto più vecchi – spiega il prof. Franco Berrino, responsabile del dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto Tumori di Milano – ma possiamo farli partire proprio dagli anni Novanta, almeno per quanto riguarda la ricerca in ambito medico. Da allora i finanziamenti pubblici sono andati progressivamente scomparendo. Non credo sia solo una scelta politica, ma una conseguenza di una crisi finanziaria generale del Paese sulla quale non voglio entrare. Però a volte è più facile tagliare in questo che in altri settori. Tanto che ormai l’80% dei fondi per la ricerca proviene da fonti “extra” nazionali, dagli Stati Uniti, dalla Comunità Europea, attraverso ‘charity’ internazionali o da finanziamenti privati”.
E non è solo una questione di quantità di finanziamenti. Al centro dell’attenzione ci sono anche i metodi con cui questi fondi vengono resi disponibili. “I fondi nazionali – continua Berrino – sono molto modesti anche perché vengono suddivisi troppo spesso tra molti richiedenti, non tutti qualificati per riceverli. È questo il vero vizio italiano: cercare di accontentare un po’ tutti, anche chi non se lo merita. Il mio sogno sarebbe un Paese con regole certe, che mette in competizione i progetti con criteri di valutazione ineccepibili. E chi vince, vince una somma che consente di lavorare, come avviene in quasi tutto il resto del mondo”.
Il criterio del merito raramente viene applicato anche nella scelta del personale universitario. “L’università italiana – racconta il prof. Berrino – è un miscuglio di centri di eccellenza e di centri poverissimi. Eppure si continua a vedere il drammatico fenomeno di selezione del personale sulla base di criteri che non sono quelli del merito. Viviamo con tassi enormi di nepotismo. Anche questo è molto strano. Pur avendo un sacco di vincoli, all’Italia manca la capacità di collocare in una posizione importante una persona di grande prestigio e competenza. In questo settore gli Stati Uniti sono serissimi: i migliori – conosciuti o no – sono contesi dalle università, dalle aziende e dalle Istituzioni”.
A questo discorso si lega il dato sull’occupazione nel settore, sempre fornito dal CNR: nel 2004 il personale italiano impegnato in attività di ricerca era di 164.000 unità a tempo pieno, di cui 72.000 ricercatori. Un confronto imbarazzante con altri paesi europei: la Germania segna 270.700 ricercatori, quattro volte l’Italia. Paesi di dimensioni molto più ridotte, in termini di popolazione, rispetto all’Italia, come Svezia, Finlandia e Paesi Bassi, hanno circa la metà dei nostri ricercatori.
Alla quantità l’Italia supplisce con la qualità, e i dati delle pubblicazioni su riviste scientifiche ottenute da ricercatori italiani testimoniano una produttività della ricerca pubblica a livelli confortanti e in crescita nel tempo. La percentuale di citazioni di articoli scientifici di ricercatori italiani nelle pubblicazioni scientifiche è notevolmente aumentata fra il 1992 e il 2003: si è passati da 2,04% al 3,01% sul totale mondiale delle citazioni. Meglio di Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Canada, Cina e Svizzera.
“Non è un caso che l’Italia esporti molti dei suoi cervelli – continua il prof. Berrino –. All’estero sono bravi e ambiti. E vengono pagati molto bene, contrariamente a ciò che accade qui da noi. Ma una soluzione a tutto questo ‘torpore’ che pervade il nostro Paese ci sarebbe: trasferire tutto ciò che riguarda la ricerca scientifica, quindi leggi e regolamenti, a livello europeo. Una legislazione europea sulla ricerca scientifica che costringa l’Italia al rispetto di certe regole, ci potrebbe infatti togliere da questo gap terribile che abbiamo nei confronti di altri Paesi vicini. Inoltre, questo potrebbe rendere l’Europa stessa più efficiente e favorire una maggiore trasparenza anche nell'attribuzione dei finanziamenti europei. Con questo passo in più, alcuni problemi potrebbero essere risolti”.