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giovedì 30 dicembre 2010

Fiat voluntas sua

Pomigliano avrebbe dovuto rappresentare l'eccezzione. Invece è arrivato Mirafiori. A chi anche a sinistra continua ad ammirare Marchionne e il suo maglioncino, l'invito è a leggere questa intervista a Sergio Cofferati, che non è quel che si dice un rivoluzionario.


• Loris Campetti


Tutte le ragioni della Fiom

Sergio Cofferati, europarlamentare del Pd con esperienze alle spalle che segnano, da segretario della Cgil a sindaco di Bologna, ci tiene a fare una premessa: «Io sono un riformista moderato, lo sai, e non sono diventato improvvisamente radicale». Lo so, e sono pronto a testimoniarlo in ogni sede, rispondo. «È ridicolo pensare che io abbia cambiato natura perché condivido le battaglie della Fiom per impedire il totale smantellamento delle relazioni industriali, praticato da Marchionne per colpire la Fiom, la Cgil e, soprattutto, i lavoratori e i loro diritti sanciti dalla Carta costituzionale e dallo Statuto».



Sulla vicenda di Pomigliano avevi espresso, proprio sul manifesto, un giudizio molto negativo. Come commenti l'accordo separato di Mirafiori?

Molto negativamente. È un «accordo» addirittura peggiore di quello di Pomigliano e conferma che nella fabbrica napoletana non si agì in uno stato di necessità, si voleva dare inzio a una strategia oggi confermata e aggravata a Mirafiori. Le newco vengono usate per azzerare i diritti individuali e collettivi sanciti da accordi pregressi. Si cancella il contratto nazionale, è ridicolo esaltare il valore del contratto aziendale, che da che mondo è mondo si chiama contratto di 2° livello, il 1° è il contratto nazionale. A Mirafiori si scavalca il modello Pomigliano cancellando il diritto a contrattare, e persino a essere rappresentato, al sindacato che non firma l'accordo. In quell'«accordo» si dice alla Fiom: o firmi o ti cancello. Il perché è chiaro: la si vuole espellere dalle fabbriche perché è l'unico sindacato che contratta, discutendo la strategia complessiva della Fiat.



Qualcuno disse, a sinistra e in Cgil, che Pomigliano era un unicum, irripetibile e la Fiom avrebbe dovuto far buon viso a cattiva sorte, poi tutto sarebbe tornato alla normalità...

Si può sbagliare valutazione, credere in buona fede che Pomigliano rappresentasse l'eccezione e non l'inizio di un nuovo sistema di relazioni che cancella persino il diritto di sciopero. Ma chi disse «bisogna fare di necessità virtù» oggi non riconosce la sua miopia e arriva a giustificare anche l'obbrobrio di Mirafiori.



Tu hai un'antica frequentazione e unità con Cisl e Uil, anche se in momenti straordinari hai fatto con la Cgil scelte solitarie. Come interpreti la loro firma a Mirafiori?

È autolesionismo. Come spiegano a una persona normale che 15 giorni dopo aver rifiutato di firmare l'estromissione di un sindacato giovedì hanno apposto la loro firma sotto il testo di Marchionne, che nel frattempo non era cambiato di una virgola? Fim e Uilm hanno rinunciato a svolgere un ruolo contrattuale, condannandosi alla subalternità e, alla lunga, alla scomparsa.



Dio acceca chi vuol perdere?

Penso che l'unico sindacato che manterrà una rappresentanza reale è la Fiom, chi firma testi come quello rinuncia a ogni ratio negoziale.



Cosa c'è dietro l'attacco alla Fiom?

Una strategia pericolosissima: si punta a recuperare margini di profitto ridimensionando i diritti individuali e collettivi e aumentando lo sfruttamento, tralasciando quel che l'azienda produce, o meglio non produce. Marchionne teorizza che il piano è roba sua e assegna agli enti locali un ruolo ancor più ancillare di quello attribuito ai sindacati, assegnando loro il solo compito di occuparsi delle gravi conseguenze sociali delle scelte aziendali. Anche per i sindacati parlo di un ruolo ancillare, perché la rappresentanza è considerata accettabile solo se non è conflittuale.

Se lo strappo di Mirafiori è così grave, come valuti le reazioni sottotono, i silenzi, quando non il consenso aperto a Marchionne che si registra tra le forze democratiche e nel tuo partito?

Trovo grave che persino la cancellazione dell'accordo del '93 sulle rappresentanze sindacali passi in silenzio, anche da parte di chi quell'accordo aveva giustamente voluto. Sono preoccupanti certe affermazioni e i silenzi nel Pd, c'è chi non si rende conto che la strategia della Fiat è regressiva. Ripeto, posso ammettere che qualcuno in buona fede abbia sottovalutato la portata dell'accordo di Pomigliano, ma su Mirafiori che lo conferma in peggio non può esserci accettazione in buona fede.



La nuova segretaria della Cgil, Susanna Camusso, critica la strategia di Marchionne ma non risparmia accuse alla Fiom annunciandone la sconfitta e promette un serrato confronto con la Confindustria.

Io nel mio lavoro in Cgil ho avuto sempre rapporti vitali con la Fiom, a volte anche dialettici. Ma ora non si può non capire che l'attacco di Marchionne è di una gravità inaudita, anche un cieco può vederlo. È come se Berlusconi decretasse che chi non è d'accordo con lui non ha diritto a presentarsi alle elezioni. In alcuni settori della Cgil si rischia di sottovalutare l'effetto della linea Marchionne. E chiedo: che senso ha discutere di regole con la Confindustria, proprio qualndo la Fiat decide di uscire da Federmeccanica e Confindustria? Non vedo alcuna sconfitta della Fiom, che ha un atteggiamento sindacalmente razionale e rigoroso e aumenta i consensi in tutte le fabbriche in cui si rinnovano le Rsu.



Dunque è sbagliato accusare la Fiom di rigidità?

Come si fa a dirlo? Io constato che quel che avviene nell'imprenditoria metalmeccanica non avviene tra i chimici. Mi si può contestare che nella chimica c'è una produzione ad alto valore aggiunto, e allora parliamo dei tessili: ne gli uni né gli altri hanno avanzato strategie che richiamino, sia pur lontanamente, i diktat di Marchionne.



L'accordo separato di Mirafiori è contestuale allo spettacolo indecente del governo e del parlamento rispetto alle proteste studentesche e allo schiaffo di Tremonti all'informazione democratica.

In ambiti diversi c'è lo stesso attacco, teso a ridurre gli spazi di democrazia ed è grave che non generi reazioni adeguate alla pericolosità del momento, per la sinistra e non solo.



Non trovi che ci sarebbero tutti gli ingredienti perché la Cgil proclami lo sciopero generale?

Le condizioni ci sono tutte, a partire dalla crescita della disoccupazione soprattutto giovanile e dai tagli allo stato sociale che sortiranno effetti drammatici nei prossimi mesi. Penso dunque che la Cgil potrebbe proporlo a Cisl e Uil; qualora la risposta fosse negativa, lo sciopero generale potrebbe essere promosso comunque dalla Cgil, nella logica prosecuzione delle iniziative di questi mesi.

mercoledì 22 dicembre 2010

La notte mundial

La sera della finale del Mundial '82 ero a Marina di Massa. La partita l'ho vista in una delle tante tv accese nelle verande del campeggio dove ero accampato con il mio amico di sempre: accampato, è proprio il caso di dirlo, nell'unica piazzola rimasta libera - e non era un caso, visto che confinava con le cucine - in una canadese militare presa a prestito, con un solo materassino che si sgonfiava durante la notte, un unico sacco a pelo e la barba di una settimana. Ricordo ancora adesso la sindone di terra e sassi che mi si stampava sulla schiena, sia che dormissi sul materassino, sia nel sacco a pelo, che all'inizio, da buoni amici, ci scambiavamo, nella vana speranza di trovare conforto nell'uno o nell'altro almeno per una notte: un rito del tutto inutile che abbiamo comunque perpetrato sino alla fine del soggiorno, perchè i patti vanno rispettati fino in fondo. Di quella sera dell'11 luglio 1982 ricordo ancora la ragazzina bionda tedesca vicino a me: ricordo soprattutto le tette, che fecero vacillare pericolosamente il mio amor patrio di fronte al dilemma se tifare apertamente per la nazionale di ZoffGentileCabriniOrialiCollovatiScireaContiTardelliRossiBergomiGraziani, allenatore il signor Enzo Bearzot, o se, per dovere di ospitalità, gentilezza, galanteria,sentimenti nobili che contrastavano con il mio aspetto e l'indecoroso abbigliamento, o più prosaicamente per le tette, avrei dovuto limitarmi ad assistere alla disfida e gioire dentro, sperando in un dopo partita di festeggiamenti, a prescindere dal risultato. Anche perchè la biondina dimostrava di essere tutt'altro che insensibile ai sorrisi, e la mia fantasia si era già apparecchiata un bel finale sulla spiaggia. Quando Cabrini ha sbagliato il rigore avrei ululato, ma lei mi ha piantato addosso i suoi occhi teutonici ed io ho fatto una faccia falsa come giuda iscariota, che diceva e non diceva, e comunque non faceva trasparire troppo scoramento per l'occasione mancata, come invece tutti quei beceri compatrioti davanti allo schermo. Ad accorgersi della nostra liaison, probabilmente richiamata dall'urlo dei miei ormoni di diciottenne, è stata la madre, che guardando verso di me ha detto qualcosa in crucco al marito: un uomo con un peso specifico importante, così come la pancia, che si è messo subito tra noi nella rappresentazione,anche politica, del muro di Berlino. Non avendo mezzi per contrappormi alla storia, al gol di Pablito Rossi ho perso i freni inibitori e incurante del muro, della pancia, e rendendo omaggio alle tette della biondina, ho gridato quanto e più di Tardelli, che di lì a poco ci avrebbe regalato una delle più belle immagini di gioia della storia del calcio. La terza rete di Spillo Altobelli, con il presidente Pertini che si alza in piedi e dice: adesso non ci raggiungono più, ha dato il via all'apoteosi. Il muro di Berlino si è sgretolato con qualche anno d'anticipo. Andandosene, si era purtroppo trascinato via anche la figlia. Ci siamo guardati un'ultima volta e sono sicuro che entrambi abbiamo pensato: mondiali di merda. Ma è durato poco. Nando Martellini ha liberato il suo triplice campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, ed è stata subito festa, per tutta la notte.

martedì 21 dicembre 2010

lunedì 20 dicembre 2010

Dopo il Daspo, il Gaspo

Dopo il Daspo, il Gaspo. La proposta di arresti preventivi per evitare disordini alle manifestazioni è fascistissima ma non stupisce più di tanto. Soprattutto non va derubricata a barzelletta, dando credito alla rappresentazione che la satira fa del suo autore. Certo verrebbe da dire che è nei momenti di particolare debolezza psichica - da tasso alcolico, o da spalle al muro sommersi dai problemi - che si perdono i freni inibitori e che la verità del pensiero viene a galla. E il pensiero del capogruppo dei senatori del partito che vorrebbe essere liberale e guardare ai moderati è quello lì e non un altro. Vale la pena però stare con gli occhi aperti, perché le dichiarazioni del sottosegretario Mantovano (Daspo) e dei ministro Maroni e Alfano a cui hanno fatto seguito quelle ancor più becere di Maurizio Gasparri, sono prodromi di un disegno nemmeno troppo nascosto: “Il governo, politicamente debole, sordo alle difficoltà del Paese, lontano da una società che umilia, vuole rilanciare se stesso inventando una nuova emergenza. Addirittura un'emergenza "terrorismo". Secondo una leadership politica che fa vanto di essere stata fascista (La Russa, Gasparri, Alemanno), "terrorismo" sarebbero le manifestazioni di protesta contro la "riforma Gelmini" e potenziali "terroristi" chi vi partecipa” (Giuseppe D’avanzo, Repubblica).


Finirà anche questa volta, scrive Giorgio Bocca. E se lo dice lui bisogna crederci. Finirà anche questo riflettersi della maggioranza nello specchio del premier, che “ha fatto degli italiani suoi complici, che riconoscono nei suoi difetti i loro difetti, la loro furbizia, il loro gallismo, i loro piaceri plebei, la loro voglia di harem, il loro squadrismo”. Il problema è che il prezzo da pagare si alza ogni giorno di più, soprattutto se alle rivendicazioni di una piazza esasperata dalla prospettiva del nulla si risponde con provvedimenti di ordine pubblico. Stiamo attenti e speriamo che mercoledì gli studenti riescano a isolare gli infiltrati alla loro manifestazione, che sicuramente ci saranno: ricordiamoci di Genova 2001, di chi fu la responsabilità dei disordini e della morte annunciata di Carlo Giuliani. Sempre D’Avanzo su Repubblica: “Oggi vale la pena soltanto rinnovare una preoccupazione che sarà opportuno che sia condivisa nelle prossime ore. Contro un movimento di giovani che rifiuta un progetto di ordine sociale, che si oppone a un'eterna precarietà, alla caduta di ogni garanzia di eguaglianza e chiede opportunità e futuro, il governo decide di rafforzare se stesso preparando il peggio. Evoca un "diritto di polizia" e un uso della violenza. Accende la rabbia. Eccita gli animi meno consapevoli. Cinicamente fa di conto: nuovi disordini gli fanno gioco, debole come è. È questa la funesta trappola che, a partire da oggi, i "movimenti" dovranno aggirare con lucidità e intelligenza”.

venerdì 17 dicembre 2010

Bersani, dì qualcosa di sinistra!

La deriva politica, economica e sociale imporrebbe una presa di distanza netta dal berlusconismo, anche o soprattutto in funzione della costruzione di un’alternativa culturale diversa. E’ nei momenti di grande crisi, secondo me, che si deve dare un’indicazione precisa ai cittadini e non cercare accomodamenti  innaturali, anche se temporanei per superare una fase delicata. La storia recente ci ha insegnato che sono i partiti o i movimenti con una connotazione chiara ad ottenere il consenso: alleanze solo di potere o contro il nemico comune del momento non portano lontano, oltre ad allontanare l’elettorato da una rappresentanza ormai non più tale nemmeno nelle urne. L’apertura al terzo polo del segretario del Pd Bersani, nell’intervista rilasciata oggi a Repubblica, è l’ennesima occasione persa di dire qualcosa di sinistra. Che magari non porterà al governo del paese, ma probabilmente aiuterebbe molti a ritrovare un senso di appartenenza e una collocazione. E non è solo una questione ideologica, che comunque sarebbe più che sufficiente. La dimostrazione dell’impraticabilità e dei possibili danni di una coalizione anomala arriva dalle dichiarazioni al Corriere della Sera del deputato Udc  Enzo Carra, peraltro eletto nelle liste del Pd. "Se ci mettiamo a discutere di temi etici io non vado avanti, ma neanche altri. Su questioni come testamento biologico o eutanasia Pezzotta e io, la Binetti e Casini, ci troveremmo distanti da Fini o La Malfa (...) Nessuno deve avere la password del tema etico, perché non è questo il terreno dove stiamo entrando. Se facessimo un partito, le tensioni sarebbero inevitabili (,,,) Non voglio entrare nelle convinzioni etiche e civili di Fini. Dobbiamo fare insieme un tratto di strada importante, mi fa piacere trovarli e che loro trovino me, ma non è una promessa di matrimonio (...) Il coordinamento parlamentare ha una certissima utilità: è il tentativo di mettere assieme un centinaio di parlamentari che facciano un'opposizione responsabile e pronta al confronto (...) Il terreno di confronto è legislativo, non ce ne può essere uno politico. E' un passaggio solennemente tattico”. E il Pd intende perdere ancora tempo a dialogare con questa gente?

martedì 14 dicembre 2010

Fiducia

Adesso si tratta di capire se i nuovi arrivi nella squadra di mister B sono in prestito, in comproprietà con diritto di riscatto o a titolo definitivo. Di sicuro hanno avuto un adeguamento consistente del contratto, peraltro non giustificato dalla caratura dei personaggi - nemmeno panchinari di lusso, detto in tutta sincerità - e questo alla lunga può essere destabilizzante nello spogliatoio, creare malumori. Soprattutto se mister B deciderà di dare a questi nuovi arrivi delle chances in più, non rispettando le gerarchie interne. Ma la notizia che mi ha lasciato l'amaro in bocca è un'altra. Questa mattina l'onorevole Giulia Bongiorno, in dolce attesa, è stata accompagnata nell'aula di Montecitorio in carrozzina. Al suo arrivo molte deputate sono andate a salutarla e, presumo, a farle gli auguri per la gravidanza. Molte ma non le ministre e le sottosegretarie del pdl, sedute a due passi, Nemmeno suor Roccella, che battezzerebbe anche le polluzioni notturne degli adolescenti, ha alzato lo sguardo verso la presidente finiana della commissione giustizia.

In un paese normale

Succede che il solito interregionale stamattina è ingiustificatamente in orario e proprio per questo, improvvisamente e senza apparente motivo, si ferma 10 minuti nelle campagne tra Peschiera e Verona. Succede che un signore chiede al capotreno se riuscirà a prendere la coincidenza per Bologna e questo gli dice che no, purtroppo il treno non farà in tempo a raggiungere la stazione di scambio, ma che una volta a Verona potrà rivolgersi al servizio clienti e con un supplemento di 8 euro gli sostituiranno il biglietto e potrà salire sul convoglio successivo. In un paese normale il capotreno in questione si sarebbe scusato con il signore per il disagio, gli avrebbe assicurato la massima assistenza del servizio clienti e gli avrebbe garantito non solo un nuovo biglietto ma l'upgrade gratuito per una classe superiore di viaggio. In un paese normale.

lunedì 6 dicembre 2010

Domande

Quando sono nati, ormai diversi anni fa, i magazine allegati ai quotidiani erano più che altro un ricettacolo di pubblicità: un peso morto da lasciare all’edicola o, in alternativa, una buona ragione per acquistare quel giorno un altro quotidiano. Nel corso del tempo c’è stata un’evoluzione editoriale e, pur mantenendo una consistente quota parte di pubblicità, anche questi giornali si sono arricchiti di articoli e rubriche che ne giustificano il ritiro dall’edicolante. Prendiamo D di Repubblica, per esempio. Soprattutto da quando è diretto da Cristina Guarinelli, non mancano spunti intelligenti e proposte di lettura. A me piace la rubrica delle Domande con cui si apre la rivista, ispirata da una frase di Yves Montand e Barbra Streisand tratta dal film L’amica delle 5 e mezza: “Credo che le risposte rendano saggi, ma le domande rendano umani”. Domande che, come si legge, nascono da personaggi pubblici e non, che con la loro straordinaria fantasia creativa ispirano di volta in volta la pagina. Qualche esempio particolarmente felice:



1) Dimettersi è reato?

2) Il PDF, in fondo, qualche possibilità ce l’avrebbe?

3) Il damone è una drag queen?

4) Dopo le medicine che cominciano con la Z c’è solo la magia?

5) L’abbassa-lingua usato dall’otorino è il primo tradimento?

6) Quando vi fate una tazza di tè è perché è successo qualcosa o vorreste che non succedesse niente? Detto in altro modo: il tè è la vostra aspirazione al nulla? Controprova: qualcuno ha mai fatto qualcosa di rivoluzionario dopo aver bevuto una tazza di tè?

7) Quando vi trovate per caso da soli nelle cucine degli altri, perché è così sexi aprire il frigorifero e perlustrare i vari scomparti, come se steste guardando per la prima volta un cavolfiore o una bottiglia di champagne? E’ perché sono cibi che non vi conoscono?

8) Un giorno spiegheranno che l’apparato sessuale è soltanto il primo di una lunga serie di social network?

venerdì 3 dicembre 2010

Telecamere spente

Quando si parla di un’Italia diversa, anche nel dolore, nella compostezza dei sentimenti, si fa riferimento a quella che non va in scena a Brembate, nel senso che respinge con garbo ma senza appello la violenza mediatica dei talk show e per la risoluzione di questo enigma si affida, in silenzio, alle forze dell’ordine. Mi permetto di copiare in proposito quanto scrive oggi il vicedirettore della Stampa Massimo Gramellini.


Quanto mi piace l'Italia di Yara, la ragazzina scomparsa una settimana fa. Mi piace il suo cellulare con solo dieci numeri in rubrica: un mondo piccolo di affetti seminati in profondità, perché voler bene richiede tempo e troppi amici significa nessun amico. Mi piace la sobrietà dei suoi genitori che non fanno appelli, non si affacciano ai talk show e respingono la fiaccolata proposta dal parroco: il dolore è una cosa seria, metterlo in piazza non significa condividerlo, ma svenderlo. E mi piace il contegno del suo paese, Brembate, dove nessuno rompe la consegna del silenzio. Ogni tanto spunta un microfono sotto qualche naso infreddolito, ma la reazione è sempre un diniego, un passo che accelera.


E' una storia priva di emozioni e gonfia di sentimenti, quindi poco televisiva e molto viva. Il parallelo con il circo di Avetrana sembra inevitabile, ma non è il caso di farne l'ennesima puntata di un derby Nord-Sud. Il nonno-padre-marito delle vittime di Erba era lombardo eppure il giorno dopo stava già in televisione a perdonare tutti come se il perdono fosse un vino novello che gorgoglia dall'uva pestata anziché un barolo da lasciar riposare per anni affinché sgorghi saporito e sincero. Nessuno si sarebbe appassionato ai mondi cavernosi dello zio e della cugina di Sarah Scazzi se la televisione non li avesse resi popolari prima che si accertassero le loro responsabilità. A quel punto è stato come se la polizia avesse arrestato due vip.


A Brembate va in scena un'altra storia, un'altra Italia a cui ci stringiamo in silenzio come piace a lei.


Massimo Gramellini

giovedì 2 dicembre 2010

Cattiverie

Alla fine il direttore di Rai tre e gli autori di Vieni via con me hanno resistito alle pressioni dei gruppi pro life. Una replica al racconto di Mina Welby e Beppino Englaro avrebbe significato ammettere l’esistenza di una cultura della morte contro una della vita. Non era così e bastava essere intellettualmente onesti per capirlo. Ma ammetterlo avrebbe significato anche uscire da una logica di contrapposizioni e comprendere la bellezza di una scrittura che ha rotto gli schemi di una televisione cencelliana, sempre attenta a non disturbare o, peggio, ad autocensurarsi in nome del quieto vivere. Come era prevedibile ci hanno poi pensato l’Arena e Porta a Porta a ricondurre tutto nell’alveo della normalità: conosciuta, riconoscibile, e proprio per questo sufficientemente sedativa. Non è bastato. Non è bastato il contromegafono attraverso il quale puntualizzare qual è la verità, l'unica possibile, peraltro nemmeno messa in discussione. L’affronto doveva essere sanzionato, perché la logica perversa degli integralismi prevede che ad un'azione considerata indegna faccia seguito una punizione esemplare. A renderla pubblica ci ha pensato il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella. Il 9 febbraio – ha annunciato - sarà istituita la Giornata nazionale degli stati vegetativi. Il 9 febbraio è la data della morte di Eluana Englaro. Per me questa si chiama cattiveria.

sabato 27 novembre 2010

Piuttosto

Da un po’ di tempo, anche per esperienze personali, sono convinto che non ci sia un momento in cui si possa dire basta, così non ha più senso vivere, sarebbe meglio che. A tutti credo sia capitato di pensare, o di sentire da altri: preferirei morire piuttosto che rimanere bloccato in un letto, dover dipendere anche nelle cose più intime, perdere la dignità. Ma sono pensieri che attraversano la mente e svaniscono con la stessa rapidità con cui sono venuti in una situazione di benessere fisico. Poi capita che la malattia colpisca una persona cara e allora cambia la prospettiva. Soprattutto se quella stessa persona, che un tempo aveva detto piuttosto, rimane aggrappata alla vita con tutte le sue forze. Non si arrende. E magari lo fa stringendoti la mano, o cercando i tuoi occhi, quando anche i medici se ne sono andati. E dopo la fase acuta riesce con fatica a ritrovare una sua dimensione, di dialogo e di rapporto, malgrado sia costretta in un corpo che non risponde e non risponderà mai più. Come si fa a dire, sarebbe meglio? Chi ha questo diritto? Detto ciò io non ho paura di chi riflette di eutanasia, fine vita, accanimento terapeutico. Ritengo che offrire la possibilità di scegliere sia un dovere di un paese non genuflesso. Scegliere non significa imporre. Per questo penso sia profondamente stupido da parte delle cosiddette associazioni pro life (mi chiedo peraltro se c’è qualcuno concettualmente contrario alla vita) pretendere dalla rai di replicare a e in una trasmissione che ha sostenuto la dignità di una scelta personale altra. Che senso ha? Qui non si tratta di par condicio o di diritto di tribuna, ma di scrittura narrativa che, nel caso specifico, rappresenta tra l’altro un arricchimento culturale del Paese. La mia speranza è che la rai, per una volta, non si pieghi ai ricatti e si schieri apertamente a favore dell’indipendenza dei propri autori. Purtroppo non sarà così e le suddette associazioni, se non nel programma di Fazio, avranno sicuramente a disposizione il salotto di Vespa per imporre la loro verità. Una verità che forse appartiene a tutti: rappresenta l’essenza stessa di ognuno di noi e si chiama istinto di sopravvivenza. Che si legittima da sé, senza bisogno di repliche o ripetizioni. La riflessione e la scelta proposte da Roberto Saviano e dalla signora Welby viaggiano su un altro piano del discorso, dove non ci sono le categorie riconosciute e riconoscibili dei buoni e dei cattivi o del giusto e dello sbagliato. E questo per qualcuno può risultare emotivamente destabilizzante.

venerdì 26 novembre 2010

Piacionaggine

Il discorso, in generale, è un po’ come le massime di Catalano: meglio essere simpatici che antipatici. E’ necessario però stabilire se essere o, peggio, fare il piacione abbia valore (che è diverso dal convenga, si badi bene) in tutti i campi della vita, al di là di quello strettamente privato. Personalmente, per esempio, sono più tranquillo se il medico che ho di fronte mi sa curare bene: se poi non sa raccontare le barzellette, pazienza. Che poi, sempre per quanto mi riguarda, questa specifica mancanza sia addirittura un punto a suo favore, è un altro discorso. Tornando a bomba, lo stesso ordine di priorità dovrebbe valere anche per chi ha compiti istituzionali. La riflessione mi viene dalla lettura di un interessante commento del critico televisivo Antonio Dipollina che, per quanto vale, sottoscrivo.


La tv ha un solo scopo, produrre ore di prodotto portando a casa un qualche risultato. I talk-show, idem. E quindi non si avvererà mai quello che si può definire un sogno a tutti gli effetti. Esempio: si sta discutendo per ore e ore, in tv, delle abitudini private del premier. In studio, quelli che sono stati convocati come difensori, avvocati veri e propri, sostenitori giornalistici, tirano fuori l'argomento principe: il premier è fortissimo perché è fatto come la gente comune. Bene. Non lo farà mai nessuno, ma poi chissà: parliamo dell'ipotesi che, appena pronunciata la frase in questione, il conduttore mandi via tutti gli ospiti. Via, sciò, ricominciamo da capo. E faccia entrare un qualche personaggio, studioso, esperto, storico, intellettuale, quello che volete: e che il resto della trasmissione lo si impieghi a spiegare qualcosa che dovrebbe essere l'abc, ma evidentemente non lo è. Ovvero: guardate che chi comanda, chi è al governo, non dovrebbe essere come gli altri, come la gente comune. Dovrebbe essere migliore. E su questo concetto, si costruisca il resto del programma. Non è abbastanza accattivante per la tv? Allora facciamo così: il conduttore fa entrare il mio coinquilino del secondo piano. E lo fa parlare. E gli chiede com'è e che cosa pensa. Lui parla (il sottoscritto ha già spento la tv, ma gli altri no) e dice cose e magari racconta barzellette. Alla fine il conduttore si rivolge alla telecamera: volete davvero che chi governa sia come questo qui? C'è caso che la maggioranza risponda sì, entusiasta, ma un tentativo andrebbe fatto.

martedì 23 novembre 2010

Avetrana

Ho saputo per caso di un orrendo delitto che si sarebbe consumato ad Avetrana, che dovrebbe essere in Puglia, se non sbaglio. Pare che una ragazzina di 15 anni sia scomparsa nel nulla quest’estate. In un primo momento, su indicazione anche dei parenti, gli inquirenti avrebbero seguito la pista dell’allontanamento volontario. Forse con un amico incontrato su Facebook, si diceva. Una vicenda che, era il pensiero comune, si sarebbe risolta a breve, con un ritorno a casa della ragazzina e la necessità per i genitori di capirne e comprenderne i disagi adolescenziali. Poi, ad un mese di distanza, la scoperta del cadavere in un pozzo. E l’arresto quasi immediato dello zio, che avrebbe dapprima confessato il delitto, anche con particolari raccapriccianti, quindi avrebbe ritrattato per accusare la figlia, di poco più grande. Figlia che tra l’altro pare fosse la migliore amica della vittima. Sullo sfondo, si narra, la disputa tra le due giovani donne per un ragazzo del posto. Ho usato tutti questi condizionali perché di questo orrendo delitto è tutto quello che si sa al momento. La televisione se n’è guardata bene dal parlarne. Qualche accenno al telegiornale, probabilmente. Tanto è vero che la notizia me la sono persa. Di sicuro non c’è stata alcuna trasmissione di approfondimento, anche solo un inviato sul posto che documentasse questo abominio. Purtroppo in tv siamo costretti a subire giornalmente pipponi sulla crisi economica, ore di analisi sul rischio di bancarotta del Portogallo, della Grecia e ora anche dell’Irlanda; sulla disoccupazione, ormai non più solo giovanile, ma che coinvolge almeno tre generazioni. Sui tagli alla scuola e alla cultura. Ieri c’è stato addirittura uno speciale su una delibera fatta approvare in Commissione Europea da Francia e Germania che prevede per i Paesi Ue l'obbligo di rientro dei debiti eccedenti il 60 per cento del Pil entro due anni, a partire dal 2012. Adesso la delibera dovrà essere approvata dal Parlamento di Strasburgo che, se la dovesse ratificare, comporterebbe per l’Italia una manovra, nel 2012, di 45 miliardi solo per ottemperare a quell'obbligo e altrettanti per l'anno successivo. Il commentatore ci ha poi messo del suo, come fanno sempre in questi casi, dicendo che manovre di queste dimensioni per un paese già stremato da una stasi nella crescita che dura da vent'anni, potrebbero risultare letali. I soliti pessimisti. Ho deciso che non guarderò più la televisione. A meno che non si occupi di più di casi come quello di Avetrana.

lunedì 22 novembre 2010

Padroni a casa nostra. E si vede

L'episodio di sciacallaggio di Bovolenta e le dichiarazioni del presidente della provincia di Treviso, Leonardo Muraro, sono le due facce della stessa medaglia: atti criminali o, nella migliore delle ipotesi, il prezzo da pagare alla legge Basaglia. Il problema vero delle alluvioni, se si vuole discuterne, l'ha posto domenica scorsa sul Manifesto Alessandro Robecchi. Il resto è spazzatura.



Mentre a Roma i gloriosi padani appoggiano il governo Bunga Bunga, nelle loro terre, in Veneto, i fiumi straripano alla grande, le città si allagano tipo Venezia, capannoni, laboratori e fabbrichette sono inagibili. Niente male come controllo del territorio, la tanto sbandierata specialità dei leghisti, che questa volta, perdonerete la metafora, ha fatto acqua da tutte le parti. Il governatore Zaia con il cappello in mano chiede un miliardo all’odiato stato centrale: il Veneto ai veneti, per carità, ma gli schei che vengano da Roma. Certo, un’alluvione è un’alluvione ovunque, e siccome l’Italia c’è ancora e la Padania non esiste, è giusto che all’emergenza si corra ai ripari con soldi di tutti. E questo anche se sulla Padania, un leghista di Varese ha vantato opere lombarde che in Veneto non si sono fatte: magra goduria vedere i barbari che si insultano tra loro. Quella che manca all’appello, però, è proprio quella parolina magica che i giannizzeri della Lega sventolano in ogni istante: territorio. Già, cos’hanno fatto per il territorio, la sua bonifica, la sua messa in sicurezza, la sua salvaguardia tutti quei sindaci e amministratori così impegnati a scrivere cartelli in dialetto? Crescere, urbanizzare. La casa, il laboratorio, il capannone, il magazzino, il laboratorio più grosso, la strada più larga, la casa che diventa villetta e via così. Per anni, prima sull’onda del “miracolo del nord-est”, e poi cavalcando il “padroni a casa nostra”, il tutto mentre il famoso territorio si comprimeva e diventava una bomba d’acqua pronta a esplodere. La sacra ampolla, il dio Po, la secesiùn, il dito medio alzato, le scuole griffate lega, il tricolore piegato in modo che si veda solo il verde (lo hanno fatto in aula i consiglieri regionali veneti della Lega il 4 novembre), tutto molto folkloristico. Ma poi chissà, svegliarsi una mattina con l’acqua alle ginocchia potrebbe essere il preludio di un risveglio vero, il primo passo per capire che il territorio è una cosa seria, che va usato per vivere, e non per i comizi.

giovedì 18 novembre 2010

Marina

Non so se Marina B. deciderà di succedere al padre anche alla guida del paese. A naso direi di no. Nemmeno S.B.,. a suo tempo, si sarebbe imbarcato nell'avventura istituzionale se non fosse stato costretto dagli eventi e non avesse dovuto mettere al sicuro se stesso e la roba. Ormai il lavoro sporco è completato, o quasi. Nonno S. dovrebbe cioè aver esaurito il suo mandato, durato quanto basta, come il sale e il pepe nelle ricette di cucina, grazie soprattutto all’aiuto della divisa (nel senso della moneta), di faccendieri disposti sia ad indossarla che a intascarla, di un’organizzazione perfetta in cui hanno trovato posto uomini molto intelligenti ma anche stupidi da querela, entrambi però funzionali perché i target di riferimento per il consenso non sono tutti uguali. Oggi il problema per Marina e i figli in genere è di tenere a bada il nonno, ossessionato dal priapismo: controllare che non vada in giro per strada a far vedere l’uccello alle signore. Le aziende (e tutto il resto) sono a casa. Tra poco anche il Milan, la playstation di S., forse non servirà più e per gli eredi sarà una rottura di coglioni in meno e una voce da cancellare nella casella delle perdite.


Il problema rimane invece per noi, a prescindere dai tempi della dipartita, dai colpi di coda, sempre possibili quando a governare le idee e l’etica è la divisa di cui sopra. Lo dice bene Barbara Spinelli in un articolo illuminante: “(…) Non siamo all'epilogo dei Pagliacci, e non basta un feeling per spodestare chi è sul trono non grazie a sentimenti ma a una macchina di guerra ben oleata. Per uscire dalla storia lunga che abbiamo vissuto - non 16 anni, ma un quarto di secolo che ha visto poteri nati antipolitici assumere poi il comando - bisogna, di questo potere, averne capito la forza, la stoffa, gli ingredienti. Non è un clown che si congeda, né l'antropologia dell'uomo solitario aiuta a capire. I misteri di un'opera sono nell'opera, non nell'autore, Proust lo sapeva: "Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che manifestiamo nelle nostre abitudini, nella società, nei nostri vizi". Sicché è l'opera che va guardata in faccia, per liberarsene senza rompersi ancora una volta le ossa (…)”.

Ci sarà occasione poi per analizzare le colpe: qualcosa anticipa già Spinelli e io condivido in pieno.

http://www.repubblica.it/politica/2010/11/17/news/spinelli_crisi-9191608/

mercoledì 17 novembre 2010

Traversi(n)e

Ho letto che un treno su tre è sempre in ritardo.  Non capisco perché mi ostino a salire sempre su quello!

sabato 13 novembre 2010

Il mondo 2.0

Il mondo 2.0 ha cambiato i modi (e forse anche le regole) della comunicazione. Da osservatore interessato mi trovo a dover prendere atto che la filiera classica di produzione, elaborazione e fruizione delle notizie non è più valida, o quantomeno non è più l'unica possibile. Così come sono cambiati gli interlocutori: quelli che un tempo erano solo i destinatari passivi di un messaggio, oggi, grazie alla rete, possono e sono in grado di rilanciare lo stesso messaggio in modo virale e decreterne il successo o il fallimento. Per questo chi lavora, a vario titolo, nel mondo della comunicazione, non solo è chiamato a fare i conti con le opportunità e le applicazioni date dalle tencologie, per non perdere opportunità, quote di mercato, business, ma deve rivedere, modificare e adattare i propri claims in funzione di destinatari multitasking, dovendo peraltro tener presente che quello che viene detto sarà potenzialmente tracciabile per sempre e che un domani qualcuno potrebbe chiederne ragione. Certo, professionalmente è un'evoluzione affascinante. Onestamente non so se in questo caso più informazione corrisponda a più verità e democrazia. Credo che il punto critico stia nella capacità di gestire culturalmente la massa di notizie disponibili. C'è poi un altro dato da considerare e da analizzare - sociologicamente volendo, ma non sono in grado - per cui mi limiti ad ascriverlo alla sola democraticità del web, che a volte, proprio per questa ragione, ha come possibile conseguenza anche il ridicolo: questa è l'epoca che se non intervieni e commenti ciò che leggi non sei nessuno. "E' una specie di flagello - scrive il giornalista Antonio Dipollina - superiore alle cavallette: un giorno finirà, ma intanto ci saremo persi gli anni migliori a commentare l'esistente invece di viverlo un po' di più".

giovedì 11 novembre 2010

Confini

La sottocultura, la paura e la negazione del diverso, che non è più solo lo straniero per pelle ed etnia, il restringimento parossistico dei confini identitari, in nome di un federalismo di maniera e opportunistico, hanno prodotto un abbruttimento etico e sociale da cui non sarà facile uscire. Per me che sono mezzo vicentino, che in veneto ci lavoro e conosco tanta gente perbene, è amaro leggere e dover condividere quanto scrive Serra in queste due Amache.

L' AMACA
Repubblica — 09 novembre 2010 pagina 46 sezione: COMMENTI
Hanno ragione, i veneti: sono sott' acqua nell' indifferenza generale (anche dei media), quasi la loro alluvione fosse un problema locale non italiano. Centinaia di milioni di danni, famiglie rovinate, imprese affogate e nemmeno una vera prima pagina di un vero giornale nazionale. Al Sud ci sono abituati, a sentirsi lontani, a sentirsi meno importanti. Per il ricco Veneto è invece quasi un esordio, nella classifica delle regioni "dimenticate". Precedenti catastrofi, alluvioni e terremoti nordestini, ebbero una risonanza ben differente per quantità e per qualità. Fossi veneto proverei a farmi qualche domanda sulle ragioni di questo legame affievolito, di questa solidarietà intiepidita. Fino a vent' anni fa il nesso storico e identitario tra l' Italia nel suo complesso e le sue singole parti era indiscusso, quasi naturale. Che il destino fosse comune, nella fortuna come nella disgrazia, era un' ovvietà. Se oggi viene percepito come "cosa dei veneti" un dramma che fino a pochi anni fa sarebbe stato condiviso da tutta la nazione, è anche colpa del localismo cieco e masochista che ha avvelenato il Nord. La forsennata speranza di fare da soli, di non avere bisogno degli altri, di potersi chiamare fuori dalla comunità nazionale, ha un prezzo: diventare periferia. - MICHELE SERRA

L' AMACA
Repubblica — 10 novembre 2010 pagina 48 sezione: COMMENTI
Il governatore del Veneto Zaia, nel legittimo sforzo di ottenere quattrini per la sua terra alluvionata, inveisce contro «chi vuole dare 250 milioni per quei quattro sassi a Pompei». Detta da un povero cristo che scava esasperato nel fango, la frase è giustificabile. Detta da un dirigente politico di alta responsabilità, è un' idiozia di quart' ordine. Degradante. Il problema della Lega - direi il suo problema costitutivo - è che la sua classe dirigente parla e pensa come il cosiddetto uomo della strada, illudendosi che questo sia "popolare". Non lo è affatto. Nessun partito popolare ha mai potuto o voluto eludere la questione - nevralgica - del miglioramento del linguaggio, del livello culturale, delle ambizioni della sua gente. Un partito popolare che non metta a disposizione del popolo parole, pensieri, obiettivi più alti e più importanti di quelli a cui il popolo è costretto dalla sua soggezione, non ha alcun rispetto del popolo.È un partito snob( sine nobilitate ), che spregia "la gente" al punto da ritenerla incapace di concepire pensieri generosi e di capire quelle "cose difficili" che è ingiusto rimangano patrimonio di pochi. Un dirigente politico che parla da ignorante è uno che non sa fare il proprio lavoro. - MICHELE SERRA

venerdì 5 novembre 2010

Faminchia

Forum delle famiglie. Stavolta ha ragione Giovanardi: "La presenza del presidente del consiglio è un valore aggiunto". Porta le figheeeee.

mercoledì 27 ottobre 2010

Adrianaaaaa

Pugno a Capezzone. Certo che Giovanardi non conta proprio un cazzo!

martedì 26 ottobre 2010

Meglio Gigio

Siamo un paese che ha perso il senso del ridicolo. Come commentare infatti la notizia che a Trieste è stata sospesa la campagna vaccinale contro l’influenza stagionale perché la testimonial, l’astrofisica Margherita Hack, è atea e di sinistra? Lo stop, anche in questo caso preventivo, viene dal direttore dell’Azienda sanitaria. Visto che il consiglio comunale si è spaccato nel decidere se conferire un’onorificenza alla scienziata, il funzionario ha pensato bene di evitare possibili divisioni anche nella cittadinanza: quelli di sinistra in fila all’ambulatorio a seguire il monito della Hack impresso sui manifesti: “non lasciarti influenzare”, quelli di destra a casa per protesta, e a rischio pandemia. Trieste ha bisogno di salute e di rimuovere ostacoli e contrapposizioni, ha anche scritto in una lettera farneticante alla Hack lo stesso direttore dell’Azienda sanitaria. Ma del resto perchè stupirsi? Vi ricordate chi è stato lo scorso anno il testimonial della campagna vaccinale del ministero? Tipo Gigio. Ora, con tutta la buona volontà, era pensabile che a raccoglierne l'eredità, seppur in ambito locale, potesse essere una come la Hack? Tra Margherita e Gigio, meglio Gigio. Più credibile.

domenica 17 ottobre 2010

Avvertimenti mafiosi

Francesco Casoli, vicecapogruppo pdl al Senato: "Ai giudici che amano stare sotto i riflettori, contrariamente a quanto auspicato dal Capo dello Stato, chiediamo di fare molta attenzione. Il clima politico è molto pesante, e se disgraziatamente dovesse accadere qualcosa, le toghe non saranno esentate dal non avere la coscianza macchiata".

giovedì 14 ottobre 2010

Non in nostro nome

In Afghanistan stiamo facendo la guerra, né più né meno degli altri Paesi Nato, inutile raccontarci le storie della missione di pace, che i nostri soldati accompagnano i bambini a scuola per mano e le vecchiette a ritirare la pensione, che la popolazione ci vuole tanto bene ecc. ecc. Che sarà pure vero, come però è altrettanto vero che finora la morte per i nostri soldati è arrivata da agguati di terra. E allora perché chiedere di dotare i nostri aerei di bombe? A chi vuoi sparare dopo che qualcuno è gia saltato su una mina? Di cosa stiamo parlando? Ha ragione Franco Venturini. Chi di dovere dica la verità su questa guerra, con trasparenza: al limite anche che non abbiamo autonomia decisionale e siamo obbligati a sottostare ad altri, ma almeno non prendiamoci in giro, soprattutto sulla pelle dei soldati.

martedì 12 ottobre 2010

Quando il bastardo è solo il cane

E’ spuntato improvvisamente non so da dove ed è sceso sulle rotaie proprio mentre stava entrando in stazione il frecciabianca delle 7.31 per Milano. All’inizio ce ne siamo accorti in pochi, poi tutti i passeggeri in attesa sui binari 1 e 2 si sono spostati come un’onda cercando di attirare l’attenzione di quel bastardone di mezza taglia impegnato a fare il suo mestiere di cane: annusare ovunque alla ricerca di qualcosa e segnare il territorio. Per fortuna il macchinista l’ha visto ed ha rallentato fin quasi a fermarsi. Per fortuna quando la motrice era a non più di 20 metri, il cane è risalito sulla banchina e così come era arrivato se n’è anche andato. Vedere però decine di persone, apparentemente tanto diverse, che istintivamente si sono prodigate per salvare un cane mi ha ridato speranza. Visto quello che accade in questi giorni non era così scontato.

venerdì 8 ottobre 2010

Preferisco il Dandi

Ora, con tutto il rispetto, dove riposa il Dandi non mi sembra un’emergenza nazionale, come lo sono invece per esempio le tante, troppe vertenze in corso un po’ in tutti i comparti produttivi italiani. Che sia, oggi, Walter Veltroni a sollecitare la Chiesa a mettere fuori dal tempio i resti di uno dei capi della banda della Magliana, è oggettivamente ridicolo. Si è guardato in giro Walter? Di tutte le cose che poteva dire, sfruttando lo spazio che un giornale come Repubblica gli garantisce, la più urgente era proprio l’opportunità o meno della locazione delle ossa e dei vermi di un bandito? Così, tanto per sapere. Non mi sembra che l’Ecclesia, arrivata persino a giustificare la bestemmia se contestualizzata, si sia mai preoccupata della cifra morale delle persone con cui fa affari. Per questo le spoglie di Renatino De Pedis non sono fuori posto nella basilica di Sant’Appolinare.

giovedì 7 ottobre 2010

Mona-rchia

Ministri, viceministri, sottosegretari, mogli, amanti, figli, amici, amici degli amici, fratelli, nipoti, cognati, consulenti, consulenti dei consulenti, senza contare annessi e connessi e tutte le declinazioni e ramificazioni prebendistiche del potere. Sapete che se ci fosse ancora il re spenderemmo di meno? Anche di troie.

mercoledì 6 ottobre 2010

Santa(nchè) subito

Non avrei mai pensato di poter un giorno condividere un’opinione qualsivoglia con l’onorevole Daniela Garnero Santanchè (lo stesso immagino potrebbe dire lei di me se io fossi altrettanto famoso e autorevole). Invece. Questa mattina la sottosegretaria alla giustizia, folgorata di recente sulla via di Arcore, dopo aver detto peste e corna del cav, era ospite di Omnibus. Piccola digressione. Con lei c’era anche il governatore del Piemonte Cota che mi è fisiognomicamente antipatico, quasi come la Vittoria Brambilla, inguardabile, inascoltabile, intollerabile. Per fortuna la vista del faccione di Cota non ha automaticamente dato l’impulso al dito di agire sul telecomando per cambiare programma e mi ha permesso di sentire una dichiarazione tanto vera quanto involontaria dell’on Santanchè: in Italia non c'è un problema giustizia, c'è un problema Berlusconi. E’ vero. Se dalla scacchiera politica togliessimo il premier e al suo posto mettessimo qualsiasi altra persona, di area intendo, persino Storace se volessimo spingerci ai confini della destra, la riforma della giustizia non avrebbe più un carattere d’urgenza, o quantomeno non nei termini attuali, non ci sarebbe un parlamento bloccato e risorse intellettuali impegnate a trovare il modo di dare l'impunità costituzionale al nano con i capelli finti e la faccia rifatta (copyright Margherita Hack). Aveva ragione Fedele Confalonieri quando anni fa disse: se Silvio non fosse sceso in campo oggi saremmo tutti in galera. Il problema non è la giustizia ma Berlusconi, appunto. A mio modo di vedere, la verità di Confalonieri invece non è stata approfondita a sufficienza, anche da chi oggi cerca di smarcarsi facendo (giustamente) della legalità uno dei cavalli di battaglia.

giovedì 23 settembre 2010

L’odore dei soldi

Non sono assolutamente preoccupato del futuro del dott. Profumo: 40 milioni di buonuscita sono un paracadute di tutto rispetto; gli fa onore se, come ha anticipato la moglie, 2 milioni andranno in beneficenza all’associazione di don Colmegna. E’ più intrigante invece l’ipotesi di un suo impegno in politica, papa straniero del pd: è di area, ha votato alle due ultime primarie, la signora ha sostenuto Rosi Bindi nella sfida a Bersani, ha una solida esperienza, non credo si possa dire che sia comunista o lo sia stato, ha 53 anni (troppo giovane forse?) ecc., ecc,. Insomma, l’identikit ideale del candidato da contrapporre all’omino coi tacchi. Come appassionante, almeno per me che non ho grandi frequentazioni con l’economia, è leggere i retroscena di queste manovre di potere, dove il mandante (libico) alla fine ha avuto solo il ruolo di specchietto per le allodole, mentre a rimestare sono stati gli amici per conto degli amici e gli amici degli amici perché le radici, il territorio, sono importanti. La cultura local la definisce Michele Serra: una fumisteria per gli allocchi, che del resto è la linea politica vincente degli ultimi 20 anni. Profumo è stato fatto fuori, dice sempre Serra, perché passava un sacco di tempo a New York, Parigi e Londra e a Verona neanche una cartolina. Scrive Francesco Giavazzi sul Corriere: “In quindici anni (Profumo) ha creato l’unica grande multinazionale con una testa italiana. I piccoli feudi sono fermamente intenzionati a distruggerla. Con il capitalismo dei feudi le nostre imprese non andranno lontane”. Ma sì, chissenefrega questa sera posso scegliere se vedere X Factor, Amici, i bambini disadattati che cantano canzoni da grandi, il Grande fratello e, se mi va bene, un bel plastico della casa di Montecarlo da Vespa con il gotha del giornalismo d’inchiesta italiano, Sallusti, Feltri, Belpietro, Bechis.

giovedì 16 settembre 2010

giovedì 9 settembre 2010

Capezzoneide

La nota di Capezzone è come il caffè del mattino: aiuta ad iniziare bene la giornata. La bevanda rappresenta un godimento fisico (almeno per me), la prosa del portatutto del pdl è invece una sferzata all’autostima (dopo averla letta mi sento sempre un genio), oltre che essere un contributo inconsapevole (spero per lui) alla comicità. Ridere peraltro pare faccia bene alla salute.
Capezzone è un po’ come l’amico un po’ scemo e gaffeur, quando intuisci che potrebbe dire una cazzata, quella è già nell’aere. Tu in quel momento invidi l’uomo invisibile, lui invece si guarda in giro tronfio in cerca di consensi. Un coglione.
Sarebbe troppo facile ricordare a Capezzone i suoi trascorsi e ciò che diceva di Berlusconi: diamolo per caduto in prescrizione, detto senza ironia. Quello che sconcerta, e qui sta la comicità, è l’opportunità , i tempi, il tono e il contributo degli interventi. Se sei al bar puoi dire il cazzo che ti pare, anche fare pernacchie, alzare il dito medio (qualcosa però mi dice che ho fatto l’esempio sbagliato), ma in un contesto ufficiale, istituzionale, ci si aspetterebbe qualcosa di più, insomma.
Giudicate voi. Il primo settembre Danny Cap se la prende con l’IDV che ha presentato un esposto alla Vigilanza contro il direttore del TG1. E sprezzante del ridicolo, visto quello che il suo padrone e i suoi scherani stavano mettendo in atto contro il presidente della Camera, manda questo comunicato alle agenzie: "Ieri, per i miliziani dell'Idv, era la giornata del 'cacciare, zittire, galera', riferiti a Marcello Dell'Utri. Oggi, contro Augusto Minzolini, si passa a toni ancora più macabri, violenti e intimidatori: 'si contano i giorni aspettando la sua fine' ". "Resta da capire - aggiunge Capezzone - se sia questo il modo in cui l'opposizione intenda alimentare il confronto sulla scena pubblica italiana. Davvero, dovremo assistere a questo tipo di aggressioni, a questo linguaggio allusivo e pericoloso?” Vien da dire: ma quest’uomo pensa prima di scrivere? Mah.

Il giorno dopo nel mirino di Danny Cap c’è il buon Bersani reo di aver paragonato alla fogna la politica del cavaliere. Giudizio forse un po’ triviale, senz’altro discutibile. Per Capezzone è quasi un colpo di stato. E il tono è conseguente. "Oggi è una giornata nera per la democrazia italiana. Lo dico con dolore: quando Bersani si abbandona a un simile insulto ('fognà) contro il partito votato dalla maggioranza degli elettori, non offende tanto e solo noi, ma proprio gli italiani". "Come può definirsi 'democratico' un partito che insulta una forza legittimamente votata dai cittadini? Mi auguro che Bersani non solo si scusi (con gli italiani, prim'ancora che con noi), ma soprattutto si renda conto della gravità inaudita dell'atto che ha scelto di compiere". Sei scemo? Come si fa a farsi difendere da uno così?

Il 4 settembre Capezzone interviene offrendo la sua valutazione su un’ipotesi politica del Pd, che magari non avrà un grande costrutto, ma lui riesce a banalizzarla a tal punto che speri (per lui) che perlomeno non abbia capito un cazzo. "Prima gli insulti da trivio da parte di Bersani; poi la proposta di ammucchiata da parte della Bindi. E' ormai evidente un fatto, che si conferma fino al limite del paradosso: la sinistra, l'opposizione, e in particolare il Pd, non hanno né proposte né un progetto, una visione, un percorso da proporre al Paese, e di volta in volta si limita a stare al traino di chi grida (Di Pietro, la Cgil, la Fiom, l'ala politicizzata della magistratura, ecc)". "Ovviamente, in questo vuoto pneumatico di proposte, l'unico 'collante' disponibile resta l'antiberlusconismo, una ostilità tenace, livorosa, già ripetutamente bocciata dal Paese. Una sinistra così non è un'alternativa credibile, ed è destinata a rimanere minoranza per ancora molti anni".

A breve distanza, tanto per mettere le cose in chiaro in vista di Mirabello, parte l’elogio al padrone (quello attuale). "Le parole di Silvio Berlusconi, oltre a riproporre il percorso chiaro che il premier aveva già anticipato da settimane, tolgono pretesti e scuse a quanti pensavano o potevano pensare di agire in modo poco responsabile". "Ora non ci sono più scuse e tutti avranno il dovere di garantire ad un governo pluripremiato dai cittadini - dice - il diritto di poter continuare a lavorare senza intralci e senza ricatti".

Domenica 5 è il giorno di Fini. Ora, del discorso del presidente della Camera si può dire tutto, ma sintetizzarlo come fa Capezzone è... non lo so cosa è: mi arrendo.
"Il discorso di Gianfranco Fini è deludente. Nessuna spiegazione convincente sulle vicende che lo riguardano; antiberlusconismo costante e quasi ossessivo; insulti e offese contro il Pdl e contro la stampa che a Fini non piace. Con queste provocazioni non si va lontano". "Gli italiani - spiega - potranno presto vedere se, dopo queste pessime parole, i parlamentari vicini a Fini avranno la lealtà di rispettare il mandato ricevuto dagli elettori, e se voteranno o no i provvedimenti del Governo. Ma questi attacchi costanti contro Pdl, Governo e maggioranza non promettono nulla di buono, e confermano la deriva dei mesi passati".

Forza Italia allargata e Lega decidono che milioni di italiani (probabilmente utilizzano lo stesso sistema decimale di Biscardi) vogliono le dimissioni del Presidente della Camere per l’incompatibilità della sua carica istituzionale con la sua nuova iniziativa politica. In pratica un conflitto di interessi. Danny Cap non l’ha ancora detto ma ci siamo vicini, non disperate. Quella che segue è un’ansa del 7 settembre.
"Spero che nessuno sottovaluti la gravità (direi storica) di quel che sta accadendo. Mai nessuno aveva tentato di usare la terza carica dello Stato come uno sgabello da cui tenere comizi "contro", come una leva attraverso la quale cercare di scardinare l'assetto politico scelto dagli elettori, come uno strumento con cui condurre campagne faziose e di parte, come l'arma con cui realizzare iniziative scissionistiche. Di tutta evidenza, è quello che sta facendo Gianfranco Fini. Il vulnus rappresentato da questa scelta è profondo e intollerabile, e gli italiani ne sono ben consapevoli".

Oggi il vecchio Danny c’è l’ha invece con chi vuole zittire gli avversari (giusto) prefigurando un autunno di violenza (magari, ma difficile). Dimentica però di guardarsi in casa. "Si comincia con i grillini che volevano impedire a Dell'Utri o a Schifani, e domani non si sa a chi altri, di esprimersi; si prosegue con Di Pietro che li giustifica e li incoraggia, spiegando che bisogna 'zittire' gli avversari; si arriva ai gruppuscoli che ieri potevano ferire molto gravemente Raffaele Bonanni". "E' in atto una deriva pericolosa, e tutti dovrebbero comprendere che, quando si percorrono queste strade scivolose, non si sa mai come e dove si possa andare a finire. Consapevolmente o no (e non so quale delle due ipotesi sia più inquietante), c'è chi sottovaluta questa deriva, o pensa - peggio ancora - di poterla cavalcare. E' un errore drammatico. Un piccolo gruppo, ma organizzato e desideroso di puntare sulla violenza, può sempre tentare di approfittare di queste zone grigie, magari sperando in un incidente, in una reazione delle forze dell'ordine, in una situazione di caos... E' bene che tutti siano consapevoli di questo. Non bastano le parole di denuncia dell'uno o dell'altro episodio. Occorre lavorare - conclude - per isolare i violenti, e anche tutti quelli che, con l'uno o l'altro pretesto, pensano di poterli giustificare, incoraggiare, usare".

Grande Danny, per fortuna ci sei tu a sollevarci in queste giornate di merda

martedì 7 settembre 2010

E' sempre una questione di uccello

Visto il tempo bigio avevo bisogno di un sorriso. Stavo per postare la solita ridicola nota giornaliera di Capezzone, poi ho letto questo lancio dell’Agi. Insuperabile


16:30, Martedì 7 Settembre 2010 AGI Globale
MERLO INSULTA VICINA ESCORT,CONDANNATO A DIRE "BUONDI' SIGNORINA"
(AGI) - Milano, 7 set. - Cento euro di multa e un mese di tempo per educare il suo merlo a 'salutare' con rispetto la vicina di casa escort. Il tribunale degli animali, Aidaa, ha accolto le richieste di una ventenne ucraina che lavora come ragazza immagine in alcuni night club, sparsi per le province di Como, Lecco e in Valtellina. La giovane, che abita in una villetta a nord di Lecco, ha deciso di rivolgersi al tribunale, perche' esasperata dal saluto dell'uccello dei vicini. Un esemplare di merlo indiano adulto che, ogni qualvolta che lei entrava o usciva dalla sua abitazione, scandiva le parole: "Buongiorno tro...". Particolare fastidioso, nonche' imbarazzante, soprattutto perche' l'uccello 'esternava' anche quando la donna arrivava a casa in compagnia di amici o parenti. Nei giorni scorsi, in via riservata (hanno chiesto il rispetto della privacy), le parti sono comparse davanti ad una sezione straordinaria del tribunale degli animali di Milano che, dopo aver sentito la signorina, il merlo e il proprietario dell'uccello, ha dato al padrone un mese di tempo per insegnargli a dire 'Buongiorno signorina'. L'uccello ora si trova, quindi, oltralpe in un centro dove vengono rieducati anche i pappagalli e vi rimarra' circa tre settimane. "A volte e' proprio vero che ci capitano casi assurdi- ha commentato Lorenzo Croce presidente nazionale di Aidaa - quando sono stato informato di questa vicenda mi sono messo a ridere, ma poi, dopo aver parlato con la ragazza, mi sono reso conto del disagio che provava nell'essere definita in quel modo dal merlo: da qui la convocazione delle parti e la decisione di rieducare il merlo e le scuse del padrone che ha risarcito in maniera simbolica la ragazza con cento euro". La donna ha rinunciato a denunciare il proprietario del merlo per avergli insegnato ad insultarla. Mentre quest'ultimo si e' giustificato dicendo che non lo aveva addestrato per insultare la ragazza (che abita da pochi mesi vicino a lui), ma per offendere la precedente inquilina della casa, una signora con la quale non andava d'accordo. (AGI) Cli/Gla

venerdì 27 agosto 2010

Falce e Marchionne

Il titolo non è mio ma del Manifesto. Così come del suo direttore, Norma Rangeri, è il commento che segue.

Diretto, feroce, semplice l'applauditissimo proclama, in triplice copia, inviato ai cittadini italiani dalla tribuna di Comunione e Liberazione: prima Marcegaglia («Basta con la lotta di classe»), poi Tremonti («La legge sulla sicurezza sul lavoro è un lusso), e nel gran finale Marchionne («Abbandonare la lotta tra capitale e lavoro»).La presidente degli industriali e l'amministratore delegato della Fiat invitano il mondo del lavoro a farla finita con la cultura degli anni '60, con quell'idea primitiva del conflitto tra padroni e operai in difesa di diritti e salari. Per affrontare senza indugi la competizione globale ci vuole una grande riforma, il mondo non aspetta e, ricorda il ministro Tremonti, «l'Italia e l'Europa devono adeguarsi». Al terzetto è doveroso aggiungere il nome del ministro Maroni, pronto a ripulire il belpaese dall'ingombro dei rom (troppe donne e bambini). L'estate delle chiacchiere politiche («stronzo», «trafficante di banche», «Fini è una merda») finalmente può lasciare il campo alla nuova igiene della globalizzazione dettata dagli uomini del fare.L'arroganza del pensiero e del linguaggio vestono gli screditati pulpiti da cui provengono i nuovi comandamenti. Come consigliava ieri sul Corriere della Sera, Massimo Mucchetti, l'uomo d'oro della Fiat potrebbe trovare giovamento da un corso di aggiornamento professionale alla Volkswagen, e , aggiungiamo, leggendo con attenzione le parole rivolte dal presidente Napolitano ai tre operai di Melfi, sulla dignità di chi lavora, potrebbe anche riflettere su cosa misurare la modernità. Capirebbe (il condizionale è d'obbligo) che «il lavoro non esiste solo per essere pagati ma per la dignità dell'uomo», come gli ha ricordato monsignor Bregantini, un ministro di dio e della Cei, che con questa idea cristiana non avrebbe guadagnato l'applausometro riservato all'uomo-Fiat dai devoti ciellini.Quanto al pulpito di Confindustria, Marcegaglia che invoca la fine della lotta di classe, è la stessa che nella relazione di insediamento alla presidenza dell'associazione volle comunicare al paese come, con Berlusconi IV, in Italia si fosse creata «una situazione favorevole al cambiamento». Una donna con il dono della lungimiranza.Ma il campione che li sopravanza, l'uomo illuminato da «dio, patria e famiglia», è il super ministro Tremonti. I suoi principi morali non gli consentono infingimenti, né doroteismi da prima repubblica. Eccolo annunciare che prima ci si libera dei vincoli di sicurezza sui posti di lavoro, meglio è. In realtà su questo fronte l'Italia non è un paese che si lascia superare facilmente nelle classifiche europee, avendo a lungo mantenuto i primi posti. Però nel 2009 la crisi, con la disoccupazione, ha abbassato la media e ora dobbiamo recuperare. Di fronte alla salute dell'economia, quella del singolo lavoratore è un prezzo da pagare alle sorti progressive dell'umanità. Pazienza se il panorama sarà appesantito da invalidi e cadaveri: i primi al massimo disturberanno l'estetica, i defunti nemmeno quella.

giovedì 26 agosto 2010

Saldi in banca

Le persone normali, quelle che hanno a malapena un conto corrente e al massimo hanno acceso un mutuo per la casa, percepiscono la banca come un potere granitico, senza punti deboli, in grado di decidere, insindacabilmente, del loro futuro. Un po’ in effetti è così, ma fa piacere sapere che a volte la ruota gira e chi specula è costretto a scendere a compromessi, come scrive Vittorio Zucconi nella sua rubrica sul magazine di Repubblica

(…) Se devi mille euro alla Banca del Piccolo Naviglio e non puoi pagare, sei nei guai. Se milioni di persone devono milioni di euro e non possono pagare, nei guai è la Banca (…).

mercoledì 25 agosto 2010

Basta!

Questa Amaca del 14 agosto scorso rappresenta esattamente il mio stato d’animo.

L' AMACA
Quello che ci si chiede, di fronte al sempre più minaccioso localismo leghista, è come e quando ci sarà la rivolta degli italiani che lo vivono come un' offesa, una violazione identitaria (a furia di blaterare di "identità", perfino noi italiani ci stiamo accorgendo di averne una). "Padroni a casa nostra", come dice la Lega, noi italiani del Nord non lo siamo più da un pezzo, e non lo siamo per colpa di Bossi, non di Roma. Non lo sono, padroni a casa loro, quei veneti che si sentono italiani prima che veneti, i milanesi di casa in Europa che non capiscono perché il loro futuro dovrebbe dipendere da Varese o da Pontedilegno, i piemontesi che, con tutto il rispetto per Cuneo, guardano alla Francia e si sentono nipoti di Cavour e non parenti di Cota. Ne abbiamo le tasche piene e siamo in tanti, siamo stufi di subire le prepotenze e le mattane di una minoranza che si è auto-nominata "Padania" e parla a nome di tutto il Nord senza averne alcun diritto. A partire dal primo gennaio 2011, anno del centocinquantenario, mi metterò addosso ogni giorno, per 365 giorni, qualcosa di tricolore (un distintivo, una fascetta, una coccarda come fa Paolo Rumiz nel suo bel viaggio "garibaldino"). Più che per polemica, per dignità. Anzi: per identità. - MICHELE SERRA

martedì 24 agosto 2010

Cut it out!

Durante il servizio militare mi accadeva spesso di pormi al di fuori e osservare. Osservare la follia degli ordini impartiti dal superiore di turno e pensare: chissà lungo quali praterie del pensiero sta cavalcando questa mente bacata e fin dove noi, soldati di leva, saremo disposti ad assecondare questo suo pubblico autoerotismo. In quel caso però si trattava di un microcosmo, sicuramente malato, ma a termine. Bastava resistere al massimo un anno, avendo peraltro l’obiettivo a breve delle licenze intermedie. Quindi, tutto sommato, oltre ad essere un’occasione di studio e di divertimento in camerata, era quasi una funzione sociale, un viagra naturale, dar modo a quel coglione in divisa di avere la sua erezione quotidiana vessando, o pensando di farlo, dei ragazzi sani di cerebro. Fin dove siamo disposti ad arrivare prima di bloccare questa discesa inarrestabile, prima di dire basta, possibilmente in modo democratico, a questi 15 anni di buio della Repubblica?

lunedì 23 agosto 2010

Tu quoque

Malgrado il fido Capezzone si premuri di bocciarlo con i soliti argomenti puerili (Berlusconi ha vinto le elezioni, il resto sono solo chiacchiere, diversivi e fumisterie), lo scenario prospettato da Italo Bocchino sul sito di Generazione Italia mi sembra molto politico – scenario peraltro condiviso in alcuni punti da un esperto come Ilvo Diamante su Repubblica di oggi - e il Cavaliere farebbe bene a tenerne conto. Scrive Bocchino: “Oggi il ricorso al voto lo vogliono davvero soltanto Bossi e Tremonti, il primo per prendersi i voti di Berlusconi e il secondo per prendere il suo posto a Palazzo Chigi. Non le vuole il Paese, non le gradirebbe il Quirinale, non le vuole l’opposizione, non le vuole Fini e non le vogliono quei sessanta – settanta parlamentari del Pdl che dovrebbero lasciare il posto ai leghisti al Nord, a “Futuro e libertà” al Sud e al centrosinistra nelle regioni dove senza il presidente della Camera è impossibile conquistare il premio di maggioranza. E sotto sotto il voto non lo vuole neanche Berlusconi, consapevole ormai che ha solo da perderci.Se davvero si andasse a elezioni anticipate le uniche due certezze sarebbero il travaso di voti dal Pdl alla Lega e una maggioranza al Senato diversa da quella della Camera. In uno scenario del genere Bossi avrebbe gioco facile a chiedere un passo indietro al Cavaliere, che verrebbe pensionato da quello che ritiene l’alleato più fedele, aprendo così la strada a un governo Tremonti che sarebbe a propulsione leghista e otterrebbe il voto di una maggioranza larghissima che si formerebbe con l’obiettivo reale di mandare definitivamente a casa Berlusconi. È questa la trappola che sta scattando ed è molto difficile per Berlusconi sottrarsi, avendo rotto con i moderati Fini e Casini e avendo affidato la golden share del governo a Bossi e Tremonti. Se il quadro è questo le truppe di “Futuro e libertà” diventano paradossalmente lo scudo del Cavaliere rispetto alla trappola, ma il presidente del consiglio deve decidere che atteggiamento avere verso Fini e i finiani. La conta sui numeri l’ha sonoramente persa, la campagna acquisti è velleitaria e i tentativi di divisione inutili. Così com’è dannoso pensare di poter negoziare con i finiani senza parlare con Fini".

mercoledì 18 agosto 2010

Leggere prima dell'uso

E' interessante sin dall'incipit l'intervista proposta ieri da Repubblica all'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky. «La Costituzione è ancora in vigore. E non esiste una costituzione materiale alternativa». Ci sono poi due passaggi assolutamente dirimenti, che aiutano a porre fine a tutte le letture interessate.

1) (...) La legge elettorale non dice che si indica il futuro capo del governo, ma i capi dei diversi partiti che si presentano alle elezioni. Se fosse come dicono Alfano e Maroni, saremmo in una repubblica presidenziale introdotta dalla legge elettorale. Ma non è così. Il legislatore che ha fatto quella legge sapeva benissimo che questo sarebbe stato impossibile, platealmente incostituzionale. Infatti, la stessa legge, subito dopo il passo che ho citato, aggiunge che "restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall' articolo 92 della Costituzione (...).

2) (...) Sarebbe stata perfino superflua, l' aggiunta. Ma si è voluto evitare ogni equivoco. L' articolo 92 dice che è il presidente della Repubblica, non il corpo elettorale con investitura diretta e plebiscitaria, a scegliere il capo del Governo, tenendo conto della situazione parlamentare e della necessità che il governo ottenga la fiducia delle Camere. Siamo pur sempre una Repubblica parlamentare. Il presidenzialismo è solo un desiderio di alcuni e il timore di altri, dunque una questione controversa (...).


http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/17/il-presidente-difende-la-costituzione-gli-interessi.html

lunedì 16 agosto 2010

Facce come il culo



Questo signore rubizzo si chiama maurizio bianconi, è vicepresidente dei deputati del pdl. Sfiga ha voluto che nel mare di cazzate che giornalmente vengono preparate per i dichiaratori ufficiali - Cicchitto, Capezzone, Stracquadanio, Gasparri, Napoli, i più assidui - proprio bianconi ieri abbia pescato la più bastarda. In tutti i sensi. Non poteva capitargli che so, un no al governo tecnico, un qualsiasi ultimatum ai finiani, un'insinuazione sull'integrità morale della signora Tulliani. No, niente di tutto ciò. Sul suo bigliettino c'era scritto: devi dire che il presidente Napolitano tradisce la Costituzione. E lui l'ha detto. Con quella faccia.

domenica 15 agosto 2010

Carta alla mano

1) La Costituzione stabilisce che spetta al capo dello Stato il potere di sciogliere le Camere se il Parlamento non è in grado di esprimere una maggioranza, così come è in suo potere nominare il presidente del Consiglio e su sua proposta i ministri rinviando il governo alle Camere per ottenerne la fiducia

2) Non esiste quindi un governo tecnico: i governi debbono ottenere la fiducia del Parlamento e quindi sono tutti e sempre governi politici, quali che siano il presidente del Consiglio e i ministri che ne fanno parte. Purtroppo gran parte dei politici ignorano o dimenticano questi principi costituzionali e le norme che li configurano.

3) Uno dei cardini portanti della nostra Costituzione è l'articolo 67 che stabilisce che "i membri del Parlamento rappresentano la nazione e sono eletti senza vincolo di mandato". Quest'articolo è fondamentale perché è il solo strumento che impedisce alle oligarchie dei partiti di asservire gli eletti dal popolo. Il popolo trasferisce ai suoi delegati la propria sovranità fino a quando si tornerà a votare.

4) I finiani, per difendere il loro leader dall'attacco di cui è vittima, sono partiti al contrattacco non solo ricordando fatti antichi e non sanate illegalità del Cavaliere, ma indicando temi recenti di gravissima portata e cioè: l'uso dei Servizi di sicurezza per distruggere gli avversari politici del premier, rapporti di comparaggio del presidente del Consiglio con il primo ministro russo Putin; analoghi rapporti di comparaggio di Berlusconi con il leader libico Gheddafi. Se i finiani dispongono di prove o almeno di gravi indizi su queste presunte e gravissime illegalità, hanno a nostro avviso l'obbligo di esibirle informandone la competente Procura della Repubblica; non possono invece tenerle in serbo come potenziale deterrente. Chi ha sollevato una questione di legalità deve anzitutto difendere se stesso esibendo prove certe contro le accuse che gli sono state lanciate, ma non può a sua volta ritorcerle senza provarne la consistenza. Qui risiede il coraggio e la forza della propria coscienza morale.

Lo scrive oggi Eugenio Scalfari su Repubblica nel consueto editoriale domenicale. I grandi vecchi andrebbero ascoltati, lui, Giorgio Bocca e il presidente Napolitano che, fortuna nostra, in questa barbarie ha la forza e la statura per difendere la Costituzione.

giovedì 22 luglio 2010

Bananas

"Questo modello di partito non ha funzionato: non esiste, nel mondo occidentale, un altro partito come il Pdl che non ha sedi, circoli, segretari di sezione, presidente di circoli, consiglieri regionali eletti dalla base. Esiste solo in Sud America e in alcuni Paesi asiatici"

Italo Bocchino, deputato PDL

mercoledì 21 luglio 2010

Opposizioni

A proposito di opposizioni. Sorridevo leggendo questo aforisma (battuta, giudizio, sentenza, fate voi) sul blog spinoza.it: Recenti indagini hanno svelato l’esistenza di un’associazione con fini politici che agisce nella completa oscurità: il Pd. Poi ho cambiato pagina e mi sono imbattuto nel lancio ansa che segue.

INDIA: LANCIO CIABATTE IN PARLAMENTO, 67 ESPULSI IN BIHAR
NEW DELHI
(ANSA) - NEW DELHI, 21 LUG - E' scoppiato il pandemonio oggi al parlamento locale dello stato settentrionale del Bihar in India dove 67 deputati dell'opposizioni sono stati espulsi e trascinati con la forza fuori dall'aula dopo aver passato la notte su un materasso in fondo all'emiciclo. Infuriati per la decisione, i politici hanno lanciato sedie, microfoni e perfino una ciabatta che ha sfiorato il presidente della camera Udai Narain Choudry. Alcune televisioni locali hanno mostrato le immagini di una deputata, Kumari Joty, che in piena crisi isterica perché non poteva entrare nell'aula, sollevava in aria dei vasi di fiori e li gettava a terra con forza. Dopo una collutazione con gli uscieri, un parlamentare è svenuto ed è stato portato via in ambulanza. Altri hanno riportato ferite e lesioni. Da due giorni l'opposizione chiede le dimissioni del leader del Bihar, Nitish Kumar, per una vicenda di corruzione, un fenomeno abbastanza frequente nello stato che è uno dei più poveri e arretrati dell'Unione indiana e che tra qualche mese andrà alle urne per il rinnovo dell'assemblea legislativa. (ANSA).

martedì 6 luglio 2010

Patti di sangue

(…) Ma è ancora più grave, perché rivelatrice, la seconda lezione che si deve trarre dal caso Berlusconi-Brancher. Ed è il rapporto inconfessabile che lega il nostro Presidente del Consiglio ad alcuni uomini - ieri Previti, oggi Brancher, ieri, oggi e domani Dell'Utri - che conoscono e partecipano il segreto oscuro delle origini. Fra questi personaggi e il Cavaliere il rapporto sotto pressione diventa drammatico e costringente da entrambe le parti. Un rapporto servo-padrone ma con i ruoli che si scambiano, perché è via via sempre più palese che entrambi agiscono in una dipendenza reciproca che li obbliga terribilmente, di cui non possono liberarsi: semplicemente perché ognuno sa ciò che l'altro conosce, e non c'è salvezza fuori da questo legame costrittivo, per sempre (…)

lunedì 5 luglio 2010

Famigli

Dopo 18 giorni da ministro di non si sa che cosa, non lo sapeva nemmeno lui, l’Aldo è stato costretto a dimettersi. Ma non è stato un improvviso rigurgito di dignità personale e istituzionale a convincerlo a lasciare il ministero del nulla, senza deleghe e portafoglio, che occupava da poco più di 2 settimane, bensì un sussulto di indignazione collettiva, bipartisan se vogliamo. Nel senso che l'Aldo non solo era intollerabile per l’opposizione, ma era diventato talmente ingombrante per gli stessi interessi di parte della maggioranza, con i dovuti distinguo tra finiani e leghisti, che gli è stata messa in mano la penna per firmare il suo addio.
Nessun chapeau dunque a Brancher, come si è affrettato a commentare un po’ bastardamente Italo Bocchino, il primo probabilmente ad esultare politicamente per questa soluzione. Era una posizione oggettivamente indifendibile quella dell’Aldo, tanto che anche chi gli aveva confezionato il ministero ad personam non ha potuto far altro che ammettere l’errore. Non pubblicamente, ci mancherebbe. Scelta condivisa, ha detto Silvio tessendo le lodi del suo famiglio, al quale sicuramente avrà dato ampie rassicurazioni in cambio del silenzio, perché ne deve sapere di cose l’Aldo, altrimenti non si spiega il ministero al legittimo impedimento.

martedì 29 giugno 2010

Bertoldo di Stato

Una volta i ministri venivano scelti per competenza o per appartenenza politica, mai per ricompensare un silenzio complice e per sfuggire alla giustizia. Ma Brancher, che non vuole dimettersi, non è un cialtrone, non è pittoresco e si capisce benissimo che la combriccola che lo vuole ministro a tutti i costi ha più ragioni di temerlo che di premiarlo. Con le tasche piene di segreti si è umiliato sino a diventare il Bertoldo di Stato e ha conquistato sul campo i suoi gradi di ministro. All'Impresentabilità.

domenica 27 giugno 2010

L'aldo

Nella società tribale dei longobardi, tra il servo e l'uomo libero esisteva una categoria intermedia: quella degli "aldi". L'"aldo" era in qualche modo simile al liberto romano, ma con una notevole differenza: il liberto era uno schiavo liberato; in quanto tale aveva l'obbligo non solo morale ma addirittura giuridico di restar fedele alla "gens" cui apparteneva il suo liberatore. L'"aldo" invece non era stato beneficiario d'una vera e propria liberazione: semplicemente non era più soggetto alle limitazioni dei servi, si poteva muovere liberamente sul territorio e poteva anche svolgere affari e negozi in proprio nome, ma doveva fedeltà e obbedienza assoluta al suo padrone, assisterlo, rappresentarlo e battersi per lui e soltanto per lui. La volontà del suo padrone era la sola sua legge.Queste cose pensavo quando Aldo Brancher è asceso nei giorni scorsi agli onori della cronaca. Chi meglio di lui raffigura l'"aldo" longobardo? Chi più di lui ha rappresentato il suo padrone ed ha stipulato negozi per lui? Negozi di alta politica (snodo di collegamento tra Berlusconi e la Lega) e negozi di sordidi affari (pagamenti in nero destinati a fini di corruzione di partiti, uomini politici, dirigenti amministrativi, imprenditori)?

venerdì 25 giugno 2010

Illegittimo impedimento

Deve organizzare il ministero che l’amico Silvio gli ha appena cucito addosso, l’Aldo. Per questo domani non si presenterà in aula a Milano dove deve rispondere di appropriazione indebita nel caso Antonveneta. Legittimo impedimento, sorry. Se ne riparla in autunno. Il 7 ottobre, la prima data utile fornita, per ora, dall’Aldo. La cosa oltremodo meschina è che la sua compagna, accusata di ricettazione, invece domani sarà in Tribunale. Sedotta e abbandonata. Persino i leghisti si sono indignati. Non per la signora Brancher, ma per la prima uscita pubblica del decentrato Aldo. Una storia della filibusta su cui è dovuto intervenire ancora una volta il presidente Napolitano: un dicastero senza portafoglio non ha alcun bisogno di essere organizzato, quindi il ministro può partecipare al processo. Ieri l’Italia è uscita dai mondiali, assolta per il TG1, una delle battute più belle degli ultimi anni. Molti commentatori, che non si sono risparmiati i soliti toni apocalittici, hanno parlato del punto più basso del calcio italiano. Una fortuna per Cesare Prandelli, il commissario tecnico che da domani subentrerà a Marcello Lippi: peggio di così non è possibile fare. Quando questa miserabile classe politica incontrerà la sua Slovacchia?

giovedì 24 giugno 2010

La resa dei conti

Un risultato che supera le aspettative. E' contento dell’esito del referendum di Pomigliano il ministro del welfare Sacconi e parlando al Corriere non nasconde l’esultanza: "i sostenitori dell'accordo hanno vinto, la Fiom ha perso". Nell’euforia del 64% di sì, che non ha entusiasmato la Fiat, Sacconi si fa prendere la mano e svela le vere ragioni della soddisfazione governativa. “Il contratto nazionale – chiosa - sarà sempre più una cornice leggera per assicurare i livelli essenziali di salario e tutele ma è a livello aziendale e territoriale che si giocherà il futuro delle nuove relazioni industriali". Con buona pace del sindacato, perlomeno quello non allineato: “la CGIL é come quell'automobilista che imbocca l'autostrada contromano e si chiede perché tutti gli altri vanno nella direzione opposta”. Se fossi al posto di Sacconi non sarei così felice, e del resto la stessa Fiat ha incassato tiepidamente il voto dei lavoratori e sta ancora riflettendo sul da farsi. Che un operaio su 3 non condivida l’accordo non è una cosa da sottovalutare, se valgono le regole della condivisione, soprattutto quando in ballo c’è un progetto ambizioso. Ha ragione Ezio Mauro quando scrive che: “L'unica strada ragionevole, a questo punto, è l'apertura di un confronto che abbia alla base il risultato non equivoco del referendum, e cioè l'accettazione di un piano che è passato al vaglio del voto. Tenendo conto che ci sono modifiche possibili, capaci di salvare le ragioni imprenditoriali di produttività, di efficienza e di garanzia dell'investimento e di includere nell'intesa quel terzo di lavoratori che ha seguito la Fiom nel suo no". Certo sarebbe stato bello che la politica avesse giocato un ruolo diverso, meno subalterno e ideologico, visto anche quanto lo Stato ha fatto per Torino: rottamazioni, ammortizzatori sociali ecc. ecc.. Lo sanno tutti che neanche Marchionne può chiudere Pomigliano se il governo non vuole: si trattava di trovare un compromesso alle giuste esigenze di competitività dell’azienda e i diritti acquisiti dei lavoratori. Se la politica non vuole mediare è perché mira ad altro. Scrive ancora Mauro. “Purtroppo, in questa vicenda il governo ha giocato il ruolo peggiore, gregario e velleitario insieme, all'insegna della pura ideologia: che resiste soltanto in Italia, tra i Paesi europei, e che certo non è uno strumento di risoluzione dei conflitti. I ministri interessati, si sono gettati sull'osso di Pomigliano per un puro ideologismo, cercando riparo nella forza della Fiat per usarla là dove vorrebbero arrivare ma non possono, da soli, e cioè al regolamento finale dei conti con la Fiom e poi con la Cgil. Spaventa vedere un pezzo di governo impegnato nel cuore di una vertenza di portata nazionale esclusivamente per regolare i conti del Novecento, che non è capace di chiudere per via politica, vista la sua mancanza di disegno, di autonomia, di autorità. E' questo intervento autoritario e parassitario che ha dato un segno di "classe" all'affare Pomigliano, stupefacente negli anni Duemila. Quei ministri che urlavano al nuovo ordine quando credevano di avere una valanga di voti (altrui) in tasca, ieri mattina erano preoccupati di rimanere con il cerino in mano, se la Fiat si ritirava, e battevano in ritirata, come qualche leader sindacale".

mercoledì 23 giugno 2010

Venti di sud est (asiatico)

(…) I 10 minuti in meno di pausa - su 40 - la mezz'ora di mensa spostata a fine turno, e sopprimibile, lo straordinario triplicato - da 40 a 120 ore - e una turnazione che impedisce di programmare la vita, sono già un costo carissimo. Aggiungervi le limitazioni allo sciopero e il ricatto sui primi tre giorni di malattia è una provocazione o un errore, di chi vuole usare Polonia e Cina per insediare un dispotismo asiatico in fabbrica qui, quando la speranza è che l'anelito alla dignità e alla libertà in fabbrica faccia saltare il dispotismo in Cina (…)

Pomigliano d.c.

(…) Molte imprese in difficoltà, specialmente nel Nordest, nelle Marche, in Puglia e in tutto il Mezzogiorno, metteranno i loro dipendenti di fronte allo stesso dilemma che riguarda per ora i 5000 dipendenti Fiat di Pomigliano. Dichiareranno che in caso di risposta negativa saranno costrette a de-localizzare la produzione in siti più convenienti. Pomigliano cioè è l'apripista d'un movimento generale e non sarà né la Fiom né Bonanni che potrà fermarlo (…)

lunedì 21 giugno 2010

Ministerolandia

A mettere le cose a posto ci ha pensato Umberto Bossi dal pratone di Pontida. C’è un solo ministro per il federalismo e sono io. Poi ha aggiunto che al massimo potrebbe chiedere una mano a Roberto Calderoli. Con buona pace di Aldo Brancher, il neo ministro per l’attuazione del federalismo. Si occuperà di decentramento, ha detto Bossi, che è importante, ma è un’altra cosa. Fuori dal politicamente (quasi) corretto significa: caro cavaliere, salva pure i tuoi scherani dai processi inventandoti dicasteri, ma chi decide su questo argomento è la Lega, anzi sono io, Bossi Umberto da Cassano Magnago, Varese. Che va pure bene, per carità: il problema è che, a conti fatti, un nuovo ministero farlocco, pare ci costerà almeno un milione di euro. E questo per rimanere sul prosaico, perché se ci dovessimo inoltrare in disquisizioni etiche o di opportunità politica, vista la crisi, il ricatto di Pomigliano, la manovra economica, i condoni riesumati per raccattare qualche soldo, non ne usciremmo più. Sarebbe forse stato meglio lasciare Brancher ai suoi giudici. In ogni caso questa legislatura del fare, nata per semplificare e per combattere le inefficienze e i fannulloni, presenta almeno tre ministeri se non inutili un filino discutibili: il ministero per l’attuazione del programma, il ministero per la semplificazione, il ministero per l’attuazione del federalismo. E intanto il cav, che si è incartato sul decreto intercettazioni, non molla l’interim dello sviluppo economico. Che è anche il dicastero, lo ricordo, delle comunicazioni e delle frequenze tv. Il fatto che sia Berlusconi a guidarlo è un ulteriore disdoro al nostro Paese, tanto più che un titolare a tutti gli effetti sarebbe quantomai necessario in una fase così delicata di crisi industriale.

venerdì 18 giugno 2010

Intercettati in tempo

Ogni giorno si scopre di esser scesi di un nuovo gradino verso un peggio che sembra non arrivare mai.

Oggetto: I: VIOLENZA SESSUALE "LIEVE" AI MINORI: ECCO I NOMI DEI SENATORI FIRMATARI

Si erano inventati un emendamento proprio carino.

Zitti zitti, nel disegno di legge sulle intercettazioni avevano infilato l'emendamento 1.707,
quello che introduceva il termine di "Violenza sessuale di lieve entità" nei confronti di minori.
Firmatari, alcuni senatori di Pdl e Lega che proponevano l'abolizione dell'obbligo di arresto in flagranza nei casi di violenza sessuale nei confronti di minori, se - appunto - di "minore entità".
Senza peraltro specificare come si svolgesse, in pratica, una violenza sessuale "di lieve entità" nei confronti di un bambino.
Dopo la denuncia del Partito Democratico, nel Centrodestra c'è stato il fuggi-fuggi, il "ma non lo sapevo", il "non avevo capito", il "non pensavo che fosse proprio così" uniti all'inevitabile berlusconiano
"ci avete frainteso".
Poi, finalmente, un deputato del Pd ha scoperto i firmatari dell'emendamento 1707.
Annotateli bene:

sen. Maurizio Gasparri (Pdl),
sen. Federico Bricolo (Lega Nord Padania),
sen. Gaetano Quagliariello (Pdl),
sen. Roberto Centaro (Pdl),
sen. Filippo Berselli (Pdl),
sen. Sandro Mazzatorta (Lega Nord Padania) e il
sen. Sergio Divina (Lega Nord Padania).

Per la cronaca, il sen. Bricolo era colui che proponeva il "carcere per chi rimuove un crocifisso da un edificio pubblico" (ma non per chi palpeggia o mette un dito dentro ad una bambina);
il sen. Berselli è colui che ha dichiarato "di essere stato iniziato al sesso da una prostituta" (e da qui si capisce molto...);
il sen. Mazzatorta ha cercato di introdurre nel nostro ordinamento vari "emendamenti per impedire i matrimoni misti";
mentre il sen Divina è divenuto celebre per aver pubblicamente detto che "i trentini sono come cani ringhiosi e che capiscono solo la logica del bastone" (citazione di una frase di Mussolini).

mercoledì 16 giugno 2010

Fausto

FIAT: BERTINOTTI, FIOM E' SOLA, DOVE E' LA SINISTRA?
(ANSA) - ROMA, 16 GIU - "La Fiom è sola? Sì, è vero. Ma accade perché tutta la sinistra, sia moderata sia radicale, è morta. Dov'é finita la sinistra dei post-it, quella di 'Repubblica' dei girotondi, quella che protesta contro il ddl intercettazioni? A Pomigliano non la vedo". Dopo un lungo silenzio l'ex segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti parla in un'intervista a 'Il Riformista'. "Sono davvero emozionato - dice - dalla rigorosa e coerente linea a difesa dei diritti dei lavoratori della Fiom e lo sono a maggior ragione di fronte al fatto che tutti i grandi giornali, tutti i grandi partiti, tanta parte di quell'intellettualità e di quei mondi che s'indignano, giustamente, contro le leggi bavaglio, oggi è complice della Fiat. Il carico d'ipocrisia dei media e della politica, di fronte a una vicenda che punta - attraverso la Fiat - a ridisegnare le relazioni industriali e la Costituzione materiale del Paese, è enorme". "Fiat e altri, governo in testa -conclude Bertinotti- vogliono completare l'opera iniziata davanti ai cancelli di Mirafiori nel 1980: fabbriche senza sindacati e lavoratori senza diritti". (ANSA).

venerdì 11 giugno 2010

Non vedo, non sento, non so

(…) la legge che il Parlamento s'accinge a varare non supera il vaglio del diritto, soprattutto per quanto riguarda quello che a me pare il vizio macroscopico, che macroscopicamente tradisce una mentalità illiberale, o meglio autoritaria, di chi l'ha impostata, presumibilmente senza nemmeno rendersene conto (poiché altrimenti, pronunciando ogni giorno parole di libertà, certamente avrebbe evitato...). In ogni regime libero, l'informazione è un delicatissimo sistema di diritti e di doveri, in cui l'interesse dei cittadini a essere informati e il connesso diritto-dovere dei giornalisti di fare cronaca, onesta e completa, dei fatti di rilevanza pubblica incontra i soli limiti che derivano dal rispetto dell'onore e della riservatezza delle persone. Sono le persone offese che, ricorrendo al giudice, in un rapporto per così dire, paritario con il giornalista o il giornale, possono chiedere la riparazione del loro diritto violato. Il potere politico, governo o parlamento, non c'entrano per niente. Non possono prendere provvedimenti o stabilire per legge quel che i giornali, gli organi d'informazione in genere, possono o non possono pubblicare. Possono certo stabilire casi di segretezza o di riservatezza, per proteggere l'interesse al buon andamento di funzioni pubbliche (ad esempio, trattative diplomatiche, operazioni dei servizi di sicurezza, svolgimento di indagini giudiziarie, ecc.) e, a questo fine, possono prevedere sanzioni a carico dei funzionari infedeli che violano il segreto e la riservatezza. Ma non possono estendere il divieto e la sanzione agli organi dell'informazione i quali, quale che sia stato il modo, siano venuti in possesso di informazioni rilevanti e le abbiano portate alla conoscenza della pubblica opinione. In breve: il potere politico può proteggersi, ma non può farlo imbavagliando un potere - il potere dell'informazione - che ha la sua ragion d'essere nel controllo del potere (…)

mercoledì 5 maggio 2010

In piedi, preghiamo

Per lavoro leggo anche le agenzie. Quella che segue è una frase che pare abbia scritto di suo pugno Lui, nel senso di Silvio, in un articolo commemorativo del fu don Gianni Baget Bozzo. Frase peraltro di cui mi sfugge il significato, sicuramente filosofica, perlomeno nell’accezione che di filosofia da lo scrittore piacentino Paolo Colagrande: quando non si capisce un cazzo, allora è filosofia. Se posso avanzare un’ipotesi, lo stile mistico ascensionale mi porta ad attribuirne il copyright a (don) Sandro (budget) Bondi. Comunque, per non essere accusato di estrapolarla dal contesto per usarla comunisticamente contro il premier, allego l’intero lancio Ansa.
In piedi. Preghiamo.

"Io sono stato la conferma della sua convinzione secondo cui la storia agisce secondo un disegno provvidenziale che si rivela però dalle possibilità che la libertà immette nella storia"


POL:BAGET BOZZO
2010-05-05 12:43
BAGET BOZZO:BERLUSCONI,PER LUI ERO SEGNO DISEGNO PROVVIDENZA
ROMA
(ANSA) - ROMA, 5 MAG - Per Gianni Baget Bozzo, "io sono stato la conferma della sua convinzione secondo cui la storia agisce secondo un disegno provvidenziale che si rivela però dalle possibilità che la libertà immette nella storia". Lo scrive Silvio Berlusconi nell'articolo (dal titolo "Don Gianni anche adesso pensa a noi, ci aiuta e ci protegge") che apre il numero zero della rivista culturale "Il Nuovo Domenicale" che sarà presentata domani dal ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, alla Camera. "Ricordare don Gianni - afferma Berlusconi - significa per me ricordare un momento importante della mia vita, quella che coincide con il mio ingresso nella vita politica. Come spesso accade, gli incontri non sono casuali. L'incontro e la collaborazione con don Gianni non sono stati casuali. In fondo, si potrebbe dire che, per don Gianni, io sono stato la conferma della sua convinzione secondo cui la storia agisce secondo un disegno provvidenziale che si rivela però dalle possibilità che la libertà immette nella storia. In lui, infatti, le riflessioni teologiche e la fede cristiana intensamente e profeticamente vissuta si intrecciavano con il suo interesse e la sua passione per la politica, per quel pellegrinaggio che attraverso la città terrena conduce alla città di Dio". "In questo cammino, don Gianni è stato una delle persone che mi sono state più vicine, aiutandomi con i suoi suggerimenti e i suoi consigli, di cui ora sento indubitabilmente la mancanza. Anche in questi giorni mi sono spesso domandato che cosa avrebbe pensato don Gianni di certi 'passaggi' politici sui quali la sua riflessione era sempre attenta ed acuta. La sua assenza pesa a tutti noi che avremmo voluto poter sempre beneficiare delle sue intuizioni. Ma 'sentiamo' - conclude il premier - che anche ora don Gianni pensa a noi, ci aiuta e ci protegge". (ANSA).
PH/ S0A QBXB