Translate

venerdì 30 ottobre 2009

Atimpuri

Da 15 anni a questa parte, dalla discesa in campo tanto per capirci, il termine comunisti è diventato sinonimo di tutto ciò che di più immondo la mente umana può immaginare. Su questa ossessione Michele Serra ci costruisce un ragionamento interessante.


giovedì 29 ottobre 2009

L'ora di religione

(…) La vera questione è se sia la scuola pubblica di uno Stato laico il posto più indicato dove essere istruiti non su una disciplina ma su una fede (…).
Lo scrive oggi Corrado Augias rispondendo ad un lettore di Repubblica che argomentava a difesa dell’ora di religione nella scuola statale, scelta, a suo dire, dal 91% degli studenti.

Disonorevoli

E’ storia vecchia quella dei privilegi di deputati e senatori, e non parlo degli importi degli stipendi o delle pensioni, sui quali ci sarebbe comunque da discutere, ma di quei benefit che vanno oltre la decenza e il rispetto e che gli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama si portano dietro come vitalizio: aerei, treni e autostrade gratis, tanto per fare gli esempi più presentabili. Ora, in questo momento di crisi economica, anche a livello centrale si cerca di fare cassa tagliando le voci di spesa meno urgenti, e siccome non è possibile togliere i capricci a chi è attualmente in carica, l’ipotetico ragioniere di Camera e Senato ha deciso di spuntare dal bilancio le risorse destinate fino ad oggi agli ex dei palazzi della politica. Personalmente ritengo scandaloso che persone non certo indigenti - professionisti perlopiù, a cui la parentesi amministrativa non ha certo nuociuto all’attività privata, anzi - usufruiscano di queste regalie: perché? a quale titolo? Non ho aggettivi per definire la loro alzata di scudi alla notizia che dal prossimo anno si cambia. Il fatto che a guidare la marcia sia un ex deputato del pci invece mi fa vomitare.

mercoledì 28 ottobre 2009

Da “yes, we can” a “se po’ fa”

(…) Per questo aborrono Berlusconi che, per contro, ha legittimato i vizi storici degli italiani, gli altri italiani, che son forse la maggioranza. Che con la scesa in campo del Cavaliere hanno finalmente trovato qualcuno che non li faceva vergognare della vocazione nazionale ad "arrangiarsi", magari con qualche imbroglio piccolo o grande, eludendo il fisco, lavorando in nero, armeggiando per una violazione edilizia. E soprattutto vivendo la legge, le regole e sotto sotto anche qualcuno dei 10 Comandamenti, figuriamoci la Costituzione, come malevoli impedimenti al libero esplicitarsi di tutto ciò che bisogna fare per sopravvivere. Per questo amano e si identificano con Berlusconi che ha suonato la campana del "liberi tutti" (l'altro giorno, persino, dall'obbligo di pagare il canone Rai). Cosa gliene importa del conflitto d'interessi, della suddivisione dei poteri, del ludibrio gettato sulla Magistratura? Anzi, la condotta scandalosa, pubblicamente esibita, la degradazione dei palazzi del potere in luoghi di privato piacere, la promozione delle veline di turno, danno a tanti diseredati, ai rampanti in lista di attesa, agli infiniti aspiranti alle innumerevoli "isole dei famosi", il placet "che tutto se po' fa", la versione plebea dello "Yes, we can". (…)

martedì 27 ottobre 2009

What a pity


Via la maglietta, corsa sotto la curva, braccia alzate, bestemmia liberatoria, danza tribale intorno alla bandierina, come Juary, ve lo ricordate? Rutelli lascia il Pd.

Oltre il trans

La triste vicenda umana nella quale si è infilato Piero Marrazzo ripropone il tema della questione morale in politica: lo affronta per primo il quotidiano dei vescovi, ma è un passaggio dal quale non sembra più possibile prescindere, se si vuole arginare la deriva di quest’Italia gobba, dove la legalità è opzione, come scrive Giuseppe d’Avanzo su Repubblica. E proprio D’Avanzo offre un’analisi inquietante di uno scenario che oggi, per caso, ha per protagonisti l‘ormai ex governatore del Lazio e il primo ministro. Il fatto è che se non cambiano le cose, domani avremo quasi sicuramente altri nomi in cartellone (a parte forse quello del premier), ma vedremo replicare all'infinito la stessa brutta commedia.

lunedì 26 ottobre 2009

Basso ventre

Chi ha incarichi di governo non può permettersi debolezze che lo rendano in qualche modo ricattabile. E non si tratta di considerazioni morali o moralistiche, ma di etica e di rispetto della rappresentanza e dei rappresentati. A questo si aggiungano le riflessioni di Ida Dominijanni sul Manifesto di domenica.


Ida Dominijanni

Un brutto nodo

Bene ha fatto Piero Marrazzo ad autosospendersi da governatore della Regione Lazio. Meglio avrebbe fatto a dimettersi: non ieri, dopo aver ammesso quello che l'altro ieri negava ostinatamente e incomprensibilmente, ma in quel di luglio, all'indomani degli ormai noti fatti, quando capì di essere sotto ricatto e, stando alle sue stesse dichiarazioni, pagò i ricattatori nel tentativo di mettere tutto a tacere. Tentativo vano, perché nell'epoca della riproducibilità tecnica di tutto vana è la speranza di mettere a tacere qualsivoglia cosa. Tentativo colpevole, perché un uomo di governo sotto ricatto ha l'obbligo di denunciare i ricattatori e, a meno che la causa del ricatto sia inesistente, non può fare l'uomo di governo. Non può fare nemmeno la vittima, o solo la vittima, come invece Marrazzo ha fatto nell'immediatezza dello scandalo. Il governatore del Lazio è vittima e colpevole, tutt'e due. E' vittima di un'aggressione indecente dell'Arma dei carabinieri, un'aggressione su cui a noi tutti è dovuta piena luce dai vertici dell'Arma e dai ministeri competenti, i quali ci facciano il piacere di non provare a cavarsela con la solita tesi delle mele marce. E' colpevole di aver taciuto, sottovalutato, occultato quanto gli stava accadendo, con la solita tesi che la vita privata è privata e non c'entra niente con la vita pubblica.Rieccoci al punto che tiene inchiodato il dibattito politico da sei mesi: e quando un punto ritorna così insistentemente, sia pur sotto una differenziata casistica, significa che è un punto dolente. Sono patetici i vari Cicchitto, Cota, Lupi e relativi giornalisti organici alla Feltri che si lanciano sulla succulenta occasione per salvare Berlusconi col duplice argomento che a) tutti hanno i loro peccati, a destra e a sinistra, b) chi di moralismo e violazione della privacy ferisce, di moralismo e violazione della privacy perisce. Non casualmente, solo da destra si chiede che il governatore resti al suo posto, con l'unico scopo di far restare al suo anche il premier. Purtroppo però qui non si tratta di salvare tutti, bensì di non salvare nessuno. Pur cercando di esercitare la sempre più difficile arte delle distinzioni. Piero Marrazzo non è colpevole di frequentare trans, come Silvio Berlusconi non è colpevole di frequentare escort o di avere, o millantare, tutte le fidanzate che crede. Entrambi sono colpevoli però di non aver capito che la vita privata di un uomo politico riverbera sulla sua immagine (e sulla sua sostanza) politica. Nonché di scindere, nella miglior tradizione della doppia morale di un paese cattolico, i lori vizi privati dalle loro dichiarazioni pubbliche di fede nei sacri valori della famiglia. Dopodiché le analogie finiscono. Marrazzo si dimette e Berlusconi no. Marrazzo si chiude disperatamente a Villa Piccolomini e Berlusconi fa un proclama al giorno per rivendicare che lui, l'eletto dal popolo, fa quello che vuole. Marrazzo - stando alle testimonianze - ha avuto relazioni personali con alcuni trans, Berlusconi è al centro di un sistema diffuso di scambio fra sesso, danaro e potere, in cui «il divertimento dell'imperatore» viene retribuito in candidature e comparsate in tv (privata e pubblica). Fa qualche differenza, e nel senso opposto a quello che scrive Il Giornale, che già salva la candida «normalità» del premier che va a donne contro l'immonda ambiguità sessuale del governatore che va a trans. Per tutte e tutti noi si spalancano ogni giorno di più tre questioni. La prima - il punto dolente di cui sopra - è che l'ostinazione a scindere il privato dal pubblico e la vita personale dalla vita politica, in tempi in cui i telefoni filmano e registrano, la Rete diffonde e le donne non stanno zitte, rasenta la stupidità: vale per la destra ma anche per quella sinistra che oggi ne è colpita ma fino a ieri è stata su questo reticente. La seconda è che è vero che sui comportamenti sessuali non si può sindacare moralisticamente, ma se quelli che la cronaca ci rimanda sono sempre più spesso comportamenti sessuali di uomini di potere mediati dai soldi è lecito quantomeno interrogarsi sullo stato della loro sessualità e del loro potere. La terza è che se la politica, ripetutamente, inciampa nel sesso, in un sesso siffatto, qualcosa s'è rotto nel segreto legame che unisce qualità delle relazioni interpersonali e qualità del legame sociale, passioni personali e passioni collettive, desiderio individuale e felicità pubblica. C'è un brutto nodo che stringe questione maschile, questione sessuale e crisi della politica. Se è vero che, come ci insegnavano a scuola, oportet ut scandala eveniant, che almeno ci servano a vedere questo nodo, e a scioglierlo.

mercoledì 21 ottobre 2009

Figurante e figuranti

L’articolo è un po’ lungo ma vale assolutamente la pena. L’autore è professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma.
Pubblicato sul Manifesto di domenica scorsa


di Gianni Ferrara
LETTERA AL PREMIER
Signor presidente, Lei è stato ingannato
Lei è stato ingannato, onorevole Berlusconi. Assumo questa premessa. L'unica che credo possa consentirmi di rivolgermi a Lei nella speranza, quanto mai flebile in verità, di una qualche forma di attenzione. Credo infatti remotissima l'ipotesi di poter influire sui suoi convincimenti e sui comportamenti che ne sono conseguiti e ne conseguono. Ci vorrebbe altra forza che quella di uno dei più vecchi costituzionalisti italiani per sperarlo. Ma lo stellone d'Italia potrebbe profittare anche di qualcuna delle riflessioni che andrò esponendo per suscitare in Lei dubbi su qualcuna delle sconvolgenti iniziative che la stampa le attribuisce come prossime. Insisto sulla premessa. Lei è stato ingannato e per tre volte. Da una congiuntura particolare della nostra storia nazionale che ha fatto emergere preoccupazioni e reazioni motivate e spiegabili, miste però ad umori profondi e mefitici. Da una conseguenza che ne ha tratto, a cagione della sua professione, ma non consona alla scelta che ha operato. Da una cultura indotta nell'opinione pubblica e divenuta insistente, martellante, deleteria. La congiuntura a cui mi riferisco è quella dell'inizio della sua avventura politica che coincise con la crisi dei partiti che avevano costruito la Repubblica. Colpiti dalla responsabilità di tangentopoli, quei partiti si rivelarono incapaci di dare una risposta politica alla crisi, una risposta forte e risolutiva, adeguata alla soluzione della questione morale che aveva corroso il sistema politico. Abbandonarono alla magistratura questo compito che, per le proporzione assunte e la qualità della materia implicata, era invece tutto e soprattutto politico. Sciaguratamente anche il partito che aveva esercitato per più di quaranta anni il ruolo di opposizione costituzionale andava dissipando o addirittura rinnegando, per desolante e irresponsabile insipienza di chi lo dirigeva, tutto il patrimonio ideale e politico accumulato. La sua «discesa in campo», onorevole Berlusconi, corrispose all'esigenza di tutto l'elettorato della DC e dei sui alleati che, avendo perduta quella tradizionale, cercava una sua rappresentanza. Lei gliela offrì sbandierando l'anticomunismo dopo averlo dissepolto. Che era però quello stesso delle tante elezioni che si erano succedute dal 1946. Solo che, con Lei, si aggregavano tutti gli elettori in un solo schieramento che aveva come obiettivo il no alla sinistra, tanto più motivato quanto più la stessa sinistra, meno che una sua frazione, appariva confusamente pentita, ma pentita, e si presentava sradicata, sfocata, sfumata. Ebbe grande ed immediato successo questa sua «trovata». Lei si propose come il campione dell'anti-politica. Usò abilmente quel monopolio delle emittenti televisive private che aveva ottenuto con procedure non limpidissime e dimostrò di avere il perfetto possesso della più alta tecnologia di manipolazione dell'opinione politica. La vittoria che ottenne non premiava però una geniale visione politica, un nuovo paradigma culturale ed ideale, un programma di lungo periodo capace di unire e trascinare le donne e gli uomini di ogni classe sociale, di ogni strada e di ogni piazza d'Italia. Fu il primo degli inganni. Lei forse non lo avvertì, ha agito come se non lo avesse percepito. Ora però la sua intelligenza non può non averlo compreso. Ma non ne trae le conseguenze. Perché mai? Ha tanta fiducia nella deformazione mediatica della realtà, nella manipolazione televisiva delle coscienze? Vuole sfidare la verità? Il suo ego contro i fatti, la realtà, la verità? Potrebbe non convenirle. L'altro inganno fu quello che le predispose il mestiere che fino ad allora aveva esercitato, quello di imprenditore. Lei entrò in politica con la convinzione, la mentalità di chi prende possesso di una azienda acquisita mediante un contratto di compravendita. Ha considerato e continua a considerare il governo della Repubblica come la più importante impresa di una holding delle cui azioni Lei detiene il pacchetto di controllo (che, come ben sa, non conferisce però il potere di annichilire i diritti degli azionisti di minoranza). Comunque, Lei sbaglia, Onorevole Berlusconi, ad attribuirsi questo o analogo ruolo, a concepire il governo del Paese in quella visuale. Sbaglia di grosso. Lei non è il proprietario ed insieme l'amministratore delegato dell'Italia s.p.a. Per una ragione tanto evidente quanto decisiva. La s.p.a. Italia non esiste. L'Italia non è, né può essere una s.p.a.. L'Italia è uno stato, per di più una Repubblica. E come se non bastasse, è una repubblica democratica. Il successo elettorale, ottenuto così rapidamente, le ha sicuramente nascosto un profilo importantissimo della rappresentanza, che una visuale molto imprenditoriale, privatistica, della politica, come è la sua, avrebbe dovuto invece farle immediatamente comprendere. La titolarità dei pubblici uffici, come tali, al di là della stessa responsibility politica implica, richiede, impone accountability, una accountability complessiva, riferibile ad ogni aspetto del titolare, precedente e attuale, privato oltre che pubblico, e tutte e due i profili, quello della responsibility e quello dell'accountability integrano la situazione soggettiva di un rappresentante, la representativity politica.Vengo al terzo inganno. Lo ha rivelato Lei qualche giorno fa. Quando ha detto di essere l'unico eletto direttamente dal popolo. Non è vero. Lei è stato eletto dal corpo elettorale assieme a 271 altri candidati nelle liste presentate per le diverse circoscrizioni elettorali dal «Popolo della libertà» per l'elezione alla Camera dei deputati ed anche assieme ad altri 358 membri della stessa Camera dei deputati, candidati nelle altre liste in tutte le circoscrizioni elettorali della Repubblica. Lei è stato eletto deputato, non altro e non più che deputato dal corpo elettorale, così come tutti gli altri deputati e come i 315 eletti dal corpo elettorale come componenti del Senato della Repubblica. La carica di Presidente del Consiglio Lei la deve al decreto di nomina del Presidente della Repubblica, l'unico che gliela poteva conferire, a norma dell'articolo 92, secondo comma, della Costituzione in vigore in questo nostro Paese.Lei ha definito «figuranti», un termine non proprio esaltante, i suoi colleghi parlamentari. Ed a ragione visto che a scegliere quelli del suo partito è stato lei, così come ciascun leader quelli del proprio partito, con effetti quanto mai compressivi del potere degli elettori e del principio rappresentativo. Badi però che questo principio, come ogni altro costituzionalmente sancito, non è comprimibile oltre un certo limite. In astratto, proprio quei «figuranti», possono revocarle la fiducia e ridurre Lei a «figurante». So bene che è stata prevista la figura di «capo di forza politica» e/o quella «di unico capo della coalizione» da una disposizione improvvida, equivoca e di molto dubbia costituzionalità della legge elettorale vigente. Una legge che, essa sì, avrebbe meritato di essere rinviata alle Camere, ai sensi dell'art. 74 della Costituzione, per incostituzionalità manifesta di molte altre sue disposizioni. Ma è anche vero che la stessa disposizione che si inventa la carica di capo riconosce - e non potrebbe essere altrimenti - che «restano ferme le prerogative del Presidente della Repubblica previste» dalle norme costituzionali su-indicate. So altrettanto bene che questa figura di capo, pericolosa, aberrante in una democrazia quale dovrebbe essere ancora la nostra, e che dovrebbe essere ripudiata se non sublimata, collegata a, mediata da, specificata come riferibile ad entità morale, astratta dalle contingenze, dalle passioni, viene, al contrario, scelta come denotativa di supremazia, di potere, di forza e quindi di arbitrio. Ma so anche, e soprattutto, che a suggerire quella disposizione, ad evocare l'idea ed il mito del capo, soprattutto a configurare le elezioni politiche come scelta del governo è stata ed è una certa politologia, rozza e irresponsabile, penetrata nel nostro Paese e che ha mistificato principi, distorto convinzioni, offuscato non poche verità. Una di queste verità rivela che la democrazia moderna è rappresentativa o non è. Rappresentativa di tutti, non di una sola parte pur se maggioritaria. Rappresentanza che va integrata, arricchita, consolidata con la partecipazione delle cittadine e dei cittadini, ma non ridotta all'acclamazione del capo a mezzo scheda. C'è un'altra verità che va gridata: quella per cui il mandato popolare non comporta mai un potere totale, non può conferire, non attribuisce mai tutto quello che appartiene al popolo, secondo la nostra Costituzione, ad altri, tanto meno ad uno solo. Ed è assolutamente vero che il costituzionalismo, lo stato moderno, la civiltà giuridica e politica raggiunta dopo secoli di lotte e di conquiste è limitazione, distribuzione del potere. Concludo, onorevole Berlusconi, chiedendole di liberarsi dagli inganni, di riflettere su questi principi. Il destino ha riservato ad alcuni uomini politici la sorte di separare il loro cursus honoris in due fasi, di segno addirittura opposto l'una all'altra. Potrebbe essere anche il destino suo. Glielo auguro. Lo auguro soprattutto all'Italia. Con la più alta considerazione dell'ufficio che ricopre, gradisca i miei saluti.

martedì 20 ottobre 2009

Servizietti

Dossier. La prima vittima è stata Dino Boffo, poi il giudice Mesiano, adesso ci provano con il mite Corrado Augias.

martedì 6 ottobre 2009

Golpevole

Perché gridare al golpe e chiamare una manifestazione di piazza per una sentenza civile, peraltro non definitiva, e su un fatto del tutto privato? Un privato che la stampa di corte dovrebbe far di tutto per tenere nascosto, visto che ancora una volta mostra il vero volto del premier. Lo spiega bene Giuseppe D’avanzo su Repubblica di oggi