Da piccolo volevo essere Pietro Anastasi. Non semplicemente un calciatore, un grande attaccante, un portiere, quelli
cioè che determinano le partite: difficilmente i bambini sognano al ribasso e immaginano
di essere un difensore, almeno negli anni 70, dove a parte Facchetti, giocatore
di rara eleganza, il ruolo era di pertinenza di gente come Bruscolotti, Morini,
Comunardo Niccolai, bravi per carità, ma non certo in grado di colpire l’immaginario
di un ragazzino. Erano ancora lontani i tempi dei Cabrini, dei Maldini, che non
solo hanno rivoluzionato il modo di interpretare il ruolo, ma erano pure belli.
Io volevo essere Pietro Anastasi, che bello non è mai stato, e nemmeno tanto
alto, ma per me era un gigante. Il mio tifo per la Juventus nasce da lì. Se,
per dire, avessi conosciuto calcisticamente Anastasi quando era a Varese, sarei
diventato tifoso del Varese. Rete. Juventus in vantaggio. Anastasi. La domenica
aspettavo con ansia che Ameri interrompesse Ciotti a Tutto il calcio minuto per
minuto per urlare urbi et orbi al gol di Anastasi. Non tanto della Juventus: di
Pietro Anastasi. Fortuna negli otto anni bianconeri sono state tante le
occasioni di esultare. Poi, va beh, si è incrinato qualcosa e Anastasi è passato
prima all’Inter e poi all’Ascoli. Per me la domenica l’attesa alla radio era quindi
diventata doppia: oltre a sperare nell gol della Juve - ormai ero
juventino, i ragazzini devono appartenere a qualche squadra, mica possono dire
di tifare per un singolo giocatore - cercavo notizie del mio idolo: gioca, è in panchina, come sta giocando, come
ha giocato. Il giorno successivo andavo a leggere le cronache: per prima,
ovviamente, quella della squadra di Anastasi. Dopo l’addio al calcio Pietro
Anastasi è scomparso dai miei radar. E’ stato quindi un piacere ritrovarlo oggi,
quasi settantenne, in veste di opinionista a discutere e a difendere i colori
bianconeri in diverse emittenti televisive locali. Mi son ricordato di questa mia
passione la scorsa settimana leggendo la prefazione di un libro dedicato a
Bruno Giordano, centravanti prima della Lazio e poi del Napoli di Maradona e
Careca. A riaprire l’album dei ricordi è stato il racconto dell’autore: la sua
passione per la Lazio ma anche e soprattutto per i giocatori. Biancocelesti per
sempre, indipendentemente dalle maglie vestite nel corso del tempo, seguiti nella
loro carriera con lo stesso affetto che io avevo per Anastasi. Che
senso ha fischiare un giocatore che torna nel tuo stadio dopo aver cambiato
squadra? Perché accusarlo di chissà quale tradimento? Non è meglio pensare a
quanto ti ha fatto gioire da tifoso? Quando Pietro Anastasi tornò al
Comunale di Torino con la maglia dell’Ascoli e sbloccò il risultato, di una
partita addirittura vinta dai marchigiani, dalla curva Filadelfia partì l’applauso.
Un calcio antico, fuori moda, il calcio della mia infanzia, forse proprio per
questo ricordato e vissuto con una certa epica.
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martedì 17 ottobre 2017
venerdì 13 ottobre 2017
La bicicletta
Avrei voluto scrivere d’altro e
sicuramente lo farò, ma ieri ho assistito ad una scena che mi ha creato
profondo disagio e ripensandoci a freddo ho capito perché. Anzi, lo sapevo
benissimo ma pensavo di averci lavorato su abbastanza. Evidentemente no. Come
ogni mattina stavo aspettando il Frecciarossa per andare al lavoro e mi ero
posizionato all’altezza del display che indicava il numero della carrozza prenotata.
Alle mie spalle, in attesa di partire, un convoglio di una tratta provinciale. Ai
piedi del treno, il controllore e il capotreno, una lei nel caso specifico, ma
non credo che si dica capatreno, chiacchieravano tra loro verificando a turno
i biglietti di chi si apprestava a salire. Arriva un ragazzo in bicicletta. Che
sia di colore dovrebbe essere un fatto assolutamente irrilevante, invece per i
due, non solo lo è ma nella sua accezione peggiore: l’è un negher. Io mi giro
proprio nel momento in cui lei chiede al ragazzo se ha pagato il biglietto per
la bicicletta. E’ una domanda retorica la sua: lo sa già che non l’ha fatto e
glielo leggi anche dall’atteggiamento corporeo di sfida, dall’espressione
soddisfatta del viso di chi sa di esercitare un potere per il quale l’intransigenza
non solo è consentita ma è premiata. Un potere meschino peraltro, tanto da rivolgersi
al ragazzo in dialetto bloccando sul nascere il minimo accenno di protesta. Io
non so se l’importo per la bicicletta fosse dovuto, come non so se quel cristiano,
come mi è sembrato di capire, prenda abitualmente quel treno per andare al
lavoro e abbia trovato fino a ieri controllori più accondiscendenti. Come non
voglio sapere se al posto del negher ci fosse stato un indigeno quale sarebbe
stato il comportamento della signora: probabilmente la soddisfazione di decidere del destino di
un pendolare, circoscritto fortunatamente a quella strada ferrata, non le avrebbe fatto cambiare nulla nella sostanza, sicuramente però con un altro atteggiamento, meno
volgare e violento. Alla fine la cosa si è risolta al meglio, nel senso che da
uno scompartimento si è affacciato un amico del ciclista e gli ha passato un
biglietto: con il treno in partenza non sarebbe riuscito a tornare in
biglietteria. Il mio disagio. Purtroppo in casi di questo genere non è solo,
diciamo così, di ordine etico: il rifiuto viscerale di un sopruso nei confronti
di un debole che procura piacere a chi lo infligge. Uno normalmente cosa fa? Interviene
e, per quanto possibile, prende le difese, parla, argomenta, discute. Io in casi del genere ho
istinti violenti. E non solo verbali. Devo impormi di andare via. E mi costa
tantissimo farlo.
venerdì 6 ottobre 2017
Imperfetti
(...) La legge impedisce ai single di adottare, a meno che il bambino non sia
affetto da grave disabilità. È un’eccezione saggia, ma con un
presupposto terribile: se il bambino è imperfetto, va bene anche la
famiglia imperfetta (...)
http://www.lastampa.it/2017/10/05/cultura/opinioni/buongiorno/lamore-perfetto-ZuVGBL8wwuEOR6PWC895qM/pagina.html
http://www.lastampa.it/2017/10/05/cultura/opinioni/buongiorno/lamore-perfetto-ZuVGBL8wwuEOR6PWC895qM/pagina.html
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