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martedì 17 ottobre 2017

Volevo essere Pietro Anastasi



Da piccolo volevo essere Pietro Anastasi. Non semplicemente un calciatore, un grande attaccante, un portiere, quelli cioè che determinano le partite: difficilmente i bambini sognano al ribasso e immaginano di essere un difensore, almeno negli anni 70, dove a parte Facchetti, giocatore di rara eleganza, il ruolo era di pertinenza di gente come Bruscolotti, Morini, Comunardo Niccolai, bravi per carità, ma non certo in grado di colpire l’immaginario di un ragazzino. Erano ancora lontani i tempi dei Cabrini, dei Maldini, che non solo hanno rivoluzionato il modo di interpretare il ruolo, ma erano pure belli. Io volevo essere Pietro Anastasi, che bello non è mai stato, e nemmeno tanto alto, ma per me era un gigante. Il mio tifo per la Juventus nasce da lì. Se, per dire, avessi conosciuto calcisticamente Anastasi quando era a Varese, sarei diventato tifoso del Varese.  Rete. Juventus in vantaggio. Anastasi. La domenica aspettavo con ansia che Ameri interrompesse Ciotti a Tutto il calcio minuto per minuto per urlare urbi et orbi al gol di Anastasi. Non tanto della Juventus: di Pietro Anastasi. Fortuna negli otto anni bianconeri sono state tante le occasioni di esultare. Poi, va beh, si è incrinato qualcosa e Anastasi è passato prima all’Inter e poi all’Ascoli. Per me la domenica l’attesa alla radio era quindi diventata doppia: oltre a sperare nell gol della Juve - ormai ero juventino, i ragazzini devono appartenere a qualche squadra, mica possono dire di tifare per un singolo giocatore - cercavo notizie del mio idolo: gioca, è in panchina, come sta giocando, come ha giocato. Il giorno successivo andavo a leggere le cronache: per prima, ovviamente, quella della squadra di Anastasi. Dopo l’addio al calcio Pietro Anastasi è scomparso dai miei radar. E’ stato quindi un piacere ritrovarlo oggi, quasi settantenne, in veste di opinionista a discutere e a difendere i colori bianconeri in diverse emittenti televisive locali. Mi son ricordato di questa mia passione la scorsa settimana leggendo la prefazione di un libro dedicato a Bruno Giordano, centravanti prima della Lazio e poi del Napoli di Maradona e Careca. A riaprire l’album dei ricordi è stato il racconto dell’autore: la sua passione per la Lazio ma anche e soprattutto per i giocatori. Biancocelesti per sempre, indipendentemente dalle maglie vestite nel corso del tempo, seguiti nella loro carriera con lo stesso affetto che io avevo per Anastasi. Che senso ha fischiare un giocatore che torna nel tuo stadio dopo aver cambiato squadra? Perché accusarlo di chissà quale tradimento? Non è meglio pensare a quanto ti ha fatto gioire da tifoso? Quando Pietro Anastasi tornò al Comunale di Torino con la maglia dell’Ascoli e sbloccò il risultato, di una partita addirittura vinta dai marchigiani, dalla curva Filadelfia partì l’applauso. Un calcio antico, fuori moda, il calcio della mia infanzia, forse proprio per questo ricordato e vissuto con una certa epica.

venerdì 13 ottobre 2017

La bicicletta



Avrei voluto scrivere d’altro e sicuramente lo farò, ma ieri ho assistito ad una scena che mi ha creato profondo disagio e ripensandoci a freddo ho capito perché. Anzi, lo sapevo benissimo ma pensavo di averci lavorato su abbastanza. Evidentemente no. Come ogni mattina stavo aspettando il Frecciarossa per andare al lavoro e mi ero posizionato all’altezza del display che indicava il numero della carrozza prenotata. Alle mie spalle, in attesa di partire, un convoglio di una tratta provinciale. Ai piedi del treno, il controllore e il capotreno, una lei nel caso specifico, ma non credo che si dica capatreno, chiacchieravano tra loro verificando a turno i biglietti di chi si apprestava a salire. Arriva un ragazzo in bicicletta. Che sia di colore dovrebbe essere un fatto assolutamente irrilevante, invece per i due, non solo lo è ma nella sua accezione peggiore: l’è un negher. Io mi giro proprio nel momento in cui lei chiede al ragazzo se ha pagato il biglietto per la bicicletta. E’ una domanda retorica la sua: lo sa già che non l’ha fatto e glielo leggi anche dall’atteggiamento corporeo di sfida, dall’espressione soddisfatta del viso di chi sa di esercitare un potere per il quale l’intransigenza non solo è consentita ma è premiata. Un potere meschino peraltro, tanto da rivolgersi al ragazzo in dialetto bloccando sul nascere il minimo accenno di protesta. Io non so se l’importo per la bicicletta fosse dovuto, come non so se quel cristiano, come mi è sembrato di capire, prenda abitualmente quel treno per andare al lavoro e abbia trovato fino a ieri controllori più accondiscendenti. Come non voglio sapere se al posto del negher ci fosse stato un indigeno quale sarebbe stato il comportamento della signora: probabilmente la soddisfazione di decidere del destino di un pendolare, circoscritto fortunatamente a quella strada ferrata, non le avrebbe fatto cambiare nulla nella sostanza, sicuramente però con un altro atteggiamento, meno volgare e violento. Alla fine la cosa si è risolta al meglio, nel senso che da uno scompartimento si è affacciato un amico del ciclista e gli ha passato un biglietto: con il treno in partenza non sarebbe riuscito a tornare in biglietteria. Il mio disagio. Purtroppo in casi di questo genere non è solo, diciamo così, di ordine etico: il rifiuto viscerale di un sopruso nei confronti di un debole che procura piacere a chi lo infligge. Uno normalmente cosa fa? Interviene e, per quanto possibile, prende le difese, parla, argomenta, discute. Io in casi del genere ho istinti violenti. E non solo verbali. Devo impormi di andare via. E mi costa tantissimo farlo.

venerdì 6 ottobre 2017

Imperfetti

(...) La legge impedisce ai single di adottare, a meno che il bambino non sia affetto da grave disabilità. È un’eccezione saggia, ma con un presupposto terribile: se il bambino è imperfetto, va bene anche la famiglia imperfetta (...)


http://www.lastampa.it/2017/10/05/cultura/opinioni/buongiorno/lamore-perfetto-ZuVGBL8wwuEOR6PWC895qM/pagina.html