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lunedì 31 gennaio 2011

Il rappresentante

(…) Ciò conferma che Berlusconi, in una certa misura, abbia intercettato una corrente d'opinione di lungo periodo. Un relativismo etico, che riguarda la concezione della donna e del suo ruolo. Nella società, nella famiglia, nelle relazioni di genere. Insieme a un sentimento omofobo, mai dissimulato. Oltre a una diffidenza radicata verso le istituzioni e le regole pubbliche. Berlusconi non ha "inventato" questi atteggiamenti e questi modelli etici, trasferendoli agli italiani attraverso i media. Li ha, invece, "rappresentati" (cioè: ha dato loro rappresentanza e rappresentazione). E li ha, inoltre, amplificati. Legittimati. Imposti come modelli (e consumi) di successo. Liberarsi di Berlusconi, per questo, non basterà a liberarci dal berlusconismo. Perché è un'anomalia che abita in noi, nella nostra storia e nella nostra società. "Curarlo" non sarà facile. Dovremo curare anche noi stessi (…)


venerdì 28 gennaio 2011

Se

Se per un momento dimenticassimo che il protagonista è il nostro primo ministro, sarebbe anche divertente leggere la stampa estera e poter prendere le distanze da un vecchio politico sessuomane che approfitta dal potere personale per toccare il culo (e non solo) a ragazzine che potrebbero essergli nipoti. Dire come da noi mai, ci mancherebbe... che un personaggio del genere sarebbe indegno, non potrebbe rappresentare un paese come il nostro, con la sua storia, la sua Costituzione. Vedere soprattutto l’orrore bipatisan delle donne per tale comportamento e bla bla bla. Invece ci tocca subire commenti come quello che segue, pubblicato sulla Room for debate del New York Times.


Silvio Berlusconi is the leader of a nation where evading taxes is considered a smart thing to do, where to find a good job your father likely needs to know someone, where people vote a candidate that would ineligible in all western democracies


http://www.nytimes.com/roomfordebate/2011/01/26/decadence-and-democracy-in-italy/lack-of-political-options
 
http://query.nytimes.com/search/sitesearch?query=Berlusconi&srchst=cse

giovedì 27 gennaio 2011

Presidente equilibrista

E’ vero che i soldi fanno comodo e che bisogna mettere fieno in cascina per pagarsi un domani la casa di riposo o la badante, ma dovrebbe esserci un limite alla prostituzione giornalistica. Fatta salva l’amarezza nel leggere quello che segue, non si può però non sorridere all’assoluzione data a Silvio dal cugino prete.


“Ricordo quando da ragazzo camminava in equilibrio su un pergolato d’uva. Contro di lui accuse vergognose, architettate ad arte per diffamare una persona buona”.

lunedì 24 gennaio 2011

Colonia Italia

Sembra di vivere in una soap opera (sud)americana, e non per la trama da porno soft, dove tutti alla fine scopano con tutti, o almeno ci provano, ma per il ritardo di qualche anno con cui noi seguiamo il dipanarsi dell'intreccio. Nel frattempo, gli attori che oggi sono protagonisti sui nostri schermi, negli States sono scomparsi: in alcuni casi per scadenza di contratto, in altri, soprattutto nei serial di lunga durata, tipo Sentieri, per naturale dipartita. Tornando a bomba, e senza voler augurare nulla a nessuno, il mondo politico da almeno un lustro è a conoscenza dei vizi del premier. Siccome non credo al caso, o alla sua semplice narrazione, immagino che qualcuno, anche vicino al presidente del consiglio e con l'appoggio e l'avallo di potentati non necessariamente italiani, abbia deciso che a questo punto l’omino di arcore non sia più funzionale, che sia opportuno fermarlo prima che faccia ulteriori danni. In ballo ci sono questioni economiche, finanziarie, equilibri politici internazionali, insomma. Quello che segue è un articolo a mio avviso interessante, a prescindere dall’affaire ruby e smutandate varie.

La Libia di Muammar Gheddafi fa il suo ingresso - malgrado i forti dubbi della Casa Bianca - nel capitale di Finmeccanica. La Lybian Investment Authority, fondo di investimento pubblico del regime del Colonnello, ha acquistato una partecipazione del 2,01% nel capitale del gruppo della difesa tricolore. Una mossa che rischia di surriscaldare i rapporti tra Roma e Washington già messi a dura prova nei mesi scorsi dall'asse Berlusconi-Putin con i suoi interessi nel settore del gas.

giovedì 20 gennaio 2011

Ci vuole coraggio anche a rubare

A fare i signori nel paese del bunga bunga non ci si guadagna nulla. Proviamo allora a raccontare le cose fuor di metafora, magari in maniera un po’ grezza ma sicuramente senza possibilità di equivoco. Succede che per la terza volta mi arriva una lettera dai LADRI dell’agenzia delle entrate in cui mi si avverte che da una verifica fatta da un fantomatico cervellone elettronico del cazzo, sarebbe emersa un'anomalia nella mia ultima dichiarazione dei redditi.  Le prime due volte l’anomalia, dopo calcoli astrusi e incomprensibili, con il generoso sconto di un terzo della somma dovuta, previo però pagamento entro 30 giorni dall’avvenuta notifica, veniva quantificata in 500 euro. La terza addirittura in oltre 1300 euro. Inutile dire che nessuna delle tre multe era dovuta. Anzi, nell’ultimo caso,  la mia amica commercialista ha riscontrato un pagamento maggiorato ed ha richiesto risarcimento. Ora, siccome io non credo nella buonafede, sono sicuro che questi burocrati di merda – specchio fedele della banalità del male - abbiano ricevuto mandato di provarci, per fare cassa alle spalle del contribuente onesto. Ma quello che mi fa più girare i coglioni, molto più del disagio personale per le mattinate perse in un carnaio di ufficio postale per ritirare le raccomandate, è pensare cosa sarebbe successo se le stesse ingiunzioni fossero arrivate a mio padre. Le avrebbe pagate il giorno successivo, dopo una notte insonne, per la vergogna di passare per uno che voleva fregare lo Stato,  e perché MAI, nella sua rettitudine, avrebbe lontanamente pensato, come invece suo figlio, che a volte il potere costituito non solo vuole mettertelo nel culo, ma gode anche nel farlo. Quante persone ci sono come mio padre, che  magari arrivano a privarsi del necessario per non avere problemi: in realtà per far fronte ad un’ingiustizia? Ci vorrebbe una class action contro questi mandanti ed esecutori, ladri, subdoli e meschini, che non hanno nemmeno il coraggio di puntarti una pistola per rapinarti, e di subire eventualmente una reazione uguale e contraria.

mercoledì 19 gennaio 2011

Le dame, i cavalier, l’armi, gli amori…

La tristezza della lussuria

ENZO BIANCHI

(…) Per reagire a tale clima ammorbante dovremmo acquisire la consapevolezza che la lussuria toglie la libertà: chi ne è schiavo finisce per asservirsi all’idolo del piacere sessuale, un idolo ossessionante che innesca una pericolosa dipendenza. Chi è preda della lussuria è come malato di bulimia dell’altro, lo cosifica in modo reale nella prestazione sessuale o in modo virtuale nell’immaginazione(…)

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IL COMMENTO

Il sermone della decenza

di BARBARA SPINELLI

Dovrebbe esser ormai chiaro a tutti, anche a chi vorrebbe parlar d'altro e tapparsi le orecchie, anche a chi non vede l'enormità della vergogna che colpisce una delle massime cariche dello Stato, che una cosa è ormai del tutto improponibile: che il presidente del Consiglio resti dov'è senza neppure presentarsi al Tribunale, e che addirittura pretenda di candidarsi in future elezioni come premier. Molti lo pensano da tempo, da quando per evitare condanne il capo di Fininvest considerò la politica come un sotterfugio.

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Il tradimento dei leccapiatti

MATTIA FELTRI

E’ davvero così: a guardarlo dagli amici ci avrebbe dovuto pensare Dio. Il sapore della disfatta è tutto lì, nelle conversazioni miserelle dei compari, nelle valutazioni sguaiate e ginnasiali delle ragazze di cui Silvio Berlusconi credeva d’aver conquistato il cuore con fascino e munificenza. Il peggio sta nella risatina oscena di chi sa di avere realizzato la circonvenzione del vecchio famelico sempre col cuore e il portafogli aperto: il dialogo fra Emilio Fede e Lele Mora varrebbe un ultimo atto da ovazione.

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martedì 18 gennaio 2011

Pantaloni abbassati

Se l’utilizzatore finale riesce ad uscire indenne da una situazione del genere è perché l’Italia è un paese allo sbando, incapace di un sussulto etico anche di fronte al baratro in cui la sta portando un satrapo, o nella migliore delle ipotesi un malato (Veronica dixit). L’altra ragione possibile, che è più inverosimile di una fiction o della Brambilla ministro, è perché B. è veramente un Highlander . Tertium non datur. Detto questo, e dello squallore che si legge sui giornali, sono d’accordo con il prof. Cacciari quando dice – provocatoriamente, ma nemmeno poi tanto – : per uscire da questa situazione di empasse politica, economica, sociale, serve una legge con un solo articolo, in cambio dell'abdicazione perpetua: Berlusconi è innocente. Dopodichè, archiviato il passato e le litanie sulla persecuzione giudiziaria, voltiamo pagina e vediamo di recuperare il tempo e le risorse persi dietro al privato e al privè del premier.

venerdì 14 gennaio 2011

Signor sì, signore

Il dato vero su cui riflettere non è più il sì o il no sulla scheda referendaria ma è il concetto stesso di democrazia, che non può esprimersi liberamente e compiutamente senza la possibilità di un ventaglio di scelte, o quantomeno di due opzioni. Se l’alternativa per gli operai, come peraltro era avvenuto a Pomigliano - che avrebbe dovuto rappresentare l’eccezione in deroga, ricordiamocelo - è tra il lavoro in cambio della rinuncia ai diritti, e la chiusura, il risultato è già scritto. Soprattutto se la politica e il sindacato (esclusa la FIOM), che dovrebbero tutelare la parte debole, approvano apertamente il modello Marchionne. A questo punto lo strappo è già avvenuto e quello a cui si va incontro, e le ragioni che hanno portato fin qui, le si può leggere nell’editoriale del direttore di Repubblica.



Le ragioni di Marchionne
e le ragioni di tutti


Da una parte c'è la globalizzazione dall'altra si chiama in causa la democrazia. Senza una società solidale, i singoli devono cercare risposte individuali a problemi collettivi


di EZIO MAURO

DUE, TRE cose sulla Fiat e il Paese prima che si conoscano i risultati del referendum di Mirafiori. Prima, per ragionare fuori dall'orgia ideologica di chi si schiera sempre con il vincitore e di chi pensa che i canoni della modernità e del progresso - oggi - sono sanciti dal rapporto di forza.

Il voto e la sfida di Torino non disegneranno un nuovo modello di governance per l'Italia, come sperano coloro che oggi attendono da Marchionne quel che per un quindicennio ha promesso Berlusconi, senza mai mantenere. Soprattutto non daranno il via né simbolicamente né concretamente - purtroppo - ad una fase generale di crescita del Paese. Il significato della partita di Mirafiori è un altro, e va chiamato col suo nome: la ridefinizione, dopo tanti anni, del rapporto tra capitale e lavoro.

giovedì 13 gennaio 2011

Si può dire coglioni?

La notizia è drammaticamente vera. Un esame agli arti, in questo caso superiori, necessita del pagamento di due ticket, essendo che le braccia sono due. A questo punto, molto sommessamente, mi chiedo: lo stesso principio varrà anche per i testicoli?



SANITA' VENETO: TREVISO, A ODERZO DOPPIO TICKET SE L'ESAME E' SU 2 BRACCIA =

Treviso, 13 gen. (Adnkronos Salute) - Siccome ha due braccia,
serve il pagamento di due ticket. E' la risposta che una paziente,
presentatasi all'ospedale di Oderzo, ha ricevuto da un operatore
mentre richiedeva che le venissero prescritti esami medici per "gli
arti superiori", come riportato sulla ricetta vergata dal medico di
base.
La donna ha chiesto lumi al suo dottore il quale non ha potuto
fare altro che lamentarsi, sottolineando come "la burocrazia uccide il nostro lavoro di medici e - riporta oggi il quotidiano 'Il Gazzettino'- se il burocrate ha deciso di cambiare le regole, come medico che ha un rapporto diretto con l'assistito chiedo che questi cambiamenti ci vengano comunicati. Invece non è arrivata una riga, nulla".
(Adnk/Adnkronos Salute)
13-GEN-11 14:19

Non gioco più, me ne vado

Il presidente Obama, prima di dare il via libera all’operazione Chrysler, ha voluto vedere e verificare il piano industriale Fiat. Lo stesso ha fatto la cancelliera Merkel, che però, evidentemente, non l’ha ritenuto sufficiente per appoggiare l’intesa con Opel. Due esempi di come la politica può e deve intervenire nelle grandi questione economiche del proprio Paese. E il governo italiano? Non solo non ha chiesto al dott. Marchionne nulla di tutto ciò, non solo non ha risposto e non risponde ai ricatti di questo signore che, come gli adolescenti, minaccia di portar via il pallone se non si fa come vuole lui, mettendo sul tavolo e ricordandogli anche solo i milioni di ore di cassa integrazione e gli incentivi pagati all’industria torinese nel corso dei decenni. No, fa di più, ci mette il carico e per bocca del suo primo ministro, dell'uomo cioè che dovrebbe tutelare l’interesse economico nazionale e il lavoro dei cittadini, dice che sì Marchionne ha ragione e che fa bene ad andare via se qualcuno si rifiuta di giocare con le sue regole. Sottinteso: lo farei anch’io. Peccato che lui, il premier, non lo minacci neppure.



Quando il governo offende gli operai

Fonte: GAD LERNER - la Repubblica
13 Gennaio 2011

Un presidente del Consiglio che trova naturale legittimare il proposito di Marchionne – cioè il dirottamento all´estero degli investimenti produttivi Fiat in caso di bocciatura dell´accordo di Mirafiori - si assume una responsabilità che oltrepassa il mero infortunio verbale.
Conferma che l´economia nazionale si ritrova a fronteggiare disarmata, sguarnita della minima tutela politica, la contesa globale. Siamo di fronte alla resa vergognosa di un governo già rivelatosi incapace di pretendere da Marchionne, com´era suo dovere, le informazioni puntuali sul suo fantomatico piano industriale senza le quali mai Obama avrebbe concesso il via libera all´operazione Chrysler negli Usa. Le stesse garanzie in assenza delle quali la cancelliera tedesca Merkel pochi mesi fa stoppò l´intesa tra Fiat e Opel. Così si comportano delle istituzioni pubbliche rispettabili. Con l´aggravante che Berlusconi si genuflette di fronte all´azzardo della più grande industria del suo paese, incurante del danno arrecato agli interessi nazionali. Perché qui non è più in gioco soltanto, e non sarebbe poco, la tutela del posto di lavoro di migliaia di lavoratori, ma l´intera struttura produttiva di una economia il cui destino resta legato all´industria manifatturiera. Rispetto alla quale, il premier-tycoon si conferma geneticamente estraneo.
Di fronte all´enormità di questo misfatto antinazionale, sarebbe ingenuo sovraccaricare di significati politici o ideologici il voto che i 5.500 dipendenti di Mirafiori sono chiamati a esprimere a partire da stanotte. Un partito operaio non può certo esistere nell´Italia del 2011. Nessuno più fingerà di credere, come nel passato, alla natura di per sé rivoluzionaria di una classe sociale che liberandosi dallo sfruttamento adempierebbe a una finalità di giustizia universale. Stremati, anziani e impoveriti, i lavoratori torinesi vengono chiamati a sancire nient´altro che una deroga alle normative vigenti così evidentemente peggiorativa dello status quo che neppure la Confindustria può vidimarla; almeno fin tanto che l´associazione degli imprenditori continuerà a dichiarare valido il contratto nazionale da lei stipulato con i sindacati.
Timida, anacronistica e imbarazzata pareva dunque, ieri, la presenza ai cancelli di Mirafiori di un leader della sinistra come Vendola: perché riesce difficile perfino a lui chiedere ai dipendenti Fiat di votare no al referendum-ultimatum, di fronte a un amministratore delegato che si è detto pronto a "brindare", oltreoceano, a Detroit, in caso di bocciatura del suo diktat.
Non a caso prima della sortita di Berlusconi, e in assenza di un´effettiva libertà di scelta, era ammutolito lo stesso Partito democratico, i cui massimi dirigenti ancora ieri si dichiaravano "né con Marchionne, né con la Fiom" (cosa vuol dire?). Rescisso il loro giovanile vincolo esistenziale con il mondo del lavoro, caduta l´illusione della classe rivoluzionaria motore del progresso, questi dirigenti non seppero promuovere neanche quando governavano il paese forme alternative di tutela del lavoro dipendente; come la cogestione aziendale alla tedesca o l´azionariato dei dipendenti all´americana. Col bel risultato che oggi neppure il sindacalismo classista residuale praticato dalla Fiom Cgil è in grado di strappare garanzie progettuali e contropartite efficaci ai sacrifici richiesti dalla Fiat, pena il dirottamento all´estero degli investimenti.
Non può più esistere un partito operaio, ma fatica a sopravvivere anche un partito degli industriali, nell´Italia a crescita zero. Lo rivela clamorosamente la bandiera bianca alzata da Berlusconi.
Così gli operai di Mirafiori si ritrovano completamente disarmati, sollecitati a cedere diritti in cambio di una promessa di lavoro incerto e a basso reddito. Sarà, la loro, domani, una drammatica somma di scelte individuali. Mentre l´establishment del paese si crogiola in miopi calcoli di convenienza: assecondare la prepotenza di Marchionne nella speranza magari di assestare un colpo definitivo alla resistenza di una Cgil isolata? Elevando addirittura il manager italo-canadese a tardivo battistrada di una inesistente rivoluzione liberale mai neppure intrapresa dal berlusconismo?
Se Marchionne avesse abbinato la denuncia delle nostre relazioni sindacali antiquate a un effettivo rilancio dell´impresa automobilistica in Italia, anziché lamentare ingratitudine per l´"osceno" trattamento ricevuto, come se la Fiat non usufruisse tuttora di milioni di ore di cassa integrazione, forse oggi le sue richieste risulterebbero più credibili. Ma dopo aver risanato i bilanci Fiat grazie al sostegno decisivo delle nostre banche, trascorsi ormai sei anni e mezzo dal suo insediamento al Lingotto, è giunto il tempo di valutarne l´operato non solo come audace finanziere, bensì come capitano d´industria.
Quali nuove quote di mercato ha conquistato? Quali nuove vetture, all´altezza di competere con quelle della concorrenza, annovera nel suo glorioso curriculum?
I suoi predecessori Valletta e Romiti sbaragliarono anch´essi la resistenza sindacale, nel 1955 e nel 1980, ma con la Seicento e la Uno poi incrementarono le vendite. Marchionne invece si è rivelato abilissimo nel sostituire gli aiuti di Stato americani agli incentivi nostrani, ha fatto schizzare in Borsa i titoli Fiat per la gioia degli azionisti e di sé medesimo, ma nel frattempo ha sguarnito la produzione intestandosi un crollo delle vendite senza precedenti. Oggi la Fiat detiene solo una quota del 6,7% del mercato europeo, un record negativo, mentre le case automobilistiche rivali stanno crescendo. Sarà forse colpa di Landini e della Fiom se in pochi anni siamo passati da novecentomila vetture prodotte in Italia a meno di seicentomila? Risultano forse ingovernabili le fabbriche in cui langue la produzione? Davvero qualcuno crede che la fabbricazione della Panda a Pomigliano e il solo montaggio di una Jeep Chrysler a Mirafiori porteranno al raddoppio (e più) delle vetture prodotte in Italia, come genericamente promesso in un piano che nessuno, tanto meno Berlusconi, ha verificato?
I sindacalisti firmatari degli accordi di Pomigliano e di Mirafiori fanno notare che sono molti, in Italia, gli operai già oggi costretti a lavorare in condizioni più gravose di quelle che hanno strappato a Marchionne. È vero, anche se la prevista esclusione del maggior sindacato metalmeccanico, la Fiom Cgil, dalla rappresentanza aziendale di questi due stabilimenti, costituisce un vulnus democratico pericoloso. E, soprattutto, il ripiegamento in un´azienda come la Fiat prelude a un peggioramento generalizzato. Per questo oggi risulta così tormentosa la scelta cui sono chiamati, uno ad uno, i dipendenti di Mirafiori. In coscienza, nessuno tra i fortunati (ma anche fra i disoccupati e i precari) che restano fuori dai cancelli può giocare con un sì o con un no al posto loro.

sabato 8 gennaio 2011

Funerali di Stato

Sulla morte dell'alpino Matteo Miotto in Afghanistan (e sulle dirette televisive dei funerali) la penso esattamente come Vittorio Zucconi.

Affettuosamente


Il TG ufficiale del regime, il sempre più ridicolo Minzculpop del chupa chupa, ci informa con melensa voce di circostanza che Berlusconi ha “affettuosamente” salutato in chiesa la madre di Matteo, il nuovo Alpino ammazzato in Afghanistan. A parte che l’avverbio è del tutto gratuito, inutile e quindi di puro lecchismo minzolesco (come cavolo avrebbe dovuto salutarla, quella povera madre? Sgarbatamente? Freddamente? Ruvidamente? Sdegnosamente? Polemicamente?) io continuo a pensare che chi vuole davvero bene ai “nostri ragazzi” e ha in mano il governo della nazione evita di mandarli a farsi ammazzare in una guerra nella quale nessuno capisce più niente. Sarebbe ora che qualcuno mandasse a farsi fottere questi retori da funerale che vanno a piangere sulle bare di coloro che hanno mandato a morire. Affettuosamente affanculo, s’intende.

venerdì 7 gennaio 2011

Marchionnemente

Nei giorni scorsi ho letto un'interessante intervista a Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, uomo non molto amato anche da gran parte della sinistra, il che, visto lo stato delle cose, gli fa solo onore. Comunque la si pensi, Landini pone alcune questioni assolutamente dirimenti, che andrebbero prese in considerazione se si vuole fare un'analisi seria della vicenda Fiat. La prima riguarda la rappresentanza. "Marchionne e la Fiat stanno cambiando del modello di gestione di impresa, per cui il sindacato esiste solo se aderisce alle idee dell’azienda. Qui c’è la differenza tra un sindacato puramente aziendale o corporativo e un sindacato confederale. Il primo ha il suo orizzonte in quell’azienda lì, e si hanno diritti solo se quell’azienda funziona. Il secondo si pone il problema che un lavoratore, a prescindere da dove lavora, sia dotato di diritti. La novità dell’accordo Fiat non è che vuol lasciare fuori la Fiom e la Cgil – che è già grave – ma che le persone non abbiano dei diritti e non possano decidere. Sindacati importanti come Fim e Uilm, che insieme a noi hanno conquistato i diritti che i lavoratori ancora hanno, accettando una logica di questo genere cambiano la loro natura". La seconda questione riguarda direttamente i diritti e chiama in causa la stessa Confindustria. "Di sicuro c’è un «rischio imitazione», che può svilupparsi in due direzioni. «Imprese» che non si associano e non applicano nessun contratto, in Italia, già ci sono; è un punto su cui farebbero bene a interrogarsi le forze politiche e sociali. L’apertura alle deroghe al contratto nazionale, poi, anche senza arrivare al punto di Marchionne, implica comunque imprese che ti chiedono, per farti lavorare, qualche diritto o un po’ di salario in meno. Tanto più che siamo dentro una crisi che non è finita. E siccome le ragioni che l’hanno prodotta, purtroppo, non sono state affrontate, ecco che le deroghe o il «modello Fiat» indicano una falsa via d’uscita; che può però tentare molte imprese. Comunque aziende importanti hanno continuato a fare accordi con la Fiom, per esempio Indesit, che vede l’impegno dell’azienda a non licenziare nessuno. Oppure l’Ilva di Taranto, dove si sono assunti tutti i lavoratori interinali. Non è vero che in Italia per investire bisogna cancellare leggi e diritti. Viene il sospetto che chi spinge invece su questa linea stia cercando la scusa per dire che in in Italia non si può rimanere. Lo ha ammesso lo stesso Marchionne, quando ha detto che il suo obiettivo resta l’acquisizione del 51% della Chrysler. Dove li prende i soldi? A questo punto le voci sulla vendita di pezzi di marchi o rami d’impresa acquistano un altro senso. Si va verso un rafforzamento o una smobilitazione della produzione di auto in Italia? A noi sembra vera la seconda. Confindustria e Federmeccanica, ora, hanno un problema: non possono continuare a dire che va bene sia la Fiat che il contrario. Le due cose non stanno insieme".

 «Il modello Fiat colpisce tutti»


Intervista a Maurizio Landini

di Rocco Di Michele su il manifesto del 5 gennaio 2011

È come al solito tranquillo, Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, il sindacalista più amato e odiato degli ultimi anni. Cominciamo chiedendogli lumi sui diversi interventi sui giornali di lunedì (Di Vico sul Corsera, Farina della Fim) preoccupati di trovare una soluzione per far «rientrare» la Fiom in Fiat. Come se si capisse solo ora l’enormità dello strappo strappo sulla rappresentanza, se si tiene fuori il sindacato più rappresentativo.

«È evidente che in Italia non c’è una legge sulla rappresentanza. Di fronte al pluralismo sindacale reale, se non c’è una legge che riconosce ai lavoratori il diritto di eleggere i propri delegati e poter decidere sempre sugli accordi che li riguardano, un sistema di relazioni industriali non regge. L’elemento di novità è questo: accordo separato dopo accordo separato, il sistema non tiene perché è un modello antidemocratico che cerca di realizzare un cambiamento di natura del sindacato. Marchionne e la Fiat sono andati anche oltre: siamo al cambio del modello di gestione di impresa, per cui il sindacato esiste solo se aderisce alle idee dell’azienda. Qui c’è la differenza tra un sindacato puramente aziendale o corporativo e un sindacato confederale. Il primo ha il suo orizzonte in quell’azienda lì, e si hanno diritti solo se quell’azienda funziona. Il secondo si pone il problema che un lavoratore, a prescindere da dove lavora, sia dotato di diritti. La novità dell’accordo Fiat non è che vuol lasciare fuori la Fiom e la Cgil – che è già grave – ma che le persone non abbiano dei diritti e non possano decidere. Sindacati importanti come Fim e Uilm, che insieme a noi hanno conquistato i diritti che i lavoratori ancora hanno, accettando una logica di questo genere cambiano la loro natura».

Cambiano anche le prospettive. Non servono davvero quattro sindacati per dire «sì»…

La norma in testa agli accordi di Pomigliano e Mirafiori – eventuali «parti terze» che decidessero di aderire potrebbero farlo solo se tutti i firmatari sono favorevoli – introduce, come negli Usa, il principio che il sindacato può essere presente solo se lo vuole il 50% più uno dei lavoratori. È un modello che non c’entra nulla con la storia europea. Paradossale poi che si voglia importare un modello di relazioni proprio nel momento della sua massima crisi. Una delle ragioni che ha mandato fuori mercato i produttori di auto Usa è che, non esistendo contratto nazionale né stato sociale, giapponesi o coreani hanno avuto mano libera nel produrre lì con salari più bassi. Al punto che anche negli Usa si stanno ora ponendo il problema di costruire un minimo di welfare.

Anche per questo – caso Opel – in Germania hanno respinto l’ingresso della Fiat?

Di sicuro dimostra cosa significa avere un governo che si interessa di politica industriale, che impone il rispetto di regole e leggi. Molti oggi parlano del «modello tedesco». Bene. In Italia c’è uno stabilimento che produce auto per Volkswagen: la Lamborghini. Quell’azienda, la scorsa settimana, ha fatto un accordo con le Rsu che accetta il contratto metalmeccanico del 2008 (l’ultimo firmato da tutti i sindacati, ndr). I tedeschi, qui, per continuare a costruire auto, non hanno scelto il «modello Marchionne», ma il sistema esistente in Italia.

Sembra in discussione anche la credibiltà di Confindustria. Non tutte le imprese possono dire «o si fa come dico io o me ne vado»…

Di sicuro c’è un «rischio imitazione», che può svilupparsi in due direzioni. «Imprese» che non si associano e non applicano nessun contratto, in Italia, già ci sono; è un punto su cui farebbero bene a interrogarsi le forze politiche e sociali. L’apertura alle deroghe al contratto nazionale, poi, anche senza arrivare al punto di Marchionne, implica comunque imprese che ti chiedono, per farti lavorare, qualche diritto o un po’ di salario in meno. Tanto più che siamo dentro una crisi che non è finita. E siccome le ragioni che l’hanno prodotta, purtroppo, non sono state affrontate, ecco che le deroghe o il «modello Fiat» indicano una falsa via d’uscita; che può però tentare molte imprese. Comunque aziende importanti hanno continuato a fare accordi con la Fiom, per esempio Indesit, che vede l’impegno dell’azienda a non licenziare nessuno. Oppure l’Ilva di Taranto, dove si sono assunti tutti i lavoratori interinali. Non è vero che in Italia per investire bisogna cancellare leggi e diritti. Viene il sospetto che chi spinge invece su questa linea stia cercando la scusa per dire che in in Italia non si può rimanere. Lo ha ammesso lo stesso Marchionne, quando ha detto che il suo obiettivo resta l’acquisizione del 51% della Chrysler. Dove li prende i soldi? A questo punto le voci sulla vendita di pezzi di marchi o rami d’impresa acquistano un altro senso. Si va verso un rafforzamento o una smobilitazione della produzione di auto in Italia? A noi sembra vera la seconda. Confindustria e Federmeccanica, ora, hanno un problema: non possono continuare a dire che va bene sia la Fiat che il contrario. Le due cose non stanno insieme. La nostra dichiarazione di sciopero generale il 28 vuol dare proprio questo segnale, oltre al sostegno ai lavoratori di Pomigliano e Mirafiori, i più esposti. Chiediamo a ogni singolo metalmeccanico di scioperare per dire con forza che lui non vuole che nella sua azienda succeda quel che sta avvenendo in Fiat. Un messaggio che deve arrivare alle controparti. Se si vuol andare su questa strada si apre un conflitto senza precedenti, sul piano sindacale e su quello giuridico.

E la Cgil? Pensionati e pubblico impiego vi hanno appoggiato, poi anche la segretaria dell’Emilia Romagna. Sta cambiando qualcosa?

Il giudizio di inaccettabilità dell’accordo è comune a tutta la Cgil. Il problema che si sta ponendo è: qual è l’azione sindacale migliore per rispondere a un attacco come quello portato dalla Fiat? Il Comitato centrale della Fiom ha deciso, senza un solo voto contrario, in presenza della segreteria Cgil, che quell’accordo non si può firmare e che il referendum voluto dalla Fiat non è legittimo. Come si tutelano quei lavoratori? Insieme ai compagni di Torino e Napoli stiamo discutendo delle azioni di lotta e legali da mettere in campo. Ma è evidente che le «forme tecniche» non esistono. Gli accordi si firmano oppure no. Lo strumento del referendum per noi deve diventare un diritto universale. Ma deve avere due caratteristiche: i lavoratori debbono poter dire liberamente sì o no (e invece qui avvertono che, se «no», si chiude la fabbrica), e dentro un quadro di regole condivise.

Ci vuole una legge sulla rappresentanza o basta un «accordo interconfederale»?

Perché un diritto sia esercitabile ci vuole una legge. Quel che sta succedendo non riguarda solo chi lavora a Mirafiori o i metalmeccanici. Serve una discussione esplicita, che faccia i conti con la novità drammatica delle scelte Fiat. Siamo davanti a un attacco senza precedenti che riguarda assolutamente tutti. Mi ha colpito molto che gli studenti, nella loro lotta, si siano resi conto che la cancellazione dei diritti del lavoro riguarda anche loro, ora e in futuro. È una novità assoluta che rimette insieme generazioni che per anni non si sono parlate. Tutta la Cgil dovrebbe essere il luogo di questa discussione. Perché queste idee divengano egemoni nel paese e portino a definire un equilibrio diverso nei rapporti sociali.

Per il 28 si segue lo schema del 16 ottobre anche quanto ad «alleanze»?

È uno sciopero di 8 ore. Una scelta impegnativa in più che chiediamo ai metalmeccanici. Dobbiamo lavorare per informare i lavoratori, essere presenti sui posti. Faremo tante manifestazioni regionali. Ci rivolgiamo però anche a tutti i soggetti che hanno condiviso con noi il 16 ottobre, alle altre categorie, studenti, movimenti per l’acqua, ecc. Insomma a tutti i cittadini che ritengono sia a rischio la Costituzione e i diritti. Vogliamo fare di quella giornata una mobilitazione che dice che un altro modello sociale è possibile e che si può uscire da questa crisi mettendo al centro il lavoro. In ogni città pianteremo delle tende in piazza come luoghi informativi. Incontriamo le forze politiche e non solo. Siamo pronti a parlare con chiunque abbia voglia di confrontarsi con noi.