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domenica 23 novembre 2014

sabato 15 novembre 2014

Razzismo

Ieri sera Maurizio Crozza ha raccontato una storiella sull'origine del razzismo di una semplicità illuminante. Ci sono 12 biscotti sul tavolo e intorno a questo tavolo siedono un politico, un cittadino e un immigrato. Il politico ne prende undici e rivolgedosi al cittadino dice: attento perchè quello vuol prendersi il tuo. Pensiamoci. Non è vero che non ci sono più soldi. Sono solo distribuiti male. E sarà sempre peggio. Secondo me il punto di non ritorno sarà quando andrà in pensione la generazione del "sistema contributivo". Allora forse il povero smetterà di prendere a calci il barbone e finalmente si rivolgerà altrove.

mercoledì 12 novembre 2014

Piove, governo ladro

Mia mamma, che è sempre quella che dicevo qui sotto, non è cambiata nel frattempo, 81 anni, 5° elementare a spizzichi e bocconi, conosce la causa di questi fenomeni alluvionali e sa anche di chi è la colpa. Me l'ha detto domenica. Se si costruisce sui letti dei fiumi, o anche in prossimità,sopra torrenti apparentemente in secca da anni, si abbandona la montagna e non si tengono puliti i boschi, poi succede quel che succede. Minchia, mi ha messo al mondo un genio e io non ho saputo onorare questo patrimonio dienneastico. Quindi? ho chiesto pensando di coglierla in fallo. Traduco dal dialetto con cui è solita esprimersi. Per prima cosa basterebbe pensare ad investimenti che consentissero ai giovani di vivere facendo rivivere la montagna. Forte la vecchia, complimenti. Vai avanti. Qui per la verità abbiamo preso una deriva pericolosa. La soluzione proposta sugli abusi edilizi e sui condoni è stata un po' troppo radicale e poco percorribile, ma del resto mia mamma non fa il ministro dell'ambiente. A proposito: quanto guadagna un ministro dell'ambiente? Non ce l'ho con l'attuale titolare del dicastero che, ammetto, non so nemmeno chi sia: le colpe sono ataviche. So invece che l'arzilla arriva forse a 1000 euro al mese dopo 34 anni di fabbrica. Ma così ne fai una questione di soldi. Già, perchè no?

lunedì 10 novembre 2014

Le adozioni gay viste da mia mamma

Mia mamma è del 1933. E' nata in un paese di montagna, nel buco del culo del mondo, prima di otto fratelli, ai quali, dai 5 ai 17 anni, ha fatto da mamma, perchè la sua di mamma, mia nonna, per mantenere la famiglia doveva andare al lavoro in una fabbrica tessile a 10 chilometri a valle. E ci andava rigorosamente a piedi. Che significava partire alle 4 del mattino quando faceva il primo turno, per rientrare alle 4 del pomeriggio e partire a mezzogiorno e rientrare a mezzanotte in caso di seconda sciolta. Tempi che si dilatavano ulteriormente quando pioveva o nevicava. Questo per dire che mia mamma è riuscita a malapena a finire il ciclo delle scuole elementari. Poi, botta di culo, a 17 anni ha lasciato l'incombenza dei figli alla madre naturale e lei ha preso il suo posto in fabbrica. Per i successivi 34 anni. Nonostante questo curriculum, è da lei che ho preso la passione del giornalismo e della politica. Ancora oggi si vede tutti i telegiornali che non sono in contemporanea e non si perde un talk show. Ha una sua precisa visione del mondo e della politica, dettata dal buon senso e dall'esperienza, che la domenica, quando vado a trovarla, mi riassume in un suo personalissimo editoriale. Prima o poi dovrei anche mettermi a scriverli questi editoriali, perchè sono delle piccole perle di saggezza e di comicità. La comicità è dovuta all'incapacità di mia madre di ricordare i nomi delle persone a cui fa riferimento e quando se li ricorda solo le assonanze mettono sulla giusta strada interpretativa. Il ragionamento però non è mai banale, malgrado le chiusure e qualche manicheismo di troppo, giustificato e giustificabile anche dall'età. Oggi mi ha fatto sorridere e un'infinita tenerezza quando in tv è andato in onda un servizio su un festival teatrale gay. L'abbrivio per lei per parlare delle adozioni alle coppie omosessuali. E lì è uscita tutta la mammitudine che ci può essere in una donna. Si è detta contraria in generale all'argomento ma con un'apertura per le adozioni da parte di due donne. Perchè due papà non ha senso, mentre due donne possono essere per un bambino. o una bambina, la mamma e la zia. Che a suo parere sono un nucleo famigliare più accettabile. Avrei voluto obiettare quanto zie sono certi uomini, ma non avrebbe capito e sarebbe stato fuori luogo. Quello che ha detto ha però una logica e per certi versi è una grande verità: la mamma non può mai mancare. Per il resto, ci si arrangia.

sabato 8 novembre 2014

Elasti

Intelligente, ironica, brillante, comica, teneramente spiazzante e tante altre cose. Elasti la trovate ogni settimana su D di Repubblica (a mio parere l'unico motivo per cui il sabato vale la pena comprare il quotidiano a 1 euro e 80)e più o meno quotidianamente sul blog www.nonsolomamma.com

venerdì 7 novembre 2014

Punti di vista

Il capotreno annuncia l'arrivo in stazione con 14 minuti di ritardo per traffico lungo la linea, scusandosi per il disagio. Il ritardo è un po' di più ma va bene. Sulla sincerità delle scuse non mi pronuncio: il pover'uomo ce l'ha per contratto e neanche questo è il punto. In ogni caso la sua è un'affermazione precisa: siamo in ritardo, vi dico perchè e chiedo venia. A quel punto è bello osservare le reazioni. C'è chi alza gli occhi al cielo, sbuffa e guarda l'orologio. Un punto di vista chiaro. Chi dorme e si sveglia disturbato dalla voce e dal rumore del treno in frenata e chiede a chi gli sta a fianco: dove siamo? A brescia, dormi. Manca molto? Dormi. Qui il punto di vista chiaro è di chi risponde, ma sono fatti privati. Poi c'è il fenomeno, che nella maggior parte dei casi è la prima volta nella vita, indipendentemente dall'età, che sale sul treno, ma ha sentito dire che i treni sono sempre in ritardo e probabilmente quando è salito dentro di sè si augurava di provare l'esperienza per poter manifestare ad alta voce e con una mimica studiata che questa è l'Italia e dove vogliamo andare in Europa, invece in Cina se il macchinista arriva in ritardo viene condannato a morte e comunque se l'Inter perde è colpa di Mazzarri. Infine c'è il punto di vista del pendolare, il mio. Cazzo, grande, 14 minuti di ritardo (erano 19, ma fa lo stesso): una delle migliori prestazioni del mese.

Ultima chiamata

Le cose che scrive Ezio Mauro io mi aspetterei che le dicesse un premier di sinistra. E' chiedere troppo?
(...)Il Premier poteva infatti spiegare al Pd che tocca alla sinistra di governo affrontare la riforma del lavoro perché altrimenti lo farà la crisi che non è un soggetto neutro, ma trasformando in politica il dogma della necessità mette i Paesi con le spalle al muro, tagliando a danno dei più deboli e non riformando nell'interesse generale. Nello stesso tempo poteva richiamare davanti ai suoi ministri il rischio che la crisi comprima soltanto i diritti del lavoro, come se fossero - unici tra tutti - variabili dipendenti, diritti nani, pretendendo quindi un'attenzione particolare alle tutele degli ammortizzatori sociali. Poi poteva dire agli imprenditori che non ci sono pasti gratis neppure per loro, e che dopo la modifica dell'articolo 18 e il taglio dell'Irap dovevano fare la loro parte contribuendo a mantenere i costi della democrazia, quindi del welfare, di quella qualità complessiva del sistema sociale di cui tutti ci gioviamo, qualunque sia il nostro ruolo. Quindi doveva avvertire tutti i soggetti sociali del rischio che si rompa il vincolo tra i vincenti e i perdenti della globalizzazione, con i primi (abitanti degli spazi sovranazionali dove si muove il vero potere dei flussi informatici e finanziari) che non sentono più alcun legame di comune responsabilità con i secondi, segregati nello Stato-nazione che non ha più alcun potere di intervento e di controllo sulla crisi, salvo subirne tutti i contraccolpi. E infine, doveva avvertire il sistema politico e istituzionale, e addirittura l'Europa, del pericolo che attraverso il lavoro salti il nucleo stesso della civiltà occidentale, ciò che ha tenuto insieme per decenni capitalismo, democrazia rappresentativa e welfare state. Di questo si tratta: e capisco che sia difficile comprimere la questione in un tweet. Ma in politica non tutto è istantaneo e non tutto è istintivo, se non vuole diventare tutto isterico, e alla fine instabile (...).
http://www.repubblica.it/politica/2014/11/05/news/il_dramma_del_lavoro_che_spacca_l_identit_della_sinistra-99781591/

mercoledì 5 novembre 2014

martedì 4 novembre 2014

sabato 1 novembre 2014

Nessuno è Stato

Non siamo dalla stessa parte

Da piccolo la mamma, ma anche la maestra a scuola, raccomandavano di non prendere in giro, nemmeno per scherzo, i più deboli, i bambini in difficoltà. Alzare le mani era inammissibile, contro deboli o non deboli indistintamente. Pena una punizione, che non era corporale, altrimenti il messaggio sarebbe stato poco coerente. Si insegnava anche così l'educazione, il rispetto per l'altro, il senso di appartenenza, la considerazione: l'aiuto, soprattutto, la necessità di dare una mano, non tanto al diverso ma in generale a chi ne aveva bisogno. Le manganellate agli operai di Terni sono intollerabili per tutte le ragioni che scrive Alessandro Robecchi.
Ecco, ci siamo. Era fatale che lo scontro da teorico diventasse molto pratico. Dico subito che non mi piace. In generale non mi piace veder menare nessuno, e meno di tutti i più deboli. Nel caso, lavoratori con una lettera di licenziamento in tasca, persone che sono davvero davanti al dramma, gente che probabilmente vede benissimo – meglio di me – la differenza tra il fighettismo glamour della Leopolda e le proprie vite. Una differenza dickensiana, quasi. A questi uomini (uomini perché lavorano l’acciaio, ma anche alle donne, ovvio) si è detto di tutto in questi sei mesi di governo. Che sono vecchi, che il loro posto fisso (l’unica cosa che hanno, e la stanno perdendo) non è più un valore, anzi che sembra un peso per il Paese.

Si è citato ad esempio Sergio Marchionne (quello che cacciava gli operai con la motivazione che erano della Fiom), si è data tribuna (e applausi) a un finanziere che vive a Londra invitato a dar lezioni a chi guadagna facendosi il culo un centesimo di quel che guadagna lui. Si sono insultati i sindacati dei lavoratori, e non parlo della gag dei gettoni (non solo), ma dell’eterno, ripetuto, ossessivamente reiterato fastidio per “i corpi intermedi”, la trattativa, il dialogo. Anche oggi, questa mattina, un’esponente del nuovo Pd ha accusato la Cgil di tessere false (poi retromarcia imbarazzante, ma è tutto imbarazzante, francamente). Il Premier è andato in televisione a dire che “l’imprenditore deve poter licenziare quando vuole”. Persino la legge di stabilità che abbassa le tasse agli imprenditori (la famosa Irap), fa sconti miliardari senza chiedere alcun vincolo, alcun impegno ad assumere. Anzi, si cancella l’ultimo barlume di argine a una politica da Far West nel mondo del lavoro. Segnali. Dieci, cento, mille segnali. Fatti, non schermaglie da social network o freddure buone per twitter. O frasette di facile presa come quelle dei Baci Perugina (come dice giustamente Maurizio Landini: "slogan del cazzo"), o per scempiaggini come "Questo è il governo più di sinistra degli ultimi 30 anni" (Renzi, febbraio 2014). Ora il problema non è più “due sinistre”, ammesso che ci sia mai stato. Ora il problema è che per quelli in piazza oggi e per moltissimi lavoratori (non solo quelli del 25 ottobre) il Pd che sta governando, quello leopoldo e chic, quello amico di Marchionne e Davide Serra, quello che va in visita da Cameron e dice che il lavoro in Italia è ancora troppo rigido, questo governo che fa i patti con Berlusconi, applaudito da Ferrara e da Confindustria, non è più un riferimento. Nemmeno un lontano parente. Se c’era un sottilissimo cordone ombelicale con il vecchio Pci (e successive modificazioni) non c’è più. Per sempre. Mi dicono che la destra sta strumentalizzando, mi si segnalano (dall’interno del modernissimo Pd renziano, tra l’altro) tweet di Salvini e della Meloni. Ma… Ma quello che va detto è che oggi per uno che lavora male, pagato male, incerto sul suo futuro, spaventato, e perdipiù insultato (vecchio, conservatore, dinosauro…) le differenze tra la Meloni e Renzi, tra Salvini e Poletti, tra Verdini e la Boschi sono impalpabili, inesistenti. La politica sul lavoro è la stessa, basta vedere gli applausi di Sacconi al Jobs act. Persino lo scherno e il disprezzo verso chi lavora somiglia a quelli della destra più retriva. Operaio, fabbrica, vengono trattate come parole antiche e volgari, senza alcun rispetto (e non dico sacralità, quello era il vecchio Pci ideologico, brutto, sporco e cattivo: meglio Fanfani ci hanno detto di recente). Ecco, ci siamo. Il coraggio di dire: non siete più dei miei, nemmeno lontanamente viene dunque dalle cose reali, non è un vezzo (diranno: nostalgia, gettoni, anni Settanta, tutte cose che non c’entrano niente), ma un dato di fatto. Ora - a parte i soldatini zelantissimi più renzisti di Renzi - arrivano da quella parte, la parte del gover inviti alla calma, alla freddezza, ad "abbassare i toni". Potrebbe essere tardi. Quando uno dice frasi come “chiudere senza salvare” deve sapere che c’è chi ha pochissimo da salvare, ma proprio perché pochissimo molto molto prezioso. Lo scontro ci sarà, è inevitabile, si può solo sperare che nessuno si faccia male come oggi. Ma una cosa è certa: nessuno potrà dire all’altro “siamo dalla stessa parte”. Perché non è vero.