Translate

mercoledì 31 ottobre 2007

Fiat Volontè tua

Quando uno dice una cazzata ha due possibilità: o ammette lo sbaglio e fa pubblica ammenda o fa finta di nulla e aspetta che della suddetta la piazza si dimentichi. Se invece, malgrado i consigli di amici e parenti di lasciar perdere, persevera e, anzi, rilancia, beh allora, allora vuole farsi insultare…

POL:UDC
2007-10-31 12:06
UDC: VOLONTE', PDL CONTRO TOTALITARISMO REGIMI COMUNISTI
ROMA
(ANSA) - ROMA, 31 OTT – “Abbiamo depositato la proposta di legge che mira a sanzionare chiunque faccia propaganda e apologia a favore di un'associazione, di un movimento o di un gruppo facenti riferimento all'ideologia dei regimi totalitari comunisti o esalti pubblicamente esponenti, principi, fatti, metodi risalenti a regimi totalitari passati e/o presenti che ad essa si ispirano”. Lo afferma il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volonté. “L'Italia - spiega - deve affrontare una questione rimasta aperta con spirito nuovo e capacità d'analisi obiettiva. Lo ha fatto Occhetto nel 1989 con la 'svolta della Bolognina' pochi giorni dopo la caduta del Muro, lo fa ora Veltroni paragonando i crimini di Pol Pot agli stermini della furia nazista di Auschwitz, confermando così la necessità di un dibattito più approfondito”. “Un tema di queste proporzioni - sottolinea - non può essere liquidato con semplici slogan di comodo ma, al contrario, deve consentire una migliore riflessione anche all'interno della coalizione di centrosinistra con lealtà e amore della verità”. (ANSA).
Y60-SPA/ S0A QBXB

POL:COMUNISMO
2007-10-31 14:56
COMUNISMO: GALANTE (PDCI), VOLONTE' SI DA' ALLE COMICHE
ROMA
(ANSA) - ROMA, 31 OTT – “Per un comico che si dà alla politica non poteva mancare un politico che si dà alle 'comiche'”. Così Severino Galante, deputato Pdci, commenta la proposta di legge del capogruppo Udc alla Camera Luca Volonté, che mira a sanzionare chiunque faccia propaganda e apologia a favore dei regimi totalitari comunisti. “Grazie a Volonté - prosegue Galante - ora l'equilibrio è ristabilito. La politica non perde nulla, la nobile arte dei clown ne guadagna molto”. (ANSA).
I53-PAE/ S0A QBXB

Se però esagera, allora non è più tollerabile...

15:53, Mercoledì 31 Ottobre 2007 AGI Globale Politica
==VOLONTE':TERRACINI IN CELLA PIU' LIBERO DI TOGLIATTI A MOSCA
(AGI) - Roma, 31 ott. - Il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volonte', torna alla carica sulla sua idea di introdurre il reato di apologia di comunismo. "La mia iniziativa - spiega l'esponente centrista - non voleva innescare alcuna polemica. La proposta integra l'articolo 272 del codice penale, vietando la propaganda violenta di principi e metodi risalenti ai regimi comunisti" e poi aggiunge un concetto destinato a fare clamore: "Terracini, nelle carceri fasciste, si sentiva piu' libero di Togliatti nel Politburo di Mosca. E questo dice tutto sul comunismo". A proposito della sua proposta Volonte' poi chiarisce: "Sono previste sanzioni detentive e pecuniarie per chi in Italia fa propaganda per la violenta affermazione di una associazione, di un movimento, di un gruppo o di principi e metodi che si ispirano a regimi totalitari comunisti passati e/o presenti. Se poi la propaganda e' diretta in modo specifico all'istigazione a commettere reati contro cose o persone, la pena e' raddoppiata, salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato". "Sono convinto - dice ancora Volonte' a Diario21.net - che il comunismo italiano non sia stato lo stesso, per esempio, di quello sovietico. Occorre tuttavia che qualsiasi realta' di sinistra prenda una volta per tutte le distanze da un certo comunismo che, se in Italia e' stato rappresentato e sostenuto con forme e toni piu' o meno moderati, all'estero ha mietuto 100 milioni di morti. Non dimentichiamocelo". Volonte' conclude: "Prima o poi, l'Italia deve affrontare una questione rimasta aperta con spirito nuovo e capacita' d'analisi obiettiva. Lo ha fatto Occhetto con la 'svolta della Bolognina', lo fa ora Veltroni paragonando i crimini di Pol Pot agli stermini della furia nazista di Auschwitz, confermando cosi' la necessita' di un dibattito piu' approfondito". (AGI) Cav

16:55, Mercoledì 31 Ottobre 2007 AGI Globale Politica
COMUNISMO: SGOBIO (PDCI), VOLONTE'CHIEDA SCUSA SU TERRACINI
(AGI) - Roma, 31 ott. - La frase del capogruppo Udc alla Camera, Luca Volonte', su Terracini nelle piu' libero nelle carceri fasciste che non Togliatti a Mosca ha provocato un nuovo putiferio politico. "Oltre che una grave offesa al dolore e alle sofferenze non solo di Terracini, ma di tutti coloro i quali hanno patito sulla loro pelle il regime fascista - dice Pino Sgobio, capogruppo del Pdci alla Camera -, Volonte' manifesta lo scivolamento politico e culturale di un ceto politico che ha smarrito la propria identita' in nome della nuova caccia alle streghe: i comunisti. Volonte' ha deciso di vestire i panni dell'inquisitore. Si vergogni e chieda scusa a tutti gli italiani che hanno conosciuto per davvero le carceri fasciste". Sgobio conclude: "Evidentemente, le sue cattive frequentazioni stanno dando i primi nefasti risultati. E' una vera e propria indecenza questa affermazione, che fa il palio con quella dell'ex premier Berlusconi sul confino agli antifascisti paragonato nientemeno che a una ' villeggiatura', rispetto alla quale tutte le forze politiche e sociali democratiche del nostro Paese dovrebbero reagire". (AGI) Cav

Genova per noi

Gli agguati, le piccole meschinità di uomini che rappresentano poco più che se stessi, ma forti di un potere ricattatorio fornitogli dall’anomalia di un maggioritario malato, hanno impedito ieri al relatore designato della commissione Affari Costituzionali di portare in Aula la proposta di legge di istituzione di una Commissione d’inchiesta sui fatti del G8 di Genova. Impegno peraltro contenuto a pagina 77 della Treccani presentata dall’Unione in campagna elettorale e a cui, teoricamente, tutti gli eletti dovrebbero attenersi. Proceduralmente non tutto è perduto, perché una relazione di minoranza potrà comunque andare a cercare i voti alla Camera. E lì si capirà se ci sono mandanti, colpevoli o semplici Monsieur Malaussène.
Ognuno può pensarla come crede su Genova 2001, ci mancherebbe. Leggendo però i giornali questa mattina mi è tornata alla mente una frase di Licia Pinelli, moglie dell’anarchico Giuseppe Pinelli, che mi sembra molto calzante, oltre ad esprimere una dignità sconosciuta a molti. La dichiarazione è contenuta in un’intervista di qualche anno fa rilasciata a Giuseppe D’Avanzo di Repubblica e segnalatami da un’amica.
“Uno Stato forte e credibile sa afferrare e sopportare la verità. Se è spaventato dalla verità, quello Stato rinuncia a se stesso, si indebolisce, perde, si dichiara sconfitto (…). Non mi interessa la punizione dei colpevoli. Non mi piacciono le prigioni, non è in prigione che i colpevoli comprendono la natura dei propri errori. Per me giustizia è la consapevolezza degli uomini di che cosa è accaduto”.

martedì 30 ottobre 2007

Diritti e verità

Mi piacerebbe vivere in un Paese dove tutti hanno egual diritto di parola ma dove nessuno pretende di avere il monopolio della verità. Dove, come scrive Michele Serra, “ognuno può vivere secondo i propri orientamenti etici, purchè non costringa gli altri ad imitarlo, purchè non li metta nelle condizioni di doversi piegare a una morale che diventa arbitrio, esclusione, violazione”. Mi sembra invece che ci sia sempre più confusione tra scelte confessionali, che sono sempre individuali, e sfera pubblica. Il Papa ha il dovere di rivolgere le sue raccomandazioni ai credenti in tema di aborto, di contraccezione, di eutanasia e quant’altro. Non è ammissibile quando contesta provvedimenti di legge che riguardano l’intera comunità, non ammettendo peraltro, nemmeno per un attimo, che le scelte di una persona siano il frutto di un lungo e serio percorso di meditazione, magari anche molto sofferto. Da cittadino mi piacerebbe che ogni singolo parlamentare, qualsiasi sia il suo credo, respingesse con fermezza ogni ingerenza della chiesa, in nome di una laicità che è prima di tutto tutela delle sensibilità di ognuno, anche di un ateo. Fino a quando non riusciremo a smarcarci da questa idea illiberale – come la definisce Serra - che una morale religiosa possa e debba egemonizzare un intero consesso sociale, non diventeremo mai un Paese civile.

Comunisti

Vuole stanare tutti i comunisti, anzi, più precisamente, il suo obiettivo è di “stanare uno per uno i fedeli amici di Lenin e dei suoi gulag”. Non ha però detto cosa intende fare quando avrà redatto le liste di proscrizione. Comunque, lui è Luca Volontè, mite capogruppo dell’UDC alla Camera, spesso in tv nei pastoni dei telegiornali, che, con il capo in viaggio di nozze, ha pensato bene di prendersi spazio mediatico lanciandosi in una battaglia che lascia quantomeno perplessi, per i tempi, i modi e gli obiettivi. Cosa si è inventato Volontè: una raccolta di firme per presentare una proposta di legge di riforma costituzionale, al fine di inserire nella nostra Carta anche il divieto di apologia del comunismo, oltre a quello già previsto di fascismo. “Siamo un Paese vergogna – ha detto l’udicci - è necessaria un’operazione verità sui 100 milioni di morti irrisi dai comunisti al governo”. Perché, viene da chiedersi? Qual è la ragione politica che spinge quest’uomo ad esporsi al ridicolo? Accreditarsi agli occhi di Berlusconi, titolare indiscusso dell’anticomunismo? Reclutare gli ex democristiani della Margherita che non ce l’hanno fatta ad aderire al Partito Democratico? Boh. Quel che è certo è che quando il buon Volontè si è girato a vedere quanti prodi (scritto con la minuscola) lo avessero seguito, si è trovato drammaticamente solo. Persino Calderoli, che è Calderoli, pur trovando l’iniziativa condivisibile, l’ha bollata come superflua e comunque tardiva. Certo, essendo Calderoli, non poteva fermarsi lì. L’uomo è quello che è ed ha voluto metterci il carico da undici: “fascismo e comunismo non sono altro che le due facce della stessa moneta – ha quindi aggiunto - ed è inverosimile pensare che dopo essere andata fuori corso nel resto d'Europa non lo sia anche in Italia”. Gli altri alleati si son guardati bene dal parlare. L’unico è stato il democristiano Rotondi, il quale ha ricordato all’amico Volontè che “non esiste il comunismo, ma tanti partiti comunisti, e il comunismo italiano non ci ha negato la libertà, ma ce l'ha portata col sangue dei partigiani”
E i comunisti quelli veri cosa hanno risposto. Nessuno ha scomodato il presidente Napolitano. Fausto Bertinotti, che è un gentleman, si è limitato a dire: “Bisogna che qualcuno provi a spiegarlo a uno dei firmatari della Costituzione come Umberto Terracini”. Più articolata e politica la riflessione del senatore del Prc, Claudio Grassi: “la proposta di Volontà non va sottovalutata, perché, sulla scorta di una risoluzione dal significato analogo presentata (e fortunatamente non approvata) nella sede del Parlamento Europeo, si inserisce in una insopportabile ondata di revisionismo che, appunto, rende legittime e comunemente tollerabili affermazioni così gravi. Dieci anni fa non sarebbe stato possibile. Oggi, invece, quell'insistente campagna contraria all'antifascismo, quella - per intenderci - che equipara le responsabilità storiche di vincitori e vinti, di partigiani e repubblichini e collaborazionisti, e che accomuna, in un'unica grande categoria, il nazi-fascismo e il comunismo, rende concepibile una proposta di legge così dissennata, rischiando - il che è ben peggio - di entrare a far parte del senso comune. La storia del comunismo italiano – ha ricordato Grassi - é la storia di donne e uomini che hanno liberato il nostro Paese dalla dittatura fascista e dalle truppe naziste, di donne e uomini che hanno costruito e difeso, giorno dopo giorno, la democrazia repubblicana. Si porti rispetto per quell'immenso patrimonio di sacrifici, valori ed idee”. Tutto finito? Neanche per sogno. Sprezzante del ridicolo Luca Volontà ha risposto al Presidente della Camera. “Il rispetto per la carica istituzionale e per l'intelligenza del presidente Bertinotti, non consentono polemiche personali”, ma “in Italia chi difende la verità storica sugli orrori del XX secolo passa solo per matto”, mentre “andare ad incensare Lenin o inneggiare al macellaio Guevara è chic”. Per Volonté, “i costituenti comunisti italiani oggi sarebbero i primi a vergognarsi per i 100 milioni di morti e a superare un’ideologia che dimostra ogni giorno, non ultimi i disastri al G8 di Genova, le novelle Br e l'assalto proletario comunista alla chiesa di ieri, la sua intolleranza e violenza. Chiudere gli occhi sulla medesima radice antiumana del nazismo e del comunismo è sleale, falso e sconcertante”. Cosa vuoi dire ad uno così? Niente. Lo puoi solo compatire.

lunedì 22 ottobre 2007

Beppe Viola

Un altro fuori dal coro è stato Beppe Viola, del quale la scorsa settimana è ricorso il venticinquesimo dalla morte. Beppe Viola era tante cose, ma il mio ricordo è di lui giornalista. In Rai e all’Intrepido, settimanale che oggi non c’è più nemmeno come modello. Diciamo che era un misto tra calcio e fumetti, il pane quotidiano di una generazione cresciuta a oratorio e figurine Panini, con le maglie numerate dall’1 all’11, dove l’1 era il portiere, anzi il primo portiere, perché il secondo era il 12, quello che non giocava mai, a volte per un’intera carriera, e l’11 l’ala sinistra, il 7 l’ala destra, il 4 il mediano e il 5 lo stopper. Oltre all'Intrepido c'era Il Monello, ad inscenare una sorta di dualismo editoriale che all’epoca faceva il paio con le grandi rivalità di campo: Rossi - Graziani, Causio - Claudio Sala, Antognoni - Beccalossi, Scirea - Franco Baresi e nel ciclismo Moser - Saronni. Si stava da una parte o dall'altra, senza compromessi. Io stavo nell'ordine con Rossi, Causio, Beccalossi, Scirea e Moser. Pur propendendo per l'Intrepido e dichiarandolo pubblicamente confesso che leggevo anche il Monello. Ma non per ecumenico doroteismo, semplicemente perchè i miei nonni avevano un’edicola in paese e mi veniva facile. Beppe Viola curava, tra le altre cose, la rubrica delle lettere sull’Intrepido. Ricordo che le sue non erano semplici risposte ma aforismi, aneddoti, metafore, storie. Io vivevo di pallone e giornali e mi ero ripromesso che di una di queste passioni ne avrei fatto una professione. Nel frattempo, grazie ai nonni, leggevo tutto il tuttibile. Beppe Viola, Vladimiro Caminiti, che su Tuttosport si firmava camin, Gianni Brera, Giorgio Sbaraini, con cui ho avuto il piacere di lavorare e che ancora oggi scrive a matita e brontola in tv; Gigi Garanzini, che qualche anno fa ha di nuovo tentato di parlare di calcio davanti alla telecamere in modo originale: con gli ospiti seduti di fronte ad una tavola imbandita e un bicchiere di vino. Trasmissione troppo intelligente per quei geni della Rai che infatti l’hanno puntualmente depennata dai palinsesti. Gente insomma capace di trasmettere emozioni, affabulatori, cantastorie, tanto che a volte il pallone era solo un pretesto per raccontare la vita. Beppe Viola è morto in redazione, alla sede Rai di Corso Sempione a Milano. Era il 1982, l’anno della vittoria del Mundial spagnolo. Aveva solo 43 anni. La scorsa settimana la tv di stato ha sentito il dovere di ricordarlo. Di ricordare quella volta che intervistò Gianni Rivera sul tram che lo portava da casa al campo di allenamento. O di quando mandò in onda le immagini di un derby Milan Inter dell’anno precedente, perché quella domenica la partita era stata talmente brutta che non valeva la pena di rivederla. Tito Stagno, capo della Domenica Sportiva, se lo sarebbe mangiato vivo. Per me Beppe Viola era un genio. Di sicuro era un giornalista libero, eccentrico forse, avanti anni luce per la Rai bacchettona, protocollare e priva di spirito dell’epoca, che mal sopportava personaggi non allineati. Per capire chi era Beppe Viola basta forse questo piccolo aneddoto. All'esame da professionista ad Enzo Biagi, presidente della commissione, che gli chiedeva se secondo lui Fanfani nello schieramento della dc stava a destra o a sinistra, Beppe rispose: dipende dai giorni. Un collega oggi su un quotidiano ha definito tardivo e ipocrita l'omaggio della Rai. “Perché allora, e poi nel tempo lungo gli anni, la Rai si guardò bene dall’adottare lo stile giornalistico di Beppe Viola e preferì invece quello di Biscardi. Il calcio di Viola era leggero, ironico, divertente, festoso, sportivo nel vero senso della parola, mai sguaiato, urlante, offensivo, becero e volgare. Ma vinse la linea Biscardi, per cui oggi in tv si dà spazio ai buffoni, a chi fa il cretino, ai litigiosi di mestiere e per interesse. Ecco perché il ricordo senza scuse è suonato tardivo, ipocrita e per nulla rispettoso dell’alta e civile professionalità di Beppe Viola”. Per quel che può valere, sottoscrivo.

venerdì 19 ottobre 2007

Focolare domestico

Pagina 2 della free press Metro. Un operaio 43enne della provincia di Macerata si è impiccato in fabbrica perché temeva di non riuscire più a pagare il mutuo della casa, dopo che la moglie aveva perso il lavoro.
Pagine 5 e 6. Speciale mutui casa della BNL. Titolo: "Accendi un mutuo e vinci la tua casa". A corredo, foto di una giovane coppia, bella e sorridente.
Doveva proprio ammazzarsi ieri quel morto di fame?

mercoledì 10 ottobre 2007

Italiani da Nobel

Nessuno è sceso in strada sventolando il tricolore, ma l’assegnazione del premio Nobel per la medicina all’italo americano Mario Capecchi (più americano che italo, per la verità, visto che si è imbarcato per gli States a 9 anni e l’ultimo ricordo dell’Italia è lo scorbuto) ha sollecitato ed eccitato quel senso di appartenenza che prende ognuno di noi (mi ci metto anch’io, per non sembrare snob) quando c’è nell’aria sentore di inno di Mameli, tutti sull’attenti, occhi velati e mano sul cuore. Personalmente, tra le tante manifestazioni di orgoglio nazionale, sono molto d’accordo con la riflessione dell’on. Chiara Moroni, origini socialiste, attuale vice presidente dei deputati di Forza Italia. "L'assegnazione del premio Nobel a Mario Capecchi – ha detto Moroni all’Ansa - rappresenta per l'Italia un’occasione di riflessione e di stimolo. Non ci si può limitare a gioire per le origini italiane dello studioso, tentando di appropriarsi della paternità scientifica della ricerca. Il professor Capecchi, negli Stati Uniti, da anni studia le cellule staminali ed è bene ricordare che in Italia, a causa di una legge assurda, è vietata la ricerca su quelle embrionali. Nel nostro Paese – ha osservato ancora la parlamentare - non ci sono le condizioni, le agevolazioni e le opportune iniziative per premiare ed incoraggiare la ricerca. Molte leggi, frutto dell’ingiustificata paura e delle posizioni ideologiche, impediscono di puntare strategicamente in questa direzione. Sarebbe necessario – ha quindi concluso - puntare su una legislazione che ponga l’Italia in linea con la comunità scientifica internazionale ed aumentare i finanziamenti ai 'cervelli' perché possano operare in condizioni accettabili. L'auspicio è che l'Italia possa gioire, in un futuro prossimo, per un premio Nobel figlio della capacità di promuovere ricerca”. Ricordo che qualche anno fa ci fu il tentativo di far tornare i cervelli in Italia: un’operazione più che altro d’immagine, per non dire una farsa, visto che non erano venute meno le ragioni dell’espatrio. Una sorta di campagna acquisti di geni italiani, emigrati non per esterofilia ma solo perché la patria, il tricolore, l’inno di Mameli, occhi velati e mano sul cuore, nella migliore delle ipotesi aveva offerto loro solo la possibilità di borse di studio da fame e decenni di anonimato all’ombra di qualche barone. Al contrario, nelle nazioni dove sono andati ad operare, soprattutto negli Stati Uniti, hanno avuto l’occasione di mettersi in gioco ed esser premiati – sia economicamente, sia in carriera – in base alle loro reali capacità. Per rimanere nella metafora calcistica è come se il Pavullo, suo paese d’origine, chiedesse a Luca Toni di rientrare da Monaco per giocare nella squadra locale. In realtà qualcuno si è lasciato lusingare da quelle sirene sperando che nel frattempo qualcosa fosse cambiato, in termini di finanziamenti ma anche di condizionamenti. Non so onestamente quanti siano rimasti e se si siano pentiti della scelta. Di sicuro, finchè per la ricerca non ci saranno fondi, la laicità dello Stato sarà solo di facciata e anche gli scienziati dovranno fare i conti con l’acquasantiera, i premi Nobel avranno magari anche nomi italiani ma del nostro idioma ricorderanno solo ciao e mamma. O anche no. Come il prof. Capecchi.

sabato 6 ottobre 2007

In questo mondo libero


Angie è una donna stropicciata nell’aspetto e dalla vita. Poco più di trent’anni, un figlio piccolo cresciuto dai nonni e un rosario di lavori già alle spalle. L’ultimo in un’agenzia di lavoro temporaneo dove seleziona i nuovi schiavi, vomitati nell'Inghilterra bisognosa di manodopera dalla disgregazione del blocco sovietico, vittime moderne di un capitalismo spietato. Messa alla porta perché ha osato ribellarsi alle attenzioni di uno dei capi decide di mettersi in proprio. Ad aiutarla c’è Rose, l’amica del cuore. Insieme reclutano e smistano immigrati regolari e clandestini nelle fabbriche e nei cantieri di Londra. E man mano che cresce il giro d’affari, Angie sposta un po’ più in là i propri limiti etici e morali: ancora 6 mesi, un’ultima volta. Ma la redenzione non ci sarà, nemmeno quando il suo agire metterà a repentaglio la vita del figlio. E’ una guerra tra poveri quella messa in scena da Ken Loach nel suo ultimo, bellissimo, film “In questo mondo libero”. Il regista inglese punta lo sguardo della sua macchina da presa nella realtà del lavoro illegale, dove la logica del profitto ad ogni costo cancella ogni forma di diritto. Lo fa raccontando la storia con gli occhi dello sfruttatore, per capire cosa passa nella testa di chi tratta esseri umani come una qualsiasi merce. Uno sfruttatore particolare, e qui Loach volutamente spiazza: Angie è figlia della classe operaia, ma la sua storia e la disapprovazione del padre non le impediscono di mettere in atto le azioni più indegne per accumulare soldi e successo. Ne esce una rappresentazione cruda, certo la degenerazione del liberismo, ma nemmeno tanto lontana dal "mondo libero" che ci circonda, fatto di agenzie interinali, di uomini e donne in prestito, precari a vita. Un film in cui alla fine sono tutti vittime, e lo saranno sempre finchè la libertà (vigilata) concessa ad ognuno sarà quella di prendere a calci il più povero nella scala sociale. Da vedere e da consigliare agli amici.

mercoledì 3 ottobre 2007

Che tempo che fa






Da Fazio la politica dei comici

Norma Rangeri


La pagina culturale con i grandi pittori raccontati dal professor Flavio Caroli e i libri segnalati da Giovanna Zucconi. Poche battute per salutari pillole di divulgazione. I temi ambientali con il giovane meteorologo Luca Mercalli (quello con i farfallino) che lavora con il gruppo del Cnr (coordinato da Franco Prodi) e documenta, con una cartina colorata, dove l'estate è stata più torrida (negli ultimi 200 anni l'Italia è al nono posto tra i paesi con maggior aumento della temperatura). L'attualità con le interviste ai politici (domenica è toccato al sindaco Cofferati) ma soprattutto con il formidabile gruppetto di comici al quale in questa edizione si aggiunge Antonio Albanese, calato nei panni di Cetto La Qualunque: nell'acuta polemica sulla casta, ogni sabato sera c'è l'intervento dell'onorevole mafioso, paladino di ogni abuso.
Siamo a Che tempo che fa, il rotocalco di Raitre condotto da Fabio Fazio insieme a Filippa Lagerback. Stessa squadra (Loris Mazzetti, Marco Posani, Pietro Galeotti, Michele Serra) per un fiore all'occhiello della programmazione della rete di Ruffini, che ne approfitta per pubblicizzare il suo palinsesto (ospiti delle prime due puntate Corrado Augias e Fabrizio Frizzi).
Con tono felpato Fazio avrebbe voluto da Cofferati una risposta sul senso della sua politica: «come concilia la legalità con la tolleranza?», «rischia l'accordo con Alleanza nazionale?», «senza un'idea di laicità condivisa cosa farà il partito democratico?». Di fronte alle notarili repliche («se ci sono lavavetri aggressivi devo rispondere, non ci sono priorità, vanno affrontati i problemi grandi e piccoli, rispettare la legge è di sinistra»), netta e spiazzante la sensazione di un senso che pare smarrito, di una politica senz'anima e più chiaro perché anche il partito di Fini la osservi con interesse.
L'anima è invece tornata con gli interventi dei comici (in tv non è una novità). Paolo Rossi, Maurizio Milani e gran finale con Luciana Littizzetto. Dopo giorni di cronache dei telegiornali sulla rivolta dei monaci in Birmania, l'attrice con un solo gesto ha sparato la bordata più significativa. Dopo aver sistemato gli avvoltoi di Garlasco («vorrei dire solo tre parole: siete delle merde»), con un trattamento di favore riservato a Bruno Vespa, Littizzetto ha tirato fuori una bella sciarpa rossa bordata di giallo e se l'è messa al collo. Poi rivolgendosi alle alte gerarchie vaticane, ha invitato i nostri prelati a indossarla in segno di solidarietà. Facendo risaltare agli occhi di tre milioni e mezzo di telespettatori l'assordante assenza di un gesto simbolico di santa romana chiesa.

martedì 2 ottobre 2007

La liberazione di (o da) Bossi

Una volta erano le doppiette, pronte a calare dalle valli bergamasche per liberare la Padania, da chi non si sa. Poi sono venuti i fucili, caricati per dare corpo alla rivolta fiscale. Oggi si invoca addirittura una guerra di liberazione. Che Umberto Bossi non sia propriamente un lord inglese è risaputo. Che invece il centrosinistra si indigni, chieda agli alleati della Cdl una presa di distanza dal leader leghista e dia una risposta politica ed etica ad ogni sparata del senatur, francamente lascia perplessi. Io credo che Bossi sia tutt’altro che stupido. Dopo aver portato al governo del Paese un movimento che più locale non si può, per una serie di ragioni si è ritrovato a dover scendere a patti con Berlusconi per mantenere un ruolo di primo piano nello scenario politico. Una condizione che però gli è sempre andata stretta e soprattutto è sempre andata stretta a quella base - la maggioranza dei militanti - che aveva fatto di "Roma ladrona" e "a casa i terù e i negher" la vera ragion d’essere. Ora, è ovvio che quando raduna la sua folla - che sia a Pontida, a Venezia o a Sant’Angelo Lodigiano - Bossi deve tornare a parlare la lingua delle origini: far sentire al popolo padano che, anche se può sembrare, la Lega non è al soldo di nessuno, che adesso non è ancora tempo ma presto verrà anche la secessione: state pronti, dunque, combattenti della "brigata berghem" a deporre le salamelle e a imbracciare le armi. Per la massa in camicia verde questi slogan sono meglio del viagra: aiutano a mantenere l’erezione, vecchio concept su cui il capo ha giocato a lungo... forse troppo. Se è vera questa analisi, rispondere politicamente alle esternazioni a salve bossiane non fa altro che dare loro un valore politico e legittimarle agli occhi dei seguaci duri e puri. Ancora più inspiegabile una tale presa di posizione se si ritiene - ed è l'unica alternativa possibile - che Umberto Bossi sia un prodotto della legge 180. Che fai, ti metti a disquisire di massimi sistemi con il matto del paese? Anyway, in questo secondo caso c’è una bellissima storiella raccontata dal mio vecchio idolo calcistico Ezio Vendrame che calza a pennello. Durante una partita di un campionato minore, dal terrazzo di una palazzina che dava sul campo, un vecchietto, tifoso della squadra di casa, continuava a lanciare insulti e maledizioni nei confronti della formazione di Vendrame, la Juniors Casarsa. Ad un certo punto il presidente della Juniors, esasperato, si era alzato dalla panchina e rivolgendosi al tizio aveva urlato: “Ogni paese ga el so semo”. Ma un giocatore avversario che si trovava lì vicino aveva prontamente risposto: “Si, xe vero, ma noialtri non lo tegnimo in panchina”. Ecco, appunto.