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lunedì 27 agosto 2018

Lo stupore della notte

Finora l’Italia non è mai stata presa di mira dall’ISIS. Non ci sono stati attentati, non ci sono stati morti, come in Francia o in Germania. Finora. Il Maestro – un uomo? un collettivo di persone? una leggenda? – ha deciso che è arrivato il momento che gli infedeli di qui paghino per le loro colpe. Nessuno l’ha mai visto, il Maestro, nessuno sa il suo nome, ma è riuscito a costruire nel tempo una rete du adepti al Califfato, pronta ad agire e a scatenare l'inferno anche in Italia. Rosa Lopez è una poliziotta tosta. Si è fatta le ossa in Calabria nella guerra alle cosche. Tocca a lei, commissario capo dell’antiterrorismo a Milano, impedire che i piani del Maestro si trasformino in una carneficina. Ma Rosa Lopez non è una donna limpida. Ha tanti, forse troppi segreti, capitoli aperti della sua vita, alcuni dei quali si porta dietro dalla Calabria, che torneranno a chiederle conto. Soprattutto è sotto scacco dell’intelligence americana, alla quale deve rispondere ancor prima che ai suoi superiori. L’unica oasi a cui aggrapparsi si chiama Alessandro Reale, un importante chirurgo, uomo ricchissimo e bellissimo. Ma le oasi, si sa, a volte sono solo illusioni. Non dico come andrà a finire, anche se credo non toglierebbe nulla al piacere di leggere “Lo stupore della notte”, secondo me il romanzo della maturità di Piergiorgio Pulixi, considerato oggi, a ragione, una delle voci più brillanti del noir italiano, dopo l’esperienza nel collettivo di scrittura Sabot di Massimo Carlotto. Pulixi fa crescere la storia e la tensione alternando nei capitoli, con grande maestria e senza mai perdere il filo i preparativi del Maestro, le indagini dell’antiterrorismo, le intrusioni delle spie americane, Rosa Lopez e le sue ombre parallele. Fino all’epilogo, che non è per nulla scontato. Avvertenza: Piergiorgio Pulixi non è una lettura distensiva: non lo è qui e non lo è in generale, penso a “L’appuntamento” o a “Per sempre”. A mio giudizio però “Lo stupore della notte” è uno dei noir più belli letti ultimamente.

giovedì 23 agosto 2018

Mio caro serial killer

Mi è mancata Alicia Gimenez-Bartlett, ma ne è valsa la pena aspettare. Mio caro serial killer, l’ultimo romanzo della scrittrice spagnola, spinge a quelle cose sconvenienti come sottrarsi ai doveri del vivere civile per nascondersi a leggere ancora qualche pagina. Ora, esagero un po’, ma è per spiegare che alcune storie e soprattutto alcune scritture riescano a catturarti tanto da non riuscire a decidere cosa sia meglio: se divorarti in fretta il libro o se centellinare i capitoli per rimanerne immerso e continuare a vivere nella storia, nello specifico al fianco di Petra Delicado e Fermin Garzon, ispettore e vice della Polizia iberica: coppia di investigatori sui generis. Coppia di fatto verrebbe da dire, ma che la Gimenez Bartlett è riuscita a caratterizzare talmente bene che la differenza di genere non interferisce mai sul vivere a stretto contatto e tantomeno sulle indagini. Io, lo confesso, ho un debole per Petra Delicado: è anticonformista, istintiva, non sempre segue il filo logico dei pensieri, e poi le piace mangiare, preferibilmente nelle bettole, e bere. Dopo questo outing diciamo che Petra Delicado e Fermin Garzon - che per la prima volta sono supportati da un ispettore della polizia autonoma catalana, per di più titolare delle indagini, cosa che metterà a dura prova l’ego della Delicado - sono alle prese con un serial killer. Un omicida seriale che ammazza donne sole, sfigurandone poi il volto con un coltello, lasciando sul cadavere una lettera d’amore. Tre le ragazze che vengono trovate nel giro di pochi giorni, alimentando la psicosi nella popolazione e la pressione dei vertici della polizia. Mettendo insieme i pochissimi elementi raccolti, chi indaga riesce a trovare una possibile pista: le tre donne hanno avuto una relazione con la stessa persona, o perlomeno le caratteristiche fisiche di quest’uomo misterioso coincidono in tutti e tre i casi. Di più: tutte si sono rivolte alla stessa agenzia di cuori solitari e sono uscite proprio con mister x che dapprima, sentitosi braccato, fa perdere le proprie tracce, firmando di fatto la sua colpevolezza. Ma una volta rintracciato e chiuso in carcere, il serial killer colpisce ancora. E a uccidere un’altra cliente dell’agenzia, anche questa partner occasionale dell’uomo in cella, è inequivocabilmente la stessa mano. Non vado oltre. Dico solo che si sarà un quinto omicidio, e che anche questa vittima ha un legame con il primo presunto serial killer, ma stavolta la descrizione dell’omicida, visto fuggire da un passante, non corrisponde al suo profilo. Piccola divagazione: ci sono alcuni passaggi nel racconto dove l’autrice dà alcuni indizi che consentono al lettore di farsi un’idea. C’è però bisogno di un’intuizione della mia Petra, per mettere a posto tutti i pezzi del puzzle di una vicenda pesante. Pesante anche dal punto di vista emotivo e del coinvolgimento, qui sì, di genere, che porta forse per la prima volta l’ispettore Delicado a perdere lucidità e a mettere in discussione la professione. La prego signora Batlett, adesso non mi faccia aspettare troppo

mercoledì 22 agosto 2018

A bocce ferme


“A bocce ferme”, vado a memoria, è il settimo romanzo che Marco Malvadi dedica ai vecchietti del Bar Lume, i 4 simpatici venerandi, altrimenti detti “la banda della Ma
gliadilana” che bivaccano nel locale del nipote del più anziano del gruppo, a Pineta, lungomare di Pisa. Da lì, tra battute, lazzi e racconti di vita, si trovano a dirimere i casi di cronaca nera che accadono nella cittadina, aiutando (spesso interferendo) nelle indagini il vicequestore Alice Martelli, da un paio di romanzi, vado sempre a memoria, fidanzata del barrista (la doppia r non è n errore) Massimo Viviani, laureato in matematica ma da sempre titolare dell’esercizio in questione. Il cold case d’abbrivio di “A bocce ferme” arriva dal passato, dal ’68, e riguarda l’omicidio del titolare della Farnesis, l’industria farmaceutica con sede a Pineta e del quale era stato all’epoca accusato e arrestato un sindacalista della fabbrica. Il vero colpevole, reo confesso, viene scoperto a 50 anni di distanza: il figlio adottivo della vittima si autodenuncia nel testamento e l’imbroglio nella linea di successione impone la riapertura delle indagini. A ingarbugliare la matassa è un ulteriore omicidio, legato al precedente. Ad essere trovato morto in casa sua è un ex dipendente della farmaceutica, che proprio quel giorno aveva convocato, ad orari diversi, i giornalisti di alcune testate locali e nazionali per raccontare la verità sulla morte dell’imprenditore. I sospetti in questo caso ricadono immediatamente sull’ultimo titolare della Farnesis, che ovviamente non ha un alibi e tutto l’interesse a non far scoprire la verità. Ma sarà proprio così? Ovviamente no. E stavolta la memoria storica dei vecchietti e l’acume logico matematico del barrista aiuteranno Alice Martelli a risolvere il caso. I vecchietti del Bar Lume è la lettura estiva per antonomasia. Marco Malvaldi è bravo, ha rinnovato un genere, quello del giallo comico in costume. Una formula felice di leggerezza, un sottile pennello che dipinge un’Italia esclusa dalla ribalta mediatica ma che del Paese vero fa capire molte cose. Chi fosse attratto dalla serie, l’esordio dei vecchietti avviene con “La briscola in cinque”, che io comprai, confesso, attirato dal titolo, nostalgico ricordo della (semi) nullafacenza del periodo universitario, condivisa con altri 4 debosciati. Anzi, per la verità loro erano debosciati. Io giocavo anche a tennis

martedì 21 agosto 2018

Sbirre

Anna Santarossa è un vicequestore, Alba Doria un commissario, Sara Morozzi ha lavorato per i Servizi, ora è in pensione. Sono loro le Sbirre, nell’ordine, di Massimo Carlotto, Massimo De Cataldo e Maurizio De Giovanni. Tre racconti di tre maestri del noir italiano per inaugurare (forse) una new wave della letteratura nera, dove le donne in questione non sono paladine della giustizia, eroine che combattono il crimine e difendono la legge, anzi. Anna ha una vita e una carriera apparentemente irreprensibili. In realtà vende informazioni alla mafia bulgara e una volta scoperta e messa con le spalle al muro, usata e ricattata sia dai cattivi che dai (presunti) buoni, per salvarsi deve difendersi da entrambi e inventarsi una terza vita, dove non esistono valori ne’ regole. Alba si trova ad indagare nel magma della rete, tra le pieghe più recondite del dark web per far luce su alcuni omicidi suicidi, presumibilmente guidati e ordinati da un Maestro dell’odio estremo. E più l’indagine va avanti e più il fascino del male e del potere - assoluto, feroce e mascherato - la attrae fino a meditare di percorrerne la stessa strada per vendicarsi di soprusi subiti. Sara torna operativa in un’indagine solitaria e non autorizzata anche lei per vendicare la morte del figlio, deceduto ufficialmente in un tragico incidente stradale, in realtà ucciso volontariamente dall’uomo che l’ha investito. Figlio che Sara non vedeva da oltre 20 anni, da quando se n’era andata di casa con l’amore della vita e che ritrova ora nei racconti, dapprima rancorosi e poi via via solidali, della giovane compagna in attesa del loro primo figlio.
Tre figure di donne estreme: fragili e passionali, che spostano un po’ più in là il concetto di giustizia, riscrivendolo e interpretandolo a modo loro: sedotte dal delitto, soggiogate dalla vendetta, che pur nella drammaticità delle scelte non suscitano disprezzo, anche perché alla fine tutte pagheranno un prezzo altissimo. Personalmente non amo i racconti brevi, ma c’è da dire che in ognuno ci sono i prodromi di una possibile evoluzione dei personaggi in qualcosa di più strutturato. In ogni caso chi ama il genere e apprezza Carlotto, De Cataldo e De Giovanni non rimane deluso

lunedì 20 agosto 2018

Il metodo Catalanotti

Andrea Camilleri l’ho scoperto per caso nel ‘97 leggendo sul Manifesto un trafiletto che recensiva “La voce del violino”, primo libro della serie dedicata al commissario Salvo Montalbano. Da allora il filone noir dello scrittore siciliano è diventato un appuntamento atteso e condiviso con molti amici. Ne “Il metodo Catalanotti" assistiamo a una svolta importante nell’uomo Montalbano. Partirei proprio da qui perché è un cambio che apre nuovi scenari e sarà sicuramente motivo di dibattito.
In questi anni, sulla spinta anche della fiction televisiva, il commissario di Vigata è diventato un fenomeno pubblico. Ha alimentato discussioni, confronti, è stato oggetto di tesi di laurea. Ha fatto nascere fazioni. Personalmente sono idealmente iscritto a quella che sostiene - senza se e senza ma - Livia Burlando, la donna della vita, fidanzata a tempo, lontana e distante dal vero mondo di Montalbano. Ora, mi rendo conto che possono sembrare questioni di lana caprina, ma forse è proprio questo il grande merito di Camilleri: aver costruito una figura letteraria che ha preso vita propria, con cui interloquire, condividere, dissentire, arrabbiarsi, se capita. In questo libro, dicevo, il Montalbano uomo prende una china che non gli fa per niente onore. E non si tratta di una sbandata o di una scappatella, alle quali ci aveva già abituato e sulle quali, per un sostenitore di Livia come il sottoscritto, ci sarebbe comunque da ridire. No, stavolta la faccenda è più seria, perché Montalbano si innamora perdutamente di una ragazza di 30 anni più giovane. E di fronte ad una passione travolgente cosa fa? Si comporta nel modo più meschino e banale possibile. Per questo mi indigno, caro commissario. In questo mondo senza qualità eri ormai una delle poche figure di riferimento, insieme a Tex Willer e Zagor Tenay, lo spirto con la scure: non è accettabile una caduta di stile da uomo qualunque. Scusate lo sfogo. Detto ciò, la vicenda è al solito ben costruita e il finale non è per nulla scontato. La vittima, uccisa in casa con una coltellata al cuore, è il Carmelo Catalanotti del titolo, personaggio a sua volta complesso e intrigante – usuraio e regista teatrale – sperimentatore in quest’ultima veste di un metodo di recitazione traumatico, che obbliga gli attori a vivere in prima persona quello che poi accadrà sul palcoscenico: non quindi una mimesi dell’azione, ma un’identificazione delle passioni. Da questa complessità e dalle ombre che avvolgono attori e debitori, il commissario dovrà partire per trovare il colpevole, sempre se di colpevole alla fine si possa parlare. Come sempre, nelle storie di Montalbano troviamo riferimenti all’attualità sociale e politica: ma questo è principalmente un romanzo sulle passioni: quella per il teatro, di cui Camilleri è un maestro, e quella amorosa. Con i distinguo personali su quest’ultima