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giovedì 8 novembre 2007

Spunti di riflessione

Gli occhi innocenti del diavolo

“….Facciamo appena in tempo a proclamare la rivincita della fisiognomica guardando la foto del romeno violentatore e assassino di Tor di Quinto, con il suo sguardo torvo, i baffi spioventi, la maglia sfilacciata, quand’ecco apparire le foto dei multietnici violentatori e assassini di Perugia (…).
Ci spaventa che il male non abbia un appropriato dress code, una riconoscibile immagine, un codice già decifrato. Che possa essere dovunque e chiunque (…). A ogni delitto la ricerca parte puntando lontano, poi si conclude guardandosi i piedi. Certo capita che il colpevole sia il nomade straniero, ma più spesso è il vicino di casa, la coinquilina, l’ex marito, la mamma. Sono tutti gialli in una stanza chiusa (…). La cronaca nera italiana assomiglia al cinema e alla fiction del paese: due camere, una cucina, un pianerottolo, facce già viste. Quando? Poco fa, salendo in ascensore, scambiando sorrisi e banalità sul clima, il lavoro, gli studi. Non c’è “pacchetto sicurezza” che tenga, è già sfasciato perché non può contenere l’ubiquità del Male, non ci sono ghetti o frontiere per arginarlo, segnaletiche per essere avvertiti della sua imminenza. Accettarlo è un modo per disattivare l’allarme e accendere l’intelligenza”.

Gabriele Romagnoli, da Repubblica di mercoledì 7 novembre


Se l’uomo topo diventa il signore della paura

“…l’uomo che divide la tana coi topi (dite se questo è un uomo, che vive…) sbuca dal suo buio, aggredisce, strazia, e torna a sprofondare (…). Una preda inarrivabile, una borsetta, una donna, è apparsa al suo sguardo notturno, ed è stata strappata alla vita. Dopo, anche la fila di baracche orripilanti e la comunità di persone disgraziate che non erano lì per ghermire violentare e ammazzare è venuta alla luce, e per il fatto stesso di non essere più invisibile è stata spazzata via. Questa è la verità insopportabile della tragedia romana. Il resto è terribile, ma noto (…).
Il fango dal quale è emerso Mailat non attenua di un millimetro la sua colpa. Ma l’autopsia delle baracche, dei cartoni e le pagine di giornale con le donne nude e le Ferrari rosse, costringe a chiedersi perché persone come lui, a parte il gusto della vita brada, dovrebbero temere la galera. Può darsi che sia tardi. Ma anche se lo fosse, e non restasse che limitare i danni di una esasperazione irreversibile dello spirito pubblico, una frontiera non può essere oltrepassata: quella della responsabilità personale, e del rifiuto di giudizi e misure collettive”.

Adriano Sofri, da Repubblica di mercoledì 7 novembre

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