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mercoledì 9 luglio 2008

Opposizioni

C’era un tempo in cui l’opposizione si faceva in Parlamento e le piazze si contrapponevano, anche aspramente, forti di un’idea (diversa) di società. Poi qualcuno – una minoranza - ha pensato che le idee non fossero sufficienti, o troppo borghesi, ed ha iniziato a sparare. Oggi la politica e la piazza si danno di gomito. Hai sentito: quello tromba quella, l’altro è cattolico moralizzatore dei costumi ma si separa per mettersi con una più giovane. Opposizione da ballatoio. Chi ha votato il cavaliere è assolutamente convinto che scopare, si fa per dire, la Carfagna, sia un motivo di vanto. E se il prezzo da pagare è un dicastero, pazienza. Credere di suscitare indignazione nell’opinione pubblica con questi argomenti è una strategia persino imbarazzante. Il popolo degli aiutini non si scandalizza: fa la ola. Per questo, secondo me, ha ragione il direttore del Manifesto, Gabriele Polo, quando scrive che “il problema dell'iniziativa contro «il ritorno del Caimano» non è in ciò che dice, ma in quel che non dice. Nel lasciare ai margini, ad esempio, i temi economici e sociali. Nell'ignorare che l'uso privato e affaristico della cosa pubblica è la forma che riveste la sostanza della trasformazione delle persone in merci, dei cittadini in sudditi”. “Nel frattempo Maroni prende impronte, Tremonti propaganda la sua carità ai poveri, il duo Brunetta-Sacconi smantella in via definitiva i diritti del lavoro, la Russa fa la guerra, Scajola predispone affari nucleari”….

venerdì 4 luglio 2008

Morti irregolari

Era in Italia in cerca di lavoro e fortuna, ma in tre anni aveva trovato un’occupazione solo in nero. Si chiamava Ivan Pyreu, 47 anni, russo. Per la legge italiana un irregolare. E’ morto l’altra sera a Brescia cadendo da una finestra del 4 piano di uno stabile di via dei Mille, neanche 100 metri da casa mia. Stava cercando di scappare dopo un controllo dei carabinieri nell’appartamento abitato da una coppia di moldavi, dove era in corso una festa di compleanno. Una segnalazione dei vicini, pare. Ivan e altri 3 o 4 immigrati, privi di permesso di soggiorno, erano quindi stati invitati in caserma. “Spengo la televisione e arrivo”, avrebbe detto Ivan in perfetto italiano al brigadiere. Poi è salito sul davanzale e si è aggrappato alla grondaia. Non voleva essere espulso, confessano gli amici. Con i soldi del suo lavoro di muratore in nero manteneva i figli in Moldavia.

giovedì 3 luglio 2008

Paradossi

I processi del premier non sono un fatto giudiziario ma un problema politico. Ora, mi chiedo: non sarebbe stato meglio se prima della discesa in campo, o subito dopo, le parti in causa si fossero sedute ad un tavolo e inventandosi una notizia per sviare l’opinione pubblica, o cavalcandone una qualsiasi, avessero concordato di tirare una riga su tutto il pregresso di mister B? A quel punto, caduto il motivo principale del suo impegno politico, mister B. sarebbe tornato a fare il tycoon televisivo e il presidente del Milan, probabilmente la lega sarebbe svanita tra i propri rutti e sicuramente la seconda repubblica avrebbe avuto un percorso, un’evoluzione e una transizione più in linea con le altre grandi democrazie europee. Con un solo strappo al codice penale immaginate cosa ci saremmo risparmiati.

mercoledì 2 luglio 2008

Bambini

Per non dimenticare la differenza tra civiltà e barbarie


Dalla parte dei bambini rom

Vincenzo Spadafora*

L'eco che sta avendo la posizione assunta dall' Unicef Italia rispetto ai provvedimenti annunciati dal governo sulla«schedatura» dei bambini rom, e la conseguente mobilitazione di opinioni nazionali ed internazionali, ha come obiettivo unico ed ultimo la inviolabilità dei diritti dei minori, la indiscriminata tutela della loro esistenza.La nostra non è e non vuole essere una battaglia politica, bensì un modo per rimettere al centro alcune priorità che la politica stessa, troppo spesso e a prescindere dal colore partitico, parrebbe dimenticare. Soprattutto quando si tratta di bambini. Per questo riteniamo che la strada intrapresa dal governo sia errata. Non come un assoluto pregiudiziale, ma come una considerazione che può essere corretta nel merito, ma profondamente distorta nel metodo. L'esigenza è di tutta evidenza: garantire più sicurezza ai cittadini. La schedatura dei bambini rom è la soluzione?Riteniamo di no. Innanzitutto perché quella schedatura, di per sé, costituisce un provvedimento discriminatorio.E' vero, come sottolineato dal governo, che questi bambini vivono in condizioni al limite dell'umanità. Ma è altrettanto vero che essi stessi sono le prime vittime della violenza, dell'insicurezza e finanche dello sfruttamento, per biechi scopi di accattonaggio.Può una schedatura, e quindi una misura meramente repressiva, avere l'effetto di emancipare la loro condizione? O a questo ragionamento manca piuttosto la pars costruens?Noi riteniamo di sì. Ed è su questi punti che vorremmo dialogare, ribadendo la nostra assoluta disponibilità.Sarebbe utile confrontarsi sul come garantire a tutti i bambini il diritto allo studio e l'accesso alle cure sanitarie, prestando attenzione all'attuazione uniforme di tali diritti su tutto il territorio nazionale; sarebbe utile confrontarsi su come favorire l'inserimento scolastico degli alunni di origine straniera; sarebbe importante capire come valorizzare la formazione del personale che a vario titolo lavora con i bambini e gli adolescenti di origine straniera per favorire un approccio sensibile alla diversità culturale; sarebbe utile rafforzare servizi adeguati che possano portare alla possibilità di ricorrere senza alcuna discriminazione rispetto ai minorenni italiani a misure alternative al carcere, qualora bambini rom si rendano protagonisti di azioni in contrasto con la legge.L'Italia non adotta un Piano nazionale dell'Infanzia dal 2004; il che vuol dire che manca lo strumento che dovrebbe invece raccogliere in modo coordinato e integrato le azioni che il governo dovrebbe porre in essere per incidere concretamente sui problemi dei minori nel nostro Paese.L'approvazione del Piano è certamente una priorità così come lo è l'istituzione del Garante nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza come struttura indipendente di monitoraggio e di promozione dei diritti umani.Ci siamo battuti, soprattutto nel nostro Paese, affinché la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia fosse approvata dalle Nazioni Unite e poi ratificata dai governi. E non abbiamo mai smesso di batterci affinché la Convenzione divenisse soprattutto un patrimonio culturale per tutti i cittadini, per l'opinione pubblica e ispirasse costantemente le azioni delle istituzioni e di tutti quei soggetti le cui scelte incidono sulla qualità della vita e sul benessere di ogni bambino, garantendo a tutti gli stessi diritti.Non possiamo permetterci di fare passi indietro. Non è pensabile che traguardi culturali che ritenevamo ormai raggiunti possano nuovamente essere messi in discussione.

* Presidente UNICEF Italia

martedì 1 luglio 2008

Differenze

A futura memoria (2)


Retoriche del disumano

Marco Revelli

Dunque, le cose stanno così.C'è un piccolo numero di persone, quelle che stanno in alto, più in alto di tutti, dichiarate per legge al di sopra di ogni giudizio. Investite, in quanto tali, per ciò che sono non per ciò che possono aver fatto, del privilegio dell'impunità. E ce ne sono altre, più numerose, ma razzialmente delimitate, separate dai buoni cittadini da un confine etnico - quelle che stanno in basso, più in basso di tutti, considerate invece, per legge, in quanto tali, per ciò che sono, non per ciò che possono aver fatto, colpevoli. Almeno potenzialmente. Pre-giudicate.Alle prime non si guarderà mai in tasca, anche se fossero colte, per un accesso di cleptomania, in furto flagrante; alle seconde si prendono fin da bambini le impronte digitali, le si fotografano, perquisiscono, spostano, schedano e controllano senza limiti, come appunto con i delinquenti abituali, o per natura. Questa è oggi, sotto il profilo giuridico e politico, l'Italia. In un solo consiglio dei ministri i due estremi che definiscono i nuovi confini sociali e morali della costituzione materiale della «terza repubblica» sono stati mostrati a tutti, come in un'istantanea. In pochi mesi, in nome dell'ammodernamento e dell'innovazione nell'arte del governo, abbiamo abbattuto ad uno ad uno alcuni dei pilastri fondamentali della modernità, a cominciare dall'universalismo dei diritti. Dal principio dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Dal carattere personale della responsabilità giuridica. L'immagine che offre oggi il Paese è quella di un ritorno brutale, rapido, in buona misura inconsapevole, ma devastante, alle logiche di una società di caste: universi sociali separati e gerarchicamente sovrapposti. Signori, e servi. Eletti, e paria. Uomini, e topi.È un'immagine inguardabile. Dovrebbe produrre un moto istintivo di disgusto, repulsione, vergogna, in chiunque si sia formato nell'orizzonte di valori di una sia pur debole e moderata democrazia. Invece non è così. Inutile nascondercelo: lo scandalo è tale solo per pochi. Tace miseramente - miserabilmente - quell'ombra di opposizione che non rinuncia a credersi e a fingersi governo senza più esserlo. Tacciono pressoché tutti gli opinion leaders (quelli che magari si commuovono per Obama, ma lasciano correre sulla schedatura del popolo rom). Con poche, nobili per questo, ma limitatissime eccezioni. Tace, e in qualche misura acconsente, anche quell'opinione pubblica fino a ieri considerabile «di sinistra», socialmente sensibile, «politicamente corretta»... Tace, magari soffre, ma tace. Per varie ragioni.Perché questo ritorno in buona misura irrazionale al pre-moderno, all'imbarbarimento dello stato di natura, è argomentato con ragioni «pragmatiche», tecniche, efficientistiche, in qualche misura a loro volta «moderne»: perché «serve». Perché «funziona». Perché bisogna «fare».Maroni non è Goebbels (non ne possiede né il fanatismo né la cultura): non tratta i rom come untermenschen - sottouomini - per ragioni «genetiche», ma per ragioni «pratiche». Non perché sono razzialmente «inferiori», ma perché razzialmente disturbano i suoi elettori. La nuova segregazione razziale ha il volto dell'imprenditore brianzolo dai metodi spicci ma efficaci, non più quello dell'ideologo berlinese della razza ariana. E d'altra parte in un universo sociale sempre più complesso e indecifrabile, pagano le semplificazioni estreme: la logica atroce del «capro espiatorio». Ma soprattutto la proposta indecente che viene dall'alto trova consenso nella società che sta in mezzo - nel grande ventre molle di quelli che cercano faticosamente di restare a galla nella crisi che cresce senza affondare sotto la soglia di povertà - perché in tempi di deprivazione le «retoriche del disumano» hanno un devastante potenziale di contagio. Chiamo con questo nome le forme del discorso che negano un tratto comune di umanità a una parte dell'umanità. Che con espedienti retorici pongono un pezzo di umanità al di fuori dell'umanità. Che appunto, in forma diretta o indiretta, tracciano un confine tra uomini e non-uomini, producendo un dispositivo di esclusione e segregazione. Che separano le persone da trattare «come persone» e quelle da trattare «come cose». E in alcune circostanze è drammaticamente gratificante, o comunque rassicurante - per chi è sempre più incerto sulla propria identità e sulla propria condizione sociale, per chi teme di «scendere» o di «cadere» -, essere riconosciuti «come persone» per differenza da chi tale non è. Godere del privilegio di appartenere alla categoria degli «uomini» per differenza da altri, da questa esclusa. Si troverà sempre un imprenditore politico spregiudicato, pronto a quotare alla propria borsa questa risorsa velenosa, ma potente. Questo acido sociale, che scioglie il timore sul proprio futuro in rancore e in consenso.Questo accade oggi in Italia. La deprivazione economica e sociale che colpisce una fascia crescente di popolazione, si converte in deprivazione morale, in un quadro sociale ed economico che vede diventare sempre più intoccabile chi sta in alto (sempre meno redistribuibili le grandi ricchezze), e sotto la spinta di una retorica politica non più contrastata. Di un ordine patologico del discorso che non trova più anticorpi, perché le culture democratiche di fine novecento si sono consumate, nell'agire sconsiderato di un ceto politico a sua volta impegnato prevalentemente a salvare se stesso dal naufragio. Per chi non ci sta, si apre un periodo di sofferenza e responsabilità. Di secessione culturale. Una condizione da esuli in patria. Da apolidi. Per questo la tentazione di mettersi in coda, davanti alle Prefetture, per pretendere che siano rilevate anche a noi le impronte digitali, è grande. Non tanto per solidarietà. Ma perché siamo noi più che loro - i quali in grande misura sono cittadini italiani a tutti gli effetti e risiedono stabilmente sul territorio da decenni - i veri nomadi.