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venerdì 26 febbraio 2010

VotAntonio

Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del consiglio, dice che l’elezione degli italiani all’estero è un problema che riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra e che comunque loro, nel senso del PDL, avevano già sollevato il problema all’indomani delle politiche del 2006. Gli fa eco Stefano Stefani (Lega) presidente della Commissione Esteri della Camera, secondo cui sarebbe il caso di “apportare delle modifiche al sistema elettorale che, in più di un'occasione, ha dimostrato di essere facilmente manipolabile”. Stefani spiega in una nota alle agenzie che “l'attuale legge elettorale, che fa ricorso a plichi e buste contenenti le schede degli elettori inviate ai consolati e da queste spedite poi in Italia, mette decisamente in discussione il diritto di partecipazione al voto e dunque il concetto di democrazia diretta. Sarebbe il caso - aggiunge - di tornare al voto tradizionale con seggi allestiti nelle ambasciate o nei consolati e negli spazi usati dallo stato italiano”. Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori Pdl, ci mette il sentimento e l’amor patrio. “La giusta esigenza di dare voce e rappresentanza alle comunità italiane all'estero non deve sottrarci alla responsabilità di valutare gli esiti della normativa elettorale che ne regola l'espressione. Lo dobbiamo - sostiene Quagliariello - alla moralità della rappresentanza politica; lo dobbiamo alle comunità italiane nel mondo che hanno il diritto di eleggere con rigore, trasparenza e meccanismi certi i propri rappresentanti in Parlamento; lo dobbiamo anche ai parlamentari eletti all'estero, perché i tanti prescelti dai cittadini con serietà e trasparenza non meritano di essere oggetto di pregiudizio a causa di una normativa che evidentemente non è in grado di dare sufficienti garanzie”.
Qualche domanda: 1) perché lo zio Tom, tutti gli zii Tom che vivono in qualsiasi posto del mondo, vicino o lontano, dovrebbero poter decidere il governo del Paese in cui io vivo tutti i giorni e magari esserne l’ago della bilancia, come peraltro è successo? 2) Perché all’allora ministro Tremaglia venne dato mandato di mettere in piedi questa farsa da pizza, spaghetti e mandolino? 3) A chi era stato affidato il compito di organizzare dal punto di vista logistico le votazioni e come era stato previsto lo spoglio delle schede? Quanto ci costa questa pagliacciata?
Basta cazzate. Aboliamo questa legge da valigia di cartone. Non credo che gli italiani all’estero si sentiranno deprivati se non potranno più eleggere chicchessia, quantomeno eviteranno che qualcuno guidi loro la mano; in caso contrario, beh, pazienza, credo che il trauma sia più che sopportabile. In cambio si potrebbero mettere a disposizione biglietti gratis ogniqualvolta la nazionale italiana di calcio va a giocare oltr’alpe: tifo garantito, tricolore, petto in fuori, mano sul cuore, inno di mameli a squarciagola. Loro felici, noi con qualche affiliato in meno in parlamento.

sabato 20 febbraio 2010

Protettori

All’inizio degli anni 90 - si era nell’immediato post Tangentopoli, alla vigilia delle prime elezioni senza la democrazia cristiana e il partito comunista - Luciana Castellina, firma storica del manifesto, scrisse in un appassionato editoriale che, comunque fosse andata, di una cosa avremmo potuto dirci sicuri: non saremmo morti democristiani. Intendendo con questo che era finita un’era, che l’emotività del momento rileggeva solo come una lunga stagione di malaffare, di connivenze politiche ed economiche, che per la prima volta la chiesa si sarebbe trovata a non avere un referente in Parlamento, così come la criminalità organizzata. In buona sostanza, Castellina preannunciava l’inizio di una nuova primavera. Chissà se a 15 anni di distanza la pensa ancora così. L’indomani di quelle elezioni il Manifesto fece la copertina con il faccione di Berlusconi titolando: ha vinto il peggiore. Col senno di poi si può dire che il titolo non solo fu azzeccato ma premonitore. Ha vinto il peggiore non si è rivelato un giudizio di merito relativo. Allora vinse proprio il peggiore in senso assoluto, quello che ha coltivato tutti i vizi della vecchia classe politica, sommandone di nuovi, ha fatto scempio delle istituzioni pubbliche, ha deriso e irriso la Costituzione e si appresta a rottamarla. E tutto questo per cosa? Per la roba. La sua. E per portare avanti questo progetto sta facendo vivere un’intera nazione, consenziente nella sua maggioranza, in un colossale Truman Show: un mondo non vero, inventato, senza regole, o con regole emendabile, che prima o poi presenterà il conto. Ma quel che è peggio lo anticipa Curzio Maltese nel libro La Bolla: “Chi si illude che tutto si risolverà con la fine di Berlusconi, magari accelerata dagli scandali, dimostra di non capire quanto e come ha agito il berlusconismo in questi anni nella società. Non è stato fascismo, ma ha svuotato la democrazia in maniera sistematica e diffusa, nei palazzi delle istituzioni come nelle teste dei cittadini. Ha snervato il parlamento, la magistratura, la libera informazione, la scuola. Ha prodotto una perdita collettiva di senso e di memoria. Siamo ridotti come il paese di Macondo, che dovrà un giorno rinominare gli oggetti. Non è stato facile arrivare a tanto e non sarà semplice uscirne”.

giovedì 18 febbraio 2010

Ma quanto è bello questo titolo?

Giusto per la precisione, visto che la foto è piccola, l'uomo in grisaglia è Bertolaso

venerdì 5 febbraio 2010

Il Ranger del treno


Tre giorni di seguito in orario è un evento che va segnato sul calendario, insieme ai santi, ai compleanni e all’arrivo delle mestruazioni. Ma non è di questo che voglio parlare. In treno capita a volte di assistere a situazioni potenzialmente pericolose che si trasformano, non dico in comiche, ma divertenti sì, grazie all’intelligenza e all’ironia di chi è chiamato a gestirle. L’altra sera salgo su una delle prime carrozze vacanti del solito interregionale. La riempiamo in solo 10-12 viaggiatori, distribuendoci comodamente lungo lo scompartimento vuoto. Tra di noi 7 ragazzi africani. Uno si accomoda alle mie spalle, gli altri fanno gruppo più indietro. Devo ammettere che il viaggio in treno è uno dei momenti più belli della giornata, perché riesco a leggere in tutta tranquillità. Sono assorto nelle pagine dell’ultimo libro di Carofiglio e non faccio caso più di tanto all’aria che mi punge sul collo: o più probabilmente, visto il materiale rotabile su cui sono solito viaggiare, non si tratta di una novità, e di conseguenza di un fastidio. Alzo lo sguardo quando dalla porta di fronte entra il controllore e vedo la faccia simpatica di un signore di mezza età. Contemporaneamente da dietro una voce chiede di far chiudere il finestrino. Il controllore si rivolge al ragazzo alle mie spalle e gli dice cortesemente di provvedere, vista anche la temperatura esterna, ma quest’ultima considerazione l’ho pensata io ridestandomi dall’intreccio della trama. Anzi, in realtà il controllore dice una cosa un po’ ridicola, un misto tra il fumettoso stile Kit Carson, il ranger amico di Tex Willer, e il film western alla John Wayne, ma che detta con quella faccia e in quel contesto, ha un che di simpatico: fratello, mi dicono che dovresti chiudere perché fa freddo. Io invece sento caldo, la pronta risposta del ragazzo. Il controllore non fa polemica, si dirige verso chi ha sollecitato il suo intervento. Breve conciliabolo, che non sento, e nuovo tentativo di mediazione. Se l’approccio di prima era stato simpatico questo lo è ancora di più: Facciamo così, se sei d’accordo: questo treno ha delle carrozze più fresche (confermo, quasi solo carrozze fresche…): tu ora chiudi il finestino e vieni con me: ti trovo un altro posto. Perché non si spostano loro? Perché loro sono in sei, fratello, e mi è sembrato di capire, correggimi se sbaglio, che non ti vogliono molto bene. E’ meglio che tu ed io andiamo da un’altra parte, fidati. Ah, dimenticavo: il controllore si è guardato bene dal verificare i biglietti, che sicuramente tutti avevano regolarmente vidimato, ma nel dubbio, meglio lasciar perdere.

lunedì 1 febbraio 2010

La lepre

Poi dicono che uno è fissato! Per forza, ferroviedellostato è una miniera continua di spunti tragicomici che non ci si può quasi esimere. Archiviato il mese di gennaio durante il quale solo per due mattine il solito regionale ha rispettato l’orario di transito a Brescia e di arrivo a Verona (un record: anche per la legge dei grandi numeri era impossibile fare peggio ), stamattina, con mio sommo piacere e stupore, la voce della stazione l’ha annunciato a Brescia con soli 5 minuti di ritardo. 5 minuti che si sono poi ridotti di fatto a tre. Non faccio in tempo a prendere posto e godermi un inizio mese che nasce sotto buoni auspici, che il capotreno raffredda i miei entusiasmi comunicando una sosta di 20 minuti, non definitivi peraltro, causa un intervento dei vigili del fuoco alla stazione di Desenzano. Sempre il capotreno prega però di non abbandonare le carrozze, perché in caso di via libera anticipato si sarebbe partiti immediately. Dieci minuti più tardi, il semaforo verde viene spostato di ulteriori 20 minuti. Improvvisamente, più o meno alla mezza di ritardo, il treno si muove. Prima fermata, Desenzano. Non guardo nemmeno dal finestrino per vedere cosa può essere successo. Tra Desenzano e Peschiera nuovo annuncio. Questo treno terminerà la corsa alla stazione di Peschiera: i passeggeri diretti a Verona possono prendere il regionale in arrivo sul binario 1. Libro, zainetto, cappottoguantieberretto, discesa in direzione binario 1. In verità, una vera e propria migrazione: la destinazione finale di quel convoglio era Verona, quindi tutti i passeggeri erano diretti lì. Anyway. La spiegazione che il/la capotreno (era una donna) fornisce è quantomeno bizzarra. Siccome noi siamo in ritardo, mentre il treno che ci segue è in orario, è inutile che proseguiamo: è più ragionevole lasciargli strada. Più o meno come la lepre nelle gare di atletica.