Translate

giovedì 17 dicembre 2015

Radici

Lo scrive Filippo Facci su Libero e io condivido, pur condividendo poco di quello che pensa in genere Facci e assolutamente nulla della linea editoriale di Libero.




(…) Le radici cristiane, a mio dire, non c’entrano nulla, perché le mie radici, per dire, non le sento cristiane manco per niente e, nel mio caso, detesto tutte le religioni allo stesso modo: ma mi sono accorto che mi è molto più facile parlar male del Papa, e dei cattolici, che non di un milione e mezzo di islamici che vivono nella Penisola.

QUEL CHE VOGLIO DIRE

In premessa, dunque, considero questo il primo cedimento culturale, ma sul quale non voglio cedere: io voglio poter dire che (anche) la religione islamica non mi piace, non mi piace per niente, anzi, la giudico incivile anche quando moderata e più che mai slegata a qualsiasi remotissima ombra di terrorismo. È un’opinione: poi non leggetemi, non pubblicatemi, non so. Ma so che il modus islamico non piace a moltissimi di noi che pure lo rispettano perché sono – siamo – democratici, come l’islamismo di sua natura non è.
Tutto il resto viene dopo, e non m’importa nulla se gli islamici usano importare in Occidente anche un tasso di permalosità sconosciuto alla nostra cultura: si adeguino oppure si adeguino. Non voglio leggere che una gita scolastica è stata annullata perché prevedeva la visita a un Cristo dipinto da Chagall: voglio che gli insegnanti responsabili vengano sanzionati, o, addirittura, come ha scritto Claudio Magris sempre sul Corriere, licenziati. Non voglio che la scuola pubblica elimini dai testi scolastici le parole «maiale» e «carne di maiale» (più tutti i derivati) per non offendere musulmani ed ebrei: perché il mio Paese non è musulmano, non è ebreo, non è neppure propriamente cristiano: è laico, Costituzione alla mano, e i credo religiosi sono affari privati, dovrebbero esserlo. Non voglio leggere che dei capi di Stato – francesi, italiani, europei – eliminano il vino da tavola nei convivi diplomatici: il vino basta non berlo, mentre, se sono nel mio Paese, voglio poterlo bere anziché accondiscendere al galateo di teocrazie dove le condanne e violazioni dei diritti umani sono la norma: so bene che è un fatto di educazione, ma i compromessi cominciano dal vino, e io di compromessi, con chi impicca le adultere e i dissenzienti, vorrei non farne troppi. Non voglio leggere che il nuovo direttore di Charlie Hebdo ha annunciato che non pubblicherà più vignette su Maometto. Non voglio dover stare attento a come parlo più di quanto farei con un altro cittadino del mio Paese. Non voglio rinunciare a circolare in certe zone milanesi dove la gente prega per strada, e dove ogni tanto riecheggia il muezzin: esattamente come voglio poter dire e scrivere – così è – che non gradisco il giubileo papale soprattutto se è anche a spese mie. (…)

mercoledì 16 dicembre 2015

Santa Lucia

A volte la capacità di sintesi e l'arguzia dei bambini sono disarmanti. Mi racconta un collega pendolare che, a causa del recente cambio di residenza, i suoi figli, 4 e 7 anni, hanno scoperto nella nuova scuola l’esistenza della tradizione di Santa Lucia. O per meglio dire che nella notte tra il 12 e il 13 dicembre la Santa porta i doni a tutti i bambini. Come sa chi abita nel Lombardo Veneto, il rito vuole che per avere quello che desiderano, i bambini devono scrivere per tempo una letterina alla Santa. Bene. L’incipit della letterina dei figli del collega secondo me è geniale: “Cara Santa Lucia, noi adesso abitiamo qui…”.