Translate

venerdì 19 luglio 2013

Volevo solo un panino, una coca e pisciare

Confesso di essere intollerante verso il marketing in tutte le sue declinazioni, dalla pubblicità televisiva (che non guardo) a quella radiofonica (che non ascolto), a qualsiasi tipo di promozione alimentare, cremale, profumale, fino ad arrivare al 3x2 delle professioni di fede. Un sabato mattina uno di questi dispensatori di verità mi ha preso alla sprovvista, nel senso che non sono riuscito nemmeno ad augurargli un attacco di emorriodi, e mi ha ricordato, via citofono, l’imminente fine del mondo e la necessità di avvicinarmi al Tempio per sperare nella salvezza. Siccome sono stato educato bene, ho gentilmente ringraziato per l’informazione sulla fine del mondo ma declinato l’invito ad approfondire l’argomento su da me, come mi aveva proposto. Al che il nostro, con tono risentito, ha manifestato tutto il suo stupore per la mia superficialità, per poi  definitivamente arrabbiarsi quando, sommessamente e cercando di recuperare, ho chiesto se per Tempio intendeva il Tempio Inca, dove la sera prima avevo mangiato un’ottima pizza al salamino piccante. Pronto, pronto… Non credo verrà più a suonare al mio campanello. Tornando alla pubblicità: non so se è una persecuzione personale o se il fenomeno è diffuso su tutta la rete autostradale. Succede che l’altro giorno mi fermo a un autogrill per mangiare un panino, che all’autogrill non si chiamano normalmente panini al prosciutto, alla coppa, al salame o alla mortadella, no si chiamano Fattoria, Icaro, Rustichella e cagate del genere, che prima di andare a fare lo scontrino sei costretto a farti largo davanti all’apposito bancone per identificare nomi e ingredienti.  Mi metto quindi ordinatamente in fila alla cassa e quando arriva il mio turno chiedo un piacentino, banale panino con la coppa, e una coca cola. Vuole fare il menù? Con un euro in più prende un dolce o la frutta, mi dice la cassiera gentilmente professionale. No, grazie. Non prende il dolce? Fa lei tra lo stupito e l’ammiccante: dai lo so che il dolce ti piace. No, sorrido ancora gentile. Nemmeno la frutta? In tono quasi di rimprovero. No, solo un piacentino e una coca. Caffè? No. Gratta e vinci? No. Sul gratta e vinci ammetto di aver vacillato: non ne ho mai comprato uno in vita mia ma ho sperato che gli spot fossero finiti, perché se a quel punto mi avesse offerto anche una corona del rosario l’avrei comprata pur di farla smettere. Nel frattempo la coda si era allungata paurosamente e iniziavo a sentire aumentare l’afrore di un paio di camionisti ucraini dietro di me. Volevo solo un panino e una coca, pisciare e magari sfogliare uno di quegli improbabili libri da autogrill: cento modi per scaccolarsi senza farsi notare. Invece no. Per fortuna in bagno nessuno ha indagato sul tipo di bisogno che mi accingevo a espletare elargendomi consigli (per gli acquisti) in merito.

martedì 16 luglio 2013

Oltre

Come non dare ragione a Norma Rangeri?


Dal Manifesto

Norma Rangeri
12.07.2013

Il Cavaliere riunisce il suo stato maggiore, incassa il coro pretoriano e si prepara allo show-down finale. Il governo non si discute. Si ricatta. Si tiene al guinzaglio Letta junior e intanto si mobilita la piazza contro una magistratura definita "associazione segreta". Finché non scenderà in campo Forza Italia, come nel '94, come un incubo che replica l'inizio della fine. Solo che adesso siamo già oltre la fine. E il cronoprogramma di Berlusconi prevede solo una via d'uscita, fiducioso, come è sempre avvenuto, di riuscire, con una sentenza favorevole o ribaltando il tavolo, a farla franca.

Di fronte alla falange berlusconiana c'è un Pd allo sbando, con un segretario che difende la scelta sciagurata di piegare il Parlamento alla battaglia contro la magistratura. Forse pensando di chiudere la stalla quando i buoi sono usciti da un pezzo. Il Pd in realtà lascia gestire a Berlusconi il proprio congresso e intanto scivola nel gorgo masochista in cui il gruppo dirigente ogni giorno affonda un po'. Lacerato da una guerra intestina senza quartiere, impegnato nell'eroica battaglia a chi affonda meglio il coltello nella piaga dell'avversario interno. Una rissa mediatica combattuta nel vuoto spinto della politica, mentre corre sotto traccia una riforma della Costituzione che dovrebbe regalarci l'elezione diretta di un presidente-caudillo, uomo forte al comando di un paese economicamente annientato da una destra che ha deciso chi saranno i sommersi e chi i salvati.

Chi mai avrebbe immaginato, nonostante peggiori presagi annunciati dal governo delle larghe intese, che il Pd potesse arrivare a sospendere i lavori del Parlamento perché la Cassazione aveva evitato la prescrizione di uno dei processi di Berlusconi? Neppure il più cinico osservatore della politica nazionale, nemmeno il più sconfortato militante rimasto a casa alle ultime elezioni avrebbe spinto la propria disillusione al punto di prevedere una fine così indecorosa di un gruppo dirigente già tramortito e umiliato da un governo sterilizzato nella provetta presidenziale.

Il deserto sociale in cui siamo sprofondati di fronte alla degenerazione estremista del berlusconismo, ai disastri del montismo, al fantasma di una sinistra che non c'è, rende persino difficile pensare di poter giocare la carta delle elezioni. Anche questa estrema riserva della democrazia sembra un'arma debole.



lunedì 8 luglio 2013

Questioni di merde

Attenti a dire che l’Italia è un paese di merda: da oggi si rischia una denuncia per vilipendio. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, chiamata a prendere in esame il caso di un signore, non importa chi, che aveva espresso il suo colorato giudizio (e non è una battuta) a causa di una multa. Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo (per esempio dire che l’Italia è un paese di merda, ndr), scrivono gli ermellini, “non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva". Per integrare il reato, previsto dall'articolo 291 del codice penale, "è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente". L’Italia è un paese di merda rientra dunque tra queste.

Il reato in esame (l’Italia è un paese di merda, ndr), spiega la Suprema Corte, "non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio: basta l'offesa alla nazione, cioè un'espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l'onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall'autore".
Ecco perché il comportamento dell'imputato, che "in luogo pubblico, ha inveito contro la nazione", (gridando, lo ricordo, l’Italia è un paese di merda) , "sia pure nel contesto di un'accesa discussione dopo la contestazione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un'autovettura con un solo faro funzionante, integra il delitto di vilipendio previsto dall'articolo 291 del codice penale".
Questo, osservano sempre i giudici, "sia nel profilo materiale, per la grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente, tali da ledere oggettivamente il prestigio o l'onore della collettività nazionale, sia nel profilo psicologico, integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall'autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l'agente a compiere l'atto di vilipendio": l’Italia è un paese di merda.

Domanda. Se però, genericamente, parliamo di un luogo, Utopia, per dire, sotto scacco da 20 anni di un tycoon televisivo e dall’incapacità della politica di cancellarne le gesta; un paese capace di eleggere per due legislature e di pagare lo stipendio a un mentecatto del genere http://video.repubblica.it/politica/razzi-e-l-interrogazione-impossibile-sui-corridoi-ferroviari/132791/131310?ref=search ; un paese che non ha rispetto della propria cultura; che costringe persone alla soglia dei 50 anni e con 3 lauree al precariato scolastico; che ogni primo luglio le umilia a fare la fila sin dalle prime luci dell’alba all’ufficio collocamento per elemosinare la disoccupazione, ecc. ecc.: questo possiamo dirlo che è un paese di merda o no? Se poi questo paese è anche l’Italia, pazienza.