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sabato 26 gennaio 2008

Nella mani del Cavaliere

Ora dipende tutto da Berlusconi. Sta a lui decidere se passare alla storia, acconsentendo ad un esecutivo a termine, con il mandato di fare la riforma elettorale, magari guidato da Gianni Letta, o rimanere nella cronaca, chiedendo lo scioglimento delle Camere e andando all’incasso con elezioni anticipate. In questo momento ci sta che il Cavaliere festeggi la caduta del governo e guidi il coro di “alle urne, alle urne”. Passata l’euforia sarebbe auspicabile però che riprendesse il dialogo con Walter Veltroni, se mai si è veramente interrotto, per dare corpo ad un nuovo corso della politica italiana. Berlusconi ha una doppia occasione. 1) Dimostrarsi un leader che ha il senso dello Stato e partecipa, guidandolo da una posizione di forza, a un cambiamento fondamentale per ripristinare la governabilità. 2) Rafforzare la propria posizione di leader del centrodestra con una riforma proporzionale in cui i numeri di Forza Italia possano contare per quanti sono, senza dover sottostare a ricatti di nessuno. Questo peraltro varrebbe anche per il Pd.Non dimentichiamoci – e Berlusconi certamente non se l’è dimenticato, anche se adesso fa finta di nulla - che solo due mesi fa era all’angolo, contestato a destra da Fini, abbandonato al centro da Casini, con l’unico appoggio della Lega, peraltro silenzioso. Tanto che per non rimanere oscurato dalla nascita del Partito Democratico, che per ora è solo un po’ meno virtuale di quanto lo era il suo, in una domenica dove il Milan non giocava, si è dovuto inventare il Partito del Popolo delle Libertà, dichiarando conclusa l’esperienza di Forza Italia e della Cdl tutta. Le prese di distanza di Fini e di Casini dall’ex premier erano state dure nei toni e nette nei contenuti, con dispetti e voci molto al di sopra delle righe, in stile bagaglino. Cosa è cambiato da allora? E’ caduto il governo al Senato. Un dato non di poco conto, per carità, ma che dimostra la necessità di porre rimedio ad una condizione anomala, figlia di una legge elettorale definita una porcata addirittura dal suo stesso autore, il leghista Calderoli. Ora, ci sarebbe da discutere a lungo sul perché una riforma così importante sia stata affidata ad uno come Calderoli, che sempre in un ipotetico Paese normale potrebbe ambire solo a vincere la gara di rutti della Val Brembana. Ma tant’è. Il capo dello Stato ha avviato le consultazioni facendo capire che non ha intenzione di sciogliere le Camere e andare al voto con il rischio di ricreare il blocco attuale, anche se a parti invertite. La situazione economica, le emergenze del Paese e gli impegni internazionali dell’Italia non permettono ulteriori errori e leggerezze. Pare che lo stesso D’Alema abbia ammesso che fu uno sbaglio non aver acconsentito, due anni fa, alla proposta del centrodestra di un governo di larghe intese, a fronte di un pareggio elettorale. Fini e Casini, che hanno voce in capitolo più di altri, hanno anticipato quello che andranno a dire al presidente Napolitano. Il primo ha ribadito la sua contrarietà a qualsiasi governo, malgrado solo due mesi fa sostenesse l'esatto contrario in una lettera al Corriere della Sera. Il leader dell’Udc, a cui va riconosciuta la coerenza, si è detto pronto a fare la sua parte in un esecutivo chiamato a scrivere le riforme. Gli inutili del centrodestra e del centrosinistra hanno avuto la loro vetrina nei telegiornali: se mai il Paese dovesse tornare alla normalità, ci penserà la storia a collocare la loro posizione dove merita. La partita vera, o quantomeno l’inizio, si giocherà la prossima settimana con la salita al Colle di Forza Italia e del Pd. Solo allora si inizierà a capire cosa ci aspetta.

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