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mercoledì 31 ottobre 2007

Genova per noi

Gli agguati, le piccole meschinità di uomini che rappresentano poco più che se stessi, ma forti di un potere ricattatorio fornitogli dall’anomalia di un maggioritario malato, hanno impedito ieri al relatore designato della commissione Affari Costituzionali di portare in Aula la proposta di legge di istituzione di una Commissione d’inchiesta sui fatti del G8 di Genova. Impegno peraltro contenuto a pagina 77 della Treccani presentata dall’Unione in campagna elettorale e a cui, teoricamente, tutti gli eletti dovrebbero attenersi. Proceduralmente non tutto è perduto, perché una relazione di minoranza potrà comunque andare a cercare i voti alla Camera. E lì si capirà se ci sono mandanti, colpevoli o semplici Monsieur Malaussène.
Ognuno può pensarla come crede su Genova 2001, ci mancherebbe. Leggendo però i giornali questa mattina mi è tornata alla mente una frase di Licia Pinelli, moglie dell’anarchico Giuseppe Pinelli, che mi sembra molto calzante, oltre ad esprimere una dignità sconosciuta a molti. La dichiarazione è contenuta in un’intervista di qualche anno fa rilasciata a Giuseppe D’Avanzo di Repubblica e segnalatami da un’amica.
“Uno Stato forte e credibile sa afferrare e sopportare la verità. Se è spaventato dalla verità, quello Stato rinuncia a se stesso, si indebolisce, perde, si dichiara sconfitto (…). Non mi interessa la punizione dei colpevoli. Non mi piacciono le prigioni, non è in prigione che i colpevoli comprendono la natura dei propri errori. Per me giustizia è la consapevolezza degli uomini di che cosa è accaduto”.

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