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mercoledì 12 dicembre 2007

Cosa Rossa


Il mondo abbandonato
di Gabriele Polo


(…) Chissà se ne hanno coscienza i dirigenti che sabato e domenica hanno dato vita a un embrione di unità politica segnato da troppi retropensieri e troppe timidezze. Quell'atto doveroso e richiesto a gran voce da ciò che resta del tessuto militante della sinistra non sconta solo le difficoltà che vengono dallo stare in un governo che di sinistra ha poco o nulla, né solo il travaglio di identità diverse da mettere in comunicazione tra loro per un'azione comune. A pesare c'è soprattutto la mancanza di una lettura della società, una concezione della rappresentanza sempre più indistinta e perciò in crisi, la mancanza di efficacia prodotta dalla crescente distanza tra ciò che si enuncia e ciò che si fa (o ci si riduce a fare). O, per essere quasi banali, sapere a chi vuoi dare voce e contro chi. E da lì trarre delle conseguenze. Perché, ad esempio, se si subisce in nome di «superiori interessi politici» la diminuzione del costo degli straordinari per le imprese, non ci si può poi stupire di fronte a turni di lavoro che arrivano a dodici ore consecutive. Come è successo in quell'acciaieria di Torino. In questi giorni sono state spese molte parole e molti minuti di silenzio per le vittime della ThyssenKrupp. Sono stati promessi controlli più accurati e norme più severe. Va tutto bene. Ma non sarà un consiglio dei ministri straordinario a rimettere al centro dell'agenda politica la crucialità del lavoro e della sua condizione. Non basterà un cartello elettorale di sinistra a ridare automaticamente voce e speranza a chi lavora. Serve una rivoluzione culturale che sposti il baricentro dell'azione politica dai palazzi alla società e che consideri il lavoro e i suoi conflitti una risorsa, non un problema o un costo. La «Cosa» (rossa o arcobaleno) parte da lì. O non parte proprio.

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