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venerdì 4 gennaio 2008

Ferrara, il 'grande' malato

Ricevo da Carlo e volentieri pubblico (oltre a condividere)

Che Giuliano Ferrara sia un bischero è cosa nota a tutti. Che si diverta a provocare, spesso con arguzia e ironia, fa parte della vecchia scuola comunista cui appartiene ancora oggi. E non può certo nascondersi, data la mole, dietro ad un dito. Ma da qualche tempo arguzia e ironia, provocazione e intelligenza, hanno perso il sincrono.
Il punto di non ritorno è stata la ‘svolta’ clerical-conservatrice iniziata con l’avvicinamento alla chiesa cattolica (non nella fede - Ferrara fede non ne ha, a meno di svolte recentissime - ma ai valori, se così possiamo definirli, della chiesa apostolica e romana) e continuata con un drastico cambio di linea del suo giornale, divenuto oggi il battagliero organo (pagato con soldi pubblici) dei cosiddetti ‘teocon’. Insomma il peggio che l’Italia politica possa offrire agli italiani.
Al centro delle sue battaglie, dunque, la negazione delle conquiste in tema di diritti civili. Buona ultima, in questi giorni su tutti i giornali (che malauguratamente, perché poveri di idee e di spirito libero, offrono il fianco a queste sciocchezze), la ‘moratoria’ internazionale per combattere l’aborto, un seguito dalla tragica approvazione della legge 40 sulla procreazione assistita.

Non so se Ferrara crede davvero nelle battaglie che ingaggia. Ma la mia sensazione è che per lui queste battaglie siano terapeutiche. Questa sua ricerca estrema di polemica, che sembra rivolta all’esterno, in realtà è rivolta soprattutto verso se stesso: vuole cioè giocare a dimostrare di essere in grado di sostenere perfettamente e provocatoriamente una tesi contraria al sentire comune. Tanto bene da convincere anche nutriti gruppi di persone a seguirlo.
Una terapia che funziona, purtroppo, solo quando i temi dello scontro sono seri, magari riferiti a questioni etiche, in un Paese in cui la politica è già fortemente influenzata da una seccante e petulante presenza vaticana dal fastidioso accento tedesco.

Ecco dunque comparire l’idea della ‘moratoria’ contro l’aborto. Dopo 40 anni, una bella polemica sui diritti civili conquistati a fatica dagli italiani, lo fa stare meglio.
Peccato che questa volta la faccenda si stia facendo seria. E pericolosa, perché viscida, perché falsa. E perché da la sensazione di essere solo l’inizio di una arrogante cavalcata clericale destinata a colpire diritti di uomini e donne di questo martoriato Paese.
La follia dell’ultimo editoriale pubblicato il 3 gennaio è li da leggere. Si parla di ‘aborto di massa’, di eugenetica, di razzismo e sessismo…

“(…) Posso soltanto ripetere che nel quarantennio che ci divide dal 1968 il mondo è migliorato perché ha combattuto l’aborto clandestino e la pregiudiziale condanna di coscienza delle gestanti che non ce la fanno, anche con leggi di tutela dell’aborto in strutture pubbliche, ma è infinitamente peggiorato perché l’aborto di massa, che ha raggiunto e superato la cifra del miliardo, si è via via caratterizzato come aborto selettivo, come pianificazione familiare a sfondo eugenetico, razzista e sessista. Mancano all’appuntamento demografico duecento milioni di bambini, e solo in Asia. E’ aperta la via al designer baby, cioè alla fabbricazione del bambino oggetto”.

Ma poi ammette la sua malattia. Un po’ come il serial killer che lascia gli indizi agli investigatori:

“Non posso impedire ad alcuno, purtroppo nemmeno ad alcune persone che stimo, di pensare che queste idee siano una trouvaille propagandistica, un’arma di lotta politica o, peggio, un marchingegno per soddisfare ambizioni non confessate.(…). Non coltivo un rapporto di corridoio con il potere ecclesiastico, tutto il bene che penso della capacità di leggere questo tempo dei cristiani e delle loro chiese lo scrivo su questo giornale da anni, quando sia necessario con ironia e sempre con la massima disponibilità ad accogliere ogni tipo di dissenso. Sono felice e contento quando registro imbarazzi per ogni dove, e li rispetto e non polemizzo, e sono felice e contento quando registro adesioni sincere, logiche, argomentate in modo ineccepibilmente rispettoso della profonda, radicale laicità di tutta la questione, da grandi personalità cattoliche come il cardinale Camillo Ruini. Non sono teocon, parola buffa, non sono niente. Sono una persona, ho il compito di sollevare questioni pubbliche nell’ambito del mio mestiere, inteso come Beruf, come lavoro e vocazione, non come mestieraccio. E lo faccio senza esibizionismi, senza ricattare né giudicare alcuno. Lo faccio perché ci credo. Credo che mettere l’aborto, non fuorilegge, ma al di fuori della coscienza accettata di ciò che sono i diritti umani, sia cosa buona e giusta. Credo che si debba affermare in termini morali e spirituali, ma soprattutto di cultura della nostra esistenza, la libertà di nascere. Credo che si debba passare il 2008 a ripetere: “Fate l’amore, non l’aborto”. E a comportarsi di conseguenza nelle politiche pubbliche”.

Questo editoriale chiude una straordinaria stagione del Foglio. Per sempre. Ed è proprio l’ultima frase a far venire i brividi. Perché in sordina propone la creazione di uno stato etico, religioso, confessionale, sulla falsariga degli stati islamici da lui tanto amati.

Non me la sento di entrare nel merito dell’argomento perché non vorrei essere una goccia della medicina di Giuliano Ferrara.
Vorrei solo capire perché in Italia si vuole cambiare ciò che funziona e non risolvere i problemi enormi che sono davanti agli occhi di tutti, a partire da una Regione come la Campania che produce più rifiuti della Lombardia ma non vuole smaltirli. Un Paese che soffre di carenza energetica, che non ha più infrastrutture competitive, che non consente di averle, che ha una scuola pubblica sull’orlo del baratro, e strutture sanitarie pubbliche devastate. Un Paese che non fa più ricerca, che non compete più, in cui non esiste la certezza del reddito (ma che calcola le tasse in base a quello) e del diritto. Ma vi pare che le paranoie di Giuliano Ferrara meritino ascolto?

Vorrei però anche ricordare a tutti coloro che chiedono una revisione della 194 che prima di questa straordinaria conquista di civiltà, moltissime donne, cattoliche e non, pur di abortire finivano nelle mani delle mammane o di criminali che mettevano a repentaglio la loro vita e la loro salute.
Questa legge non obbliga le donne cattoliche, cristiane, musulmane e di qualunque altro credo religioso ad abortire (una donna che considera l’aborto un infanticidio può semplicemente partorire, magari ‘con dolore’) ma consente però a tutte le altre, cattoliche e non, che ritengono – a torto o a ragione – di non sentirsela di portare a termine una gravidanza, di non rischiare la vita e la salute come avveniva in passato.
Non c’è nulla di civile nel tentativo di privare le donne italiane di un diritto sancito da una legge approvata a grande maggioranza dal Parlamento e rimasta legge dopo una sonora sconfitta referendaria proposta proprio da coloro che oggi, sotto diversi nomi, ritentano una guerra di religione che non promette nulla di buono per la libertà di questo paese. A maggior ragione considerando che le identiche interruzioni di gravidanza sono possibili in tutti i civilissimi Paesi europei confinanti con l’Italia, che ha solo la sfortuna di ospitare il Vaticano.

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