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martedì 30 marzo 2010

Danny Cap

Parlare male, fare dell’ironia su Daniele Capezzone è fin troppo facile, quasi vigliacco, come prendere a sberle uno che sta cagando. In generale non so se sono più imbarazzanti le sue dichiarazioni o quelle di Sandro Bondi: in entrambi i casi, quando appaiono in tv, vorrei avere il potere di bloccarli in tempo, prima che dicano cose sconvenienti, intendo. E’ una reazione protettiva quasi istintiva, incontrollabile: mi da umanamente fastidio vedere chicchessia mettersi in ridicolo. Evidentemente comunque il giudizio non è condiviso, visto il consenso che raccolgono. Allora penso che Capezzone e Bondi abbiano un ruolo sociale importante, che riconcilia alla vita nei momenti di poca autostima. In un’ipotetica classifica dei coglioni, ognuno di noi è legittimato a pensare di avere davanti, irraggiungibili, almeno due concorrenti.

giovedì 11 marzo 2010

La massa

(…) Ci fa comodo, quando si parla di responsabilità personale, far parte di una massa indistinta, priva di volto, d'identità e all'apparenza libera da oneri e colpe. Probabilmente è questa la grande domanda che l'uomo moderno deve porsi: in quale situazione, in quale momento io divento massa? Ci sono definizioni diverse per il processo con il quale un individuo si confonde nella massa o accetta di consegnarle parti di sé. Io ho l'impressione che ci trasformiamo in massa nel momento in cui rinunciamo a pensare, a elaborare le cose secondo un nostro lessico e accettiamo automaticamente e senza critiche espressioni terminologiche e un linguaggio dettatoci da altri. I valori e gli orizzonti del nostro mondo e il linguaggio che lo domina sono dettati in gran parte da ciò che noi chiamiamo mass media. Ma siamo davvero consapevoli del significato di questa espressione? Ci rendiamo conto che gran parte di essi trasformano i loro utenti in massa? E lo fanno con prepotenza e cinismo, utilizzando un linguaggio povero e volgare, trasformando problemi politici e morali complessi con semplicismo e falsa virtù, creando intorno a noi un'atmosfera di prostituzione spirituale ed emotiva che ci irretisce rendendo kitsch tutto ciò che tocchiamo: le guerre, la morte, l'amore, l'intimità. In molti modi, palesi o nascosti, liberano l'individuo da ciò di cui lui è ansioso di liberarsi: la responsabilità verso gli altri per le conseguenze delle sue azioni ed omissioni. E' questo il messaggio dei mass media: un ricambio rapido, tanto che talvolta sembra che non siano le informazioni ad essere significative ma il ritmo con cui si susseguono, la cadenza nevrotica, avida, commerciale, seduttrice che creano. Secondo lo spirito del tempo il messaggio è lo zapping (…).

David Grossman

martedì 9 marzo 2010

Forma e sostanza

Tecnicamente si può già parlare di dittatura. Forse non ce ne siamo ancora accorti perché siamo abituati ai colonnelli greci o alla giunta militare cilena. Ma quello che conta è la sostanza, non la forma.
Oggi è inutile mandare i carri armati per prendere il controllo delle principali reti televisive, basta cambiare i direttori. Non serve far bombardare la sede del parlamento, è sufficiente impedire agli elettori di scegliere i parlamentari. Non c’è bisogno di annunciare la sospensione di giudici e tribunali, basta ignorarli. Non vale la pena di nazionalizzare le più importanti aziende del paese, basta una telefonata ai manager che siedono nei consigli d’amministrazione.
E l’opposizione? E i sindacati? Davvero c’è chi pensa che questa opposizione e questi sindacati possano impensierire qualcuno?
Gli unici davvero pericolosi sono i mafiosi e i criminali, ma con quelli ci si siede intorno a un tavolo e si trova un accordo. Poi si può lasciare in circolazione qualche giornale, autorizzare ogni tanto una manifestazione. Così nessuno si spaventa. E anche la forma è salva.

Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale

giovedì 4 marzo 2010

Quando c'erano Ciotti, Pizzaballa e la Sisal


Nel mio calcio Rivera non poteva passare all’Inter o Mazzola al Milan, ma neanche Furino al Toro, tanto per dire. Il mio calcio, quello vero, dei campioni delle figurine Panini, è iniziato negli anni 70, alla televisione. Allora le partite si giocavano solo la domenica, dalla serie A alla terza categoria. Persino i campionati a 7 del CSI, a cui partecipavano i ragazzi grandi del mio paese, si giocavano di domenica, al mattino però. E non pochi preti storcevano il naso per questa concomitanza di eventi religiosi, che finivano per spingere molti a santificare la festa al dio con i tacchetti. Alcune squadre, le solite peraltro, avevano ad onore del vero occupato anche qualche mercoledì, per le coppe europee: Coppa dei Campioni, Coppa Uefa e Coppa Coppe. I tornei prevedevano partite di andata e ritorno ad eliminazione diretta: niente gironi, ripescaggi in altre competizioni o alambiccate varie da reality e festival di sanremo. Il diritto ad accedere alla platea internazionale era semplice e chiaro. La squadra vincitrice del campionato di serie A entrava di diritto in coppa campioni, la seconda e fino alla quarta o quinta classificata (dipendeva dai posti assegnati alle varie nazioni) facevano la coppa uefa, chi vinceva la coppa nazionale, accedeva in coppa coppe. Qualche mercoledì dicevo, perché in genere l’avventura delle italiane nelle competizioni continentali si fermava dopo pochi turni, ai 32esimi o ai 16esimi: era un calcio protoleghista, rigidissimo, frontiere chiuse, nessuno straniero - nemmeno uno svizzero, per dire - con il risultato di un intero movimento palesemente inferiore a nazioni come Inghilterra, Germania o Olanda.
La partecipazione collettiva all’evento, oltre che fisica allo stadio, era garantita dalla schedina, la Sisal come ha continuato a chiamarla mio nonno fino alla fine dei suoi giorni. Ed era possibile farlo, almeno da me, entro le 4 del pomeriggio del sabato, scrivendo direttamente 1, X, 2 sulla matrice. Si vinceva con il 13, il 12 e a volte anche l’11, se sospendevano una partita per impraticabilità o invasione di campo. Per vincere si dovevano indovinare i risultati delle 8 gare di A, di 3 di B e di 2 di C: squadre improbabili queste ultime, di città nemmeno contemplate dal sussidiario della maestra Laura. La prima opportunità di avere i risultati delle partite era data da “Tutto il calcio minuto per minuto”, condotto in studio da Roberto Bortoluzzi, che all’epoca si collegava però solo all’inizio dei secondi tempi, il che voleva dire che se non eri allo stadio, per 45 minuti più intervallo rimanevi all’oscuro di cosa stesse succedendo a San Siro o al Comunale di Torino, al Cibali di Catania o al Partenio di Avellino. Tutto il calcio minuto per minuto non solo cambiò la storia del pallone ma anche i rapporti sociali. Ricordo i quadretti invero un po’ desolanti degli uomini per strada con la radiolina a transistor all’orecchio, incuranti di mogli, morose o amanti al fianco: se la domenica era un dovere portare a spasso le legittime e l’eventuale prole e offrire loro magari anche un gelato o una cioccolata calda, a seconda della stagione, era altrettanto indiscutibile che ad una cert’ora la priorità assoluta l’avessero Enrico Ameri dal campo principale, Sandro Ciotti per la seconda partita di cartello e via via tutte le altre voci: quelle di Claudio Ferretti, Everardo Dalla Noce, Alfredo Provenzali, Enzo Foglianese, Beppe Viola. E l’Italia davvero si fermava quando Ameri gridava: Rete, come scrive Tony Damascelli, che tratteggia magistralmente quello che fu il mio calcio.
Oggi quel calcio non c’è più. Ci sono le società per azioni, le plusvalenze, i procuratori, il mercato aperto tutto l’anno, i bordocampisti e le telecamere pronte a sputtanare chi scaracchia, si scaccola, smoccola o si sistema le pudende; la cempions e l’europa lig, i gironi di cempions dove passano le prime 2 e le terze vengono recuperate in europa; si giocano anticipi, posticipi e spezzatini, ci sono le coppe ufficiali dal martedì al giovedì e durante l’estate o le pause i tornei degli sponsor: la coppa salamino piccante e quella del peperoncino di soverato. Perché le regole le detta chi ci mette i soldi e soprattutto le tv. Chi va allo stadio, i tifosi, conta quanto il due solo a briscola chiamata, e quei pochi che ormai siedono in curva fanno soltanto danni: sarebbe meglio che stessero a casa e comprassero una qualsiasi smart card. La televisione non è più in funzione del calcio, ma è il calcio funzionale alla tv: il nuovo vecchio reality. Alcuni anni fa ci hanno addirittura provato a mettere su una squadra e farla vivere sotto le luci delle telecamere. Non ha funzionato granchè. Ma è stato un modo per sperimentare e aggiustare il tiro. Domani le tv decideranno i campionati, altro che le carte prepagate di Moggi. Non servirà comprare l’arbitro, basterà mettersi d’accordo con il regista. Con buona pace del maestro biscardi che vedrà finalmente realizzato il suo sogno della moviola inogniddove, al prezzo della morte di quello che fu lo sport più bello e più amato, dove era inconcepibile che Rivera passasse all’Inter o Mazzola al Milan, ma anche Furino al Toro. E dove mancava sempre la figurina di Pizzaballa per finire l’album Panini.