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lunedì 19 novembre 2007

La giusta distanza


E’ la giusta distanza emotiva dagli avvenimenti la prospettiva migliore per darne una lettura verosimile, senza per forza giudicarli, soprattutto attraverso le categorie del bene e del male. Più complicato mantenere un distacco da sè: mettersi in gioco comporta sempre un rischio, a volte anche estremo. L’ultimo film di Carlo Mazzacurati, “La giusta distanza”, è la fotografia – nera, ma non solo – della provincia italiana, protagonista passiva delle trasformazioni sociali in atto, dove è inutile cercare colpevoli perché nessuno è innocente. I personaggi di Mazzacurati sono uomini e donne dei nostri tempi: né buoni, né cattivi, almeno in senso assoluto, gente qualunque, con una condotta magari eticamente discutibile, ma che oggi rientra ampiamente nel concetto di normalità. C’è il tabaccaio (il bravissimo Giuseppe Battiston), sposato con una rumena scelta attraverso un catalogo in rete, che si è inventato un’attività alternativa: la pesca d’altura in Adriatico per i turisti, in modo da mantenersi il Suv e le (eventuali) amanti; c’è l’autista dell’autobus, alla vigilia delle nozze con l’estetista, che però si lascia distrarre dalla bellezza della giovane maestra (Valentina Lodovini) appena arrivata in paese; c’è Hassan, il meccanico, che inizia una relazione con la nuova insegnante ma poi viene respinto: lui le chiede di sposarlo, lei ha altri progetti. C’è il direttore del call center erotico, che festeggia in trattoria il successo dell’impresa. Il resto è il paese, con i suoi piccoli casi di cronaca (i cani morti ammazzati e i laboratori clandestini) globalizzato suo malgrado dall’arrivo degli immigrati, con i quali ha apparentemente imparato a convivere. Ma alla scoperta del delitto della maestra, che rompe gli equilibri, è pronto a recuperare il pregiudizio e a condannare silenziosamente quello che è il colpevole ideale: il fidanzato respinto, extracomunitario e per giunta musulmano. Solo il gesto estremo di chi sa di essere in carcere da innocente porterà a scoprire la verità: anche qui una verità banalmente, o tragicamente, di provincia, come a Erba, come a Perugia. L’affresco è molto ben fatto. Valentina Lodovini è una piacevole scoperta, così come Ahmed Hafiene. Bello il cameo di Fabrizio Bentivoglio nel ruolo del caporedattore del giornale locale. Bravi e ben caratterizzati tutti gli altri, da Giuseppe Battiston a Natalino Balasso a Ivano Marescotti. La vicenda è semplice e ruota attorno a tre protagonisti: Mara, la giovane maestra elementare arrivata dalla città per sostituire la vecchia insegnante uscita di testa (che comparirà nell’unica scena ‘fantastica’, felliniana, del film); Giovanni, 17enne con il sogno di diventare giornalista e l’amico tunisino Hassan, artigiano, titolare di un’officina meccanica. E’ Mara a sconvolgere la quiete del paese. E’ bella, solare, espansiva. Hassan ne rimane affascinato ma all’inizio si accontenta di andarla a spiare la notte dalle finestre della casa che lei ha affittato. Anche Giovanni la controlla da lontano. Aiuta Mara a collegarsi ad internet e le ‘ruba’ la password d’accesso alla posta elettronica. Scoperto, Hassan si scusa e corteggia apertamente Mara. Lei in un primo momento lo respinge, poi inizia con l’uomo una relazione, pur sapendo – o forse proprio per quello - che alla fine dell’anno scolastico partirà per il Brasile per un progetto cooperativo. Giovanni riesce a diventare corrispondente del giornale locale e il caporedattore, nel dargli i rudimenti del mestiere, gli ricorda che per raccontare al meglio quel che succede in zona bisogna mantenere la giusta distanza dagli avvenimenti: per non apparire troppo freddi, ma nemmeno eccessivamente coinvolti dalla conoscenza dei personaggi, con il rischio di essere fuorviati dalle emozioni. La situazione precipita quando a Mara viene anticipata la partenza per il Brasile e proprio quel giorno Hassan le chiede di sposarlo. A quel punto Mara non può più nascondere il suo reale progetto di vita e i due ragazzi hanno una discussione. La sera stessa Mara viene uccisa nella sua casa e tutti gli indizi portano ad Hassan. Un colpevole perfetto. Caso chiuso. Al processo Hassan si difende per quel che può, giudicato preventivamente già dal suo avvocato. In carcere l’uomo si suicida e la sorella chiede a Giovanni, in nome della vecchia amicizia, di ridargli, almeno post mortem, la dignità perduta. E tocca proprio al giovane giornalista, mantenendo la giusta distanza, mettere insieme i tasselli che porteranno a scoprire il vero assassino.

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