Translate

venerdì 19 settembre 2008

Dai tortelli alle torte

Ricevo da Carlo

E pensare che l'ho visto da vicino, Roberto Colannino. Era uno degli ultimi due sabati di agosto, in una trattoria nel mantovano, sulle colline moreniche, con la moglie. Sembrava proprio una persona normale. Camicia azzurra con maniche rivoltate, pantalone grigio un po' sciatto con le pieghe sul culo (faceva caldo, basta poco). Lei no, le mogli sono sempre un passo avanti, elegante sobria, sorridente. Belli, una bella copia di anziani, che con 30 euro a testa, una volta al mese, il sabato, possono permettersi anche la trattoria. Invece no. Probabilmente quella sera, prima di andarsene su una Mercedes ML 400 blu, era già tutto pronto. Il piano Alitalia, l'accordo con Berlusconi, con le banche. Davanti a un bel piatto di tortelli di zucca, al gelato e a un buon vino bianco della zona, nonno Roberto parlava con la moglie non solo del figlio e del nipotino, ma anche di affari veri, di soldi veri. Tanti, tanti che uno normale non li ha mai visti. Parlava di tagliare gli stipendi ai dipendenti dell'Alitalia, poi di licenziarne 5 mila, poi di assorbire Air One (che funziona bene, finora). Non certo di come andare a riprendere i milioni e milioni gettati per pagare chi in questi 30 anni ha fatto fallire la compagnia. Manager, amministratori, politici, amici degli amici. Milioni che potrebbero essere utilizzati almeno per lasciare gli stipendi di chi lavora così come sono. Non mi sembra che abbiano chiesto altro.

Sono tutti gay con il culo degli altri




FUGA CON SCUSA
Gabriele Polo

Roberto Colaninno ha lanciato l'ultimatum: «O così, o ritiriamo l'offerta». Il «così» è un piatto avvelenato composto da migliaia di persone disoccupate, da stipendi tranciati al minimo e condizioni miserevoli per chi resterebbe al lavoro (con le conseguenti ricadute in termini di sicurezza per chi vola). «L'offerta» è quel piano Cai per l'Italia alata che spacciandosi come operazione di salvataggio di Alitalia risponde invece alle promesse elettorali di Berlusconi, ai conseguenti benefit (anche in altri settori) per un pugno di imprenditori e alle manovre finanziarie del duo Passera(Intesa)-Toto(AirOne); a partire dai debiti del secondo col primo. Con queste premesse oggi sapremo se quel «non un soldo in più» che ieri ha pronunciato il «capitano coraggioso» di Mantova si tradurrà in una ritirata imprenditoriale o in una debacle sindacale. Sembra un film già visto e in molti lo racconteranno così: come già per la trattativa con Air France i sindacati fanno precipitare Alitalia. Ma non è vero. Se non altro perché il piano di Air France era davvero un progetto industriale con un futuro, mentre quello della Cai è solo un imbroglio. A danno dell'Alitalia, dei suoi lavoratori, dell'erario e di tutti noi. La realtà è che il sacro fuoco che aveva spinto Colaninno e soci ad assecondare le promesse berlusconiane - pensando di guadagnarci sopra qualcosa - si è spento ben presto. Era almeno da una decina di giorni che Roberto Colaninno pensava di mollare tutto. Non poteva farlo da solo, aveva bisogno di un «aiutino» perché nel mondo che conta in pochi hanno il coraggio di dire «ho sbagliato». Ora ha l'occasione di liberarsi da una creatura che vive come un macigno, scaricando la colpa sull'odiato sindacato. Una scusa, una bugia che però - di questi tempi - ha il vantaggio di essere creduta, perché, a forza di ripeterla, una sciocchezza può diventare una cosa seria. Come Berlusconi insegna. Invece la sciocchezza sarebbe proprio accettare l'ultimatum della Cai. Toccherà ai sindacati - e alla Cgil in primo luogo - scegliere tra la forma e la sostanza, tra un finto salvataggio che nulla salva e l'autentico broglio di un assemblaggio aereo che pagheranno lavoratori, viaggiatori, contribuenti. Cisl, Uil e Ugl hanno già scelto la prima strada: contano sull'ondata populista che sorregge Berlusconi e su un'informazione deviata peggio degli antichi servizi segreti. I cosidetti «autonomi» stanno dall'altra parte, ma di loro in pochi si curano, perché - così recita il luogo comune - alla fine si frantumeranno. In mezzo c'è la Cgil, combattuta tra l'essere additata come responsabile di un disastro e la necessità di porre un freno al totale arbitrio degli speculatori sul mondo del lavoro. La Cgil sa bene che il piano di Colaninno non sta in piedi; sa anche che accodandosi a Cisl, Uil, Ugl aprirebbe una frattura difficilmente sanabile con chi vuole rappresentare e sa che firmando accetterebbe implicitamente un altro piano, quello che Confindustria ha presentato per uccidere il contratto nazionale di lavoro. Ora deve scegliere. Su Alitalia e su cosa vuole essere.

venerdì 12 settembre 2008

Forza Italia

Un bel Paese, non c’è che dire. 1) Uomini di destra che occupano legittimamente i posti che occupano ma che non riescono a scrollarsi di dosso il manganello, in un tentativo, fastidioso per non dire altro, di riscrivere la storia con le stesse coordinate di chi parla di calcio al bar dopo aver letto la Gazzetta. 2) Compagni di merende che con il sostegno di una politica connivente cercano di far cassa comprando Alitalia (per probabilmente rivenderla a Air France), riversandoci addosso un mare di debiti e malgrado ciò passano per i salvatori della patria. 3) Merde assolute e senza vergogna che ricattano gli operai della Thyssen proponendo la mobilità o la ricollocazione in cambio: 1. del ritiro della costituzione di parte civile al processo che vede i vertici aziendali alla sbarra per rispondere dell’incendio che costo la vita a non ricordo quanti lavoratori; 2 della rinuncia ad eventuali richieste di danni, in futuro, per eventuali malattie professionali (perchè questo mettere le mani avanti?). 4) Il taglio di decine di migliaia di insegnanti della scuola pubblica quando, per contro, si vanno a dare 5000 miliardi di euro a Gheddafi per costruire una probabile Salerno (Tripoli) Reggio Calabria.



PAURA DEL PILOTA
Gabriele Polo


Salireste su un aereo con alla guida un pilota stanco, sottopagato e arrabbiato? E con delle hostess pronte a rovesciarvi l'aranciata in faccia? Evidentemente no. Ma questo è quello che vi potrebbe succedere se verranno accettate - come in molti sembrano disposti a fare - le proposte della Cai, nuovo acronimo aereo che nelle citazioni ha ormai soppiantato l'antico «Club alpino italiano». Ora, se l'aranciata gettata in faccia da un assistente di volo pagato mille euro al mese può anche essere sopportabile, non lo è certamente l'idea di sollevare i piedi da terra con il rischio di ripiombarci violentemente, causa imperita manovra di un comandante con la mente al mutuo da pagare e uno stipendio di 2.000 euro. E che perdipiù ha dormito poche ore per poter lavorare di più e così arrotondare una magra paga-base. Ben difficile che su quell'aereo ci salirete a cuor leggero - più probabile che cercherete tutte le soluzioni alternative. Tra i tanti paradossi e imbrogli di un'operazione di «salvataggio» fatta soprattutto per salvare la faccia a Berlusconi (ottenendo in cambio un bel po' di commesse collaterali) e i conti della coppia Passera-Toto, c'è anche l'incoerenza tra le sbandierate dichiarazioni per «un'impresa di qualità» e l'inesistente qualità del servizio promessa ai viaggiatori. Che, poi, è una tradizione del capitalismo italiano, il cui «sviluppo» è sempre stato cercato nella contrazione dei costi (a iniziare da quello del lavoro), pensando che il lavoratore sia solo una merce da comprare a basso prezzo e il prodotto una voce puramente quantitativa, facendo utili sul «numero». La merce è, invece, il prodotto, nel caso dei trasporti aerei, i voli; e perché sia un buon prodotto i «produttori» devono essere gratificati da un minimo di tangibile riconoscenza - misurabile in stipendi, orari e diritti. Invece la Cai, oltre a scaricare i costi economici su tutti noi (è stato calcolato che la liquidazione della bad company costerà 100 euro a ogni cittadino italiano, infanti compresi), pensa di nascere costringendo i suoi futuri dipendenti a condizioni di lavoro pesantissime, presupponendo un servizio pessimo, mettendo a rischio la sicurezza di chiunque salga su quegli aerei. Che saranno anche «nuovi», ma con equipaggi rapidamente «invecchiati» da stress e rancori. Quale tipo di competitività possa avere una simile azienda solo Colaninno lo sa. Ma - si dice - «al di là di questo c'è il fallimento». Bel ragionamento: prima fanno saltare la trattativa con Air France, poi mettono a carico della collettività le perdite, infine impongono un'organizzazione del lavoro da terzo mondo. Tutto in nome dell'italianità. Valore assoluto in cui, evidentemente, non rientrano piloti, hostess e altri addetti «dell'aria». E nemmeno i potenziali viaggiatori. Che piuttosto di salire su simili aerei per una vacanza alle Seychelles, preferiranno ripiegare su una gita in montagna. Magari organizzata dal Cai. Quello vero.