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giovedì 24 giugno 2010

La resa dei conti

Un risultato che supera le aspettative. E' contento dell’esito del referendum di Pomigliano il ministro del welfare Sacconi e parlando al Corriere non nasconde l’esultanza: "i sostenitori dell'accordo hanno vinto, la Fiom ha perso". Nell’euforia del 64% di sì, che non ha entusiasmato la Fiat, Sacconi si fa prendere la mano e svela le vere ragioni della soddisfazione governativa. “Il contratto nazionale – chiosa - sarà sempre più una cornice leggera per assicurare i livelli essenziali di salario e tutele ma è a livello aziendale e territoriale che si giocherà il futuro delle nuove relazioni industriali". Con buona pace del sindacato, perlomeno quello non allineato: “la CGIL é come quell'automobilista che imbocca l'autostrada contromano e si chiede perché tutti gli altri vanno nella direzione opposta”. Se fossi al posto di Sacconi non sarei così felice, e del resto la stessa Fiat ha incassato tiepidamente il voto dei lavoratori e sta ancora riflettendo sul da farsi. Che un operaio su 3 non condivida l’accordo non è una cosa da sottovalutare, se valgono le regole della condivisione, soprattutto quando in ballo c’è un progetto ambizioso. Ha ragione Ezio Mauro quando scrive che: “L'unica strada ragionevole, a questo punto, è l'apertura di un confronto che abbia alla base il risultato non equivoco del referendum, e cioè l'accettazione di un piano che è passato al vaglio del voto. Tenendo conto che ci sono modifiche possibili, capaci di salvare le ragioni imprenditoriali di produttività, di efficienza e di garanzia dell'investimento e di includere nell'intesa quel terzo di lavoratori che ha seguito la Fiom nel suo no". Certo sarebbe stato bello che la politica avesse giocato un ruolo diverso, meno subalterno e ideologico, visto anche quanto lo Stato ha fatto per Torino: rottamazioni, ammortizzatori sociali ecc. ecc.. Lo sanno tutti che neanche Marchionne può chiudere Pomigliano se il governo non vuole: si trattava di trovare un compromesso alle giuste esigenze di competitività dell’azienda e i diritti acquisiti dei lavoratori. Se la politica non vuole mediare è perché mira ad altro. Scrive ancora Mauro. “Purtroppo, in questa vicenda il governo ha giocato il ruolo peggiore, gregario e velleitario insieme, all'insegna della pura ideologia: che resiste soltanto in Italia, tra i Paesi europei, e che certo non è uno strumento di risoluzione dei conflitti. I ministri interessati, si sono gettati sull'osso di Pomigliano per un puro ideologismo, cercando riparo nella forza della Fiat per usarla là dove vorrebbero arrivare ma non possono, da soli, e cioè al regolamento finale dei conti con la Fiom e poi con la Cgil. Spaventa vedere un pezzo di governo impegnato nel cuore di una vertenza di portata nazionale esclusivamente per regolare i conti del Novecento, che non è capace di chiudere per via politica, vista la sua mancanza di disegno, di autonomia, di autorità. E' questo intervento autoritario e parassitario che ha dato un segno di "classe" all'affare Pomigliano, stupefacente negli anni Duemila. Quei ministri che urlavano al nuovo ordine quando credevano di avere una valanga di voti (altrui) in tasca, ieri mattina erano preoccupati di rimanere con il cerino in mano, se la Fiat si ritirava, e battevano in ritirata, come qualche leader sindacale".

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