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mercoledì 21 ottobre 2009

Figurante e figuranti

L’articolo è un po’ lungo ma vale assolutamente la pena. L’autore è professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma.
Pubblicato sul Manifesto di domenica scorsa


di Gianni Ferrara
LETTERA AL PREMIER
Signor presidente, Lei è stato ingannato
Lei è stato ingannato, onorevole Berlusconi. Assumo questa premessa. L'unica che credo possa consentirmi di rivolgermi a Lei nella speranza, quanto mai flebile in verità, di una qualche forma di attenzione. Credo infatti remotissima l'ipotesi di poter influire sui suoi convincimenti e sui comportamenti che ne sono conseguiti e ne conseguono. Ci vorrebbe altra forza che quella di uno dei più vecchi costituzionalisti italiani per sperarlo. Ma lo stellone d'Italia potrebbe profittare anche di qualcuna delle riflessioni che andrò esponendo per suscitare in Lei dubbi su qualcuna delle sconvolgenti iniziative che la stampa le attribuisce come prossime. Insisto sulla premessa. Lei è stato ingannato e per tre volte. Da una congiuntura particolare della nostra storia nazionale che ha fatto emergere preoccupazioni e reazioni motivate e spiegabili, miste però ad umori profondi e mefitici. Da una conseguenza che ne ha tratto, a cagione della sua professione, ma non consona alla scelta che ha operato. Da una cultura indotta nell'opinione pubblica e divenuta insistente, martellante, deleteria. La congiuntura a cui mi riferisco è quella dell'inizio della sua avventura politica che coincise con la crisi dei partiti che avevano costruito la Repubblica. Colpiti dalla responsabilità di tangentopoli, quei partiti si rivelarono incapaci di dare una risposta politica alla crisi, una risposta forte e risolutiva, adeguata alla soluzione della questione morale che aveva corroso il sistema politico. Abbandonarono alla magistratura questo compito che, per le proporzione assunte e la qualità della materia implicata, era invece tutto e soprattutto politico. Sciaguratamente anche il partito che aveva esercitato per più di quaranta anni il ruolo di opposizione costituzionale andava dissipando o addirittura rinnegando, per desolante e irresponsabile insipienza di chi lo dirigeva, tutto il patrimonio ideale e politico accumulato. La sua «discesa in campo», onorevole Berlusconi, corrispose all'esigenza di tutto l'elettorato della DC e dei sui alleati che, avendo perduta quella tradizionale, cercava una sua rappresentanza. Lei gliela offrì sbandierando l'anticomunismo dopo averlo dissepolto. Che era però quello stesso delle tante elezioni che si erano succedute dal 1946. Solo che, con Lei, si aggregavano tutti gli elettori in un solo schieramento che aveva come obiettivo il no alla sinistra, tanto più motivato quanto più la stessa sinistra, meno che una sua frazione, appariva confusamente pentita, ma pentita, e si presentava sradicata, sfocata, sfumata. Ebbe grande ed immediato successo questa sua «trovata». Lei si propose come il campione dell'anti-politica. Usò abilmente quel monopolio delle emittenti televisive private che aveva ottenuto con procedure non limpidissime e dimostrò di avere il perfetto possesso della più alta tecnologia di manipolazione dell'opinione politica. La vittoria che ottenne non premiava però una geniale visione politica, un nuovo paradigma culturale ed ideale, un programma di lungo periodo capace di unire e trascinare le donne e gli uomini di ogni classe sociale, di ogni strada e di ogni piazza d'Italia. Fu il primo degli inganni. Lei forse non lo avvertì, ha agito come se non lo avesse percepito. Ora però la sua intelligenza non può non averlo compreso. Ma non ne trae le conseguenze. Perché mai? Ha tanta fiducia nella deformazione mediatica della realtà, nella manipolazione televisiva delle coscienze? Vuole sfidare la verità? Il suo ego contro i fatti, la realtà, la verità? Potrebbe non convenirle. L'altro inganno fu quello che le predispose il mestiere che fino ad allora aveva esercitato, quello di imprenditore. Lei entrò in politica con la convinzione, la mentalità di chi prende possesso di una azienda acquisita mediante un contratto di compravendita. Ha considerato e continua a considerare il governo della Repubblica come la più importante impresa di una holding delle cui azioni Lei detiene il pacchetto di controllo (che, come ben sa, non conferisce però il potere di annichilire i diritti degli azionisti di minoranza). Comunque, Lei sbaglia, Onorevole Berlusconi, ad attribuirsi questo o analogo ruolo, a concepire il governo del Paese in quella visuale. Sbaglia di grosso. Lei non è il proprietario ed insieme l'amministratore delegato dell'Italia s.p.a. Per una ragione tanto evidente quanto decisiva. La s.p.a. Italia non esiste. L'Italia non è, né può essere una s.p.a.. L'Italia è uno stato, per di più una Repubblica. E come se non bastasse, è una repubblica democratica. Il successo elettorale, ottenuto così rapidamente, le ha sicuramente nascosto un profilo importantissimo della rappresentanza, che una visuale molto imprenditoriale, privatistica, della politica, come è la sua, avrebbe dovuto invece farle immediatamente comprendere. La titolarità dei pubblici uffici, come tali, al di là della stessa responsibility politica implica, richiede, impone accountability, una accountability complessiva, riferibile ad ogni aspetto del titolare, precedente e attuale, privato oltre che pubblico, e tutte e due i profili, quello della responsibility e quello dell'accountability integrano la situazione soggettiva di un rappresentante, la representativity politica.Vengo al terzo inganno. Lo ha rivelato Lei qualche giorno fa. Quando ha detto di essere l'unico eletto direttamente dal popolo. Non è vero. Lei è stato eletto dal corpo elettorale assieme a 271 altri candidati nelle liste presentate per le diverse circoscrizioni elettorali dal «Popolo della libertà» per l'elezione alla Camera dei deputati ed anche assieme ad altri 358 membri della stessa Camera dei deputati, candidati nelle altre liste in tutte le circoscrizioni elettorali della Repubblica. Lei è stato eletto deputato, non altro e non più che deputato dal corpo elettorale, così come tutti gli altri deputati e come i 315 eletti dal corpo elettorale come componenti del Senato della Repubblica. La carica di Presidente del Consiglio Lei la deve al decreto di nomina del Presidente della Repubblica, l'unico che gliela poteva conferire, a norma dell'articolo 92, secondo comma, della Costituzione in vigore in questo nostro Paese.Lei ha definito «figuranti», un termine non proprio esaltante, i suoi colleghi parlamentari. Ed a ragione visto che a scegliere quelli del suo partito è stato lei, così come ciascun leader quelli del proprio partito, con effetti quanto mai compressivi del potere degli elettori e del principio rappresentativo. Badi però che questo principio, come ogni altro costituzionalmente sancito, non è comprimibile oltre un certo limite. In astratto, proprio quei «figuranti», possono revocarle la fiducia e ridurre Lei a «figurante». So bene che è stata prevista la figura di «capo di forza politica» e/o quella «di unico capo della coalizione» da una disposizione improvvida, equivoca e di molto dubbia costituzionalità della legge elettorale vigente. Una legge che, essa sì, avrebbe meritato di essere rinviata alle Camere, ai sensi dell'art. 74 della Costituzione, per incostituzionalità manifesta di molte altre sue disposizioni. Ma è anche vero che la stessa disposizione che si inventa la carica di capo riconosce - e non potrebbe essere altrimenti - che «restano ferme le prerogative del Presidente della Repubblica previste» dalle norme costituzionali su-indicate. So altrettanto bene che questa figura di capo, pericolosa, aberrante in una democrazia quale dovrebbe essere ancora la nostra, e che dovrebbe essere ripudiata se non sublimata, collegata a, mediata da, specificata come riferibile ad entità morale, astratta dalle contingenze, dalle passioni, viene, al contrario, scelta come denotativa di supremazia, di potere, di forza e quindi di arbitrio. Ma so anche, e soprattutto, che a suggerire quella disposizione, ad evocare l'idea ed il mito del capo, soprattutto a configurare le elezioni politiche come scelta del governo è stata ed è una certa politologia, rozza e irresponsabile, penetrata nel nostro Paese e che ha mistificato principi, distorto convinzioni, offuscato non poche verità. Una di queste verità rivela che la democrazia moderna è rappresentativa o non è. Rappresentativa di tutti, non di una sola parte pur se maggioritaria. Rappresentanza che va integrata, arricchita, consolidata con la partecipazione delle cittadine e dei cittadini, ma non ridotta all'acclamazione del capo a mezzo scheda. C'è un'altra verità che va gridata: quella per cui il mandato popolare non comporta mai un potere totale, non può conferire, non attribuisce mai tutto quello che appartiene al popolo, secondo la nostra Costituzione, ad altri, tanto meno ad uno solo. Ed è assolutamente vero che il costituzionalismo, lo stato moderno, la civiltà giuridica e politica raggiunta dopo secoli di lotte e di conquiste è limitazione, distribuzione del potere. Concludo, onorevole Berlusconi, chiedendole di liberarsi dagli inganni, di riflettere su questi principi. Il destino ha riservato ad alcuni uomini politici la sorte di separare il loro cursus honoris in due fasi, di segno addirittura opposto l'una all'altra. Potrebbe essere anche il destino suo. Glielo auguro. Lo auguro soprattutto all'Italia. Con la più alta considerazione dell'ufficio che ricopre, gradisca i miei saluti.

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