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lunedì 29 giugno 2009

In ricordo di un collega

Stamattina quando mi son trovato in rassegna stampa un articolo di Gianbattista Pasinetti mi è preso un colpo. Per un attimo ho sperato davvero fosse ancora vivo. Poi ho visto la data, 14 novembre 2002 e il pezzo di Cristiano Gatti che lo accompagnava. Non posso dire di averlo conosciuto o di esserne stato amico, anche per questo non lo chiamerò confidenzialmente Titta, privilegio che appartiene solo a chi gli è stato vicino. Ho incontrato Gianbattista a Torino a fine settembre 2002, nel corso di un congresso nazionale dell’Associazione Italiana Oncologi Medici (AIOM). Lui, inviato del Giornale, io, all’epoca, addetto all’ufficio stampa dell’AIOM. Gianbattista era già malato, ma il cancro, che si stava impadronendo del suo corpo, non aveva ancora lasciato segni esteriori nel suo fisico. Arrivò in sala stampa nel tardo pomeriggio di venerdì 27 o sabato 28. Per noi era un viso assolutamente nuovo: mai visto nel giro dei giornalisti scientifici. Il collega che era con me si presentò e così scoprimmo per chi lavorava, che era un inviato, che in genere si occupava d’altro e che era la prima volta in un congresso di oncologia. Iniziammo a parlare: sfogliò con un certo interesse la cartella stampa, le diverse pubblicazioni e opuscoli che avevamo preparato. Ricordo che faceva un sacco di domande, soppesando le risposte e replicando se qualcosa non era chiaro o non lo convinceva. Dire oggi che faceva domande come un giornalista sarebbe troppo facile e demagogico, ma tant’è. In una pausa di questa conversazione rispose al cellulare. Eravamo rimasti in tre in quella sala del Lingotto riservata alla stampa e anche non volendo io e il mio collega fummo travolti da quella telefonata. Gianbattista parlava concitato, ad un certo punto ebbe anche un moto di disperazione. Noi, spettatori involontari, pensammo banalmente a questioni di donne e uscimmo per discrezione. Fu Gianbattista a richiamarci. È stato allora che ci disse che aveva il cancro e che purtroppo le notizie avute da chi era all’apparecchio erano tutt’altro che positive. Se qualcuno ti fa una confidenza così intima, in qualche modo entra a far parte della tua vita. Cercammo di rassicurarlo, dicendogli che noi sapevamo esserci novità importanti in terapia e che comunque l’avremmo fatto parlare con due oncologi specialisti nel tumore che l’aveva aggredito, di non mollare, che c’erano casi che sembravano e invece. Sorrise. Non so se per la nostra reazione o se davvero eravamo riusciti a tranquillizzarlo. La sera a cena eravamo allo stesso tavolo. Conversammo piacevolmente d’altro, del cibo e del Barolo che lo accompagnava: fantastico, mai più bevuto. Uscendo dal ristorante Gianbattista ringraziò per la serata e aggiunse una cosa che non dimenticherò mai: chiese scusa per quanto successo nel pomeriggio.

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