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lunedì 30 giugno 2008

Quelli che aspettano

A futura memoria


PD IN ROTTA
Rossana Rossanda


Non abbiamo mai tenuto per il Partito democratico ma fa impressione che fra la destra e le piccole roccaforti di qualche pensiero e azione di sinistra, ormai tutta extraparlamentare, rischia di non restare più niente. L'immagine che rimanda la terza assise del Pd alla fiera di Roma è quella di un partito che prima di nascere è già in via di disfacimento. Il duo Veltroni-Franceschini non ha raggiunto l'obiettivo di battere da solo la coalizione di destra - da solo per significare che con Rifondazione, Mussi, Diliberto e i Verdi non avevano più niente a che vedere.
Avevano messo in piedi un partito in nessun modo sociale o socialista, sola alternanza moderna e raccomandabile al blocco berlusconiano, leghista ed ex fascista. Ma con questo programma e una struttura verticale assoluta - facilitata dalla provvisorietà di un partito non ancora arrivato al suo primo congresso - Veltroni non solo ha fallito la scommessa di vincere, ma ha liquidato, anche grazie alla legge elettorale, la Sinistra arcobaleno, ha perduto le elezioni su scala nazionale, ha lasciato Roma a un fascista, è sceso in Sicilia ai minimi storici, non senza abbattere al passaggio Rutelli e Anna Finocchiaro. Ed è andato, dopo il disastro di cui a Berlusconi non è sfuggita la dimensione, a un dialogo soave e alla pari col Cavaliere che alla prima occasione gli ha risposto con un manrovescio, ridendosi anche del capo dello stato. Mai era successo che nel corso di un mese un governo avesse varato misure così forcaiole e istituzionalmente dubbie.
Non sarebbe stato corretto che alle prime assise del Pd, seguenti a questi risultati, se ne facesse almeno un bilancio? Non si è fatto.
Nelle file del Pd lo sconforto e la sfiducia devono essere già così grandi che all'assemblea dei delegati se n'è presentato uno su quattro - delegati, cioè quella che dovrebbe essere l'ossatura, l'ala marciante del nuovo soggetto politico. E nei presenti si sono sentiti scricchiolii sinistri: fra i due filoni che hanno prodotto il Pd, Ds e Margherita, e all'interno di ciascuno di essi. Prodi, preso a bersaglio da Veltroni nella campagna elettorale come esempio di nullità, ha rifiutato ogni proposta di un ruolo di direzione. Rosy Bindi è rimasta sola, Parisi ha denunciato una leadership che non si cura di un minimo di democrazia interna. E fra i Ds pochi hanno parlato, se non per agitare - secondo la formula classica del defunto Pci - il pericolo delle «correnti cristallizzate». D'Alema, interrogato sul suo silenzio, ha detto «chi tace acconsente», ma nulla è meno vero, specie in un partito. La chiusa dell'assise - rimandiamo ogni discussione fra noi alle elezioni europee del 2009 - è stata desolante. Quanto di questo esercito in rotta arriverà al 2009? E che cosa nel frattempo Berlusconi farà ingoiare al paese, fra conflitto istituzionale con la magistratura e il Quirinale, le galere decretate per gli immigranti clandestini, le galere minacciate a chi si permetta di far filtrare il contenuto delle intercettazioni, i processi risparmiati a se stesso e a ogni genere di corruzione dei leader, la criminalizzazione di ogni espressione di protesta dei cittadini, nonché la derisoria militarizzazione delle città? Qualche giorno fa, il Centro per le riforme dello stato, zona libera ma di area Pd, diramava un testo (il manifesto, 11 giugno) nel quale faceva, con qualche garbo, i conti con lo stato della sinistra, nella «mucillagine» cui è ridotta la società civile, e con argomenti più o meno condivisibili enunciava la necessità di rimettere in piedi un partito, anzi un «grande partito» capace non solo di ascoltare, ma di proporre una strada a un paese in disorientamento e sofferenza. Non sembra che nell'assise di venerdì scorso Veltroni né altri ne abbiano preso nota. Analogamente le proposte di analisi di Bertinotti sulle radici a lungo termine della crisi italiana - forse per essere connesse a una delle mozioni di Rc - non sembrano in grado di invertire la corsa al massacro di una mozione contro l'altra. Così davanti all'ondata di una destra tanto arrogante quando incolta, come eccezion fatta per Heider non s'era ancora vista in occidente, non si ha né un sussulto adeguato dell'opinione né l'inizio di una raccolta di forze in grado di farvi argine. Ai tempi di Weimar doveva essere successo qualcosa di simile. La storia si ripete naturalmente come farsa, ma non tutte le farse fanno ridere.

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