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martedì 2 ottobre 2007

La liberazione di (o da) Bossi

Una volta erano le doppiette, pronte a calare dalle valli bergamasche per liberare la Padania, da chi non si sa. Poi sono venuti i fucili, caricati per dare corpo alla rivolta fiscale. Oggi si invoca addirittura una guerra di liberazione. Che Umberto Bossi non sia propriamente un lord inglese è risaputo. Che invece il centrosinistra si indigni, chieda agli alleati della Cdl una presa di distanza dal leader leghista e dia una risposta politica ed etica ad ogni sparata del senatur, francamente lascia perplessi. Io credo che Bossi sia tutt’altro che stupido. Dopo aver portato al governo del Paese un movimento che più locale non si può, per una serie di ragioni si è ritrovato a dover scendere a patti con Berlusconi per mantenere un ruolo di primo piano nello scenario politico. Una condizione che però gli è sempre andata stretta e soprattutto è sempre andata stretta a quella base - la maggioranza dei militanti - che aveva fatto di "Roma ladrona" e "a casa i terù e i negher" la vera ragion d’essere. Ora, è ovvio che quando raduna la sua folla - che sia a Pontida, a Venezia o a Sant’Angelo Lodigiano - Bossi deve tornare a parlare la lingua delle origini: far sentire al popolo padano che, anche se può sembrare, la Lega non è al soldo di nessuno, che adesso non è ancora tempo ma presto verrà anche la secessione: state pronti, dunque, combattenti della "brigata berghem" a deporre le salamelle e a imbracciare le armi. Per la massa in camicia verde questi slogan sono meglio del viagra: aiutano a mantenere l’erezione, vecchio concept su cui il capo ha giocato a lungo... forse troppo. Se è vera questa analisi, rispondere politicamente alle esternazioni a salve bossiane non fa altro che dare loro un valore politico e legittimarle agli occhi dei seguaci duri e puri. Ancora più inspiegabile una tale presa di posizione se si ritiene - ed è l'unica alternativa possibile - che Umberto Bossi sia un prodotto della legge 180. Che fai, ti metti a disquisire di massimi sistemi con il matto del paese? Anyway, in questo secondo caso c’è una bellissima storiella raccontata dal mio vecchio idolo calcistico Ezio Vendrame che calza a pennello. Durante una partita di un campionato minore, dal terrazzo di una palazzina che dava sul campo, un vecchietto, tifoso della squadra di casa, continuava a lanciare insulti e maledizioni nei confronti della formazione di Vendrame, la Juniors Casarsa. Ad un certo punto il presidente della Juniors, esasperato, si era alzato dalla panchina e rivolgendosi al tizio aveva urlato: “Ogni paese ga el so semo”. Ma un giocatore avversario che si trovava lì vicino aveva prontamente risposto: “Si, xe vero, ma noialtri non lo tegnimo in panchina”. Ecco, appunto.

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