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venerdì 28 settembre 2007

Il partito dei pensionati

Gira e rigira sono le pensioni a determinare la vita del governo. Dopo aver rischiato di chiudere sulla riforma del sistema, ora la legislatura potrebbe essere allungata proprio per un interesse previdenziale. A Montecitorio e a Palazzo Madama c’è un nuovo partito, o meglio: un partito virtuale, un po’ come i circoli della Michela Vittoria Brambilla. Il partito dei peones alla prima legislatura: quelli che devono timbrare il cartellino di Montecitorio e Palazzo Madama per dueanniseimesiungiorno per assicurarsi un vitalizio mensile di 2500 euro lordi. In caso di scioglimento delle Camere anche un solo giorno prima, puf, tutto svanito. E allora meglio fare due conti. Sì, perché non è detto che al prossimo giro ricapita di essere rieletti, o in alternativa di essere riciclati in qualche ente inutile. La data di scadenza è ottobre 2008. Basta stare accorti al momento delle votazioni, qualche assenza tattica come a scuola, un improvviso e impellente bisogno fisiologico o un malore diplomatico. Un anno passa alla svelta. Certo se leggi i giornali gli interessati giurano la propria fedeltà al mandato, ma quelli intervistati dai giornali sono tutti personaggi conosciuti e con un’attività di prestigio propria: uomini e donne “della società civile prestati alla politica”, espressione che mi fa da sempre rabbrividire. Ma in Parlamento c’è anche un popolo oscuro e consistente di yes men, prestati al leccalulaggio, che se non monetizza adesso non lo farà forse mai più. Sono loro che possono decidere le sorti del Paese. Onestamente non so cosa sia meglio. Mentre riflettevo sulla situazione paradossale mi è venuta in mente una vicenda che risale ai primi anni ’90, anni della "discesa in campo" e anni in cui la Lega faceva il pieno di voti nel Lombardo Veneto. All’epoca, nelle valli bresciane e bergamasche, chiunque si metteva in lista con il Carroccio - anche una merda di cane, nel senso dell’escremento, se fosse stato possibile – veniva eletto. Non so quale criterio venne adottato per arruolare le truppe padane, sta di fatto che in quegli angoli sperduti di mondo la Lega candidò personaggi il cui unico impegno pubblico fino ad allora era stato di non ruttare e scoreggiare in strada. E non tutti erano riusciti a rispettare il proposito.
In uno di questi collegi, dopo decenni che il territorio non riusciva ad esprimere un parlamentare, la spunta un giovane del mio paese: un bravo ragazzo che non fece in seguito una grande carriera, credo perché non urlava abbastanza Roma ladrona e tutte le altre amenità della compagnia di giro messa insieme dal senatur. All’indomani delle elezioni, il giornale dove lavoravo decide di preparare la solita pagina sugli eletti di città e provincia. A me tocca intervistare tre onorevoli, tra cui la nuova camicia verde. L’incarico prevede pezzi tutti più o meno uguali: brevi cenni biografici, aspirazioni, impegni e promesse, per inoltrarsi poi in cagate tipo segno zodiacale, hobby, squadra del cuore ecc. ecc. Non che fossi d’accordo con l’impostazione, ma all’epoca il mio parere contava tanto quanto il due a briscola chiamata. Faccio il mio compitino. Nel preambolo però dico che per il giovane onorevole era stata una vittoria facile: gareggiava su una Ferrari, mentre gli altri guidavano oneste utilitarie. Certo non era una grande metafora, in ogni caso chiara e inequivocabile. Almeno credevo. Il giorno dopo mi squilla il telefono e dal centralino mi informano che in linea c’è la mamma dell’onorevole. “Buongiorno signora, mi dica”. “Non mi è piaciuto quello che ha scritto, perché non è vero niente”. Faccio velocemente mente locale: sta a vedere che ho sbagliato la data di nascita, o l’ascendente. “Cosa non è vero signora?”. “Mio figlio non ha la Ferrari e non l’ha mai avuta. Adesso chissà cosa penserà la gente qui in paese: che nascondiamo qualcosa, che siamo come tutti gli altri…”. Aiuto. “Io non ho detto…”. “C’è scritto sul giornale, è qui davanti, non mi faccia passare per scema…”. “Non mi permetterei mai: era solo una metafora per dire….”.”Metafora o no mio figlio la Ferrari non ce l’ha…”. “Signora, forse mi sono espresso male, mi scuso se si è offesa, non intendevo”. Clic. Non ci credo. E’ uno scherzo. E mi sono pure scusato. Scendo al centralino dove mi giurano che la telefonata è vera: a riprova mi danno il numero da dove è partita. Passano sì e no un paio di giorni e risento l’onorevole, forse per un commento politico, non ricordo. Gentile e pacato, in dieci minuti di conversazione a domanda segue opportuna risposta, a volte anche condivisibile. Ci accingiamo ai saluti quando…”Scusa, dimenticavo: guarda che io non ho la Ferrari, guido una Golf”. “Sì, lo so, è stato un equivoco: mi son già chiarito con tua mamma”. “Bene. Sai, non mi va che ci siano malintesi, neanche tra noi”. “Certo, ciao, ci sentiamo”. Questo signore al compimento dei 65 anni, oltre alla pensione che gli auguro di maturare per la sua attività, avrà anche la rendita da parlamentare. Mia mamma ha lavorato 35 anni in fabbrica, non ha mai guidato, e non arriva a 900 euro al mese.

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