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sabato 1 settembre 2007

Ezio Vendrame

Di lui, negli anni ’70, si diceva che avrebbe potuto essere il più grande di tutti, meglio di Sivori, meglio di Kempes, a cui lo paragonava l’allora presidente della Juventus, Giampiero Boniperti, uno che di calcio se ne intende. Frasi lasciate in sospeso, che sottintendevano una mancanza, quel quid indispensabile per fare la differenza, e che erano infatti seguite sempre dall’immancabile: “se solo avesse un’altra testa”. Al diretto interessato la sua testa, matta per i più, piaceva invece così com’era “colma di peccati, di salite, di decolli e di debolezze. Attratta dai NO, da vera guerriera. Certo, troppe volte collegata al cazzo e altrettanto slegata dal cuore, ma comunque viva, piena e autonomamente pensante. Se poi per il calcio è risultata inadeguata e non è stata un modello da seguire, chi se ne frega! Da sempre mi confidava che dentro ad una sfera ci possono stare soltanto alcune piccole cose della vita”. Ezio Vendrame, classe 1947, da Casarsa della Delizia, il paese di Pasolini, era un artista del calcio ed era uno dei miei miti di bambino, insieme a quel Paolo Sollier che quando entrava in campo a Perugia salutava il pubblico con il pugno chiuso. Vendrame al posto dei piedi aveva due stradivari ma era lui a decidere quando e se farne melodia. Per questo non ha mai calcato palcoscenici prestigiosi o giocato in nazionale: gli almanacchi lo ricordano girovago, in anni di fedeltà alla maglia, sui campi di provincia - Udine, Ferrara Sassari, Rovereto, Vicenza – con la sola eccezione di Napoli. Con grande rammarico di chi considerava quello di Ezio un talento sprecato e non si capacitava del fatto che, come racconta lui oggi in uno dei suoi libri più belli “Se mi mandi in tribuna, godo”: “più semplicemente, io amavo giocare a pallone, ma non mi piaceva fare il calciatore. Mi sentivo stretto, risucchiato, prigioniero, anche perché i vincoli, non solo societari ma anche 'morali' erano ancora molto forti negli anni ‘70”. Di certo Ezio Vendrame può dire di essere stato un uomo libero, che ha utilizzato le grandi doti di pedatore per vivere il mondo anche fuori dal prato verde e dallo spogliatoio. E a fine carriera non ha aperto una tabaccheria o è diventato procuratore come tanti suoi ex compagni, ma poeta, scrittore e allenatore di ragazzini, che al campo lo chiamano semplicemente Ezio e non 'pappagallescamente' mister. Pasolini diceva che dopo la letteratura e l'eros, il calcio è l'unica cosa in grado di dare emozioni autentiche. E sono emozioni vere quelle che trasmette “Se mi mandi in tribuna, godo”, raccolta di memorie picaresche, sfrontate, naif, eppure così sature di ciò che conta, micidiali per come centrano il bersaglio. C’è il calcio dell’epoca, raccontato da Vendrame in modo tutt’altro che epico e ci sono i sentimenti, le passioni, gli amici di sempre: quelli della trattoria di Luigino De Gobbi, a Olmo di Creazzo: il ventriloquo Conca, il petomane Bigarella, l’artista Kubala. Ci sono i compagni, i presidenti e gli allenatori, tratteggiati con ironia e affetto. C’è Piero Ciampi, poeta per davvero, conosciuto e amato più di un fratello. E ci sono le donne, tante, volute, desiderate, scopate. Giancarlo Dotto nella sua prefazione scrive. “Se mi mandi in tribuna, godo” è l’epitaffio sublime di quel calcio. Che era godimento dell’anima ma anche del corpo. Nel corpo di Vendrame, nella sua animalesca mania di sesso e di stupore, l’equazione allo stato puro tra gol e orgasmo, dribbling e libidine. La libidine dell’impresa calcistica in campo, dirompente, sfacciata, eccessiva, si combina con quella boccaccesca fuori campo.Amato dalle donne e dai tifosi nella stessa misura”. Da leggere, specialmente per chi ha da poco superato i 40 anni ed ha voglia di ritrovare il sapore di una stagione che non tornerà mai più.


“Se mi mandi in tribuna, godo”, Ezio Vendrame, edizioni Biblioteca dell’Immagine

1 commento:

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