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venerdì 21 settembre 2007

Un'ostinata concezione critica del potere ai confini dell'eresia

Mi è arrivato per posta elettronica dal mio amico Carlo e come tale lo ripropongo. Per quanto mi riguarda credo che la laicità di pensiero e di comportamento sia diventata il primo discrimine per affidare a qualcuno un mandato rappresentativo in qualsivoglia istituzione dello Stato.


Gli amici repubblicani, che si incontreranno nella tradizionale festa dell'Uva di S. Pietro in Vincoli, a molti nostri concittadini potrebbero apparire come un'ultima riserva indiana. Nel ravennate, infatti, alcuni indossano ancora il nero fiocco al colletto del lutto mazziniano per la patria, quando magari milioni di persone sognano di comprare case immaginarie su Second Life in internet. Parlando chiaramente, oggi, la stessa appartenenza al partito repubblicano appare un'originalità.
Tutti i partiti politici con i quali i repubblicani hanno collaborato o si sono confrontati nel dopoguerra, di fatto non esistono più. E non solo: domani potrebbero non esistere gli stessi partiti che ancora ci sono oggi. Perché mai i repubblicani, a costo di una resistenza estrema, e magari di ulteriori sacrifici, dovrebbero restare attaccati alle loro tradizioni? Perché mai non partecipare ad un processo di confluenza in un soggetto più grande e più rappresentativo del nostro? Non sono argomenti tabù, badate.
Un movimento politico con una tradizione come la nostra è bene che si ponga tutte le necessarie domande. La prima è legata al perché di tanta tenacia. Ma la risposta è semplice: perché il nostro è un partito laico, il cui valore principale ed insopprimibile è la laicità. Non ignoriamo come anche il cattolicissimo De Gasperi si ritenesse un laico; come in generale tutti i democristiani che non aderivano ad un ordine religioso dovevano essere considerati laici. Ma la laicità non è una definizione da vocabolario. La laicità è la principale tradizione storico - politica del nostro paese, senza la quale non ci sarebbe mai stata nemmeno l'idea di un'entità nazionale sovrana come l'Italia.
Come potevano i cattolici, sudditi dello Stato della Chiesa, pensare di fare l'Italia? O i sabaudi, servitori della monarchia piemontese ­ per quante personalità prestigiose avessero al loro interno - creare qualcosa di diverso dall'espansione dei confini della real casa? La laicità non è dunque un semplice costume civile: la laicità è una condizione dello spirito, molto prossima all'eresia, o per lo meno che si è sviluppata sotto l'influenza del pensiero eretico, diventando eresia anch'essa. Giordano Bruno, che ci è molto caro, non era certo un laico, era un monaco praticante. E' stata la sua eresia nei confronti della Chiesa ed il suo martirio che ce lo hanno reso vicino. Il mazzinianesimo è l'eresia di Giordano Bruno nella modernità: una dottrina coraggiosa ed indipendente che si oppone al conformismo dettato dal potere assoluto dell'epoca.
Quindi la laicità è anche e soprattutto una concezione critica del potere. Ed i repubblicani mazziniani sono quella forza politica che diffida tradizionalmente del potere costituito, quale esso sia. In Romagna tutti ricordano il dibattito tra Ugo La Malfa e Ingrao, e molti lo hanno interpretato come il segno della simpatia politica esistente fra repubblicani e comunisti. Non c'era nessuna simpatia politica fra repubblicani e comunisti, e meno che mai fra Ingrao e La Malfa. Rileggetelo bene, quel dibattito. C'era il senso di diffidenza nei confronti del potere democristiano, che La Malfa conosceva bene, e la necessità di esplorare le possibilità politiche di una forza di opposizione, per quanto questa, nella sua ortodossia sovietica, risultasse più asservita ideologicamente di quanto lo fosse la stessa Democrazia cristiana alla Chiesa. Anzi, per la verità di laici autentici nella Dc ne abbiamo anche visti, nel Pci molti meno.
Un grande partito come quello comunista non si è mai davvero posto il problema della laicità, che avrebbe significato in pratica comprendere le ragioni del dissenso all'Est. Il Pci era semmai preoccupato di fare blocco con la tradizione cattolica, non di curare le sue deficienze ideali. Di questo il paese ha pagato le conseguenze. Quindi, noi cultori della laicità, siamo una minoranza e tali restiamo. E lo dovremo restare se non saremo in grado di aprire una svolta politica e culturale nel paese.
Per orientarvi, guardate anche il dibattito odierno. In Inghilterra gli scienziati stanno cercando di curare delle malattie mortali attraverso l'uso delle cellule animali: e qui da noi, invece di capire le ragioni della scienza, tutti ad urlare che si vogliono creare dei mostri. La laicità serve anche a comprendere il significato della ricerca.
Cosa dice la nostra Costituzione, all'articolo 9: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". Non vorremmo che, senza i laici, ce lo scordassimo.

Roma, 20 settembre 2007

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