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venerdì 14 gennaio 2011

Signor sì, signore

Il dato vero su cui riflettere non è più il sì o il no sulla scheda referendaria ma è il concetto stesso di democrazia, che non può esprimersi liberamente e compiutamente senza la possibilità di un ventaglio di scelte, o quantomeno di due opzioni. Se l’alternativa per gli operai, come peraltro era avvenuto a Pomigliano - che avrebbe dovuto rappresentare l’eccezione in deroga, ricordiamocelo - è tra il lavoro in cambio della rinuncia ai diritti, e la chiusura, il risultato è già scritto. Soprattutto se la politica e il sindacato (esclusa la FIOM), che dovrebbero tutelare la parte debole, approvano apertamente il modello Marchionne. A questo punto lo strappo è già avvenuto e quello a cui si va incontro, e le ragioni che hanno portato fin qui, le si può leggere nell’editoriale del direttore di Repubblica.



Le ragioni di Marchionne
e le ragioni di tutti


Da una parte c'è la globalizzazione dall'altra si chiama in causa la democrazia. Senza una società solidale, i singoli devono cercare risposte individuali a problemi collettivi


di EZIO MAURO

DUE, TRE cose sulla Fiat e il Paese prima che si conoscano i risultati del referendum di Mirafiori. Prima, per ragionare fuori dall'orgia ideologica di chi si schiera sempre con il vincitore e di chi pensa che i canoni della modernità e del progresso - oggi - sono sanciti dal rapporto di forza.

Il voto e la sfida di Torino non disegneranno un nuovo modello di governance per l'Italia, come sperano coloro che oggi attendono da Marchionne quel che per un quindicennio ha promesso Berlusconi, senza mai mantenere. Soprattutto non daranno il via né simbolicamente né concretamente - purtroppo - ad una fase generale di crescita del Paese. Il significato della partita di Mirafiori è un altro, e va chiamato col suo nome: la ridefinizione, dopo tanti anni, del rapporto tra capitale e lavoro.

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