Ho amato “Niente caffè per
Spinoza” da subito, dal titolo. Ne ho letto una 30ina di pagine da Feltrinelli
a Parma dove mi capita, per ragioni famigliari, di passare del tempo in attesa.
Al primo piano ci sono poltroncine confortevoli, si può attingere dagli
espositori e leggere tranquillamente. Al piano terra c’è invece una zona
riservata ai ragazzi per studiare. Amo la Feltrinelli di Strada Farini anche
per questo. Sto divagando, ma mi sembrava importante dirlo. Giro tra le corsie
e mi lascio guidare dalle emozioni. Sono convinto che siano i libri a
chiamarci, non il contrario. Ed è assolutamente inutile opporsi. In un primo
momento “Niente caffè per Spinoza” l’ho visto e gli ho girato intorno come
Gatto Silvestro con Titti, perché quel giorno avevo un altro obiettivo. Il
tempo di sedermi e di non riuscire a concentrarmi sull’obiettivo e son tornato
sui miei passi. Di solito, quasi sempre, sempre, quando inizio un libro da
Feltrinelli poi lo compro. Mai come stavolta però sono contento di essermi
fatto guidare dall’istinto. Elisa è una donna giovane, alla ricerca di tante
cose, ma prima di tutto di una ragazza che si occupi della casa e di suo padre
anziano, cieco e malato. Elisa vive in Svizzera, con un marito, più o meno, e
due figlie adolescenti. Anche Maria Vittoria è alla ricerca di tante cose, per
esempio di fare pulizia nella sua vita, a partire dai pesi inutili, il marito e
la suocera. E per farlo ha bisogno di trovare un lavoro. Il signor Luciano,
anzi il Professore, ex insegnante di filosofia, ha invece bisogno di
continuare, per quanto gli rimane, a trovare le risposte giuste dai maestri del
pensiero: da Epitteto, Epicuro, Aristotele, da Galilei, Hume, Spinoza,
Schopenhauer, ma soprattutto dall’amato Pascal. Nasce tra i due una complicità
bellissima, a tratti commuovente. Mentre Maria Vittoria, tra un caffè e una
minestra, gli legge i filosofi, il Professore, che ha imparato a vedere nel
buio, o forse lo sa da sempre, le insegna la cosa fondamentale: nei libri si
possono trovare le idee per riordinare anche la vita. Sul palcoscenico del
romanzo, scritto benissimo, ambiente tra Livorno e Pisa, ruotano altri
personaggi: gli amici del Professore, ex insegnanti a loro volta, che
quotidianamente vengono a prelevarlo per una passeggiata e per discutere di quanto
scrivono i giornali. C’è la Vally, l’anziana cognata, c’è la vicina di casa e
il medico al piano di sotto, che cerca con discrezione di occuparsi del suo
corpo malandato. I segni e le ombre di quando era ancora viva la moglie. Ci
sono 2 ex allievi che passano periodicamente, perché non si finisce mai di
imparare. Le giornate trascorrono così, apparentemente tutte uguali, cadenzate
dalle abitudini e dalle piccole manie tipiche degli anziani: ma sono giornate
impreziosite dalle citazioni, che in modo discreto danno un senso al procedere
del tempo. Così sino alla fine, che poi non è mai un assoluto, perché è la
conoscenza che guida. E quella si impara ma soprattutto si trasmette. Il
Professore l’ha fatto per tutta la vita e trova fino all’ultimo il modo di
farne dono. Sia materialmente, regalando i libri: uno alla volta, per dare
tempo al tempo, sia maieuticamente: anche Maria Vittoria, come Teeteto con
Socrate, è travolta dalla fame di conoscenza e l’ultima sera gli confida che
riprenderà a studiare. Il romanzo di Alice Cappagli, laurea in filosofia,
violoncellista nell’orchestra della Scala, ha un unico difetto. L’ho
finito.
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