Pietro
e Giulio. Il primo, maresciallo dei carabinieri alle soglie della pensione, il
secondo, poco più che ventenne, studente di giurisprudenza. Si incontrano in un
centro riabilitativo. Pietro sta recuperando da un intervento di protesi
all’anca, Giulio da un incidente in auto. Iniziano a parlare, ma non di
banalità o del tempo. Il loro è quasi un dialogo platonico. Pietro Fenoglio nella
parte di Socrate guida il suo Teeteto a riflettere sulla conoscenza, sui
concetti sfuggenti di verità e menzogna, sull’idea stessa del potere. Qualcuno
ha scritto, e io sono d’accordo, che questo ultimo lavoro di Carofiglio è un
manuale sull’arte dell’indagine nascosto in un romanzo avvincente, popolato da
personaggi di straordinaria autenticità: voci da una penombra in cui si
mescolano buoni e cattivi, miserabili e giusti. La trama si regge sulle storie del
maresciallo, personaggio un po’ fuori dagli schemi: colto, interessato all’arte
e alla letteratura, un uomo con un altissimo senso della giustizia. Pietro e
Giulio sono in un momento delicato della loro esistenza: entrambi non sanno
cosa li aspetta. Il maresciallo non osa immaginare la sua vita in pensione.
Giulio non sa cosa farà da grande. Nei loro incontri, e nel loro raccontarsi,
troveranno insieme alcune risposte ma inevitabilmente
anche nuove domande. Unico appunto: in alcuni momenti sembra che i due
protagonisti perdano di autenticità: il loro modo di parlare, di interrogarsi,
stride un po’ con quello a cui siamo abituati. E non solo nei romanzi. La
versione di Fenoglio è un piacere, intellettuale ed estetico: per chi ha voglia
di concedersi pagine belle.
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