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giovedì 31 marzo 2016

Nonni


I nonni della casa di riposo hanno sempre gli occhi bassi. Non penso lo facciano perché per la maggior parte sono costretti in carrozzina, e la loro prospettiva visiva ne risulta condizionata. Sono più propenso a credere che sia dignità la loro: la volontà di tenere per sé la tristezza e il peso di una sconfitta, ancora più della consapevolezza di vivere un ultimo tempo, scandito dalla monotonia di gesti sempre uguali e da un’ineluttabilità maligna e perversa, che ogni giorno bussa alla porta per portarsi via qualcuno, il compagno o il vicino di stanza. Hanno quasi tutti figli questi nonni, che hanno cresciuto probabilmente con sacrificio. Hanno nipoti, che spesso hanno accudito meglio di quanto hanno fatto con i figli, e al posto loro. Figli e nipoti a cui hanno voluto e continuano a voler bene. Lo si legge negli sguardi di quei pochi che hanno il piacere di una visita non di cortesia.  A volte mi trovo a incrociare qualcuno di questi figli e nipoti e a sentire le conversazioni, meglio: ne ascolto i silenzi. E’doloroso pensare di non aver nulla da dire ad un genitore, ad un nonno, non avere un argomento che possa fargli dimenticare per un’ora la violenza dell’abbandono. Vergogna? E’ il minimo che possa capitare. Del resto ognuno alla fine deve fare i conti con la propria coscienza. Di una cosa sono sicuro. Tutti  questi parenti non sapranno mai cosa si stanno perdendo.

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