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sabato 19 marzo 2016

Auguri papà


Durante i primi mesi della sua malattia ci vedevamo con mio padre almeno una volta alla settimana. Mia sorella lo accompagnava in ospedale ed io passavo del tempo con lui nella sala d’aspetto del Day Hospital, in attesa che venisse visto dal medico. L’appuntamento era tassativamente per tutti i pazienti alle 7.30 per il prelievo del sangue. Dopodichè, il passaggio in ambulatorio, con il verdetto sul fixing dei globuli bianchi e la chiacchiera con il dottore, veniva stabilito in base a criteri rigidi: prima chi doveva essere sottoposto a chemioterapia, poi le situazioni più critiche, a valle tutti gli altri. Questo significava che se quella settimana eri considerato alla stregua di un codice bianco potevi stare ad aspettare il tuo turno anche fino alle 14. Un sollievo, in senso assoluto, una passione dover stare più di 6 ore seduti su sedie di plastica. Quel periodo rientra comunque tra i ricordi più piacevoli. Papà tutto sommato non stava malissimo, sembrava che dopo una prima fase critica, i medici avessero finalmente trovato la cura giusta: un vecchio chemioterapico orale che non solo gli aveva stabilizzato il numero dei globuli bianchi, ma gli aveva ridato fiato e appetito. Il cammino, gli era stato detto dal primario, sarebbe stato lungo. In ogni caso non c’era da temere: sarebbe tornato ad una vita accettabile. Di più, nessuno poteva dire di cosa sarebbe morto, perché tutti si muore prima o poi: sicuramente però non di quella malattia che aveva in corpo e che alla prima diagnosi era stata identificata come una mastocitosi. Una bella iniezione di fiducia, no? Di quel periodo ricordo le chiacchierate e il suo sorriso quando arrivavo.  Riponeva gli occhiali, chiudeva il giornale e iniziava a parlare. Parlava dell’ultimo libro letto, del suo orto, sempre con molto orgoglio, e delle bocce, la passione di un tempo.  Era capace di raccontarti partite, tornei interi, accosto dopo accosto, spigandoti la scelta tattica di ogni singola giocata, quelle degli avversari di turno, in un crescendo epico anche fisico e gestuale. Molti di quegli aneddoti li avevo già sentiti, a volte con le stesse parole. In quei momenti però non si ricordava che era in ospedale. E soprattutto del perché era lì.
Auguri papà. Sono passati più di dieci anni da quando te ne sei andato ma non passa giorno senza pensarti.


1 commento:

Latte e fiele ha detto...

Ti capisco e ti abbraccio