Translate
mercoledì 13 febbraio 2008
A history of violence
Io non so di chi sia la colpa. Se è di questo clima da caccia alle streghe, che comunque sa tanto di disperazione, di un abuso di potere da parte del magistrato che ha firmato il mandato, oppure di un eccesso di zelo della polizia: erano davvero necessarie le sirene? le sgommate? l’irruzione nel reparto di ostetricia? gli interrogatori e tutto il resto? Chiunque sia il colpevole materiale, il blitz di ieri all’ospedale Federico II di Napoli è figlio di un’ideologia crudele, che non solo priva la donna del diritto di scegliere, ma non le riconosce nemmeno la capacità di soffrirne. Nega a priori le lacerazioni devastanti che una madre, costretta ad una decisione drammatica e definitiva come è l’interruzione di una gravidanza, a volte si porta dentro per tutta la vita. Se non è violenza questa...
martedì 12 febbraio 2008
Decidi Dc
Alla fine il Cavaliere si genuflette e in un’intervista a Tempi, il magazine del quotidiano di famiglia, appoggia l’iniziativa del ticket Ferrara-Ruini a favore di una moratoria sull’aborto. L’avviso del cardinale, attraverso il portavoce Boffo, direttore di Avvenire, ospite la scorsa settimana del Tg1 delle 20, è andato a segno. Il messaggio suonava più o meno così: Presidente Berlusconi, la Chiesa non si sente pienamente tutelata da lei e dai suoi liberisti, la invita quindi a non portare alle estreme conseguenze il braccio di ferro con l’Udc e a trovare un compromesso affinché un partito dichiaratamente cattolico sia rappresentato nel centrodestra. E si sa che il verbo invitare, quando si tratta delle alte gerarchie ecclesiastiche, è un puro eufemismo. In ogni caso, va il nostro sentito grazie al direttore Gianni Riotta per aver permesso alla nazione di partecipare a questa corrispondenza privata e, se permettete, anche un po’ volgare. Il dato comunque è che l’ex plenipotenziario della Conferenza episcopale detta ancora le condizioni e subito il presidente del consiglio in pectore ha dovuto abbassare il capo e aprire quantomeno le trattative. Mosse chiaramente politiche. Per tutti, eccetto che per suor Paola Binetti. In merito all'appoggio alla moratoria l’esponente dei teodem dichiara candidamente al Corriere: quella di Berlusconi è una naturale elaborazione di un pensiero che ha a cuore la vita, senza se e senza distinguo. Nessuna opportunismo, dunque. Anzi, un bravo a lui e a Ferrara dei quali Binetti dice di condividere appieno il pensiero. Per riportare al centro del dibattito le donne (scusate ma la Binetti e tutte le Bertolini plaudenti lo sono solo per genere) propongo la lettura del bell’articolo di Grazia Zuffa, membro del Comitato nazionale di bioetica.
NB. Ho scoperto che passata la settimana di lettura gratuita, gli articoli linkati del manifesto scompaiono automaticamente. Allego il testo di quelli che sono riuscito a recuperare
La madre, il feto, il ginecologo
Grazia Zuffa
Dopo le polemiche, innescate da Formigoni, circa i limiti da imporre all'aborto terapeutico sulla base delle nuove possibilità di sopravvivenza al di fuori del grembo materno, e dopo l'uscita di un gruppo di ginecologi romani sullo stesso tema, si precisa il quadro dell'offensiva integralista: diretta non solo e non tanto contro la legge sull'interruzione di gravidanza, quanto, più alla radice, contro la centralità del «corpo pensante» della madre nella procreazione: reinquadrando la scena della nascita alla luce dei progressi tecnologici. Partiamo da come sono presentati i «fatti» scientifici e le conseguenti ricadute. I progressi nel campo delle cure neonatali sono stati così straordinari che fino dalla ventiduesima settimana di gravidanza i feti sarebbero in grado di vivere: dunque va messo in discussione l'aborto oltre i tre mesi, che si configura come soppressione di un bambino.
L'abbassamento dei limiti di sopravvivenza al di fuori dell'utero è un dato inoppugnabile che testimonia lo sviluppo tecnologico, ma può essere analizzato da molti punti di vista e ha molteplici risvolti di carattere etico: come si evince dal confronto da tempo in corso fra i pediatri e i neonatologi sulle cure da fornire ai bambini nati molto prematuri, il cui numero pare in crescita. Una problematica, come si vedrà, assai diversa dall'interruzione volontaria di gravidanza. Dunque, c'è innanzitutto da chiedersi perché proprio il conflitto con la 194 emerga come «il problema etico», vista l'eccezionalità dell'aborto negli stadi più avanzati di gravidanza, che la legge ma soprattutto le donne ben tengono presente.
L'aborto è destinato a balzare in primo piano solo seguendo una precisa e univoca lettura simbolica dell'evento tecnologico: i feti che un tempo erano destinati a rimanere «non nati» al di fuori del corpo materno, adesso «nascono» grazie alle tecnologie neonatali. Il feto è sempre più un «soggetto» autonomo: suo alleato è il medico, che lo salva (è proprio il caso di dirlo), dalla natura matrigna e dalla madre nemica (la madre assassina della moratoria sull'aborto). Questo il senso dell'appello di quei ginecologi che avocano a sé soli il diritto/dovere di rianimarlo, contro la madre. In tal modo il medico gioca un ruolo di autorità morale, oltre che tecnica. O meglio, le due cose sono connesse: le tecnologie al servizio della «sacralità della vita» sono anch'esse sacralizzate, col medico nelle vesti di officiante.
Soffermiamoci sulla assolutizzazione/sacralizzazione delle tecnologie: non una parola è spesa nel merito dell'ambivalenza delle tecniche, nel caso specifico le tecniche di rianimazione neonatale. Non una parola è spesa sul carattere straordinario (e straordinariamente gravoso) delle cure intensive cui si vorrebbe sottoporre di regola i feti e/o i prematuri di ventidue settimane.
Eppure proprio questo è il punto da cui è partita qualche anno fa la riflessione di molti pediatri, sfociata in un documento, chiamato Carta di Firenze, da qualche tempo all'attenzione anche del Comitato nazionale di bioetica. Basti leggere il preambolo: le riflessioni della Carta sono «ispirate alla necessità di garantire alla madre e al neonato adeguata assistenza, col fine unico di evitare loro cure inutili, dolorose e inefficaci, configurabili con l'accanimento terapeutico».
Dunque i dubbi (dei cultori laici della medicina e non dei gran sacerdoti) sorgono non dalla preoccupazione di un deficit di cure, ma al contrario di un possibile eccesso: ad uno stadio di maturazione in cui mancano le evidenze di efficacia degli interventi. In particolare, si ribadisce che al di sotto della 23ma settimana non esiste (allo stato attuale) possibilità di sopravvivenza al di fuori del corpo materno salvo casi del tutto eccezionali; al di sopra delle 25 settimane è possibile la sopravvivenza pur dipendente da cure intensive. Rimane dunque da valutare la fascia delle 23/24 settimane- dice la Carta- su come e quando applicare le cure definite straordinarie per evitare che si configurino come cure sproporzionate.
Per chiarire la delicatezza umana di questa valutazione basti pensare all'invasività di queste cure straordinarie, a fronte non solo di bassissime probabilità e durata di sopravvivenza, ma anche di danni iatrogeni gravi e irriversibili: pratiche quali l'intubazione tracheale e il massaggio cardiaco esterno possono provocare, oltre a sofferenze certe, la lacerazione della trachea, lo pneumotorace e altro, data l'estrema vulnerabilità di questi piccolissimi. I rischi sono aumentati dalla casistica estremamente esigua a quello stadio di età e dunque dall'esperienza assai limitata dei medici.
Da qui l'insistenza della Carta nel coinvolgere i genitori nella decisione se intraprendere o meno le cure straordinarie al di sotto delle 25 settimane. Può sembrare un'indicazione ovvia, a partire dal riconoscimento della responsabilità genitoriale e dal rispetto degli affetti dei soggetti coinvolti: ma questo è il punto principale di scontro, con chi vorrebbe lasciare al solo medico la scelta. Eppure, proprio perché il sapere tecnico vacilla (mancano le evidenze circa l'appropriatezza delle cure mediche da prestare) e la valutazione dei costi/benefici è particolarmente dubbia e dolorosa, proprio per questo i medici dovrebbero temere la solitudine. Per alcuni è così, come la Carta mostra. Per altri no: come se dall'imperativo assoluto di schierarsi a favore della Vita discendesse un potere assoluto delle tecniche e del medico chiamato ad applicarle. Un potere che non vuol vedere i limiti e le contraddizioni delle tecniche di cui dispone, che volta il capo davanti alle nuove sofferenze che possono arrecare. In questa luce, le problematiche dell'inizio vita appaiono del tutto simili a quelle del fine vita; così come le posizioni etiche in campo.
Torniamo alla polemica intorno alla 194 o meglio alla rappresentazione delle tecnologie salvifiche contro la madre mortifera. L'irruzione delle tecniche sulla scena della procreazione non è cosa nuova e neppure il loro utilizzo simbolico contro le donne. Barbara Duden ha mostrato come le tecnologie della gravidanza, rendendo trasparente il corpo femminile, siano un potente veicolo della rappresentazione del feto «autonomo» e del degrado della madre ridotta a puro ambiente di vita. In un crescendo, le tecnologie della riproduzione hanno «creato» l'embrione in provetta, al di fuori del corpo materno. Oggi quel corpo viene mostrato come sempre meno necessario: ridotti i tempi dell'opera materna, ridotta la funzione, negata la parola. Sempre più la madre è un grembo di transito. L'antico sogno maschile del controllo completo della procreazione sembra più vicino a realizzarsi. Di questo dovremmo discutere, uomini e donne.
(membro del Comitato nazionale di bioetica)
NB. Ho scoperto che passata la settimana di lettura gratuita, gli articoli linkati del manifesto scompaiono automaticamente. Allego il testo di quelli che sono riuscito a recuperare
La madre, il feto, il ginecologo
Grazia Zuffa
Dopo le polemiche, innescate da Formigoni, circa i limiti da imporre all'aborto terapeutico sulla base delle nuove possibilità di sopravvivenza al di fuori del grembo materno, e dopo l'uscita di un gruppo di ginecologi romani sullo stesso tema, si precisa il quadro dell'offensiva integralista: diretta non solo e non tanto contro la legge sull'interruzione di gravidanza, quanto, più alla radice, contro la centralità del «corpo pensante» della madre nella procreazione: reinquadrando la scena della nascita alla luce dei progressi tecnologici. Partiamo da come sono presentati i «fatti» scientifici e le conseguenti ricadute. I progressi nel campo delle cure neonatali sono stati così straordinari che fino dalla ventiduesima settimana di gravidanza i feti sarebbero in grado di vivere: dunque va messo in discussione l'aborto oltre i tre mesi, che si configura come soppressione di un bambino.
L'abbassamento dei limiti di sopravvivenza al di fuori dell'utero è un dato inoppugnabile che testimonia lo sviluppo tecnologico, ma può essere analizzato da molti punti di vista e ha molteplici risvolti di carattere etico: come si evince dal confronto da tempo in corso fra i pediatri e i neonatologi sulle cure da fornire ai bambini nati molto prematuri, il cui numero pare in crescita. Una problematica, come si vedrà, assai diversa dall'interruzione volontaria di gravidanza. Dunque, c'è innanzitutto da chiedersi perché proprio il conflitto con la 194 emerga come «il problema etico», vista l'eccezionalità dell'aborto negli stadi più avanzati di gravidanza, che la legge ma soprattutto le donne ben tengono presente.
L'aborto è destinato a balzare in primo piano solo seguendo una precisa e univoca lettura simbolica dell'evento tecnologico: i feti che un tempo erano destinati a rimanere «non nati» al di fuori del corpo materno, adesso «nascono» grazie alle tecnologie neonatali. Il feto è sempre più un «soggetto» autonomo: suo alleato è il medico, che lo salva (è proprio il caso di dirlo), dalla natura matrigna e dalla madre nemica (la madre assassina della moratoria sull'aborto). Questo il senso dell'appello di quei ginecologi che avocano a sé soli il diritto/dovere di rianimarlo, contro la madre. In tal modo il medico gioca un ruolo di autorità morale, oltre che tecnica. O meglio, le due cose sono connesse: le tecnologie al servizio della «sacralità della vita» sono anch'esse sacralizzate, col medico nelle vesti di officiante.
Soffermiamoci sulla assolutizzazione/sacralizzazione delle tecnologie: non una parola è spesa nel merito dell'ambivalenza delle tecniche, nel caso specifico le tecniche di rianimazione neonatale. Non una parola è spesa sul carattere straordinario (e straordinariamente gravoso) delle cure intensive cui si vorrebbe sottoporre di regola i feti e/o i prematuri di ventidue settimane.
Eppure proprio questo è il punto da cui è partita qualche anno fa la riflessione di molti pediatri, sfociata in un documento, chiamato Carta di Firenze, da qualche tempo all'attenzione anche del Comitato nazionale di bioetica. Basti leggere il preambolo: le riflessioni della Carta sono «ispirate alla necessità di garantire alla madre e al neonato adeguata assistenza, col fine unico di evitare loro cure inutili, dolorose e inefficaci, configurabili con l'accanimento terapeutico».
Dunque i dubbi (dei cultori laici della medicina e non dei gran sacerdoti) sorgono non dalla preoccupazione di un deficit di cure, ma al contrario di un possibile eccesso: ad uno stadio di maturazione in cui mancano le evidenze di efficacia degli interventi. In particolare, si ribadisce che al di sotto della 23ma settimana non esiste (allo stato attuale) possibilità di sopravvivenza al di fuori del corpo materno salvo casi del tutto eccezionali; al di sopra delle 25 settimane è possibile la sopravvivenza pur dipendente da cure intensive. Rimane dunque da valutare la fascia delle 23/24 settimane- dice la Carta- su come e quando applicare le cure definite straordinarie per evitare che si configurino come cure sproporzionate.
Per chiarire la delicatezza umana di questa valutazione basti pensare all'invasività di queste cure straordinarie, a fronte non solo di bassissime probabilità e durata di sopravvivenza, ma anche di danni iatrogeni gravi e irriversibili: pratiche quali l'intubazione tracheale e il massaggio cardiaco esterno possono provocare, oltre a sofferenze certe, la lacerazione della trachea, lo pneumotorace e altro, data l'estrema vulnerabilità di questi piccolissimi. I rischi sono aumentati dalla casistica estremamente esigua a quello stadio di età e dunque dall'esperienza assai limitata dei medici.
Da qui l'insistenza della Carta nel coinvolgere i genitori nella decisione se intraprendere o meno le cure straordinarie al di sotto delle 25 settimane. Può sembrare un'indicazione ovvia, a partire dal riconoscimento della responsabilità genitoriale e dal rispetto degli affetti dei soggetti coinvolti: ma questo è il punto principale di scontro, con chi vorrebbe lasciare al solo medico la scelta. Eppure, proprio perché il sapere tecnico vacilla (mancano le evidenze circa l'appropriatezza delle cure mediche da prestare) e la valutazione dei costi/benefici è particolarmente dubbia e dolorosa, proprio per questo i medici dovrebbero temere la solitudine. Per alcuni è così, come la Carta mostra. Per altri no: come se dall'imperativo assoluto di schierarsi a favore della Vita discendesse un potere assoluto delle tecniche e del medico chiamato ad applicarle. Un potere che non vuol vedere i limiti e le contraddizioni delle tecniche di cui dispone, che volta il capo davanti alle nuove sofferenze che possono arrecare. In questa luce, le problematiche dell'inizio vita appaiono del tutto simili a quelle del fine vita; così come le posizioni etiche in campo.
Torniamo alla polemica intorno alla 194 o meglio alla rappresentazione delle tecnologie salvifiche contro la madre mortifera. L'irruzione delle tecniche sulla scena della procreazione non è cosa nuova e neppure il loro utilizzo simbolico contro le donne. Barbara Duden ha mostrato come le tecnologie della gravidanza, rendendo trasparente il corpo femminile, siano un potente veicolo della rappresentazione del feto «autonomo» e del degrado della madre ridotta a puro ambiente di vita. In un crescendo, le tecnologie della riproduzione hanno «creato» l'embrione in provetta, al di fuori del corpo materno. Oggi quel corpo viene mostrato come sempre meno necessario: ridotti i tempi dell'opera materna, ridotta la funzione, negata la parola. Sempre più la madre è un grembo di transito. L'antico sogno maschile del controllo completo della procreazione sembra più vicino a realizzarsi. Di questo dovremmo discutere, uomini e donne.
(membro del Comitato nazionale di bioetica)
Colesterolo
Big Pharma
Il falso medico in barca. Spot "taroccato" del Lipitor
Il colesterono non è più un killer? Panico tra le multinazionali. Il mito negativo e la persuasione occulta
m.ca
Da mezzo secolo gli americani sono ossessionati dal colesterolo. Big Pharma ha fatto di tutto per costruire e rafforzare il mito negativo del colesterolo "cattivo". Lo sforzo è stata ampiamente ripagato: da anni i prodotti per abbassare il colesterolo sono i farmaci più venduti nel mondo. Il falso, spesso parente stretto del mito, è sempre ingrediente base della persuasione occulta. Lo confermano due fatti, emersi in una manciata di giorni, che mettono a dura prova le credenze degli americani sul colesterolo.Il primo è una vera e propria spallata al mito del colesterolo killer. Uno studio scientifico su due farmaci, che combinano principi attivi già noti, dimostra che meno colesterolo nel sangue non equivale a meno placche di grasso nelle arterie. Essendo le placche di grasso una delle cause principali degli infarti, ne consegue la quasi assoluzione del colesterolo. Il secondo è lo spot televisivo del Lipitor, l'anticolesterolo della Pfizer. Una storia gustossissima che andiamo a raccontarvi.Protagonista dello spot, andato in onda dal 2006, è il dottor Robert Jarvick, noto per aver creato un quarto di secolo fa il primo cuore artificiale. Nello spot si vede il dottor Jarvick che, nonostante i suoi 62 anni e il fisico non da atleta, rema potente e intrepido su una barca. Le acque sono quelle di un lago nell'incantevole zona di Seattle. La musica, ovviamente intonata al paesaggio, si abbassa quando il testimonial consegna al pubblico il suo messaggio: «Quando la dieta e l'esercizio fisico non bastano, l'aggiunta del Lipitor abbassa significativamente il colesterolo». Si è scoperto che il signore che rema non è il dottor Jarvick. E' uno stunt man, assoldato alla bisogna per fare la parte del dottore che, dice un suo ex collega al New York Times, «ha la stessa disposizione alle attività all'aria aperta di Woody Allen». Il dottore Jarvick sulla barca ci è salito giusto il tempo per pronunciare la frase con cui invita a consumare il Lipitor. Ma la barca galleggiava in un bacino costruito apposta per riprenderlo.L'altarino, scoperto un po' a scoppio ritardato, mettle in imbarazzo il dottore e soprattutto la Pfizer. Della cosa si sta interessando persino la Commissione commercio del Congresso degli Stati Uniti (gli americani sono fatti così: si bevono la fola delle armi di distruzioni di massa in mano a Saddam, ma non transigono su uno spot "ritoccato".) La commissione ha chiesto le «carte» alla Pfizer e alle agenzie che hanno realizzato le campagne pubblicitarie della multinazionale per appurare se le tecniche usate «possano aver tratto in inganno i consumatori», tradendone la buona fede. In effetti, vedendo un provetto vogatore che rema con baldanza si è indotti a pensare che il Lipitor faccia miracoli.Senza versare una goccia di sudore, il dottor Jarvick ha guadagno 1 milione e 350 mila dollari per fare il testimonial del Lipitor. Una somma ingente, anche per gli standard statunitensi degli spot tv. Ma una briciola rispetto ai 258 milioni di dollari spesi dalla Pfizer da gennaio 2006 a settembre 2007 per sostenere il Lipitor. Le date spiegano la ragione di un così forte investimento. Nel 2006 è scaduto il brevetto dello Zocor, il farmaco anticolesterolo rivale diretto del Lipitor. Sono entrati in commercio farmaci generici identici allo Zocor, ma a prezzo più basso del Lipitor. Per difendere quest'ultimo, che è il farmaco più venduto nel mondo e che l'anno scorso ha incassato quasi 13 miliardi di dollari, Pfizer ha scritturato il dottor Jarvick (e una controfigura).Tutte le multinazionali del farmaco, compresa quella che probabilmente ha passato alla stampa la dritta sul "falso" dottor Jarvick, zoppicano dallo spesso piede della Pfizer. Pompano valanghe di soldi in promozione (dal 1997 al 2007 negli Usa le spese pubblicitarie per i farmaci sono aumentate del 300%, sfiorando l'anno scorso i 5 miliardi di dollari) e le spacciano per «ricerca e sviluppo». Dopo il caso del Vioxx, l'antidolorifico superdecantato dalla Merck e ritirato dal mercato nel 2004 perchè aumentava il rischio di attacchi di cuore, le multinazianali del farmaco si sono date linee guida per una comunicazione pubblicitaria più sobria e responsabile. Non è cambiato niente.
Il falso medico in barca. Spot "taroccato" del Lipitor
Il colesterono non è più un killer? Panico tra le multinazionali. Il mito negativo e la persuasione occulta
m.ca
Da mezzo secolo gli americani sono ossessionati dal colesterolo. Big Pharma ha fatto di tutto per costruire e rafforzare il mito negativo del colesterolo "cattivo". Lo sforzo è stata ampiamente ripagato: da anni i prodotti per abbassare il colesterolo sono i farmaci più venduti nel mondo. Il falso, spesso parente stretto del mito, è sempre ingrediente base della persuasione occulta. Lo confermano due fatti, emersi in una manciata di giorni, che mettono a dura prova le credenze degli americani sul colesterolo.Il primo è una vera e propria spallata al mito del colesterolo killer. Uno studio scientifico su due farmaci, che combinano principi attivi già noti, dimostra che meno colesterolo nel sangue non equivale a meno placche di grasso nelle arterie. Essendo le placche di grasso una delle cause principali degli infarti, ne consegue la quasi assoluzione del colesterolo. Il secondo è lo spot televisivo del Lipitor, l'anticolesterolo della Pfizer. Una storia gustossissima che andiamo a raccontarvi.Protagonista dello spot, andato in onda dal 2006, è il dottor Robert Jarvick, noto per aver creato un quarto di secolo fa il primo cuore artificiale. Nello spot si vede il dottor Jarvick che, nonostante i suoi 62 anni e il fisico non da atleta, rema potente e intrepido su una barca. Le acque sono quelle di un lago nell'incantevole zona di Seattle. La musica, ovviamente intonata al paesaggio, si abbassa quando il testimonial consegna al pubblico il suo messaggio: «Quando la dieta e l'esercizio fisico non bastano, l'aggiunta del Lipitor abbassa significativamente il colesterolo». Si è scoperto che il signore che rema non è il dottor Jarvick. E' uno stunt man, assoldato alla bisogna per fare la parte del dottore che, dice un suo ex collega al New York Times, «ha la stessa disposizione alle attività all'aria aperta di Woody Allen». Il dottore Jarvick sulla barca ci è salito giusto il tempo per pronunciare la frase con cui invita a consumare il Lipitor. Ma la barca galleggiava in un bacino costruito apposta per riprenderlo.L'altarino, scoperto un po' a scoppio ritardato, mettle in imbarazzo il dottore e soprattutto la Pfizer. Della cosa si sta interessando persino la Commissione commercio del Congresso degli Stati Uniti (gli americani sono fatti così: si bevono la fola delle armi di distruzioni di massa in mano a Saddam, ma non transigono su uno spot "ritoccato".) La commissione ha chiesto le «carte» alla Pfizer e alle agenzie che hanno realizzato le campagne pubblicitarie della multinazionale per appurare se le tecniche usate «possano aver tratto in inganno i consumatori», tradendone la buona fede. In effetti, vedendo un provetto vogatore che rema con baldanza si è indotti a pensare che il Lipitor faccia miracoli.Senza versare una goccia di sudore, il dottor Jarvick ha guadagno 1 milione e 350 mila dollari per fare il testimonial del Lipitor. Una somma ingente, anche per gli standard statunitensi degli spot tv. Ma una briciola rispetto ai 258 milioni di dollari spesi dalla Pfizer da gennaio 2006 a settembre 2007 per sostenere il Lipitor. Le date spiegano la ragione di un così forte investimento. Nel 2006 è scaduto il brevetto dello Zocor, il farmaco anticolesterolo rivale diretto del Lipitor. Sono entrati in commercio farmaci generici identici allo Zocor, ma a prezzo più basso del Lipitor. Per difendere quest'ultimo, che è il farmaco più venduto nel mondo e che l'anno scorso ha incassato quasi 13 miliardi di dollari, Pfizer ha scritturato il dottor Jarvick (e una controfigura).Tutte le multinazionali del farmaco, compresa quella che probabilmente ha passato alla stampa la dritta sul "falso" dottor Jarvick, zoppicano dallo spesso piede della Pfizer. Pompano valanghe di soldi in promozione (dal 1997 al 2007 negli Usa le spese pubblicitarie per i farmaci sono aumentate del 300%, sfiorando l'anno scorso i 5 miliardi di dollari) e le spacciano per «ricerca e sviluppo». Dopo il caso del Vioxx, l'antidolorifico superdecantato dalla Merck e ritirato dal mercato nel 2004 perchè aumentava il rischio di attacchi di cuore, le multinazianali del farmaco si sono date linee guida per una comunicazione pubblicitaria più sobria e responsabile. Non è cambiato niente.
giovedì 7 febbraio 2008
Il paese (sur)reale
L’analisi politica di Ezio Mauro è perfetta per un Paese normale. Personalmente credo ancora che la corsa in solitaria annunciata dal Pd non sia un atto di presunzione ma l’unica strada praticabile per forzare il gioco, visto che il centrodestra non ha voluto sedersi ad un tavolo per semplificare le regole. Un atto di chiarezza e di trasparenza di Veltroni, al di là della facile ironia sul Yes, we can obamiano che fa seguito peraltro al I care delle comunali, se non sbaglio.
Il vero problema è che il distacco tra il palazzo e l’opinione pubblica mi pare molto più profondo e non c’è da cercare un colpevole più colpevole, perché nessuno è innocente. Il paese reale è quello che è entrato fisicamente nella tv e a volte esce per sparare da una finestra ai passanti, come ieri a Verona, nella rappresentazione vivente della playstation o di una qualsiasi fiction. La vita come un grande gioco di società: da una parte le alchimie politiche e le strategie per la gestione del potere, dall’altra un popolo diventato gggente, dove a vincere non è il merito o l’impegno, nello studio, nel lavoro, ma la furbizia o la fortuna: basta pescare il pacco giusto, no? Purtroppo non son convinto che a preoccupare il campione in (apparente) rilevazione permanente sia l’assemblaggio omogeneo dei partiti in questa o quella coalizione. Destra e sinistra, quando va bene vengono definite facce della stessa medaglia, altrimenti sono post-it per classificare il passaggio dalla kefiah ai tacchi a spillo (e ritorno). Niente più che una moda. La declinazione dei valori è affidata ormai solo agli allenatori di calcio: mi sfugge la ratio, il ridicolo invece è evidente. In ogni caso si vede che fa chic. Ma del resto a cosa serve pensare o applicarsi, come si diceva una volta agli studenti svogliati, all’Università della De Filippi?
Il vero problema è che il distacco tra il palazzo e l’opinione pubblica mi pare molto più profondo e non c’è da cercare un colpevole più colpevole, perché nessuno è innocente. Il paese reale è quello che è entrato fisicamente nella tv e a volte esce per sparare da una finestra ai passanti, come ieri a Verona, nella rappresentazione vivente della playstation o di una qualsiasi fiction. La vita come un grande gioco di società: da una parte le alchimie politiche e le strategie per la gestione del potere, dall’altra un popolo diventato gggente, dove a vincere non è il merito o l’impegno, nello studio, nel lavoro, ma la furbizia o la fortuna: basta pescare il pacco giusto, no? Purtroppo non son convinto che a preoccupare il campione in (apparente) rilevazione permanente sia l’assemblaggio omogeneo dei partiti in questa o quella coalizione. Destra e sinistra, quando va bene vengono definite facce della stessa medaglia, altrimenti sono post-it per classificare il passaggio dalla kefiah ai tacchi a spillo (e ritorno). Niente più che una moda. La declinazione dei valori è affidata ormai solo agli allenatori di calcio: mi sfugge la ratio, il ridicolo invece è evidente. In ogni caso si vede che fa chic. Ma del resto a cosa serve pensare o applicarsi, come si diceva una volta agli studenti svogliati, all’Università della De Filippi?
mercoledì 6 febbraio 2008
Giustizia
CARCERI: INVALIDA, OCCHIO DI VETRO,CHIEDE DI VEDERE MADRE
(AGI) - Roma, 6 feb - Invalida al 70%, con un occhio di vetro e gravi problemi cardiaci, una detenuta di 37 anni e' stata accompagnata 'in ceppi' davanti al giudice che avrebbe dovuto decidere sulla sua richiesta di permesso per visitare la madre appena operata in ospedale. L'episodio e' stato denunciato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni che ha sollecitato l'immediata apertura di un'indagine penale e amministrativa sulla vicenda. Sabrina A., 37anni di Velletri (Roma), detenuta dal 2000 per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio, con fine pena nel 2012. Dopo un periodo di carcerazione a Rebibbia, nel 2004 e' stata trasferita a Santa Maria Capua Vetere e, nel 2005, a Benevento, dove nessun familiare puo' andare ad incontrarla. In questi anni le sue richieste di essere riavvicinata a Roma - sostenute dal Garante dei Detenuti - sono state rigettate con la criptica formula di "motivi di sicurezza e opportunita' penitenziaria", o con la giustificazione che gli Istituti di Alta Sicurezza laziali (Latina e Rebibbia femminile) sono sovraffollati. Per altro, la donna ha presentato domanda di Grazia, ancora giacente al Ministero di Giustizia. Le visite mediche cui e' stata periodicamente sottoposta hanno evidenziato un'invalidita' al 71% - la donna ha anche un occhio di vetro - insufficienza tricuspidale con segni ECG di danno striale ed iniziale cardiopatia, tutte patologie degenerative che stanno peggiorando nel tempo Anche la famiglia di Sabrina non naviga in buone acque: la madre, invalida al 100%, cieca e vedova dal 2005, accudisce un figlio anch'egli invalido al 100%, malato di hiv che non cammina ormai da 12 anni. Di recente la donna e' stata operata per la revisione di una protesi all'anca ed e' per questo che Sabrina aveva fatto richiesta all'Ufficio di Sorveglianza di Avellino di un permesso per visitarla in ospedale che, pero', le era stato negato con la motivazione che la madre ricoverata non si trovava in pericolo di vita. Sabrina ha proposto ricorso al Tribunale di Sorveglianza di Napoli dove, il giorno dell'udienza, e' giunta nelle condizioni raccontate dal suo avvocato difensore: "..l'ingresso in aula in mezzo a tre agenti, ammanettata e tenuta al guinzaglio, mi ha gelato il sangue. In ceppi e' stata accompagnata e fatta sedere dinnanzi al Tribunale. Ho fatto richiesta di liberarle i polsi: il che con molta calma e' stato ottenuto. Al termine della breve discussione (con parere negativo del giudice) e' stata rimessa in vincoli per la ritraduzione al carcere di Benevento. Non ho avuto animo di chiedere alla meschina se durante il lungo viaggio di andata e ritorno essa sia rimasta ammanettata." "Giudico l'accaduto gravissimo, un odioso rigurgito di un modo di fare che, pensavo, fosse stato definitivamente accantonato - ha detto il Garante dei detenuti - Auspico l'apertura di un'indagine penale e amministrativa e che chi di dovere si adoperi per restituire la dignita' a questa ragazza iniziando, magari, dalla concessione di un permesso per consentirle di riabbracciare la madre in ospedale".(AGI) Red/Ale
(AGI) - Roma, 6 feb - Invalida al 70%, con un occhio di vetro e gravi problemi cardiaci, una detenuta di 37 anni e' stata accompagnata 'in ceppi' davanti al giudice che avrebbe dovuto decidere sulla sua richiesta di permesso per visitare la madre appena operata in ospedale. L'episodio e' stato denunciato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni che ha sollecitato l'immediata apertura di un'indagine penale e amministrativa sulla vicenda. Sabrina A., 37anni di Velletri (Roma), detenuta dal 2000 per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio, con fine pena nel 2012. Dopo un periodo di carcerazione a Rebibbia, nel 2004 e' stata trasferita a Santa Maria Capua Vetere e, nel 2005, a Benevento, dove nessun familiare puo' andare ad incontrarla. In questi anni le sue richieste di essere riavvicinata a Roma - sostenute dal Garante dei Detenuti - sono state rigettate con la criptica formula di "motivi di sicurezza e opportunita' penitenziaria", o con la giustificazione che gli Istituti di Alta Sicurezza laziali (Latina e Rebibbia femminile) sono sovraffollati. Per altro, la donna ha presentato domanda di Grazia, ancora giacente al Ministero di Giustizia. Le visite mediche cui e' stata periodicamente sottoposta hanno evidenziato un'invalidita' al 71% - la donna ha anche un occhio di vetro - insufficienza tricuspidale con segni ECG di danno striale ed iniziale cardiopatia, tutte patologie degenerative che stanno peggiorando nel tempo Anche la famiglia di Sabrina non naviga in buone acque: la madre, invalida al 100%, cieca e vedova dal 2005, accudisce un figlio anch'egli invalido al 100%, malato di hiv che non cammina ormai da 12 anni. Di recente la donna e' stata operata per la revisione di una protesi all'anca ed e' per questo che Sabrina aveva fatto richiesta all'Ufficio di Sorveglianza di Avellino di un permesso per visitarla in ospedale che, pero', le era stato negato con la motivazione che la madre ricoverata non si trovava in pericolo di vita. Sabrina ha proposto ricorso al Tribunale di Sorveglianza di Napoli dove, il giorno dell'udienza, e' giunta nelle condizioni raccontate dal suo avvocato difensore: "..l'ingresso in aula in mezzo a tre agenti, ammanettata e tenuta al guinzaglio, mi ha gelato il sangue. In ceppi e' stata accompagnata e fatta sedere dinnanzi al Tribunale. Ho fatto richiesta di liberarle i polsi: il che con molta calma e' stato ottenuto. Al termine della breve discussione (con parere negativo del giudice) e' stata rimessa in vincoli per la ritraduzione al carcere di Benevento. Non ho avuto animo di chiedere alla meschina se durante il lungo viaggio di andata e ritorno essa sia rimasta ammanettata." "Giudico l'accaduto gravissimo, un odioso rigurgito di un modo di fare che, pensavo, fosse stato definitivamente accantonato - ha detto il Garante dei detenuti - Auspico l'apertura di un'indagine penale e amministrativa e che chi di dovere si adoperi per restituire la dignita' a questa ragazza iniziando, magari, dalla concessione di un permesso per consentirle di riabbracciare la madre in ospedale".(AGI) Red/Ale
martedì 5 febbraio 2008
Due Camere (con bagno)
Come era prevedibile, all’ultimo Berlusconi si è sfilato. Per un mese ha fatto credere a Veltroni di essere disponibile al dialogo sulle riforme, un minuto dopo la sfiducia al governo Prodi ha prestato ascolto solo alle sirene delle elezioni anticipate, convinto di vincere a mani basse. Non l’hanno fermato né l’autorevolezza del presidente Napolitano, nè la mediazione del presidente Marini, nè tantomeno gli appelli del mondo imprenditoriale, delle parti sociali, della stessa Chiesa ad una transizione di poche settimane, per aggiustare una legge elettorale pessima che impedisce la governabilità. C’era da aspettarselo: lo stesso scherzo lo fece a D’Alema nella Bicamerale. Ora abbiamo davanti due mesi di campagna elettorale, si spera dai toni pacati e soprattutto senza la demonizzazione dell’avversario. Il Partito democratico ha annunciato che correrà da solo e questa potrebbe costituire una novità dirompente, stante il quadro politico attuale. Perché, come scrive Edmondo Berselli su Repubblica, con il calcolo si può conquistare il potere; ma una scommessa intelligente può far saltare il banco.
venerdì 1 febbraio 2008
Torna Belzebù, quello vero
Non so se ai vertici del Pd capita mai di ascoltare Radio Maria, spero di no. Sarebbe importante però che conoscessero il pensiero del suo direttore, tal padre Livio Fanzaga. In particolar modo le esternazioni sull’Università la Sapienza e sui motivi della caduta del Governo. Breve guida all’ascolto. Nei corridoi dell’ateneo romano si aggirerebbero gruppuscoli di giovani “al limite del satanismo” e “professori cornuti con tanto di tridente e di coda”, che a spruzzargli addosso dell’acqua “esce fuori il fuoco” e “fumano”. Il ritiro della fiducia a Prodi è invece dovuto alla mancata partecipazione in massa degli esponenti del centrosinistra all’Angelus di riparazione convocato dal cardinal Ruini. Se fossero stati più umili, dice padre Fanzaga, l’esecutivo sarebbe durato di più. Toma castagna.
Iscriviti a:
Post (Atom)