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sabato 16 maggio 2009

Storia di Sajjad, rifugiato pakistano

Quelli con cui è più arrabbiato sono i trafficanti, «che ti organizzano il viaggio - dice - gli uomini della rete. Quando ci finisci dentro non riesci più ad uscirne». Sajjad viene dal Kashmir ed è arrivato fino al Regina Pacis, il Cpt dove «i muri erano imbrattati di sangue». Ha 35 anni ma gliene daresti qualcuno in più. Forse solo perché ha gli occhi tristi anche quando cerca di sorridere, mentre racconta la sua storia. A lui, e giustamente, Nichi Vendola ha affidato l’ultimo intervento del Forum. Poi lo ha ascoltato girando la sedia per guardarlo bene mentre parlava. Perché nessuno, alla fine di una giornata così, poteva restituire un quadro più lucido, e drammatico, della realtà e soprattutto delle motivazioni che spingono i governatori a cercare di chiudere i Cpt.

giovedì 14 maggio 2009

Il Papi oscura Pippi


Non so quale operazione ci sia dietro alla vicenda Berlusconi-Noemi-Lario. Perché adesso, perché in questi termini e che parte in commedia hanno i diversi personaggi, giornali compresi. O forse, prendendo a prestito Pasolini, lo so ma non ho le prove. Di sicuro c'è che il papi ha oscurato pippi. Il 4 maggio ha infatti compiuto 50 anni Inger Nilsson, alias Pippi Calzelunghe. Quelli che non sanno chi è trovano abbondante materiale su Youtube.

mercoledì 6 maggio 2009

lunedì 4 maggio 2009

Maiale a chi?

Di seguito lo stralcio più significativo di un lungo articolo di Mike Davis sulla pandemia suina pubblicato il 1° maggio dal Manifesto

(…) Non si tratta tanto di un fallimento del sistema di allarme della pandemia, quanto della sua completa inesistenza, persino negli Stati uniti e in Europa. Forse non sorprende che il Messico non abbia né la capacità né la volontà politica di monitorare le malattie del bestiame e il loro impatto sulla salute pubblica, ma la situazione è quasi la stessa a nord del confine, dove la sorveglianza è un fallimentare mosaico di giurisdizioni statali e le corporazioni dei commercianti di bestiame trattano la salute con lo stesso atteggiamento con cui sono soliti trattare lavoratori e animali.Allo stesso modo, una decade di avvisi urgenti da parte di scienziati sul campo non è riuscita ad assicurare il trasferimento di sofisticate tecnologie virali al paese sulla strada diretta di probabili pandemie. Il Messico conta esperti di fama mondiale ma ha dovuto mandare i tamponi ai laboratori di Winnipeg (che ha meno del 3% ella popolazione di Città del Messico), per poter identificare il genoma del virus. Motivo per il quale si è persa quasi una settimana. Ma nessuno era meno in allerta dei leggendari controllori di Atlanta. Stando al Washington Post, il Cdc è rimasto all'oscuro dello scoppio della pandemia fino a sei giorni dopo che il governo messicano aveva iniziato ad impartire misure di sicurezza. Infatti il Post scrive: «A distanza di due settimane dal riconoscimento dell'epidemia in Messico, i funzionari dei servizi sanitari americani non hanno ancora valide informazioni a riguardo».
Non ci sono scuse. Non si tratta di un evento straordinario. Di fatto, il vero paradosso di questo panico da virus suino è che, sebbene del tutto inaspettato, era stato previsto con precisione. Sei anni fa Science aveva dedicato un lungo articolo (mirabilmente scritto da Bernice Wuetrich) per dimostrare che «dopo anni di stabilità, il virus nord-americano dell'influenza suina è entrato in una fase di rapida evoluzione».Dalla sua identificazione all'inizio della Depressione, il virus H1N1 aveva solo leggermente deviato dal suo genoma originario. Poi, nel 1998, si è scatenato l'inferno. Una varietà altamente patogena ha cominciato a decimare le scrofe di un allevamento di maiali nella Carolina del Nord, e nuove virulente versioni hanno iniziato ad apparire quasi ogni anno, inclusa un'insolita variante dell' H1N1 che conteneva geni interni di H3N2 (l'altro tipo di influenza A che circolava tra gli umani). Ricercatori da Wuethrich, intervistati, espressero la preoccupazione che uno di questi ibridi potesse diventare un'influenza che colpiva gli umani (si ritiene che le pandemie del del 1957 e del 1958 siano state originate da una mescolanza di virus aviari e umani nei maiali) e sollecitarono la creazione di un sistema ufficiale di sorveglianza per l'influenza suina. Quell'ammonimento, naturalmente, passò inosservato in una Washington che si preparava a gettare miliardi in fantasie bioterroriste e trascurava i pericoli più ovvii.Ma cosa ha provocato l'accelerazione di questa evoluzione dell'influenza suina? Probabilmente la stessa cosa che ha favorito la riproduzione dell'influenza aviaria. I virologi hanno a lungo ritenuto che il sistema agricolo intensivo della Cina meridionale - un'ecologia immensamente produttiva di riso, pesci, maiali e uccelli selvatici e domestici - sia il motore principale delle mutazioni influenzali: sia degli «spostamenti» stagionali sia dei «cambiamenti» episodici del genoma (più raramente può verificarsi un passaggio diretto dagli uccelli ai maiali e/o agli umani, come con l'H5N1 nel 1997).Ma l'industrializzazione indotta dalle corporation della produzione da allevamenti ha rotto il monopolio naturale della Cina sull'evoluzione dell'influenza. Come molti autori hanno evidenziato, nei recenti decenni la zootecnia è stata trasformata in qualcosa che somiglia più all'industria petrolchimica che all'allegra famiglia contadina raffigurata nei libri di scuola. Nel 1965, ad esempio, c'erano in America 53 milioni di maiali per più di un milione di fattorie. Oggi, 65 milioni di maiali sono concentrati in 65mila strutture - la metà delle quali con più di 500mila animali. In sostanza è avvenuta una transizione dai vecchi porcili a enormi inferni di escrementi, mai visti in natura, contenenti decine, persino centinaia di migliaia di animali con sistemi immunitari indeboliti, che soffocavano nel caldo e nel letame, mentre si scambiavano agenti patogeni a velocità accecante con i loro compagni di sventura e con la loro patetica progenie.Chiunque passi per Tar Heel, North Carolina o Milford, Utah - dove ogni partecipata di Smithfield Foods produce annualmente più di un milione di maiali, oltre che centinaia di pozze piene di merda tossica - capirebbe in modo intuitivo quanto profondamente l'agrobusiness ha interferito con le leggi della natura.Lo scorso anno una rispettata commissione convocata dal Pew Research Center ha rilasciato un clamoroso rapporto sul tema «produzione animale in allevamenti industriali», sottolineando il grosso rischio che «i continui cicli di virus in larghe mandrie aumenteranno le possibilità di generazione di nuovi virus attraverso mutazioni o ricombinazioni che potrebbero risultare in una più efficiente trasmissione uomo-uomo». La commissione ha anche avvertito che l'uso promiscuo di diversi antibiotici negli allevamenti suini (alternativa meno costosa di un sistema di drenaggio o di ambienti più umani) stava causando l'aumento di resistenti infezioni da stafilococco, mentre le perdite fognarie producevano esplosioni da incubo di Escherichia Coli e Pfisteria (l'apocalittico protozoo che uccise più di un milione di pesci negli estuari della Carolina e fece ammalare decine di pescatori).Tuttavia ogni tentativo di migliorare questa nuova ecologia patogena è destinato a scontrarsi con il mostruoso potere esercitato dai conglomerati dell'allevamento come Smithfield Foods (maiale e manzo) e Tyson (pollo). I commissari della Pew, guidati dall'ex governatore del Kansas John Carlin, hanno raccontato di sistematiche ostruzioni alle loro ricerche da parte delle corporation, comprese sfacciate minacce di far ritirare i finanziamenti ai ricercatori. Inoltre questa è un'industria altamente globalizzata, con equivalente peso politico internazionale. Come il gigante thailandese del pollame Charoen Pokphand riuscì a sopprimere le inchieste sul suo ruolo nell'espansione dell'influenza aviaria attraverso il sudest asiatico, allo stesso modo è probabile che l'epidemiologia forense dell'esplosione della febbre suina vada a sbattere la testa contro le mura di pietra dell'industria delle costolette.Non vuol dire che la «pistola fumante» non sarà mai trovata: c'è già del gossip sulla stampa messicana circa un epicentro dell'influenza intorno a una gigantesca sussidiaria della Smithfield Foods nello stato di Veracruz. Ma ciò che importa di più (specialmente a causa della continua minaccia costituita da H5N1) è il quadro più ampio: la fallita strategia anti-pandemie dell'Organizzazione mondiale della sanità, l'ulteriore declino della salute pubblica mondiale, il ferreo controllo di Big Pharma sui farmaci vitali e la catastrofe planetaria di un allevamento industrializzato e ecologicamente disordinato.

martedì 28 aprile 2009

Verità di stampa

Giorni fa un importante esponente del parlamento europeo ha sostenuto che la vera nascita dell’Europa ci sarà solo quando, di Europa, ne parleranno i giornali. Non l’ho sentito personalmente, me l’ha raccontato una collega che era presente al dibattito. In effetti, a poche settimane dal rinnovo dell'emiciclo di Strasburgo, non c'è granchè consapevolezza generalizzata sul ruolo e sulle effettive competenze dei membri che andranno a comporlo, e sull'istituzione in sè. Ci ho ripensato leggendo il commento di Norma Rangeri all’ultima puntata di Annozero. Lo spunto l'ha offerto Sandro Ruotolo, inviato a Lampedusa, da dove ha proposto le immagini girate all'interno del mercantile che qualche giorno prima aveva raccolto i naufraghi di due barconi, figli di nessuno respinti dall'Italia e da Malta. Scrive Rangeri: “Non sono le riprese di qualche telegiornale italiano, ma il frutto del lavoro di un reporter tedesco. Insieme a un inviato di Repubblica, il giornalista è arrivato alla nave con un gommone e ha acceso la telecamera per documentare la drammatica situazione. Immagini di ordinaria sofferenza, gli immigrati stesi come un tappeto umano, mancanza di acqua, la ragazza incinta morta. La domanda di Ruotolo è semplice: «Se li avessimo visti subito, se i tg avessero mandato in onda questi volti, le autorità italiane li avrebbero lasciati in mezzo al mare per cinque giorni prima di intervenire con i soccorsi e portarli a Lampedusa?». No, lo dimostra il fatto che appena i due giornalisti si sono mossi, sono arrivati anche i soccorsi e la decisione della Farnesina di accoglierli. Segue una seconda domanda: come mai i nostri tg non hanno battuto sul tempo il reporter tedesco? Qui si entra nel merito della penosa condizione in cui è costretta l'informazione del sistema televisivo italiano: in mancanza di una concorrenza interna, lo scatto giornalistico si allenta, sono tutti più tranquilli e rilassati. Per rompere la routine deve venire uno dall'esterno. In più, gli immigrati sono finiti in mezzo al mare in un momento sbagliato, quando la tv aveva già la sua dose di dolore quotidiano con il terremoto. E in generale, i clandestini, come diceva Gad Lerner (anche lui a Lampedusa), non devono diventare persone, meglio se restano numeri, statistiche, problema di sicurezza nazionale. Non appena fai vedere le loro facce oltre a quelle degli abitanti dell'isola (Annozero ha mostrato il funerale della ragazza morta, con una silenziosa folla di lampedusani che portava fiori al cimitero), rischi che il telespettatore simpatizzi con questo popolo di disperati in fuga”.

giovedì 9 aprile 2009

Il marketing dei morti

In Abruzzo si continua a scavare nella speranza di non dover aggiungere altri nomi alle oltre 270 vittime accertate, ma chissà quanti clandestini rimarranno senza identità anche da cadaveri.
Di fronte a questa tragedia, la Rai trova modo di baloccarsi sui record d’ascolto dei Tg, delle trasmissioni d’approfondimento e persino del contatti al sito internet, rubando minuti in video con cifre e dati esultanti che stridono con quelli dei danni, dei senza tetto, di chi ha perso tutto. Non solo, c’è anche chi riprende e rilancia i comunicati dell’azienda facendo un pastone di tutto: terremoto, il commissario rex, la partita di Coppa dei Campioni. In alcuni momenti, forse, sarebbe meglio fermarsi, fare un passo indietro e uscire dalla competizione e dalle logiche di marketing. Hai vinto? Va bene. Stavolta tienitelo per te: ci fai più bella figura.

RAI: OTTIMI ASCOLTI PER TG1, "PORTA A PORTA" E REX
(AGI) - Roma, 9 apr. - Anche ieri, mercoledi' 8 aprile, l'informazione sul terremoto in Abruzzo e' stata molto seguita: il TG1 delle 7.00 e' stato visto da 1 milione 568 mila spettatori e uno share del 40.31; quello delle 13.30 ha raggiunto 5 milioni 252 mila con il 31.69. L'edizione delle 20.00 ha ottenuto 7 milioni 359 mila con il 31.59. Ottimi ascolti in seconda serata per "Porta a porta" con collegamenti in diretta e ospiti in studio che ha registrato 1 milione 948 mila spettatori e il 18.05 di share. Molto seguite anche le varie edizioni del TG2, come quella delle 13.00 che ha totalizzato 3 milioni 413 mila spettatori e uno share del 22.00. Su Raitre alle 7.30 "Buongiorno Regione" ha registrato il 12.34 di share; l'edizione della TGR delle 14.00 e' stata vista da 3 milioni 16 mila spettatori e uno share del 19.22, mentre quella delle 19.35 ha fatto registrare 3 milioni 21 mila e il 16.16. La serata televisiva su Raiuno prevedeva 2 episodi del telefilm "Rex": il primo ha realizzato 4 milioni 623 mila spettatori e uno share del 16.46 e il secondo 4 milioni 102 mila e il 16.32. Su Raidue l'andata del quarto di finale di Coppa dei Campioni tra Barcellona e Bayern Monaco ha realizzato 2 milioni 758 mila spettatori e il 10.11 di share. Su Raitre il programma di servizio "Chi l'ha visto?" ha registrato 2 milioni 314 mila spettatori con il 9.35 di share. Bene nel pomeriggio di Raiuno la seconda parte di "Festa italiana" con 1 milione 947 mila spettatori e uno share del 20.45 e a seguire "La vita in diretta" sia nella prima parte con 2 milioni 206 mila e il 27.55 che nella seconda con 2 milioni 324 mila e il 25.88. (AGI) Red

lunedì 6 aprile 2009

I questuanti del Suv

Quando fai il cronista di nera è quasi naturale frequentare professionalmente carabinieri e poliziotti. Come accade nella vita, con qualcuno nasce una simpatia: reciproca, a pelle, che rientra in quell’alchimia difficile da spiegare che porta naturalmente a fidarsi e abbatte le barriere, ideologiche e di appartenenza. Il comandante della stazione dei carabinieri del mio paese d’origine mi era simpatico. E io lo ero a lui. Un giorno, nei primi anni ’90, andai a trovarlo per dirimere una questione personale: alla morte di mio nonno ci trovammo a dover decidere cosa fare di due vecchi fucili da caccia che l’antenato aveva in casa, pur non frequentando da anni. Per ragioni affettive mio padre voleva prenderli in custodia, nonostante anche lui fosse un pentito del tiro al volatile. Per farla breve, portai con me tutto l’incartamento sui fucili e il maresciallo, a sua volta, recuperò da una vecchia carpetta gialla dell’archivio le relative copie. Per la simpatia di cui sopra iniziammo a scherzare su quante informazioni i carabinieri avevano su ogni singolo abitante e su eventuali dossier. Non era uno scherzo. Di noi, nel senso di famiglia, si sapeva per esempio che eravamo comunisti, peraltro nessuno aveva mai fatto nulla per nasconderlo, che in casa si leggeva l’Unità e il Manifesto (anche, aggiunsi io, visto che i nonni avevano una rivendita di giornali e per noi l’accesso a qualsiasi carta istoriata era facilitato) e altre varie amenità su usi e costumi. Ho ripensato a questa storiella leggendo le notizie sulle dichiarazioni dei redditi da indigenti di molti imprenditori italiani. L’Italia è il paese delle 100 città, delle province, delle regioni, delle migliaia di piccoli comuni dove tutti sanno tutto di tutti, peli del culo compresi. Basterebbe mettere in relazione il tenore di vita, le proprietà “alla luce del sole” di ognuno e le relative dichiarazioni dei redditi per fare tana a milioni di evasori fiscali. Non che questo sia compito dei carabinieri, ma una sinergia tra forze dell’ordine fino alla guardia di finanza, potrebbe essere una soluzione.