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sabato 14 luglio 2007

Brutti caratteri? No, solo caratteri

La nazionale dell’Uruguay vinse a sorpresa il campionato del mondo del 1950 battendo in finale il Brasile per 2 reti ad 1. La partita, il cui risultato sembrava scontato, quasi già scritto a favore dei verde oro si giocò nel mitico Maracanà di Rio de Janeiro in una bolgia infernale di tifosi carioca: centocinquantamila persone, un numero che fa impressione solo a pronunciarlo, già pronte a festeggiare il titolo. Tra loro e la coppa Rimet – era opinione comune - c’era soltanto una manciata di minuti d’attesa: 90 per la precisione. L’Uruguay era un dettaglio. A nessuno di loro, nemmeno al più pessimista, era passato per l’anticamera del cervello che qualcuno (qualcuno chi?) avrebbe potuto rovinargli la festa. Eppure quel qualcuno era lì, in mezzo al campo: 33 anni, fisico massiccio, centromediano di lungo corso, un rosario di partite giocate a tutti i livelli. Se ne accorsero, ironia della sorte, proprio quando Friaca portò in vantaggio la loro nazionale. Obdulio Varela era il capitano di quell’Uruguay. L’uomo che al fischio finale dell’arbitro alzerà la coppa al cielo, facendo piangere di disperazione un intero Paese. Obdulio sapeva che quel gol di Triaca, al sesto del secondo tempo, avrebbe dato ulteriore slancio ed entusiasmo ai brasiliani. Sapeva che probabilmente il suo Uruguay sarebbe stato sommerso, annichilito, umiliato. A meno che…
Obdulio raggiunse la sua porta già violata, prese il pallone in silenzio e lo strinse fra il braccio e il corpo.

“…L’hanno visto tutti che prendevo io il pallone e piano piano me ne andavo in mezzo al campo, per raffreddare gli animi. Quello che non sanno è che io andavo a chiedere un off-side, perché il guardalinee aveva alzato la bandierina e poi abbassata prima che loro segnassero il gol. Io lo sapevo che l’arbitro non avrebbe accolto la protesta, ma era un’occasione per interrompere la partita e bisognava approfittarne. Sono andato con calma da lui e per la prima volta ho guardato il alto, quella folla di gente che inneggiava al gol. Li ho guardati di brutto, proprio di brutto e li ho provocati. Ci ho messo molto ad arrivare in mezzo al campo. Quando ci sono arrivato, avevano ormai fatto silenzio. Volevano veder funzionare la loro macchina segna gol e io non la lasciavo riprendere. Allora, invece di posare il pallone in mezzo al campo per ricominciare il gioco, ho chiamato l’arbitro e ho chiesto un traduttore. Mentre arrivava, gli ho detto che c’era stato un off-side e via dicendo, era passato almeno un minuto. Cosa non mi dicevano i brasiliani! Erano furibondi. Le tribune fischiavano, un giocatore è venuto a sputarmi addosso, ma io, niente. Serio e tranquillo. Quando abbiamo ripreso a giocare, loro erano ciechi, non vedevano neanche la loro porta tanto erano furibondi; allora noi tutti ci siamo accorti che potevamo vincere la partita…”.

Non esistono brutti caratteri. Ci sono caratteri e basta. E se a volte, o a qualcuno, risultano scomodi o non politicamente corretti, pazienza.
Brutti caratteri è il titolo di una rassegna letteraria. Il blog vuole essere un omaggio a chi è sopportato, malvisto, non allineato, fuori dal coro, sporco e cattivo, ma che ama dire ciò che pensa.

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